15.1. Inquadramento - 15.2. Rapporto di lavoro - 15.2.1. Retribuzione - 15.2.2. Ritenute previdenziali e fiscali - 15.2.3. Debiti nei confronti dei lavoratori dipendenti - 15.2.4. Fringe benefits - 15.2.5. Casi pratici - 15.2.6. Contratti di lavoro - 15.3. Fine del rapporto di lavoro - 15.3.1. Trattamento di fine rapporto - 15.3.2. Trattamento di fine rapporto tradizionale - 15.3.3. Trattamento di fine rapporto nelle aziende con almeno 50 dipendenti - 15.3.4. Trattamento di fine rapporto con destinazione a un fondo pensione - 15.4. Amministratori - 15.4.1. Aspetti fiscali
15.1. Inquadramento
15.1.InquadramentoNello svolgimento della propria attività l’impresa ha bisogno di risorse produttive.
Tra queste un ruolo importante viene svolto dai lavoratori dipendenti, che apportano lavoro e competenze. Da questo rapporto si generano una serie di costi, che devono essere imputati in diversi conti del bilancio in ragione della loro natura.
In particolare, il lavoro dipendente si sviluppa lungo un arco temporale definito e si distinguono 3 differenti fasi.
La prima fase è quella dell’assunzione, in cui, a seguito di un processo di reclutamento, viene scelto un lavoratore che soddisfi i requisiti richiesti dalla tipologia di lavoro. Tale fase, non prevede particolari adempimenti contabili, ma l’impresa è chiamata a ricercare il contratto di lavoro che meglio possa soddisfare le proprie esigenze. Da questa scelta derivano una serie di implicazioni future, anche molto differenti tra loro.
La seconda fase è quella dello svolgimento del rapporto di lavoro. Durante tale fase il lavoratore presta la propria opera intellettuale o manuale (art. 2094 c.c.), alle dipendenze o sotto la direzione del datore di lavoro. In cambio l’impresa riconosce al lavoratore un’equa retribuzione, conseguente all’orario di lavoro e alla qualifica, e una formazione o addestramento. Tali prestazioni si svolgono, però, con una asincronia temporale. Il lavoratore, infatti, salva la disciplina molto rara degli acconti, presta la propria opera a fronte di un pagamento che viene solitamente erogato mensilmente, al termine del mese di riferimento.
La terza fase, infine, è quella della cessazione del rapporto di lavoro. Durante tale fase il lavoratore cessa ogni obbligazione nei confronti dell’impresa,
la quale, invece, rimane obbligata nei confronti del lavoratore per l’erogazione del
trattamento di fine rapporto (art. 2120 c.c.). (15.3.2.,
15.3.3.,
15.3.4.).
15.2. Rapporto di lavoro
15.2.Rapporto di lavoroTale rapporto, prevede una serie di diritti e obblighi in capo a entrambi i soggetti che sono previsti in ogni tipologia contrattuale, come l’obbligo di diligenza (art. 2104, c. 1, c.c.), di obbedienza (art. 2104, c. 2, c.c.) e di fedeltà (art. 2105 c.c.) o il divieto di demansionamento, mentre altri sono differenziati a seconda della tipologia contrattuale che le parti intendono effettuare, quali il diritto al licenziamento o alla formazione (ex artt. 2094 e ss. c.c., leggi speciali e contratti collettivi nazionali di lavoro).
15.2.1. Retribuzione
15.2.1.RetribuzioneIl prestatore di lavoro si obbliga a collaborare nell’impresa a fronte di una retribuzione, che può essere stabilita a tempo, soluzione molto più frequentemente utilizzata, o a cottimo (art. 2099 c.c.), soluzione meno frequente.
La retribuzione presenta una struttura composita, fatta di diverse voci, che sono raggruppabili in tre categorie logiche:
-
retribuzione diretta;
-
retribuzione indiretta;
-
contributi sociali e assicurativi.
Retribuzione diretta
La retribuzione diretta è la remunerazione che spetta al lavoratore subordinato e varia in funzione dell’effettivo periodo di prestazione. Tale retribuzione viene erogata tipicamente con periodicità mensile e la commisurazione è riferibile al singolo dipendente, sulla base delle ore o delle giornate di presenza nel mese, tenendo in considerazione il livello contrattuale del dipendente e nel rispetto del contratto collettivo nazionale di riferimento, che prevede una retribuzione minima che deve essere garantita al lavoratore.
In particolare, vengono ricomprese all’interno di questa prima categoria:
-
la retribuzione di base, come risulta dal contratto collettivo nazionale di lavoro della categoria di riferimento;
-
l’indennità di contingenza, ormai quasi più utilizzata e inglobata nella retribuzione di base, è quell’indennità che prevedeva la rivalutazione della retribuzione in funzione della variazione dell’indice ISTAT del costo della vita;
-
gli scatti di anzianità;
-
eventuali superminimi, garantiti a particolari lavoratori in funzione delle proprie capacità particolari, che li rendono una risorsa fondamentale per l’impresa e, in quanto tale, molto apprezzata;
-
altri elementi specifici.
All’atto della rilevazione contabile, che, di solito, viene effettuata alla fine del mese, precedentemente alla liquidazione
dello stipendio ai dipendenti, viene iscritto a Conto economico un costo corrispondente alla retribuzione lorda nella voce “B.9.a) salari e stipendi” (art. 2425 c.c.), e in contropartita viene iscritto il debito nei confronti del personale dipendente (15.2.3.), nella voce “D.14) altri debiti” dello Stato patrimoniale (art. 2424 c.c.).
L’impresa liquida le retribuzioni lorde, pari ad euro 20.000, relative al mese di settembre.
CE | B.9.a) | Salari e Stipendi | 20.000 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 20.000 |
Si consiglia di procedere alla contabilizzazione delle retribuzioni lorde distinguendo tra i dipendenti assunti a tempo indeterminato, determinato, in apprendistato e con contratto di formazione, in quanto è differente il trattamento fiscale ai fini dell’imposta dell’IRAP.
Dalla dichiarazione del 2016, per i costi sostenuti nel 2015, infatti, oltre alle deduzioni già precedentemente previste, e ora riviste negli importi (art. 11, D.Lgs. n. 446/1997), è stata aggiunta la deduzione integrale del costo di lavoro relativo ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato.
Retribuzione indiretta
Si distingue dalla precedente in quanto viene meno quel rapporto di scambio di prestazioni che sottende al caso della retribuzione diretta. In questa circostanza, infatti, l’obbligazione dell’impresa non è controbilanciata da una prestazione a proprio favore da parte del lavoratore dipendente.
Tale retribuzione viene, quindi, riconosciuta al lavoratore dipendente, sulla base di disposizioni contrattuali o di legge.
In particolare, fanno parte delle retribuzioni indirette tutti quei componenti di remunerazione che il dipendente matura nell’anno e percepisce, normalmente, una sola volta, come:
-
la tredicesima;
-
la quattordicesima;
-
le ferie;
-
le festività;
-
i permessi.
Inoltre, si possono annoverare tra le retribuzioni indirette anche le retribuzioni dovute al verificarsi di particolari eventi, come la malattia, l’infortunio o la maternità.
Contabilmente, questa categoria non presenta differenze rispetto alla precedente e la scrittura contabile deve essere effettuata in modo analogo.
Ci sono, però, alcune eccezioni dovute al fattore tempo. Alcuni costi, infatti, maturando su un orizzonte temporale maggiore rispetto alla retribuzione diretta, avente cadenza mensile, prevedono lo stanziamento, alla fine dell’esercizio, di ratei passivi. Questo è il caso, ad esempio della quattordicesima o delle ferie.
Alla fine dell’esercizio i dipendenti hanno maturato una quota di quattordicesima pari ad euro 5.000.
CE | B.9.a) | Salari e Stipendi | 5.000 | |
SP | E | Ratei passivi | 5.000 |
Nell’esercizio successivo, all’atto dell’emissione della busta paga relativa alla
quattordicesima mensilità, la scrittura deve tener conto della rilevazione dei ratei passivi avvenuta alla fine del precedente anno.
Si iscrivono in contabilità le quattordicesime dei dipendenti per euro 11.000.
CE | B.9.a) | Salari e Stipendi | 6.000 | |
SP | E | Ratei passivi | 5.000 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 11.000 |
Contributi sociali e assicurativi
La remunerazione dei lavoratori dipendenti, non si esaurisce soltanto con la retribuzione
propriamente detta, sia essa diretta o indiretta, bensì si accompagna a un sistema previdenziale obbligatorio per legge. L’impresa è, infatti, obbligata al versamento periodico, a determinati
enti aventi scopi previdenziali, assistenziali o assicurativi, di contributi a favore dei propri lavoratori, così da garantire loro una copertura sanitaria e previdenziale.
L’aspetto anomalo, rispetto a tutte le altre voci di bilancio, però, sta nel fatto che questo genere di obbligazioni coinvolge tre differenti soggetti, l’impresa, il lavoratore e gli enti preposti. E il versamento del primo viene effettuato direttamente nei confronti del terzo, seppur questo non sia parte attiva del contratto. L’impresa, infatti, non riconosce il contributo al dipendente, ma lo versa direttamente in proprio conto.
Contributi previdenziali e assistenziali
I contributi che l’impresa deve versare agli enti possono essere di natura previdenziale e assistenziale oppure assicurativa.
Nel primo caso l’ente preposto a ricevere tali versamenti è l’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), salvo il caso di particolari categorie di lavoratori.
È bene ricordare, che l’INPS ha inglobato al proprio interno anche la gestione dell’EX-Enpals, riguardante i lavoratori operanti nello spettacolo e quelli operanti nelle attività sportive.
All’INPS devono essere versati i contributi obbligatori per finanziare:
-
il fondo pensione dei lavoratori dipendenti;
-
il fondo pensione per speciali categorie di lavoratori;
-
le prestazioni economiche assistenziali (malattia, maternità, CIG, disoccupazione, mobilità e ogni altra forma di previdenza a carattere temporaneo diversa dalla pensione);
-
il fondo di garanzia TFR (Legge n. 297/1982);
-
il fondo rimpatrio lavoratori extracomunitari;
-
il fondo nazionale per le politiche migratorie per interventi socio-assistenziali.
L’aliquota che l’impresa è tenuta a versare ai diversi fondi differisce in funzione di alcune variabili. In particolare, l’INPS ha emanato una serie di tabelle, che prevedono una differente aliquota contributiva in funzione di:
-
tipologia di impresa;
-
grandezza dell’impresa;
-
tipologia di lavoratore.
Con riferimento alla tipologia di impresa, l’INPS ha riconosciuto una prima casistica molto ampia, e altre più specifiche. Tra queste vi sono l’industria edile, le imprese pubbliche, le industrie minerarie, le cooperative agricole e una serie di altre realtà economiche.
Con riferimento alla grandezza dell’impresa, invece, l’INPS ha riconosciuto delle aliquote differenti in funzione della numerosità dei lavoratori dipendenti assunti dall’impresa, distinguendo tra imprese piccole (con meno di 15 dipendenti), imprese medie (con più di 15 dipendenti, fino a 50) e imprese grandi (con più di 50 dipendenti).
Infine, con riguardo alla tipologia di lavoratore, si è voluto distinguere tra operai, impiegati, viaggiatori, piazzisti e dirigenti.
L’aliquota INPS, per la gestione dipendenti, è circa pari al 40%, di cui il 31% è
a carico del datore di lavoro, mentre il restante 9% viene trattenuta direttamente
dalla busta paga del dipendente (15.2.2.).
Per il mese di settembre, i contributi sociali a carico dell’impresa ammontano ad euro 8.000.
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 8.000 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 8.000 |
Va, inoltre, tenuto presente che i contributi INPS devono essere stanziati non soltanto in accompagnamento alla retribuzione diretta, ma anche indiretta. Per cui, in occasione della rilevazione di fine anno del rateo della quattordicesima, si deve tenere in considerazione anche la relativa quota di contributi.
Alla fine dell’esercizio i dipendenti hanno maturato una quota di quattordicesima pari ad euro 5.000 e i contributi sociali a carico dell’impresa risultano essere pari ad euro 1.550.
CE | B.9.a) | Salari e Stipendi | 5.000 | |
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 1.550 | |
SP | E | Ratei passivi | 6.550 |
Sgravi contributivi
È concessa ad alcune aziende la possibilità di fruire di una riduzione del carico previdenziale, in funzione di caratteristiche oggettive e soggettive.
Dal punto di vista oggettivo, gli sgravi contributivi dipendono dal settore di attività in cui opera l’impresa, dal tipo di azienda, dal luogo geografico in cui opera o altre caratteristiche. In tali circostanze lo Stato si accolla la totalità della contribuzione o una quota di essa. Tale procedura prende il nome di fiscalizzazione degli oneri sociali.
Dal punto di vista soggettivo, invece, la legislazione prevede degli sgravi contributivi, indipendenti dalla realtà aziendale, ma facente riferimento al contratto di lavoro che è stato scelto dalle parti o a caratteristiche possedute direttamente dal lavoratore.
Rientrano in questa categoria i lavoratori assunti con contratto di apprendistato. La contribuzione in tale contratto è molto ridotta, in quanto si applicano delle percentuali più basse.
I benefici contributivi trovano applicazione per:
-
gli apprendisti che abbiano un’età inferiore ai 29 anni e partecipino alle iniziative di formazione esterne all’azienda, previste dal contratto collettivo nazionale del lavoro di riferimento (art. 16, Legge n. 196/1997) e dalla Regione (D.L. n. 214/1999);
-
i lavoratori disoccupati o in CIG da lunga durata (art. 8, Legge n. 407/1990). In tale circostanza non sono previsti limiti di età e le riduzioni non sono fisse ma variano in funzione del tipo di azienda;
-
i lavoratori in mobilità.
I datori di lavoro che assumono lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (art. 6, Legge n. 223/1991) hanno diritto a riduzioni contributive. Le agevolazioni previste sono:
-
contribuzione a carico del datore di lavoro pari a quella prevista per gli apprendisti, nell’ipotesi di assunzione a termine per un periodo non superiore a 12 mesi (art. 8, c. 2, Legge n. 223/1991);
-
nel caso in cui il contratto, inizialmente previsto a termine, sia poi trasformato in contratto a tempo indeterminato, spettano ulteriori 12 mesi di beneficio (art. 8, c. 2, Legge n. 223/1991);
-
in caso di assunzione a tempo indeterminato, invece, è prevista una contribuzione a carico del datore di lavoro pari a quella per gli apprendisti per un periodo di 18 mensilità (art. 25, c. 9, Legge n. 223/1991);
-
contributo mensile, pari al 50% dell’indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta al lavoratore, a favore del datore di lavoro che assuma a tempo pieno e indeterminato (anche attraverso la trasformazione di un contratto a termine, art. 8, c. 4, Legge n. 223/1991).
Novità della Legge di bilancio 2024 (Legge n. 213/2023)
Viene confermata, anche per il 2024, la riduzione della contribuzione a carico dei lavoratori dipendenti con retribuzione imponibile non superiore a 2.692 euro mensili.
Inoltre, è prevista una decontribuzione totale per le lavoratrici madri:
-
per il periodo 2024-2026, per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che siano madri di 3 o più figli, fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo;
-
per il solo anno 2024, l’esonero spetta anche alle lavoratrici a tempo indeterminato madri di 2 figli, fino al compimento del 10° anno di età del figlio più piccolo.
Tale componente aggiuntiva di esonero per le lavoratrici madri ha un tetto massimo di 3.000 euro annui e non spetta alle lavoratrici domestiche.
Maxi deduzione del costo del personale (D.Lgs. 216/2023)
Per il solo anno 2024 viene prevista una maxi deduzione del costo del personale assunto a tempo indeterminato, da parte dei titolari di reddito di impresa e per gli esercenti arti e professioni. Tale maxi deduzione è pari al 20% del costo riferibile all’incremento occupazionale e diviene pari al 30% nel caso di assunzione di lavoratori svantaggiati.
Gli incrementi occupazionali rilevano a condizione che il numero dei dipendenti a tempo indeterminato al termine del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023 sia superiore al numero dei dipendenti a tempo indeterminato mediamente occupato del periodo d’imposta precedente. L’incremento occupazionale va considerato al netto delle diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c. o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto.
Il costo riferibile all’incremento occupazionale è pari al minor importo tra il costo effettivo relativo ai nuovi assunti e l’incremento complessivo del costo del personale risultante dal Conto economico, rispetto a quello relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2023.
Nessun costo è riferibile all’incremento occupazionale nel caso in cui, alla fine del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, il numero dei lavoratori dipendenti, inclusi quelli a tempo determinato, risulti inferiore o pari al numero degli stessi lavoratori mediamente occupati nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023.
Tale maxi agevolazione non è usufruibile dalle imprese in liquidazione e non deve essere considerata nel calcolo degli acconti.
Contributi assicurativi
I contributi assicurativi, volti a tutelare il lavoratore dipendente nel caso di infortuni patiti sul luogo di lavoro, sono totalmente differenti dai precedenti sia con riferimento alle modalità di computo, sia con riferimento a quelle di versamento, in quanto vengono regolate da leggi specifiche.
L’ente deputato alla gestione delle posizioni assicurative dei lavoratori è l’INAIL (Istituto Nazionale di Assicurazione per gli Infortuni sul Lavoro), ma le aliquote di calcolo sono totalmente differenti a seconda del tipo di attività svolta e, soprattutto, del grado di rischio insito nella stessa attività e nei macchinari e negli impianti presenti sul luogo di lavoro e utilizzati dal lavoratore dipendente.
L’INAIL ha stabilito le tariffe dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali distinte per gestioni e relative modalità di applicazione (D.M. 12 dicembre 2000).
Le tariffe dei premi sono distinte per ciascuna delle seguenti gestioni:
-
Industria;
-
Artigianato;
-
Terziario;
-
Altre attività.
I datori di lavoro sono inquadrati in queste gestioni tariffarie secondo la classificazione disposta ai fini previdenziali e assistenziali (art. 49, Legge n. 88/1989), tenendo conto anche delle specifiche disposizioni previste dalla legge (art. 1, D.Lgs. n. 38/2000).
La norma definisce in quale delle precedenti categorie deve essere ricompresa l’attività economica svolta dall’impresa (art. 1, D.Lgs. n. 38/2000). In particolare, si prevede che vadano ricomprese nel settore dell’industria le attività manifatturiere, estrattive, impiantistiche, di produzione e di distribuzione dell’energia, di gas e di acqua, dell’edilizia, dei trasporti e della comunicazione.
Nel settore dell’artigianato vengono ricomprese le attività di falegnameria, di muratura, di fabbro, di preparazione di alimenti e tutte quelle che impongono un’attività diretta di lavorazione (Legge n. 443/1985).
Nel settore terziario, invece, devono essere ricomprese le attività commerciali, turistiche, di intermediazione, di servizi anche se finanziari, le attività professionali e quelle artistiche. Mentre il riferimento alle altre attività è meramente residuale, comprendendo quelle attività non precedentemente qualificate.
Per i datori di lavoro non soggetti alla classificazione ai fini previdenziali e assistenziali (art. 49, Legge n. 88/1989) l’inquadramento è effettuato direttamente dall’INAIL (art. 2, c. 2, D.Lgs. n. 38/2000).
L’INAIL, nel caso in cui accerti, in qualsiasi momento, che l’inquadramento del datore di lavoro sia errato, può procedere alle necessarie rettifiche con provvedimento motivato. Il datore di lavoro, qualora ritenga che l’inquadramento applicato dall’INAIL sia errato, tanto in sede di prima applicazione, quanto in sede di successive modifiche, può richiedere le necessarie rettifiche con domanda motivata da presentare alla sede dell’INAIL territorialmente competente.
A differenza di quanto accade per i contributi previdenziali e assistenziali e per
le ritenute (15.2.2.), il versamento dei contributi assicurativi avviene in unica soluzione, una volta
l’anno, alla data del 16 febbraio.
Il versamento si compone del saldo dell’anno precedente e dall’acconto dell’anno in corso. I calcoli vengono effettuati in funzione della retribuzione complessiva dell’anno precedente, presa quale base imponibile.
Per tale ragione il conguaglio potrebbe essere a debito oppure a credito, in funzione della variazione della retribuzione presa come base di calcolo, dipendente dal numero dei lavoratori e dell’ammontare già versato in acconto l’esercizio precedente.
Tipicamente, in una situazione ottimale, il saldo dovrebbe essere a debito, prevedendo un andamento crescente del livello nominale delle retribuzioni. Ciò, però, può non avvenire quando:
-
si abbia una riduzione di personale nel corso dell’esercizio, con conseguente diminuzione del monte salari complessivo;
-
vi sia una riduzione dell’aliquota percentuale applicata dall’INAIL.
Contabilmente, quindi, l’impresa si trova a dover effettuare una duplice registrazione:
-
la prima alla data di fine esercizio, in cui deve imputare il saldo dell’anno, che può essere a debito o a credito;
-
la seconda, l’anno successivo, quando il 16 del mese di febbraio si chiude il debito o il credito sorto alla fine del precedente esercizio e si indica l’acconto dell’anno in corso.
Alla fine dell’anno i contributi INAIL di competenza dell’esercizio vengono calcolati in euro 2.500, ma per euro 1.000 erano già precedentemente stati versati in acconto, il 16 di febbraio dello stesso anno.
CE | B.9.b) | Contributi assicurativi | 1.500 | |
SP | D.13 | Inail c/contributi da liquidare | 1.500 |
Il 16 febbraio dell’anno successivo, l’impresa calcola in euro 2.800 il debito nei confronti dell’INAIL.
CE | B.9.b) | Contributi assicurativi | 1.300 | |
SP | D.13 | Inail c/contributi da liquidare | 1.500 | |
SP | D.13 | Inail c/competenze | 2.800 |
Il 16 febbraio l’impresa procede con il versamento del debito INAIL.
SP | D.13 | INAIL c/competenze | 2.800 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 2.800 |
Alla fine dell’esercizio successivo, i contributi INAIL di competenza dell’esercizio vengono calcolati in euro 1.200.
CE | B.9.b) | Contributi assicurativi | 100 | |
SP | C.II.5 quater) | Inail c/contributi da liquidare | 100 |
La posta INAIL c/contributi da liquidare può assumere sia segno Dare, dovendo essere iscritta nella voce C.II.5 dello Stato patrimoniale tra i “crediti verso altri”, sia segno Avere, dovendo essere iscritta tra i debiti nella voce D.13 dello Stato patrimoniale tra i “debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale”.
Contributi per Cassa Edile
Nel settore dell’edilizia, in virtù delle modalità di svolgimento dell’attività, sono previsti degli ulteriori contributi, aggiuntivi a quelli precedentemente descritti.
La caratteristica principale del relativo regime retributivo è costituita dal fatto che il trattamento economico spettante agli operai per ferie, per gratifica natalizia e per riposi annui, viene assolto mediante un particolare sistema di pagamento frazionato, indiretto, mensile delle quote maturate.
Da tutto ciò, ne deriva che il datore di lavoro, per il settore edile, non procede con il calcolo e il successivo versamento della retribuzione indiretta (tredicesima, giornate di assenza per ferie o permessi nei periodi di paga in cui le ferie ed i permessi vengono goduti), bensì attribuisce, ogni mese, alla retribuzione una maggiorazione percentuale.
Tale maggiorazione, fa parte integrante della retribuzione, andando ad aumentare il valore lordo della stessa, concorrendo, quindi, alla base imponibile previdenziale e fiscale.
L’aliquota della Cassa Edile è pari al 23,45%, di cui:
-
8,5% relativo alle ferie;
-
10,00% relativo alle gratifiche natalizie;
-
4,95% relativo ai riposi annui.
Ogni mese, quindi, la base imponibile INPS di un lavoratore assunto nel settore edile, su cui, successivamente, si deve procedere al calcolo delle ritenute fiscali e contributive, deve essere così determinata:
-
retribuzione lorda euro 1.000;
-
maggiorazione del 23,45% per Cassa Edile euro 234,50;
-
accantonamento per Cassa Edile del 14,20% euro 142.
Risultando, quindi, una base imponibile di 1.092,50.
Dall’esempio si nota come, in realtà, non tutta la maggiorazione della Cassa Edile rimanga nella disposizione del lavoratore dipendente, poiché una percentuale, pari al 14,20%, viene accantonata presso la Cassa Edile, ente gestito pariteticamente dai lavoratori e dai datori di lavoro. La Cassa Edile successivamente provvede ad erogare al lavoratore gli importi accantonati sul suo conto alle scadenze e secondo le modalità stabilite dagli accordi locali.
Oltre a questa funzione principale di raccolta e di erogazione delle somme spettante agli operai assunti nel settore edile, la Cassa Edile deve adempiere ad altri compiti, aventi, per lo più, natura assistenziale. Sono a carico del datore di lavoro e del lavoratore, infatti, alcuni contributi che sono utili per finanziare l’assistenza, ad esempio nel caso di malattia, così come richiesto dal contratto collettivo nazionale di riferimento.
Tale parte di retribuzione aggiuntiva, va ad accumularsi alla retribuzione che viene garantita dall’INPS.
Per il mese di settembre, la Cassa Edile a carico del Datore di lavoro risulta pari a euro 600.
CE | B.9.b) | Oneri Sociali per Cassa Edile | 600 | |
SP | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 600 |
15.2.2. Ritenute previdenziali e fiscali
15.2.2.Ritenute previdenziali e fiscaliTerminata la disamina di tutte le componenti della retribuzione posta a carico del datore di lavoro, sia nei rapporti diretti col lavoratore, che in quelli verso gli enti previdenziali, assistenziali e assicurativi, risulta adesso importante evidenziare come anche il lavoratore dipendente debba, in prima persona, sostenere una serie di oneri.
Tale “pagamenti”, però, non vengono direttamente adempiuti dal dipendente, bensì è l’impresa datrice di lavoro che, in qualità di sostituto di imposta, trattiene le somme al lavoratore, provvedendo essa stessa al successivo versamento, nelle stesse modalità e termini per quelli a proprio carico.
Dal punto di vista contabile, le scritture che emergono da queste procedure, non danno vita a movimentazioni nel Conto economico, bensì si traducono in delle permutazioni finanziarie, che, da una parte, vanno a ridurre il debito dell’impresa verso il lavoratore dipendente e, dall’altra, determinano la generazione di un debito, dello stesso importo, nei confronti di particolari enti.
Debiti verso l’INPS
La retribuzione che viene erogata al dipendente subisce delle trattenute che devono essere direttamente versate dall’impresa, contestualmente alle quote a proprio carico. Il termine retribuzione “netta” indica proprio che il compenso attribuito al lavoratore non è in realtà il lordo, bensì una quota di questo, depurato dalle trattenute che l’impresa fa seguendo i dettami enunciati dalla legge, generando il c.d. cuneo fiscale.
In particolare, l’impresa trattiene al dipendente una quota della retribuzione, che deve poi essere versata direttamente all’ente.
La quota percentuale (circa uguale al 9,50%) che deve essere trattenuta al lavoratore
varia (15.2.1.) in base alla dimensione dell’impresa, al settore di attività della stessa e al livello
di inquadramento del dipendente.
Per il mese di settembre le ritenute previdenziali a carico dipendente sono pari a 2.470 euro.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 2.470 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 2.470 |
Per semplicità si riporta la scrittura dell’imputazione dei contributi a carico della
ditta, già evidenziata nel caso “Liquidazione della contribuzione” (15.2.1.).
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 8.000 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 8.000 |
Per il mese di settembre, l’impresa procede al versamento dei contributi INPS.
SP | D.13 | INPS c/competenze | 10.470 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 10.470 |
Assegni familiari
Le trattenute previdenziali operate dall’impresa nei confronti del lavoratore non hanno sempre valenza diminutiva per la retribuzione “netta”. In alcuni casi può succedere che la trattenuta INPS sia in realtà aumentativa.
Si pensi al caso di un dipendente in malattia, con l’impresa che anticipa la retribuzione al dipendente a fronte di un credito nei confronti dell’ente, oppure al caso degli assegni familiari.
Gli assegni familiari sono delle integrazioni salariali che vengono concesse dall’INPS al lavoratore dipendente che ha dei familiari a carico e che rientra nei parametri tabellari di reddito del nucleo familiare fissati annualmente dall’INPS.
Un familiare viene definito a carico se:
-
percepisce un reddito lordo annuo, indipendentemente dal periodo in cui esso è maturato, inferiore a 2.840,51;
-
convive con il contribuente che lo ha a carico.
Ma mentre il primo requisito è una condizione essenziale per tutti i familiari, il secondo è rilevante solo per:
-
il coniuge nell’ipotesi in cui sia separato;
-
i discendenti dei figli;
-
i genitori (sia naturali che adottivi);
-
i generi e le nuore;
-
il suocero e la suocera;
-
i fratelli e le sorelle (anche se unilaterali);
-
i nonni e le nonne;
rimanendo quindi esclusi i figli e il coniuge del contribuente, per i quali non è necessaria la convivenza, essendo sufficiente il requisito relativo al reddito.
La definizione di figlio a carico è stata oggetto di modifiche. Dal 2018, infatti, un figlio, avente un’età inferiore a 24 anni, può essere definito a carico anche se percepisce un reddito superiore a euro 2.840,51, purché inferiore al nuovo limite di euro 4.000 (Legge n. 205/2017).
Per il mese di settembre vengono liquidati assegni familiari per 1.600 euro.
SP | C.II.5 quater) | INPS c/assegni familiari | 1.600 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 1.600 |
Gli assegni familiari, così come le detrazioni per figli a carico, non saranno più corrisposte dai cedolini di marzo 2022, in quanto sostituite dall’Assegno unico (paragrafo Bonus per i lavoratori dipendenti).
Versamenti all’INPS
Il versamento dei contributi dovuti all’INPS, anche se da effettuare a diverse sedi, deve essere eseguito utilizzando il Modello F24, entro il giorno 16 del mese di scadenza, vale a dire entro il 16 del mese successivo a quello in cui è scaduto l’ultimo periodo di paga (il mese) cui si riferisce la denuncia UNIEMENS.
Il giorno 16 del mese di ottobre, l’impresa deve effettuare la regolazione INPS relativa al mese di settembre, effettuando il relativo versamento.
SP | D.13 | INPS c/competenze | 10.470 | |
SP | C.II.5 quater) | INPS c/assegni familiari | 1.600 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 8.870 |
Responsabilità dell’imprenditore
L’imprenditore ha l’obbligo di versare lo stipendio al lavoratore e, conseguentemente, di versare i relativi contributi.
L’inadempimento di tale seconda obbligazione, però, prevede delle responsabilità del tutto differenziate in capo all’imprenditore. Il mancato versamento dei contributi a carico della ditta, infatti, prevede solamente una responsabilità civile, sanabile con il versamento di una sanzione, variabile in funzione dell’entità del ritardo in cui è avvenuto il versamento.
Il mancato versamento del contributo trattenuto al lavoratore dipendente, invece, configurava una responsabilità penale, conseguente a un’appropriazione indebita, anche se in conseguenza di una situazione di temporanea illiquidità.
Con decorrenza dal 6 febbraio 2016, è mutata tale disciplina, prevedendo la depenalizzazione del reato per i versamenti effettuati per un importo inferiore a euro 10.000 annui (art. 3, c. 6, D.Lgs. n. 8/2016). In tale caso all’imprenditore inadempiente si applica la sola sanzione amministrativa pecuniaria, che va da euro 10.000 a 50.000. Resto fermo che se l’inadempienza è superiore alla soglia consentita, si ricade nella responsabilità penale, con la possibile reclusione fino a 3 anni.
Debiti verso l’INAIL - Il premio deve essere versato entro il giorno 16 del mese di febbraio di ciascun esercizio. Entro tale data, con Modello F24, l’imprenditore deve versare il saldo relativo al precedente esercizio, che avrà già contabilizzato al 31 dicembre dell’anno prima, e l’acconto dell’anno in corso.
In caso di cessazione dell’attività, invece, il termine è fissato entro il giorno 16 del secondo mese successivo.
L’imprenditore che ne abbia interesse può, però, provvedere al pagamento del premio INAIL, a rate, in luogo del versamento in unica soluzione. Tale possibilità prevede la corresponsione dell’importo in 4 rate di eguale importo in linea capitale, alle seguenti scadenze:
-
16 febbraio;
-
16 maggio;
-
20 agosto;
-
16 novembre.
Per le rate successive a quella del 16 febbraio, però, è prevista una maggiorazione a titolo di interessi, calcolati al tasso medio di interesse dei titoli del debito pubblico dell’anno precedente, individuato dal Ministero del tesoro.
Debiti verso la Cassa Edile - Le imprese operanti nel settore edile, oltre ai versamenti all’INPS, nei modi e nei tempi descritti, devono effettuare mensilmente anche i versamenti alla Cassa Edile. Il funzionamento è del tutto similare, prevedendo un versamento diretto comprensivo sia della quota a carico dipendente, che di quella a carico ditta.
Differenti sono, però, i termini e le modalità. Il versamento alla Cassa Edile non viene effettuato tramite Modello F24, bensì attraverso il bonifico bancario entro la fine del mese successivo a quello in cui è scaduto l’ultimo periodo di paga (il mese) cui si riferisce il versamento stesso.
Inoltre, sempre entro lo stesso termine, deve essere inviata la distinta di calcolo dei contributi versati alla Cassa Edile di appartenenza.
Per il mese di settembre le ritenute per la Cassa Edile a carico dipendente sono pari a 180 euro.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 180 | |
SP | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 180 |
Per semplicità si riporta la scrittura dell’imputazione dei contributi della Cassa
Edile a carico ditta, già evidenziata nel caso “Liquidazione della contribuzione alla
Cassa Edile” (15.2.1.).
CE | B.9.b) | Oneri Sociali per Cassa Edile | 600 | |
SP | D.13 | Cassa edile c/competenze | 600 |
In data 31 ottobre l’impresa effettua il versamento della Cassa Edile complessiva (carico ditta e carico dipendente).
SP | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 780 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 780 |
Debiti per ritenute sindacali e per penalità - Le ritenute sindacali e quelle per penalità o multe sono delle ritenute eventuali, che l’impresa non deve applicare a tutti i dipendenti, ma solo a quelli che presentano determinate caratteristiche o che mettano in atto particolari comportamenti, che li rendono soggetti alla ritenuta.
In particolare, con riferimento alle ritenute sindacali, i lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali di categoria, subiscono una ritenuta che deve essere versata direttamente dall’impresa entro i termini e nei modi concordati con le associazioni di appartenenza. Per questa ragione, sia la percentuale della ritenuta, che la data del versamento non sarà univoca, bensì variabile in virtù della singola associazione di aderenza.
L’impresa applica al dipendente X, iscritto a un’associazione di categoria, una ritenuta sindacale, come da contratto, di euro 71.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 71 | |
SP | D.14 | Sindacati c/ritenute | 71 |
Successivamente, alla data concordata, l’impresa procede al versamento delle ritenute sindacali.
SP | D.14 | Sindacati c/ritenute | 71 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 71 |
Le ritenute per penalità e multe, invece, si riferiscono al singolo lavoratore dipendente che si rende protagonista di un comportamento non conforme con il regolamento interno dell’impresa datrice di lavoro. Tali ritenute, aventi come detto natura eccezionale, sono fatte al lavoratore e accantonate in un fondo comune, che viene utilizzato al fine della realizzazione di opere o servizi comuni per la totalità dei dipendenti. Tale fondo, quindi, assume la connotazione di un fondo spese e prende la denominazione di Fondo opere sociali.
L’impresa applica al dipendente X, resosi protagonista di un comportamento non idoneo a quanto stabilito dal regolamento interno all’azienda, una multa di euro 50.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 50 | |
SP | B.4 | Fondo opere sociali | 50 |
Debiti verso l’Erario - Come abbiamo visto il datore di lavoro assume il ruolo di sostituto di imposta per
tutti gli adempimenti prima esaminati. Oltre a questi, però, il datore di lavoro deve
provvedere anche al versamento delle imposte, che gravano sul lavoratore subordinato.
Il datore di lavoro è obbligato, infatti, ad operare una ritenuta a titolo di acconto alle retribuzioni corrisposte al lavoratore dipendente (art. 23, D.P.R. n. 600/1973). Tale obbligo è imposto anche nel caso di redditi erogati a soggetti svolgenti un
lavoro assimilabile a quello di lavoro dipendente, come ad esempio gli amministratori delle imprese (art. 24, D.P.R. n. 600/1973).
Il ruolo di sostituto di imposta, però, non viene assunto da tutti i datori di lavoro, ma solamente da alcune specifiche categorie (art. 23, D.P.R. n. 600/1973). Ad esempio, il contribuente persona fisica che assume una dipendente per far fronte alle faccende domestiche non rientra in questi soggetti, per cui non sarà tenuto ad effettuare alcuna ritenuta.
I soggetti previsti dalla legge sono:
-
gli enti, le associazioni e le società aventi carattere commerciale (art. 87, c. 1 e art. 5, D.P.R. n. 917/1986);
-
le persone fisiche operanti in qualità di imprese commerciali (art. 51, D.P.R. n. 917/1986);
-
le imprese agricole;
-
le persone fisiche operanti attività di arti o professioni;
-
il curatore fallimentare;
-
il commissario liquidatore;
-
il condominio.
Le ritenute a titolo di acconto non vanno confuse con le ritenute a titolo di imposta. Le prime sono ritenute che devono essere operate, in ottemperanza alla legge, ma che determinano il primo livello di tassazione. Il soggetto che subisce la ritenuta, infatti, sarà obbligato (come nel caso di un contribuente che percepisce anche altri redditi oltre a quello di lavoro dipendente) oppure avrà la facoltà (come nel caso di un contribuente che percepisce solo redditi da lavoro dipendente, presso un unico datore di lavoro) di effettuare la dichiarazione dei redditi. Con tale documentazione, il contribuente ricalcolerà l’imposta dovuta a cui detrarrà le ritenute subite. Da questa procedura potrebbe generarsi un debito a carico del lavoratore con un obbligo di successivo versamento in capo allo stesso, oppure un credito, con un diritto di compensazione o di rimborso.
Le ritenute a titolo di imposta, invece, vengono applicate a redditi che non confluiscono nella dichiarazione, ma che sono soggetti a tassazione definitiva nel momento stesso in cui vengono generati. Questo è, ad esempio, il caso degli interessi attivi, che, se percepiti dalle persone fisiche, subiscono una ritenuta definitiva a titolo di imposta del 26% (che diviene del 12,50% nel caso di interessi generati dalla proprietà di titoli di stato o similari) e non dovranno essere indicati nella dichiarazione dei redditi.
È importante sottolineare che, in caso di assoggettamento a ritenuta di un reddito, la legge impone un duplice obbligo. Il primo in capo al sostituto di imposta, che è il soggetto demandato ad operare e versare la ritenuta. Il secondo in capo al sostituito, che ha l’onere di controllare che venga effettuata la ritenuta, non essendo necessaria la verifica del successivo versamento.
La mancanza dell’effettuazione della ritenuta, infatti, rende anche il sostituito debitore nei confronti dell’erario, assumendo un’obbligazione solidale con il sostituto (Cass. n. 9933/2015).
Tale raccomandazione, però, assume carattere differente nel caso di assoggettamento del reddito a ritenuta a titolo di imposta o di acconto. Nel primo caso, infatti, la mancanza della dichiarazione dei redditi implica un salto di imposta. Nel secondo caso, invece, è solamente uno sfasamento temporale (Cass. n. 8316/2009).
Le ritenute erariali, a differenza delle altre ritenute, non seguono il principio di competenza, bensì devono essere effettuate all’atto dell’effettiva corresponsione della retribuzione, essendo rilevante il momento in cui le stesse vengono percepite.
La base imponibile su cui assoggettare le ritenute è data dalla retribuzione lorda indicata in busta pagata al netto delle ritenute previdenziali obbligatorie e dell’importo degli assegni familiari, eventualmente presenti.
Il conteggio delle ritenute, però, è più complesso nel caso di reddito da lavoratore dipendente, rispetto a altre tipologie di reddito. In tale circostanza, infatti, l’aliquota erariale non ha una misura fissa, come avviene nel caso del lavoro autonomo, dell’intermediazione ecc., bensì varia in funzione dell’ammontare della base imponibile. Le aliquote sono, inoltre, crescenti all’aumentare della base imponibile annua (art. 11, D.P.R. n. 917/1986). In particolare, a seguito delle variazioni che si sono avute con la Legge di bilancio per il 2024 si avranno le seguenti aliquote:
-
fino a 28.000 euro di reddito annuo, si applica l’aliquota del 23%;
-
oltre 28.000 euro e fino a 50.000 euro di reddito annuo, si applica l’aliquota del 35%;
-
oltre 50.000 euro di reddito annuo, si applica l’aliquota del 43%.
Per meglio comprendere, si immagini un lavoratore dipendente avente un reddito lordo annuo di euro 100.000. In tale caso la tassazione deve essere così considerata:
-
primo scaglione (fino a 28.000) euro 6.440 secondo scaglione (fino a 50.000) euro 7.700; terzo scaglione (fino a 100.000) euro 21.500.
Il totale delle ritenute da effettuare al lavoratore dipendente risulta pari a euro 35.640.
Nel calcolo della tassazione, però, si deve tenere anche conto di una serie di detrazioni, espressamente previste dalla legge, che, una volta calcolata l’imposta, riducono
la stessa in funzione della situazione del lavoratore. Tra queste le più comuni sono
le detrazioni per carichi di famiglia e le detrazioni per rapporto di lavoro dipendente, (artt. 12 e 13, D.P.R. n. 917/1986). La Legge di bilancio 2022, però, è intervenuta per modificare le detrazioni per
figli a carico, che sono abrogate dal 2022 per figli con età inferiore a 21 anni.
Per tali figli, infatti, viene ora previsto l’assegno unico (
15.2.3.).
Tale modalità di calcolo, con aliquota progressiva all’aumentare del reddito, è stata, però, messa in discussione dall’introduzione di una tassa piatta (così detta flat tax), con un’aliquota unica, non soggetta alle variazioni in funzione del reddito del contribuente. Tassa ad oggi concessa, con alcune limitazioni ai titolari di partita IVA, aventi un fatturato inferiore a 85.000 euro, attraverso l’allargamento del regime “forfettario”, con aliquota al 5% nei primi 5 anni di applicazione e, successivamente, con aliquota al 15%.
L’impresa effettua ritenute erariali per euro 4.500 sul reddito corrisposto ai lavoratori dipendenti nel mese di settembre.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 4.500 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 4.500 |
L’obbligo al versamento delle ritenute erariali sorge, come detto, all’atto del pagamento della retribuzione al lavoratore dipendente. Il relativo versamento deve essere poi effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è avvenuto il pagamento.
Successivamente, l’impresa paga le ritenute applicate in precedenza con riferimento al mese di settembre.
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 4.500 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 4.500 |
Debiti per addizionali - Il lavoratore dipendente, oltre alla componente erariale, subisce anche altre ritenute, che vengono definite
“addizionali”, in quanto si assommano all’IRPEF.
Addizionale Regionale
A decorrere dal 2012, l’aliquota dell’addizionale regionale diviene a completa discrezionalità delle singole Regioni. Da quel momento le Regioni
possono in modo autonomo decidere di aumentare o ridurre l’imposta, purché la variazione avvenga all’interno di un intervallo stabilito (Legge n. 148/2011).
Con riferimento all’annualità 2023, le addizionali regionali sono così determinate:
Regione | % minima | % massima |
Abruzzo | 1,73 | 1,73 |
Basilicata | 1,23 | 2,33 |
Calabria | 2,03 | 2,03 |
Campania | 2,03 | 2,03 |
Emilia-Romagna | 1,33 | 2,33 |
Friuli-Venezia Giulia | 0,7 | 1,23 |
Lazio | 1,73 | 3,33 |
Liguria | 1,23 | 2,33 |
Lombardia | 1,23 | 1,74 |
Marche | 1,23 | 1,73 |
Molise | 2,03 | 2,63 |
Piemonte | 1,62 | 3,33 |
Puglia | 1,33 | 1,73 |
Sardegna | 1,23 | 1,23 |
Sicilia | 1,23 | 1,23 |
Toscana | 1,42 | 1,73 |
Umbria | 1,23 | 1,83 |
Valle d’Aosta | 1,23 | 1,23 |
Veneto | 1,23 | 1,23 |
Trento | 1,23 | 1,73 |
Bolzano | 1,23 | 1,73 |
Le addizionali regionali vengono calcolate sulla stessa base imponibile su cui vengono calcolate le ritenute erariali, ma non è dovuta per i redditi percepiti a tassazione separata, quali il trattamento di fine rapporto (a meno che il contribuente non intenda optare per la tassazione ordinaria) o gli arretrati di anni precedenti, e nel caso in cui le detrazioni d’imposta azzerino l’IRPEF.
Il versamento delle addizionali regionali deve avvenire in un massimo di 11 rate, a partire dal periodo di paga successivo alle operazioni di conguaglio e non oltre a quello relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre o, in un’unica soluzione, alla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Il versamento deve essere destinato alla Regione in cui il lavoratore dipendente ha il domicilio fiscale all’atto di effettuazione delle operazioni di conguaglio e deve avvenire con Mod. F24.
L’impresa effettua le ritenute per addizionali regionali per euro 500 sul reddito corrisposto ai lavoratori dipendenti nel mese di settembre.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 500 | |
SP | D.12 | Erario c/Addizionali Regionali | 500 |
Addizionale comunale
È stato introdotto a far data dall’annualità 1999, l’obbligo di versamento ulteriore di un’altra addizionale, questa volta dedicata al Comune (D.Lgs. n. 360/1998).
Il versamento, in tale circostanza avviene nelle Casse del Comune in cui il contribuente abbia il proprio domicilio fiscale alla data del 1° gennaio.
L’addizionale comunale si compone di:
-
un’aliquota uniforme in tutto il territorio nazionale, che viene fissata annualmente da un decreto interministeriale;
-
un’aliquota variabile che viene determinata direttamente dalla libera discrezionalità dei Comuni.
Anche in questo caso, però, la discrezionalità è mutuata, in quanto il Comune non può superare l’aliquota dello 0,8%.
A differenza dell’addizionale regionale, quella comunale viene versata in acconto e saldo, ove l’acconto è stabilito nella misura del 30% dell’addizionale ottenuta applicando le aliquote di riferimento al reddito imponibile dell’anno precedente.
L’acconto viene versato in un massimo di 9 rate mensili a partire dal mese di marzo, mentre il saldo viene trattenuto al lavoratore dipendente in un numero massimo di 11 rate, a partire dal periodo di paga successivo alle operazioni di conguaglio e non oltre quello relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre.
La base imponibile su cui calcolare l’addizionale è il reddito complessivo al netto degli oneri deducibili. Da ciò ne deriva che non si tiene conto dei carichi di famiglia, in quanto si passa da un sistema di deduzioni ad un sistema di detrazione per i familiari a carico.
È, infine, facoltà del Comune prevedere delle soglie di reddito di esenzione.
Anche per queste imposte, i versamenti devono essere fatti tramite Modello F24.
L’impresa effettua le ritenute per addizionali comunali per euro 200 sul reddito corrisposto ai lavoratori dipendenti nel mese di settembre.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 200 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali comunali | 200 |
Versamenti - Il datore di lavoro assume la qualifica di sostituto di imposta, dovendo trattenere i contributi e le imposte dovute dai lavoratori dipendenti, provvedendo, successivamente, al loro versamento.
Termini di versamento - I versamenti delle ritenute, delle imposte e dei contributi(art. 17, D.Lgs. n. 241/1997) devono essere effettuati entro il giorno 16 del mese di scadenza (ex art. 18, c. 1, D.Lgs. n. 241/1997).
Mentre per i contributi il criterio da seguire è quello della competenza, per le ritenute fiscali, il criterio è quello della Cassa. Vale a dire che, per le ritenute erariali, diviene determinante il momento in cui avviene il pagamento delle retribuzioni.
Se il termine scade di sabato o di un giorno festivo, il versamento è fatto nei tempi corretti se eseguito il primo giorno lavorativo successivo (art. 18, D.Lgs. n. 241/1997).
Tale criterio di slittamento al primo giorno lavorativo successivo alla data di scadenza è, successivamente, stato generalizzato per qualunque adempimento fiscale (art. 7, c. 1, lett. h), D.L. n. 70/2011).
La legge, inoltre, prevede un’eccezione, in virtù della c.d. proroga di Ferragosto: gli adempimenti fiscali e i versamenti dei contributi e i versamenti rateali (artt. 17 e 20, c. 4, D.Lgs. n. 241/1997), aventi una scadenza compresa tra il 1° e il 20 agosto di ogni anno, possono essere effettuati entro il giorno 20 dello stesso mese, senza alcuna maggiorazione (art. 3-quater, D.L. n. 16/2012). Tra questi tributi sono inclusi i contributi e le ritenute, a carico ditta e a carico dipendente, che il datore di lavoro deve versare mensilmente.
A questa regola generale fanno eccezione i versamenti per l’INAIL e per la Cassa Edile, che, come visto nei sottoparagrafi “debiti verso INAIL” e “debiti verso Cassa Edile”, prevedono delle regole di versamento specifiche, che impongono differenti scadenze.
Modalità di versamento
Le imposte, i contributi, gli interessi e anche le eventuali sanzioni per i ritardi, devono essere versate attraverso il Modello F24, con la sola eccezione della Cassa Edile, per la quale viene utilizzato il bonifico bancario.
Negli ultimi anni, però, la possibilità di effettuare i pagamenti attraverso il Modello F24 ha subito delle successive modifiche. Allo stato attuale, la legge distingue tra soggetti muniti di partita IVA e soggetti privi di partita IVA.
I primi, tra cui le imprese, i professionisti ecc., non possono effettuare il pagamento di un F24 con modalità cartacea, bensì sono obbligati ad utilizzare i canali informatici. In particolare, il pagamento può avvenire:
-
mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (“F24 web” o “F24 online”) utilizzando i canali Entratel o Fisconline;
-
tramite gli intermediari abilitati (professionisti, associazioni di categoria, CAF, ecc.);
-
mediante i servizi di internet banking messi a disposizione dagli intermediari della riscossione convenzionati con l’Agenzia (banche, Poste Italiane e Agenti della riscossione, prestatori di servizi di pagamento).
Tale ultima modalità, però, non può essere utilizzata tutte le volte in cui nell’F24 sia previsto l’utilizzo di un credito in compensazione, qualunque esso sia. Non è, infatti, più prevista alcuna distinzione di tributi, per cui le compensazioni possono essere fatte unicamente mediante le prime due modalità. Per i soggetti non muniti di partita IVA, invece, la legge, che consentiva delle semplificazioni, ha subito delle profonde variazioni con l’ultima Legge di bilancio. Infatti, viene stabilito che i pagamenti possono essere effettuati:
-
tramite F24 cartaceo, tutte le volte in cui non siano presenti compensazioni, permettendo quindi di pagare gli F24 con modalità cartacea, senza preoccuparsi dell’importo totale;
-
mediante i servizi di internet banking, messi a disposizione dagli intermediari della riscossione convenzionati con l’Agenzia, come visto in precedenza, solamente nel caso in cui non siano previste compensazioni;
-
mediante i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle Entrate (“F24 web” o “F24 online”) utilizzando i canali Entratel o Fisconline, oppure, in alternativa, tramite gli intermediari abilitati (professionisti, associazioni di categoria, CAF, ecc.), tutte le volte in cui si renda necessario il pagamento di un F24 con la presenza di compensazioni.
Allo stato attuale, quindi, sono molto ridotte le differenze intercorrenti tra le due categorie di soggetti, essendo unicamente rilevabili nella possibilità per i contribuenti senza partita IVA di pagare gli F24, senza compensazione, direttamente presso gli intermediari finanziari.
Compensazioni
La disciplina delle compensazioni ha subito, negli ultimi anni, diversi interventi normativi, che ne hanno limitato l’utilizzo, soprattutto con riferimento alle compensazioni orizzontali, vale a dire con tributi di differente natura. Si pensi, ad esempio, a un contribuente avente un credito INPS di euro 1.000 e obbligato al versamento IRPEF per euro 1.500. Tale soggetto potrà effettuare un unico versamento, di euro 500, utilizzando il credito in compensazione direttamente nel Modello F24.
Ma, mentre non ci sono limitazioni nel caso in cui l’oggetto della compensazione siano tributi della stessa specie (ad esempio un contribuente che, dopo aver presentato la dichiarazione, risulta a credito per l’imposta dell’IRPEF come saldo 2016, ma è obbligato al versamento degli acconti dell’IRPEF per l’anno 2017), le compensazioni orizzontali sono state molto ridotte, così da evitare l’utilizzo indebito di crediti non esistenti o non utilizzabili.
Con riferimento ai tributi erariali, il legislatore ha concesso la possibilità di effettuare le compensazioni orizzontali nel limite di 5.000 euro annui, limite che può non essere rispettato nel caso in cui il credito venga certificato, attraverso l’apposizione del visto di conformità, da un professionista abilitato, munito di apposita assicurazione e, comunque, subordinato alla preventiva presentazione della dichiarazione da cui scaturisce il credito.
Successivi interventi hanno ulteriormente ridotto la possibilità di avvalersi dell’istituto della compensazione. In primo luogo, infatti, per poter procedere con una compensazione, è necessario non avere carichi erariali pendenti superiori, complessivamente, ad euro 1.500. Il mancato obbligo viene punito con sanzioni molto elevate, che prendono a riferimento il minore tra l’importo compensato e il 50% del debito iscritto a ruolo. Tale preclusione, però, non opera in presenza di ruoli non ancora scaduti, oppure rateizzati (art. 31, D.L. n. 78/2010).
In secondo luogo, l’Agenzia delle Entrate può sospendere, per 30 giorni, l’esecuzione dei Modelli di pagamento F24, che presentino delle compensazioni, di qualunque importo esse siano, al fine di verificare che non sussistano profili di rischio (art. 37, c. 49-ter, D.L. n. 223/2006). Qualora dalla predetta operazione di controllo, il credito risulti correttamente utilizzato, il pagamento viene ritenuto eseguito. Nel caso, invece, in cui dalla suddetta operazione di controllo emergessero dei profili di rischio, il pagamento si considera non eseguito, a far data dalla scadenza originaria del versamento.
15.2.3. Debiti nei confronti dei lavoratori dipendenti
15.2.3.Debiti nei confronti dei lavoratori dipendentiUna volta che il datore di lavoro abbia effettuato tutti i conteggi relativi alle varie ritenute, obbligatorie e facoltative, che deve trattenere e, successivamente, versare agli enti preposti, quello che residua deve essere corrisposto al dipendente sotto forma di retribuzione. Tale pagamento può avvenire secondo la scadenza prestabilita dalle parti, solitamente con cadenza mensile.
Insieme al versamento della retribuzione deve essere consegnata al lavoratore la busta paga contenente l’indicazione della retribuzione lorda, delle trattenute effettuate dal datore di lavoro e l’ammontare netto, che deve essere uguale al pagamento.
L’impresa procede con il pagamento della retribuzione netta per il mese di settembre, che risulta pari a euro 15.000.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 15.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 15.000 |
Anticipi ai dipendenti
Durante il rapporto di lavoro può succedere che il datore di lavoro e il dipendente si accordino per la concessione di anticipi sulla retribuzione.
Al dipendente viene, quindi, riconosciuta una somma di denaro, la cui restituzione non avviene in modo diretto, bensì attraverso uno sconto dalle successive retribuzioni, fino al raggiungimento della cifra anticipata.
Al momento della corresponsione, quindi, sorge un credito da parte dell’impresa, nei confronti del lavoratore dipendente, per il prestito concesso, che deve essere privo di qualunque interesse.
In tale ipotesi, la somma di denaro concessa non è soggetta alle ritenute erariali a titolo di acconto, in quanto il diritto alla retribuzione non è realmente ancora maturato, e un contribuente non può essere tassato per redditi di cui ancora non abbia la titolarità (principio di equità fiscale), configurandosi solamente un prestito con obbligo di restituzione.
In data 1° settembre viene concesso un anticipo di euro 750 ad un dipendente, che dovrà essere restituito in 3 rate da euro 250 ciascuna, a partire dalla retribuzione del mese di settembre.
SP | C.II.5 | Prestiti a dipendenti | 750 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 750 |
Con la retribuzione del mese di settembre, viene restituita la prima rata del prestito, precedentemente concesso, attraverso la decurtazione dello stipendio. La retribuzione netta del mese di settembre risulta pari ad euro 1.500.
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 1.500 | |
SP | C.II.5 | Prestiti a dipendenti | 250 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 1.250 |
Distribuzione di utili ai dipendenti
Spesso ai lavoratori dipendenti viene corrisposta una retribuzione legata all’andamento aziendale, al fine di ricercare il massimo impegno del lavoratore stesso. Legare la retribuzione agli utili permette, infatti, di ridurre al minimo quei costi di agenzia, in assenza dei quali il dipendente può non essere incentivato a effettuare il proprio lavoro nel migliore dei modi e così da avere un unico obiettivo comune tra tutte le parti in causa.
Tale retribuzione viene solitamente garantita a quei dipendenti aventi ruoli strategicamente importanti, quali direttori o i componenti del Consiglio di amministrazione, in quanto più degli altri possono incidere nell’andamento dell’impresa, portando utili e migliori performance per tutta l’azienda.
L’impresa chiude l’esercizio con un utile di euro 1.000 e riconosce ai dirigenti il 20%.
SP | A.IX | Utile d’esercizio | 200 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 200 |
Lo Standard Setter Internazionale prevede all’interno dei “benefici ai dipendenti a breve termine” la compartecipazione agli utili e chiarisce che l’impresa deve rilevare il relativo costo quando ha un’obbligazione effettiva, legale o implicita, a eseguire tali pagamenti come conseguenza di eventi passati e quando può essere effettuata una stima attendibile dell’obbligazione (IAS 19).
L’obbligazione viene definita effettiva nel momento in cui l’impresa non ha alternative realistiche all’effettuazione dei pagamenti. Nell’ipotesi in cui i piani di compartecipazione agli utili prevedano che i dipendenti ricevano una quota degli utili solo se rimangono in servizio per un periodo stabilito, l’obbligazione implicita sorge man mano che i dipendenti prestano il proprio lavoro; la valutazione di tali obbligazioni implicite riflette la possibilità che alcuni dipendenti possano lasciare l’impresa senza ricevere i pagamenti derivanti dalla compartecipazione agli utili.
Vale la pena porre l’attenzione sulla distribuzione degli utili. L’impresa che genera utili, infatti, non può liberamente procedere con la distribuzione degli stessi, ma deve precedentemente eseguire una serie di adempimenti che la legge prevede. Per prima cosa, insieme con la chiusura del bilancio di esercizio, l’azienda deve redigere un verbale, che deve prevedere le modalità di destinazione del risultato di esercizio.
Quindi, si rende necessaria la registrazione del verbale presso l’Agenzia delle Entrate, entro i successivi 30 giorni dalla redazione dello stesso. Per procedere con tale registrazione l’impresa si deve munire di una duplice copia autentica del verbale, di una marca da bollo da euro 16 ogni 100 righe per ciascuna copia, del modello di pagamento dell’imposta per la registrazione, di euro 200, e del Modello 69 debitamente compilato.
Infine, entro il mese di marzo dell’anno successivo alla distribuzione dei dividendi deve essere consegnata, a ciascun socio, la relativa certificazione.
Documentazione necessaria
Tutte le imprese che utilizzano lavoro subordinato per lo svolgimento della propria attività, sono obbligate, oltre al versamento della retribuzione e dei relativi contributi e delle ritenute, a dare ai lavoratori una serie di documentazione.
Tra queste le più importanti possono essere riassunte come segue:
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il contratto di lavoro, con cui vengono espressi i punti principali riguardanti il periodo di lavoro, la retribuzione, l’inquadramento del lavoratore, le mansioni a cui è adibito e il rimando al relativo contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento per tutti i punti non direttamente trattati;
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i cedolini, che devono essere consegnati mensilmente al lavoratore, da cui deve risultare lo stipendio netto, che deve coincidere con il versamento effettuato dall’impresa nella banca del dipendente, le ritenute erariali, contributive, sindacali ecc. effettuate, lo stipendio lordo, gli eventuali assegni familiari, le ferie, la malattia e la data di assunzione;
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la certificazione unica. Quest’ultimo documento deve essere rilasciato alla fine dell’anno, entro il mese di marzo, e rappresenta un documento riepilogativo delle retribuzioni percepite durante il precedente anno di lavoro, con l’indicazione delle ritenute effettuate. Tale documento risulta di decisiva importanza per l’effettuazione della dichiarazione dei redditi, confluendo nel riquadro RC della stessa (quadro C nel caso dell’effettuazione del Modello 730).
Bonus per i lavoratori dipendenti
Oltre al normale rapporto di lavoro, la legge stabilisce delle tutele nei confronti del lavoratore dipendente, differenti a seconda delle caratteristiche proprie del lavoratore stesso.
In particolare, sono previste delle tutele sotto forma di aggiunte retributive, garanzie alla retribuzione o, ancora, premi all’accadimento di particolari eventi.
Questi bonus o premi, sono molteplici, andando a ricomprendere una miriade di differenti situazioni che
possono coinvolgere ciascun lavoratore. Di seguito ci si soffermerà su quelli più
frequenti.
Trattamento integrativo dei redditi
Con decorrenza luglio 2020 è stato introdotto, in sostituzione del c.d. Bonus Renzi, un nuovo beneficio che prevede un trattamento integrativo dei redditi combinato a una detrazione fiscale (Legge n. 21/2020). Tale beneficio spetta a tutti i lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro dipendente o assimilato.
Il trattamento integrativo spetta qualora l’imposta lorda applicabile al lavoratore sia di importo superiore a quello della detrazione da lavoro dipendente e, in ogni caso, per i redditi fino a euro 28.000.
L’importo viene riconosciuto in euro 600 per l’annualità 2020 (periodo luglio/dicembre 2020) e in euro 1.200 per le annualità successive. Nel caso, però, in cui il rapporto di lavoro faccia riferimento ad un periodo inferiore, il trattamento integrativo viene rapportato alla durata reale dello stesso. I datori di lavoro lo riconoscono in via automatica, procedendo alla sua suddivisione sulle retribuzioni erogate, salvo la necessità di verifica della spettanza in sede di conguaglio.
Nei casi in cui il lavoratore abbia più rapporti di lavoro, sarà invece onere del lavoratore stesso procedere al conguaglio direttamente nella dichiarazione dei redditi e procedere al riversamento nei casi di non spettanza.
L’ulteriore detrazione dall’imposta lorda, che deve anch’essa essere rapportata al reale periodo di lavoro, spetta in misura variabile decrescente ai contribuenti in ragione del proprio reddito, che comunque non può mai essere superiore a 40.000 euro.
Riassumendo:
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trattamento integrativo per lavoro dipendente e assimilato, spetta nella misura di 100 euro al mese per i contribuenti con un reddito inferiore a euro 28.000;
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ulteriore detrazione per lavoro dipendente e assimilato spetta:
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per i contribuenti con un reddito compreso tra i 28.000 euro e i 35.000 euro, un importo determinato dal seguente calcolo:
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480 + (120 x (35.000 - reddito complessivo)/7.000)
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per i contribuenti con un reddito superiore a 35.000 euro e inferiore a 40.000 euro, un importo determinato dal seguente calcolo:
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480 x ((40.000 - reddito complessivo)/5.000)
Il Decreto Rilancio ha, inoltre, previsto che tale bonus spetti a tutti i lavoratori dipendenti, in possesso dei requisiti, anche nel caso in cui gli stessi risultino incapienti, per effetto del minor reddito prodotto nel 2020 a causa della fruizione delle misure di sostegno previste.
Successivamente, all’atto del pagamento delle imposte sui redditi di lavoro dipendente o assimilato, il datore di lavoro avrà diritto di portare in compensazione la cifra precedentemente erogata al lavoratore, attraverso l’utilizzo del codice tributo 1701, rimanendo in tal modo a carico dello Stato.
Il trattamento integrativo relativo alla mensilità di settembre sulla retribuzione dei dipendenti risulta pari a euro 1.000.
SP | C.II.5-bis) | Recupero somme erogate D.L. n. 66/2014 | 1.000 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 1.000 |
Il giorno del 16 del mese successivo, l’azienda paga i contributi pari a euro 3.000 e le ritenute erariali pari a euro 2.500.
SP | D.13 | INPS c/competenze | 3.000 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 2.500 | |
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 1.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 4.500 |
Tutela in caso di procedure fallimentari
Il legislatore ha cercato di introdurre anche delle misure volte alla tutela del lavoro
dipendente. Tra queste una prima cautela è riferibile alla normativa fallimentare. I redditi da lavoro subordinato sono riconosciuti come quelli che maggiormente devono
essere tutelati; infatti, sono indicati gerarchicamente al primo posto nell’ordine dei privilegi (art. 2751-bis c.c.).
La corresponsione del reddito dipendente, quindi, deve essere effettuata prima di qualunque altra tipologia reddituale, con le sole eccezioni derivanti dai redditi aventi la clausola di prededucibilità e quelli aventi privilegio speciale, garantendo, in tale modo, al lavoratore dipendente, che venga soddisfatto il proprio credito anche in quelle situazioni in cui l’attivo aziendale non è sufficiente a coprire integralmente il passivo.
La riforma fallimentare, inoltre, affinché le imprese possano essere ammesse al concordato con finalità liquidatorie, ha introdotto il necessario soddisfacimento della totalità dei creditori privilegiati, tra cui, come detto, rientrano anche i crediti dei lavoratori subordinati, oltre a una percentuale non inferiore al 20% dei creditori chirografi.
Solidarietà negli appalti
Un’altra forma di tutela che il legislatore italiano ha voluto garantire al lavoro subordinato, è relativo alla disciplina dei contratti di appalto. L’obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori (art. 1292 c.c.). Vale a dire che ci sono situazioni per le quali, all’adempimento di una stessa obbligazione possono essere chiamati più soggetti, e l’adempimento di uno, libera gli altri. Tale disciplina è applicabile anche al contratto di appalto (art. 1677 c.c.).
Il legislatore ha voluto garantire al dipendente che opera per un’impresa appaltatrice di ottenere il pagamento del proprio credito retributivo direttamente dal committente, ma con un duplice ed importante limite a tutela di quest’ultimo:
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il committente è tenuto a pagare solo i dipendenti dell’appaltatore, escludendo la sussistenza dell’obbligo nei confronti di terzisti o di subappaltatori;
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il committente è tenuto a pagare nei limiti delle somme per le quali egli è ancora debitore nei confronti dell’appaltatore, al momento in cui il dipendente chiede il pagamento.
Tale obbligazione, così come delineata, riguardava il debito che l’impresa datrice di lavoro contraeva nei confronti del lavoratore, in termine di retribuzione netta.
Con la c.d. Legge Biagi è stata, invece, introdotta una più ampia responsabilità solidale del committente. In particolare, si prevede che in caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti (art. 29, D.Lgs. n. 276/2003).
Con tale normativa viene di molto ampliata la responsabilità del committente in un contratto di appalto, prevedendo:
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l’obbligazione solidale del committente, che ora viene estesa non solo nei confronti dei debiti maturati da parte dell’appaltatore, ma anche per quelli maturati da eventuali subappaltatori;
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l’eliminazione del limite del debito che il committente ha nei confronti dell’appaltatore: in base alla nuova disciplina, quindi, il committente risponde in solido con l’appaltatore e/o il subappaltatore senza limite di importo, a prescindere dal fatto se egli sia debitore o meno dell’appaltatore e/o del subappaltatore per crediti da questi ultimi maturati in forza del contratto d’appalto, posto che l’unico limite posto dalla norma è quello temporale (2 anni dalla cessazione dell’appalto);
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la norma fa riferimento genericamente ai “lavoratori” e non più ai “dipendenti”, consentendo con ciò un’interpretazione estensiva che ricomprende nell’ambito dei soggetti tutelati anche i collaboratori non dipendenti, come i lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto;
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la responsabilità solidale riguarda non solo i crediti retributivi del lavoratore, ma anche gli oneri contributivi maturati a favore degli enti previdenziali sulle retribuzioni dovute ai lavoratori.
Successivamente, con interventi legislativi più recenti, la responsabilità del committente è stata solo parzialmente limitata, prevedendo la necessaria preventiva escussione da parte del lavoratore dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro, potendo agire nei confronti del committente solo in via successiva, ove il primo soggetto risulti incapiente.
Allo stato attuale, la responsabilità del committente, in forza di un contratto di appalto ricomprende:
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in solido con l’appaltatore, per quanto è dovuto ai dipendenti dell’appaltatore per l’attività eseguita nell’appalto (retribuzioni, indennità, rimborsi, ecc.), nei limiti del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda, ma senza limiti di tempo (art. 1676 c.c.);
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in solido con l’appaltatore ed il subappaltatore, per il pagamento dei trattamenti retributivi e per il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi, con il limite temporale di 2 anni dalla cessazione dell’appalto, ma senza limitazione di importo (art. 29, c. 2, D.Lgs. n. 276/2003);
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in solido con l’appaltatore ed il subappaltatore, per il risarcimento dei danni subiti dal dipendente dell’appaltatore o del subappaltatore in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, per la parte non oggetto di indennizzo da parte degli enti assicuratori obbligatori (art. 26, c. 4, D.Lgs. n. 81/2008).
L’appaltatore assume nei confronti del subappaltatore la stessa posizione giuridica assunta dal committente nei confronti dell’appaltatore, con le conseguenze ora descritte.
Per l’aggravio delle responsabilità, nei contratti di appalto viene ora richiesto all’appaltatore un documento con cui lo stesso confermi il regolare pagamento di tutte le retribuzioni e l’esibizione del DURC, da cui emerge la regolarità contributiva dello stesso.
Con la Legge di bilancio 2020, infine, la disciplina ha subito delle ulteriori restrizioni. In particolare, è stato previsto che, nei contratti di appalto che prevedano il compimento di una o più opere, o di uno o più servizi, di importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera, presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili, il committente sia onerato di un’attività di vera e propria vigilanza.
Infatti, entro 5 giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento del Modello F24 per il pagamento delle imposte trattenute ai lavoratori dipendenti (di solito il 16 del mese successivo), l’impresa appaltatrice o affidataria e le imprese subappaltatrici devono trasmettere al committente alcuni documenti per garantire al committente stesso la possibilità di verificare la correttezza e l’esecuzione dei versamenti. I documenti possono essere riepilogati in:
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elenco nominativo dei lavoratori impiegati nell’appalto nel mese precedente, identificandoli tramite codice fiscale;
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il dettaglio delle ore lavorate da ognuno di questi;
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l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione;
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il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite per ciascun dipendente;
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copia dell’F24 pagato relativo a dette ritenute fiscali, tenendo presente che nell’F24 deve essere riportato il codice identificativo 09 nella sezione anagrafica unitamente al codice fiscale del committente.
In caso in cui il committente si rendesse conto che non siano state versati gli F24, anche solo parzialmente, è obbligato a sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria fino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’opera o del servizio ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, dandone comunicazione entro 90 giorni all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate.
DURC di congruità in edilizia
Al fine di contrastare il lavoro nero nel settore edile, dal primo novembre 2021 per ogni cantiere pubblico e per quelli privati di importo superiore a 70.000 euro, è stato introdotto un nuovo sistema di verifica della congruità dell’incidenza della manodopera impiegata (Ministro del Lavoro, Decreto 25 giugno 2021, n. 143, in recepimento del art. 8, c. 10-bis, del D.L. n. 76/2020).
Tale procedura vuole verificare che la manodopera utilizzata nei cantieri edili risulti essere effettivamente proporzionata all’incarico affidato.
La verifica di congruità viene effettuata in relazione agli indici minimi riportati nella tabella dell’accordo collettivo del 10 settembre 2020, tenendo conto delle informazioni che l’impresa ha dichiarato alla Cassa Edile territorialmente competente. E le modalità applicative saranno rese disponibili dalla Commissione Nazionale delle Casse Edili.
L’attestazione di congruità viene, quindi, rilasciata entro 10 giorni dalla presentazione della richiesta. Nel caso in cui, però, la procedura rilevi una discordanza, l’impresa sarà chiamata a versare, entro il termine di 15 giorni, l’importo corrispondente alla differenza di costo del lavoro necessaria per raggiungere la percentuale stabilità per la congruità. Il puntuale versamento darà adito al ricevimento della certificazione di congruità.
Nel caso in cui, invece, l’impresa non voglia procedere alla regolarizzazione richiesta dall’ente e lo scostamento rispetto agli indici di congruità sia accertato in misura superiore al 5% della percentuale di incidenza della manodopera, l’esito della procedura sarà negativo e l’impresa verrà iscritta nella Banca Nazionale delle Imprese irregolari (BNI).
Assegno Unico
Le detrazioni fiscali per figli a carico, gli assegni familiari, il bonus bebè e il premio alla nascita vengono sostituiti, a partire da marzo 2022, dal cosiddetto Assegno Unico. Tale forma di reddito viene riconosciuto dal settimo mese di gravidanza e vale fino ai 21 anni di età del figlio a carico.
L’importo viene erogato, previa domanda, direttamente dall’INPS e l’importo varia in funzione del reddito del nucleo familiare e del numero dei figli. In particolare, si va da 175 euro mensili per famiglie con Isee pari o inferiore a 15.000 euro e si scende fino a 50 euro mensili per famiglie con Isee pari o superiore a 40.000 euro. Non è previsto, però, alcun limite di reddito, per cui l’assegno di importo minimo è riconosciuto a tutti i genitori con figli a carico di età inferiore a 21 anni.
Sono poi previste maggiorazioni per le famiglie con figli disabili per i minorenni si percepiranno:
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105 euro al mese in più in caso di non autosufficienza:
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95 euro in caso di disabilità gravi;
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85 euro in caso di disabilità media.
In presenza di maggiorenni disabili e fino ai 21 anni si riceveranno 50 euro al mese in più, oltre i 21 anni si continuerà a ricevere un assegno da 25 a 85 euro mensili.
Infine, sono previste delle maggiorazioni anche per le famiglie numerose, con 4 o più figli.
La richiesta deve essere fatta direttamente all’INPS (anche tramite il patronato), a partire da gennaio e non oltre giugno, corredata del Modello Isee. La mancata presentazione dell’Isee comporta il pagamento, da parte dell’INPS, della cifra minima.
La Legge di bilancio 2023 ha previsto un incremento del 50% dell’assegno unico:
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per tutte le famiglie con figli di età inferiore a 1 anno;
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per le famiglie con un ISEE inferiore a 40.000 euro e con figli di età compresa tra 1 e 3 anni;
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per le famiglie con 4 o più figli.
Trattamento ISCRO
L’indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa (ISCRO) è un beneficio rivolto ai soggetti che svolgono in via abituale l’attività di lavoro autonomo e che siano iscritti alla Gestione Separata INPS. Tale misura che era stata introdotta in via sperimentale per il triennio 2021-2023 è stata resa strutturale dalla legge di bilancio. L’indennità viene riconosciuta per un periodo di 6 mesi ed è pari al 25%, su base semestrale, della media dei redditi da lavoro autonomo dichiarati nei 2 anni precedenti all’anno precedente alla presentazione della domanda e spetta a decorrere dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda.
L’importo mensile non può in ogni caso essere inferiore a 250 euro né superiore a 800 euro e non concorre alla formazione del reddito.
Possono avvalersi di tale strumento di sostegno i soggetti che:
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siano iscritti alla gestione separata INPS in qualità di lavoratori autonomi;
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non siano titolari di pensione diretta e non siano assicurati presso altre forme previdenziali;
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non siano già beneficiari del reddito di inclusione;
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abbiano prodotto un reddito di lavoro autonomo, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, inferiore al 70% della media dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nei 2 anni anteriori all’anno precedente alla presentazione della domanda;
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abbiano dichiarato nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito non superiore a 12.000 euro;
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siano in possesso del DURC e titolari di partita IVA attiva da almeno tre anni alla data di presentazione della domanda.
15.2.4. Fringe benefits
15.2.4.Fringe benefitsI benefici marginali, più comunemente chiamati “fringe benefits”, vengono definiti come delle remunerazioni complementari che si sommano alla retribuzione del lavoratore, che vengono riconosciute al dipendente al fine di incentivarlo a una maggiore produttività. Questa retribuzione aggiuntiva, però, non può essere erogata mediante versamento in denaro, bensì avviene attraverso un componente in natura.
Solo per il 2024, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati non concorre a formare il reddito del lavoratore dipendente se, complessivamente, di importo non superiore, nel periodo di imposta, ad euro
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2.000 per i dipendenti con figli fiscalmente a carico;
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1.000 per gli altri lavoratori.
Se tale limite viene superato, lo stesso valore concorre interamente a formare il reddito.
Determinazione
I fringe benefits vengono calcolati al loro valore normale che viene stabilito nel prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizione di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o i servizi sono acquistati o prestati (art. 9, D.P.R. n. 917/1986). Vi sono, però, alcuni casi che, data la loro frequenza di accadimento, vengono disciplinati con regole specifiche (art. 51, c. 4, D.P.R. n. 917/1986):
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auto aziendali;
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prestiti in denaro;
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fabbricati concessi in locazione, uso o comodato;
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servizi di trasporto ferroviario.
Il datore di lavoro, all’atto della concessione del fringe benefit è tenuto ad applicare una ritenuta a titolo d’acconto, come già visto per le retribuzioni erogate in denaro. La ritenuta deve essere effettuata anche alle retribuzioni in natura. I termini, le modalità di effettuazione, le modalità di versamento e le relative certificazioni devono, quindi, rispettare appieno le regole generali, non esistendo alcuna eccezione in tal senso (circ. n. 326/E/1997).
Tipologie
Rimborsi per trasferte - La trasferta viene identificata nell’ipotesi in cui il lavoratore dipendente, per espletare la mansione a cui è adibito, si trovi costretto ad abbandonare temporaneamente il proprio luogo di lavoro.
L’onere del rimborso delle spese di trasferta sostenute dal dipendente grava sul datore di lavoro.
La disciplina dei rimborsi per trasferta è differente a seconda che la trasferta avvenga:
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all’interno del Comune in cui si trova la sede di lavoro;
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o all’esterno.
Se la trasferta del lavoratore dipendente avviene nel territorio del Comune:
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le indennità chilometriche, ovvero le spese sostenute forfettariamente per l’utilizzo della propria autovettura da parte del dipendente, concorrono alla formazione del reddito imponibile;
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il rimborso spese a pie di lista, ovvero le spese sostenute dal dipendente e comprovate da documenti emessi dal vettore, quali i biglietti del treno o del taxi, non vengono assoggettate a tassazione, essendo un semplice reintegro della retribuzione spesa.
Nel caso, invece, in cui la trasferta avvenga al di fuori del territorio del Comune esistono tre differenti modalità di rimborso, alternative tra loro (art. 50, c. 5, D.P.R. n. 917/1986):
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rimborso forfettario, ovvero un’indennità riconosciuta dal datore di lavoro propriamente per la trasferta. Tale indennità non è tassata nel limite di euro 46,48, se la trasferta avviene fuori del territorio del Comune, ma entro il territorio dello Stato, e nel limite di euro 77,47, se la trasferta avviene all’estero. L’eventuale indennità suppletiva, eccedente tale limite, solamente per tale valore eccedente, è assoggettata a tassazione;
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rimborso analitico, ovvero il rimborso delle spese di viaggio, comprese le indennità chilometriche, le spese di vitto, alloggio, trasporto, non sono soggette a tassazione, nel limite delle spese analiticamente documentate;
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rimborso misto, sia forfettario che analitico. In caso di rimborso delle spese di alloggio o, alternativamente, delle spese di vitto, il limite al rimborso forfettario viene ridotto di 1/3. Inoltre, il limite è ridotto di 2/3 se oggetto di rimborso analitico sono entrambe le spese di vitto e alloggio.
Cessione in uso di veicoli aziendali - Il datore di lavoro, può decidere di concedere al dipendente, l’uso di un veicolo aziendale. In tale ipotesi la disciplina fiscale in capo al lavoratore dipendente è differente a seconda di:
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auto concessa per uso promiscuo. In tale caso bisogna fare due distinte ipotesi, in ragione alla data di immatricolazione del veicolo. Nel caso di contratti relativi a veicoli immatricolati precedentemente al 1° luglio 2020 il fringe benefit viene determinato in modo forfettario, indipendentemente dall’utilizzo o dai costi effettivamente sostenuti. Viene calcolata, infatti, una misura pari al 30% dell’importo corrispondente ad una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri, calcolato sulla base del costo chilometrico desumibile dalle tabelle ACI (nel caso di utilizzo per un periodo inferiore all’anno, l’ammontare del benefit va ragguagliato al numero dei giorni del periodo, a prescindere dall’effettivo utilizzo). Dal valore così determinato devono essere scontati gli eventuali importi trattenuti al dipendente in busta paga per l’utilizzo dell’autovettura stessa. Nel caso in cui, invece, il contratto sia relativo a un veicolo di immatricolazione successiva al 1° luglio 2020, prevedono delle soglie differenziate a seconda del grado di emissione di anidride carbonica. In particolare, si prevede che per gli autoveicoli di nuova immatricolazione con valore di emissione di anidride carbonica non superiori a 60 g/Km, si assume una percentuale pari al 25%. Tale percentuale diviene pari al 30% nei casi in cui le emissioni siano superiori a 60 g/km ma inferiori a 160, pari al 40% quando le emissioni siano comprese tra 161 g/km e 190 g/km e pari al 50% nei casi di emissioni superiori a 190 g/km. Inoltre, dal 2021 le ultime due soglie (quella del 40% e del 50%) hanno subito un ulteriore inasprimento del 10%;
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auto concessa per uso privato. In tale ipotesi, il valore del fringe benefit viene calcolato attraverso il conteggio del valore normale, pari al costo del noleggio del bene.
Fabbricati concessi in locazione - Il datore di lavoro può concedere in locazione o in uso al dipendente un fabbricato quale fringe benefit.
In tale caso le regole per determinare il reddito da imputare al lavoratore subordinato variano in funzione dei casi che si possono manifestare:
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fabbricati iscritti in Catasto, senza obbligo di dimorarvi;
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fabbricati iscritti in Catasto, con obbligo di dimorarvi;
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fabbricati non iscritti in Catasto.
Nel caso di fabbricati iscritti in Catasto senza obbligo di dimora (situazione più comune), il fringe benefit, che deve essere considerato nella busta paga del lavoratore subordinato e sul quale devono essere conteggiate le ritenute, viene calcolato dalla rendita catastale del fabbricato a cui devono essere aggiunte le spese inerenti e sottratte le somme versate o trattenute al dipendente per il godimento del bene.
Vale a dire che se il dipendente paga (direttamente o attraverso una trattenuta in busta paga) un affitto, questo viene dedotto dal computo complessivo del lordo. Con la dicitura “spese inerenti” si intendono quelle riguardanti il fabbricato, tra cui anche le utenze, solo se pagate dal datore di lavoro. Non devono, invece, essere conteggiate le spese di manutenzione ordinaria, che sono figurativamente già considerate nella rendita catastale.
Il caso di fabbricati iscritti in Catasto con obbligo di dimora è, invece, molto meno comune e riguarda principalmente il caso del portiere dello stabile. In tale fattispecie, il reddito del lavoratore dipendente viene calcolato nello stesso modo visto in precedenza, ma con una riduzione forfettaria del 70%. Il reddito da imputare in aggiunta al reddito lordo è dato dalla somma tra la rendita catastale e le spese inerenti l’immobile, al netto dei canoni eventualmente versati o trattenuti al lavoratore. La cifra così ottenuta deve essere considerata al 30%.
Nel caso in cui il fabbricato non abbia una propria rendita in quanto non iscritto in Catasto (tale circostanza molto remota nel caso di immobile situato in Italia, e frequente nel caso di dipendenti che soggiornano all’estero), il reddito del lavoratore dipendente che riceve il fringe benefit, viene determinato attraverso la sottrazione tra il canone di locazione pagato dal datore di lavoro e la somma trattenuta o versata dal lavoratore dipendente. In tale circostanza, non è prevista la riduzione forfettaria del 70% nel caso di obbligo di dimora.
Premi produttività - Si tratta di integrazioni di retribuzione previste dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro in funzione dei risultati raggiunti dall’azienda e dal dipendente, purché regolati da un particolare piano aziendale.
Questa retribuzione aggiuntiva prevede una tassazione ridotta, che è stata oggetto di un’intensa opera di revisione che ha previsto l’aumento degli importi entro i quali i lavoratori possono beneficiare di una tassazione agevolata.
In particolare, per il 2024, si prevede che il premio di produttività goda di una tassazione del 5%, in luogo delle normali aliquote progressive, nei casi in cui:
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l’importo dei premi di produzione erogati non sia superiore ad euro 3.000;
-
il lavoratore dipendente abbia un reddito annuale lordo inferiore ad euro 80.000.
Ma la principale novità non è tanto riscontrabile nell’aver aumentato gli importi al di sotto dei quali il lavoratore abbia diritto a beneficiare di una tassazione agevolata, bensì nell’introduzione dei c.d. welfare aziendali, con previsione di una detassazione integrale del premio di produttività. Il dipendente, infatti, ha facoltà di richiedere che il premio di produttività non gli venga erogato in denaro (e quindi soggiacendo alla tassazione vista in precedenza), bensì attraverso l’erogazione di beni e servizi.
La possibilità di trasformare il premio di produttività in denaro nelle misure di welfare aziendale è “arricchita” anche un’elencazione dei beni e dei servizi che possono essere concessi ai dipendenti (art. 51, c. 4, D.P.R. n. 917/1986).
Tra questi vi sono:
-
l’alloggio;
-
l’auto;
-
i finanziamenti a tassi agevolati;
-
i servizi di trasporto ferroviario gratuito;
-
la previdenza complementare;
-
l’assistenza sanitaria integrativa;
-
gli investimenti in azioni.
I lavoratori dipendenti, pertanto, hanno il diritto e non l’obbligo, di scegliere di convertire il proprio bonus in denaro con una qualunque di queste opzioni, in tal modo usufruendo dell’agevolazione della detassazione integrale.
Buoni pasto - I buoni pasto sono dei fringe benefits che vengono dati al lavoratore dipendente per permettergli di pranzare senza oneri propri. Tale componente, da sempre molto utilizzato, prevede una detassazione pari a 4 euro per i ticket cartacei, e una quota esente più elevata per i ticket elettronici, pari a euro 8 (art. 1, c. 677, Legge n. 160/2019).
In precedenza, la detassazione integrale in capo al dipendente era per la quota di 5,29 euro in caso di buoni pasto in formato cartaceo, innalzata a euro 7 per i buoni elettronici, mentre doveva essere tassato per la cifra ulteriore, eventualmente concessa.
La variazione è stata introdotta, in un’ottica di informatizzazione e miglioramento dei controlli, per dare maggiore impulso al ticket elettronico, privilegiandolo ulteriormente rispetto a quello cartaceo.
In precedenza, la detassazione integrale in capo al dipendente era per la quota di 5,29 euro in caso di buoni pasto in formato cartaceo, innalzata a euro 7 per i buoni elettronici, mentre doveva essere tassato per la cifra ulteriore, eventualmente concessa.
La variazione è stata introdotta, in un’ottica di informatizzazione e miglioramento dei controlli, per dare maggiore impulso al ticket elettronico, privilegiandolo ulteriormente rispetto a quello cartaceo.
15.2.5. Casi pratici
15.2.5.Casi praticiL’azienda Alfa Spa, operante nel settore del commercio procede con la contabilizzazione delle scritture inerenti ai propri lavoratori dipendenti. In data 5 settembre la ditta Alfa Spa concede ai dipendenti degli anticipi sulla retribuzione di settembre pari ad euro 3.000.
05/09
SP | C.II.5-quater | Prestiti a dipendenti | 3.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 3.000 |
In data 30 settembre la ditta Alfa Spa liquida le retribuzioni del mese di settembre come di seguito specificato:
-
Retribuzioni lorde per euro 23.100;
-
Assegni familiari per euro 200;
-
trattamento integrativo per euro 750;
-
Ritenute previdenziali per euro 4.140;
-
Ritenute sindacali per euro 450;
-
Sanzioni a carico dipendente per euro 100.
30/09
CE | B.9.a) | Salari e stipendi | 23.100 | |
SP | C.II.5-quater) | INPS c/assegni familiari | 200 | |
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 750 |
|
SP | D.13 | INPS c/competenze | 4.140 | |
SP | D.14 | Sindacati c/ritenute | 450 | |
SP | B.4 | Fondo opere sociali | 100 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 19.360 |
In data 30 settembre la ditta Alfa Spa paga ai dipendenti le retribuzioni del mese di settembre come di seguito specificato:
-
Ritenute erariali per euro 5.150;
-
Addizionali regionali per euro 320;
-
Addizionali comunali per euro 210.
30/09
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 19.360 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 5.150 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali regionali | 320 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali comunali | 210 | |
SP | C.II.5-quater | Prestiti a dipendenti | 3.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 10.680 |
In data 30 settembre la ditta Alfa Spa rileva gli oneri sociali a carico ditta, che risultano essere pari a euro 6.800.
30/09
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 6.800 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 6.800 |
Nella data concordata la ditta Alfa Spa procede al versamento delle ritenute sindacali, come da legge.
Alla data concordata
SP | D.14 | Sindacati c/ritenute | 450 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 450 |
In data 16 ottobre (giorno utile in quanto lunedì) la ditta Alfa Spa procede al versamento dell’F24
16/10
SP | D.13 | INPS c/competenze | 10.940 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 5.150 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali regionali | 320 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali comunali | 210 | |
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 750 |
|
SP | C.II.5-quater) | INPS c/assegni familiari | 200 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 15.670 |
L’azienda Beta Spa, operante nel settore edile, procede con la contabilizzazione delle scritture inerenti ai propri lavoratori dipendenti. In data 30 settembre la ditta Beta Spa liquida le retribuzioni del mese di settembre come di seguito specificato:
-
Retribuzioni lorde per euro 9.293,68;
-
trattamento integrativo per euro 246,63;
-
Ritenute previdenziali per euro 835,48;
-
Ritenute per Cassa Edile per euro 89,04.
30/09
CE | B.9.a) | Salari e stipendi | 9.293,68 | |
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 246,63 |
|
SP | D.13 | INPS c/competenze | 835,48 | |
SP | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 89,04 | |
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 8.615,79 |
In data 30 settembre la ditta Beta Spa paga ai dipendenti le retribuzioni del mese di settembre come di seguito specificato:
-
Ritenute erariali per euro 1.435,54;
-
Addizionali regionali per euro 134,81;
-
Addizionali comunali per euro 74,44.
30/09
SP | D.14 | Personale c/retribuzione | 8.615,79 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 1.435,54 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali regionali | 134,81 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali comunali | 74,44 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 6.971 |
In data 30 settembre la ditta Beta Spa rileva gli oneri sociali a carico ditta, sia con riferimento ai contributi INPS che a quelli da versare alla Cassa Edile, che risultano essere pari rispettivamente a euro 2.660,52 e a euro 1.368,16
30/09
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 2.660,52 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 2.660,52 |
CE | B.9.b) | Oneri Sociali per Cassa Edile | 1.368,16 | |
SP | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 1.368,16 |
In data 16 ottobre (o il primo giorno feriale successivo) la ditta Beta Spa procede al versamento dell’F24
16/10
SP | D.13 | INPS c/competenze | 3.496 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 1.435,54 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali regionali | 134,81 | |
SP | D.12 | Erario c/addizionali comunali | 74,44 | |
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 246,63 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 4.894,16 |
In data 25 ottobre (o il primo giorno feriale successivo) la ditta Beta Spa procede al versamento della Cassa Edile tramite bonifico bancario.
25/10
CE | D.13 | Cassa Edile c/competenze | 1.457,20 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 1.457,20 |
15.2.6. Contratti di lavoro
15.2.6.Contratti di lavoroIl datore di lavoro che abbia necessità di assumere un lavoratore subordinato, si trova di fronte a una moltitudine di contratti possibili, tra i quali poter scegliere. Il contratto tipico è il lavoro a tempo indeterminato, ma sempre più spesso si cerca di far ricorso a contratti differenti, fiscalmente più vantaggiosi.
La legge prevede una serie di tipologie contrattuali, tra le quali:
-
contratto di lavoro a tempo indeterminato;
-
contratto di lavoro a tempo determinato;
-
contratto di somministrazione;
-
contratto a chiamata;
-
contratto di lavoro accessorio o occasionale;
-
contratto di apprendistato;
-
contratto part time.
Alcuni dei contratti citati hanno subito nel corso del 2018 delle variazioni significative che ne hanno modificato la modalità di utilizzo. In particolare, si vuole porre l’attenzione sul lavoro accessorio, che ha sostituito i precedenti voucher, e il lavoro a termine.
Contratto di lavoro accessorio
Lo strumento del lavoro accessorio, nella versione attuale, prende vita nel 2017 (Legge n. 96/2017), e prevede alcuni limiti economici, riferiti all’anno civile di svolgimento della prestazione lavorativa:
-
per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, i compensi non possono superare euro 5.000 annui;
-
per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, i compensi non possono superare euro 10.000 annui;
-
per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, il compenso non può superare euro 2.500 annui.
La legge ha, inoltre, individuato due differenti tipologie di lavoro occasionale:
-
quello per i quali i datori di lavoro sono le imprese e
-
quelli per i quali i datori di lavoro sono le persone fisiche non in possesso di partita IVA.
In particolare, sono differenti le modalità di comunicazione dei dati, che sono precedenti la prestazione nel caso delle imprese, mentre non oltre il terzo giorno del mese successivo a quello di svolgimento della prestazione, nel caso delle persone fisiche.
Requisiti per usufruire del lavoro accessorio - Le imprese ammesse a beneficiare del lavoro occasionale sono solo quelle che hanno alle proprie dipendenze al massimo 10 lavoratori subordinati a tempo indeterminato. In tal modo si vuole evitare che questo strumento possa essere utilizzato in maniera diffusa, volendo che sia un beneficio unicamente per le imprese molto piccole. Il periodo da prendere a riferimento per il calcolo della “forza lavoro” aziendale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato è il semestre che va dall’ottavo al terzo mese antecedente la data dello svolgimento della prestazione lavorativa occasionale.
Ai fini del predetto calcolo del numero dei lavoratori a tempo indeterminato, si applicano le regole dettate per la valorizzazione della forza aziendale prendendo i dati dalla dichiarazione contributiva UniEmens.
Non possono utilizzare questo strumento:
-
le imprese operanti nei settori dell’edilizia, dell’escavazione, della lavorazione del materiale lapideo e delle imprese operanti nel settore delle miniere, cave o torbiere;
-
le imprese che operano nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi.
Contratto di lavoro a termine
Il contratto di lavoro a termine è molto utilizzato dalle imprese, in quanto permette di non confermare un lavoratore non ritenuto idoneo e, anche, di incentivare il lavoratore ad esprimere tutte le proprie potenzialità, proprio in vista della futura assunzione.
L’utilizzo di tale contratto, però, era subordinata alla presenza di alcune causali, che dovevano essere esplicitate dall’impresa, datrice di lavoro, che giustificassero la non assunzione a tempo indeterminato (ad esempio il contratto di sostituzione per maternità), dando la facoltà al giudice di convertire il contratto in caso di assenza di giuste clausole.
Nel corso del 2018, tali contratti sono stati stravolti, proprio per l’eliminazione della causale, ovvero del motivo che ne giustifica l’utilizzo. In tale modo, si è salvaguardato l’interesse del datore di lavoro, che non si trova più nella condizione di dover giustificare l’assunzione a termine con motivi di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Il contratto a termine prevede una durata massima di 36 mensilità. Alla scadenza del contratto, però, vi è la possibilità di prosecuzione del lavoro per altri 30 giorni, se il contratto prevedeva una durata inferiore ai 6 mesi, o altri 50 giorni, se la durata era superiore. Questo ulteriore periodo deve, però, essere retribuito con una maggiorazione nel computo dello stipendio. Infine, se il rapporto di lavoro prosegue anche oltre tale periodo di salvaguardia, il contratto di lavoro viene automaticamente trasformato in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Se il datore di lavoro si avvale di proroghe del contratto, che possono essere in un numero massimo di 5, tra un contratto e il successivo deve passare un arco temporale, previsto in 10 giorni, se la durata è inferiore a 6 mesi e in 20 giorni, quando è superiore. Il mancato rispetto di tale norma, come per la precedente, prevede una sanzione in capo al datore di lavoro, configurabile con la trasformazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Requisiti per usufruire del contratto di lavoro a termine - Le imprese che intendano assumere dei lavoratori con contratti a termine devono sempre rispettare alcuni parametri quantitativi, che prevedono un limite percentuale di assunzioni (D.L. n. 34/2014). In particolare, si prevede che il numero dei lavoratori a tempo determinato non possa superare il 20% dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Il mancato rispetto di tale limite, con le eccezioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro e per i casi di sostituzione, prevede una sanzione solo pecuniaria in capo al datore di lavoro e non anche la riqualificazione dei lavoratori assunti con contratto a termine.
Contratto di lavoro autonomo occasionale
Le imprese sono solite utilizzare, in alternativa al contratto di lavoro subordinato, il contratto di lavoro autonomo occasionale.
L’utilizzo di tale strumento è ammesso a condizione che la prestazione di lavoro venga svolta in totale autonomia da parte del lavoratore e purché la prestazione abbia una durata effettiva inferiore a 30 giorni nell’anno solare.
Questo contratto non prevede una vera e propria assunzione da parte dell’azienda e neanche l’apertura della partita IVA da parte del lavoratore, che dovrà semplicemente emettere delle ricevute con l’applicazione di una ritenuta a titolo di acconto pari al 20%.
Se la somma delle prestazioni svolte nell’anno dal lavoratore superasse i 5.000 euro, l’impresa dovrà altresì procedere all’inscrizione del lavoratore alla gestione separata dell’INPS e versare sia la quota a carico ditta, che anche la quota a carico del lavoratore, opportunamente trattenuta.
Tale strumento è stato, però, in passato spesso abusato, anche per celare lavori che non avevano realmente i crismi del lavoro autonomo occasionale. Per tale ragione il legislatore ha introdotto un obbligo di comunicazione preventiva all’ispettorato a carico del committente che coinvolga nella propria organizzazione produttiva un lavoratore autonomo occasionale (art. 13 del D.L. n. 146/2021). Tale obbligo, però, al momento, sussiste solamente per le imprese e non anche per i professionisti che intendano avvalersi di un prestatore occasionale.
L’omissione di tale comunicazione preventiva comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa che va da 500 a 2.500 euro per ogni lavoratore autonomo occasionale per il quale si è realizzata l’omissione o il ritardo nella comunicazione.
La comunicazione viene fatta utilizzando una piattaforma tramite l’applicativo Servizi Lavoro del Ministero del Lavoro, da cui procedere alla comunicazione entro il ventesimo giorno del mese successivo all’instaurazione del rapporto di lavoro (art. 27, c. 2-decies, D.L. n. 152/2021).
La finalità è quella di tracciare i rapporti di lavoro rendendo più certe le tutele per i lavoratori impiegati tramite le piattaforme digitali e per monitorare l’uso delle prestazioni di lavoro autonomo. La comunicazione può essere fatta direttamente dall’impresa o avvalendosi dell’apporto di intermediari abilitati (consulenti del lavoro, commercialisti, avvocati, periti commerciali o ragionieri).
15.3. Fine del rapporto di lavoro
15.3.Fine del rapporto di lavoroL’ultima fase del rapporto di lavoro è quella configurabile come il momento in cui, a seguito di licenziamento, di consegna delle dimissioni o per raggiunta età di pensionamento, il contratto in vigore tra il datore di lavoro e il lavoratore dipendente si interrompe e vengono meno i rapporti di diritti e doveri, visti in precedenza.
Dal punto di vista economico, però, anche la cessazione del rapporto di lavoro determina
per l’impresa l’obbligo di corrispondere una somma di denaro al dipendente, che non
sarà versata sotto forma di retribuzione, ma attraverso l’erogazione del trattamento di fine rapporto.
Esso è, a tutti gli effetti, una parte della retribuzione, ma si differenzia dalle retribuzioni viste in precedenza (retribuzione diretta,
indiretta e contributi sociali e assicurativi), in quanto la sua corresponsione può
avvenire solo al termine del rapporto (10.7.1.).
La liquidazione del trattamento di fine rapporto, difatti, non avviene con cadenza mensile, come avviene per le altre retribuzioni, bensì in unica soluzione al termine del periodo di lavoro.
Alla fine del rapporto di lavoro, quindi, il dipendente assume il ruolo di creditore nei confronti della ditta per cui ha lavorato, in quanto ha diritto di ricevere il trattamento di fine rapporto e tutti i ratei di cui, pur avendone diritto, non ha ancora fruito, quali le ferie o i permessi non goduti.
15.3.1. Trattamento di fine rapporto
15.3.1.Trattamento di fine rapportoIl trattamento di fine rapporto viene disciplinato in prima istanza dal Codice civile, salvo poi aver subito nel corso degli anni una serie di interventi normativi che ne hanno modificato le regole, specialmente attraverso la riforma del 2005, in vigore dal 2007.
Secondo tale riforma (10.7.2.) i dipendenti hanno una duplice possibilità di scelta:
-
decidere di mantenere il proprio trattamento di fine rapporto secondo le regole tradizionali (
15.3.2.);
-
decidere di destinare il proprio trattamento di fine rapporto, maturato dal 2007, a un fondo pensione, allo scopo di formarsi un vitalizio integrativo.
Nell’ipotesi a), nulla cambia per il dipendente, ma per le imprese con almeno 50 dipendenti, il trattamento di fine rapporto maturato dal 2007 non può più essere accantonato dall’azienda, ma deve essere versato all’INPS, che poi se ne farà carico verso il dipendente.
15.3.2. Trattamento di fine rapporto tradizionale
15.3.2.Trattamento di fine rapporto tradizionaleÈ quello disciplinato direttamente dal Codice civile ed è, a oggi, la metodologia più diffusa, sia a causa della prevalenza delle piccole o medie realtà nell’economia italiana, sia in quanto i dipendenti prediligono ricevere il trattamento di fine rapporto in unica soluzione al termine del periodo lavorato, piuttosto che per tramite di una rendita futura che aumenti la pensione, soprattutto in una realtà che vede costantemente l’aumento dell’età pensionabile.
Accantonamento al trattamento di fine rapporto - Viene suddiviso in due differenti parti (art. 2120 c.c.): un accantonamento annuo che matura in virtù del rapporto di lavoro; una rivalutazione annua sulle quote precedentemente maturate.
Quota al trattamento di fine rapporto - In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni (art. 2120, c. 1, c.c.).
Vale a dire che ogni anno il lavoratore dipendente matura una “mensilità aggiuntiva”, calcolata attraverso una divisione tra il totale della retribuzione lorda annua e 13,5, immaginando i rapporti di lavoro come comprendenti della tredicesima e, talune volte, dalla quattordicesima.
Nel calcolo della retribuzione lorda devono essere conteggiate tutte le somme corrisposte in dipendenza del contratto di lavoro, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, se presenti (art. 2120, c. 2, c.c.). A tale norma omnicomprensiva ci sono però alcune eccezioni:
-
quanto corrisposto a titolo di rimborso spese;
-
le festività lavorate;
-
i premi di anzianità;
-
le retribuzioni occasionali, una tantum;
-
l’indennità sostitutiva di ferie e permessi retribuiti ma non goduti;
-
l’indennità di trasferta;
-
lo straordinario non continuativo.
Rivalutazione annua
Oltre alla quota annua (art. 2120, c. 1, c.c.) il lavoratore dipendente ha diritto anche a vedersi riconosciuta una rivalutazione sulle quote di trattamento di fine rapporto già calcolate, così da considerare anche il valore finanziario del fattore tempo, che seppur negli ultimi anni ha avuto un’incidenza molto limitata, dato lo scarso livello di inflazione che spesso si è tradotta anche in momenti di deflazione, nel passato ha avuto un impatto importante.
Infatti il trattamento, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente (art. 2120, c. 4, c.c.).
Secondo tale principio, quindi, il trattamento di fine rapporto deve essere rivalutato annualmente attraverso una moltiplicazione per l’indice ISTAT, così da aggiornare l’importo e adeguarlo all’inflazione.
Si consideri un’impresa con dipendenti che presenti le seguenti caratteristiche:
-
abbia corrisposto nell’anno retribuzioni lorde pari a euro 74.925;
-
l’incremento annuo dell’indice ISTAT del mese di dicembre sia pari all’1%;
-
il fondo di trattamento di fine rapporto preesistente sia pari a euro 50.000.
In tale circostanza l’accantonamento dell’anno deve essere calcolato attraverso la divisione delle retribuzioni lorde annue per 13,5.
Da cui: 74.925/13,5 = 5.550.
Mentre con riferimento al calcolo della rivalutazione del fondo preesistente si deve procedere con un calcolo più complesso. Si prende a riferimento il fondo (50.000) e lo si moltiplica per la somma tra 1,5% e il 75% dell’indice ISTAT del mese di dicembre.
Da cui: 50.000 x [1,5% + (75% x 1%)] = 1.125.
L’accantonamento annuo totale è, quindi, pari alla somma tra i due importi sopra calcolati e quindi 5.550 + 1.125 = 6.675.
L’impresa, in data 31 dicembre, accantona il trattamento di fine rapporto, che risulta essere pari ad euro 6.675.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 6.675 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 6.675 |
Contributo dello 0,50%
I contributi che l’impresa versa ogni mese all’INPS, nelle modalità viste in precedenza, comprendono anche una quota pari allo 0,50% delle retribuzioni lorde, che, seppur comprese nella quota a carico ditta, in realtà grava direttamente sui lavoratori dipendenti. Si tratta del contributo che incide sul trattamento di fine rapporto. L’azienda versa mensilmente anche la quota dello 0,50% delle retribuzioni, come fossero contributi a proprio carico a tutti gli effetti, salvo poi recuperarlo a fine anno dal trattamento di fine rapporto calcolato sui dipendenti.
Per far fronte a questo onere possono essere effettuate due differenti rilevazioni contabili, una più accurata e precisa, l’altra decisamente più utilizzata nella prassi.
Per il mese di settembre, i contributi sociali formalmente a carico dell’impresa ammontano a euro 8.000.
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 8.000 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 8.000 |
Tra questi è presente il contributo dello 0,50%, formalmente a carico dell’impresa, da recuperare ai dipendenti in sede di determinazione del trattamento di fine rapporto, per lo stesso mese di settembre, ammonta ad euro 34.
CE | B.9.b) | Oneri Sociali | 34 | |
SP | C.II.5-quater | Personale c/contributi anticipati | 34 |
Successivamente, all’atto dello stanziamento del debito per trattamento di fine rapporto, l’azienda recupera il credito verso i dipendenti, così da rendere nullo l’effetto a suo carico.
Al 31 dicembre l’azienda Alfa accantona il TFR per euro 6.675, recuperando i contributi dello 0,50% anticipati ogni mese, pari ad euro 250.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 6.675 | |
SP | C.II.5-quater | Personale c/contributi anticipati | 250 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 6.425 |
Tale rilevazione, sicuramente più precisa, nella prassi non viene quasi mai utilizzata. Le imprese prediligono trattare i contributi come fossero effettivamente a loro carico, recuperando la differenza attraverso un accantonamento ridotto.
Così facendo l’azienda non deve preoccuparsi di effettuare mensilmente la seconda scrittura del caso “Rilevazione del contributo dello 0,50% sul trattamento di fine rapporto”, ma recupera il costo direttamente nella rilevazione di fine anno.
Al 31 dicembre l’azienda Alfa accantona il TFR per euro 6.425.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 6.425 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 6.425 |
In tale modo si ottiene lo stesso costo a Conto economico, salva la diversa imputazione nei mastrini contabili.
Imposta sostitutiva
Sui redditi derivanti dalle rivalutazioni dei fondi per il trattamento di fine rapporto è applicata l’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 17%. Il versamento dell’imposta, che è a carico del sostituto, avviene in due differenti scadenze:
-
in acconto entro il giorno 16 del mese di dicembre;
-
a saldo entro il giorno 16 del mese di febbraio dell’anno successivo.
È importante sottolineare che, per i soggetti che aderiscono ad una forma pensionistica
complementare (15.3.4.) non si verifica il presupposto per l’applicazione dell’imposta sostitutiva in quanto
risultano privi del trattamento di fine rapporto che viene interamente destinato al
fondo pensione.
Il calcolo dell’acconto del mese di dicembre può essere determinato con una duplice modalità:
-
metodo storico;
-
metodo previsionale.
Il metodo storico prevede che il sostituto applichi la percentuale del 90% alle rivalutazioni maturate nell’anno solare precedente, tenendo conto anche delle rivalutazioni relative ai trattamenti di fine rapporto, eventualmente, erogati nel corso dello stesso anno.
Il metodo previsionale, invece, prevede che il sostituto possa, in funzione di una previsione, scegliere di calcolare l’acconto, nella misura del 90% delle rivalutazioni che maturano nello stesso anno per il quale l’acconto è dovuto. In questo caso, il sostituto d’imposta determina con esattezza la retribuzione utile ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto riferita al periodo di paga di dicembre per il quale alla data prevista per il pagamento dell’acconto (appunto il 16 dicembre di ciascun anno) non è ancora “maturata” la quota del trattamento di fine rapporto di competenza. Tale quota deve essere sommata alle restanti quote del trattamento di fine rapporto maturate nell’anno al fine di determinare la base di calcolo annuale sulla quale determinare l’acconto d’imposta del 90%.
Infine, il saldo dell’imposta sostitutiva deve essere versato entro il giorno 16 del mese di febbraio dell’anno successivo a quello cui si riferisce la rivalutazione del trattamento di fine rapporto, e, quindi, può essere fatto con precisione, calcolando il 17% sulla quota della rivalutazione effettiva dell’anno precedente. L’importo da versare, ovviamente, viene calcolato al netto di quanto già versato a titolo di acconto.
Il versamento, nelle date precedentemente indicate, deve essere effettuato attraverso l’utilizzo del Modello F24, con i codici tributo 1712 (per l’acconto) e 1713 (per il saldo).
In data 16 dicembre, l’impresa versa l’acconto dell’imposta sostitutiva, che risulta pari ad euro 92.
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 92 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 92 |
Con questa scrittura, viene ridotto il fondo di trattamento di fine rapporto. In questo modo, quando a fine anno l’impresa accantona l’intera quota del trattamento
di fine rapporto, il fondo risulta già ridotto dell’imposta sostitutiva.
Allo stesso modo, alla fine dell’anno, l’impresa deve imputare anche il saldo dell’imposta sostitutiva, così da ridurre ulteriormente il fondo e, contestualmente, iscrivere un debito nei confronti dello Stato per l’imposta stessa.
In data 31 dicembre, l’impresa liquida il saldo dell’imposta sostitutiva, che risulta pari ad euro 10.
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 10 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 10 |
Infine, il giorno 16 del mese di febbraio dell’anno successivo, l’impresa deve procedere con il versamento del saldo dell’imposta sostitutiva.
In data 16 febbraio l’impresa versa il saldo dell’imposta sostitutiva, come precedentemente determinata.
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 10 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 10 |
Liquidazione del trattamento di fine rapporto
Quando il rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore si interrompe, per qualunque causa, il primo deve garantire al secondo il versamento:
-
del fondo maturato fino al periodo precedente;
-
della quota maturata nell’anno, dal 1° gennaio al momento in cui vi è la risoluzione del rapporto.
Tale versamento è soggetto alla ritenuta fiscale da operare con il procedimento della tassazione separata (art. 17, D.P.R. n. 917/1986), tranne per la quota di rivalutazione che, come visto, viene assoggettata ad imposta
sostitutiva.
La ritenuta viene direttamente effettuata dal datore di lavoro e assume la connotazione di ritenuta a titolo di imposta e non di acconto.
Il trattamento di fine rapporto, per questo motivo, non deve essere indicato in dichiarazione da parte del lavoratore, bensì sarà tassato separatamente, secondo l’aliquota media.
Questa norma è a tutela di un reddito che, seppur percepito in un singolo momento, è il risultato di un periodo di lavoro comprendente più esercizi. Il dipendente, in questo modo, non sarà soggetto all’aliquota maggiore, come accadrebbe nel caso di un reddito non tassato separatamente, in un Paese, come l’Italia, che prevede una tassazione progressiva, bensì sarà soggetto a una aliquota media, calcolata sul livello di tassazione del biennio precedente.
Presso l’INPS, comunque, è istituito un fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (art. 2, Legge n. 297/1982) allo scopo di garantire al lavoratore (apprendisti compresi), o ai suoi eredi, il pagamento del trattamento di fine rapporto nei casi in cui il datore di lavoro si dimostrasse insolvente. Tale Fondo è finanziato dai datori di lavoro mediante un contributo posto a loro carico.
In data 30 settembre si dimettono due dipendenti che hanno maturato un trattamento di fine rapporto pari ad euro 25.000, di cui:
-
1.500 relativo all’anno in corso, dal 1° di gennaio al 30 di settembre;
-
23.500 relativo agli anni precedenti.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 1.500 |
|
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 23.500 | |
SP | D.14 | Personale c/liquidazione | 25.000 |
All’atto del pagamento, l’impresa deve effettuare la ritenuta, secondo il criterio della tassazione separata. Come detto in precedenza, questa ritenuta assume connotazione di ritenuta a titolo di imposta e, quindi, questo reddito non deve essere indicato nella dichiarazione.
In data 10 ottobre l’azienda versa ai dipendenti dimissionari il trattamento di fine rapporto.
CE | D.14 | Personale c/liquidazione | 25.000 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 5.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 20.000 |
Successivamente, il giorno 16 del mese successivo a quello in cui viene erogato ai dipendenti dimissionari il trattamento di fine rapporto, l’azienda deve provvedere al versamento della ritenuta, attraverso il Modello di pagamento F24 indicando il codice tributo 1012.
In data 16 novembre, l’azienda versa la ritenuta, così come richiesto dalla legge.
CE | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 5.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 5.000 |
Anticipi del trattamento di fine rapporto – È possibile liquidare il trattamento di fine rapporto anche in periodi precedenti rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro, ma con alcune limitazioni (art. 2120, c. 6 e ss., c.c.).
Queste limitazioni sono:
-
la richiesta di anticipazione può essere richiesta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro;
-
il lavoratore dipendente che richiede la liquidazione anticipata del trattamento di fine rapporto deve avere una anzianità lavorativa presso lo stesso datore di lavoro di almeno 8 anni;
-
l’anticipazione del trattamento di fine rapporto non può eccedere il 70% del trattamento di fine rapporto totale cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto di lavoro;
-
la richiesta deve essere giustificata da caratteri di particolare gravità.
Il dipendente all’atto della domanda dell’anticipazione deve accompagnare la propria richiesta con una documentazione idonea a comprovare le valide ragioni, che possono essere solamente di due tipologie:
-
il sostenimento di eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
-
l’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato attraverso atto notarile.
Quest’ultima condizione, però, è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, nella parte in cui non prevede la possibilità di concessione dell’anticipazione nell’ipotesi di acquisto “in itinere” comprovato con mezzi idonei a dimostrare l’effettività (sent. 5 aprile 1991, n. 142).
Infine, il Codice civile definisce un’ulteriore limitazione, prevedendo la possibilità di liquidare gli anticipi del trattamento di fine rapporto entro i limiti annui del 10% dei dipendenti aventi diritto e, comunque, entro il 4% del numero totale dei dipendenti.
Viene soddisfatta la richiesta di anticipazione di un lavoratore dipendente per euro 10.000, per l’acquisto della propria prima casa. Su tale importo la ritenuta di legge risulta pari a euro 1.500.
SP | B.III.2.d-bis | Personale c/anticipi su TFR | 10.000 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 1.500 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 8.500 |
Gli anticipi sul trattamento di fine rapporto, a differenza degli anticipi sulla retribuzione, sono soggetti alla ritenuta, che deve essere operata all’atto della corresponsione e vanno a diminuire l’importo di trattamento di fine rapporto corrisposto alla fine del contratto di lavoro.
Per il versamento della ritenuta, da effettuare entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui avviene il pagamento al dipendente (caso “Pagamento della ritenuta sul trattamento di fine rapporto”).
In data 30 settembre si dimette il dipendente, cui era stata precedentemente concessa l’anticipazione del trattamento di fine rapporto. Il dipendente ha maturato un trattamento di fine rapporto pari ad euro 18.000, di cui:
-
900 relativo all’anno in corso, dal 1° di gennaio al 30 di settembre;
-
17.100 relativo agli anni precedenti.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 900 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto |
17.100 | |
SP | B.III.2.d-bis | Personale c/anticipi su TFR | 10.000 | |
SP | D.14 | Personale c/liquidazione | 8.000 |
Le scritture esemplificate con i Casi 42 e 43, seppur risultano più corrette da un punto di vista formale, non sono nella pratica utilizzate dalle imprese, che, nella maggior parte dei casi, prediligono un metodo alternativo, trattando la liquidazione dell’anticipo del trattamento di fine rapporto come fosse una vera e propria liquidazione, in conseguenza a un cessato rapporto di lavoro.
Viene soddisfatta la richiesta di anticipazione di un lavoratore dipendente per euro 10.000, per l’acquisto della propria prima casa. Su tale importo la ritenuta di legge risulta pari a euro 1.500.
CE | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto |
10.000 |
|
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 1.500 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 8.500 |
In data 30 settembre si dimette il dipendente cui era stata precedentemente concessa l’anticipazione del trattamento di fine rapporto. Il dipendente ha maturato un trattamento di fine rapporto pari ad euro 18.000, di cui:
-
900 relativo all’anno in corso, dal 1° di gennaio al 30 di settembre;
-
17.100 relativo agli anni precedenti (di cui 10.000 già utilizzati).
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 900 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto |
7.100 | |
SP | D.14 | Personale c/liquidazione | 8.000 |
15.3.3. Trattamento di fine rapporto nelle aziende con almeno 50 dipendenti
15.3.3.Trattamento di fine rapporto nelle aziende con almeno 50 dipendentiNelle imprese di maggiori dimensioni, aventi almeno 50 dipendenti, la scelta che il dipendente si trova ad effettuare è la medesima vista precedentemente, ma, nel caso in cui scelga per la metodologia del trattamento di fine rapporto tradizionale, l’impresa non può procedere, come in passato, all’accantonamento, bensì deve versarlo all’INPS, che poi se ne fa carico verso i lavoratori.
In questo modo, in azienda rimane il fondo per il trattamento di fine rapporto maturato fino al 31 dicembre 2006, che deve essere annualmente rivalutato secondo quanto previsto dal Codice civile, mentre i nuovi accantonamenti saranno direttamente riversati all’INPS.
A differenza di quanto accade per il trattamento di fine rapporto tradizionale, però,
i versamenti all’INPS hanno cadenza mensile, mentre la rivalutazione del fondo accantonato fino al 31 dicembre 2006, deve essere
rivalutato al termine dell’esercizio, come nel caso “Accantonamento del fondo di trattamento
di fine rapporto” (15.3.2.).
Le retribuzioni lorde del mese di settembre, su cui calcolare la quota mensile di trattamento di fine rapporto, ammontano ad euro 81.000. Tale importo deve essere diviso per 13,5, così da avere la quota di trattamento di fine rapporto, che risulta pari ad euro 6.000, che deve essere versata all’INPS.
La somma deve poi essere decurtata dei contributi anticipati del mese, pari ad euro 400 (sempre che l’azienda abbia effettuato, all’atto dell’iscrizione dei contributi a proprio carico, la scrittura con l’emersione dei contributi anticipati).
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 6.000 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 5.600 | |
SP | C.II.5-quater | Personale c/contributi anticipati | 400 |
Il fondo di trattamento di fine rapporto al 31 dicembre 2006 ammonta ad euro 50.000. Nell’anno non vi sono state decurtazioni e l’incremento, calcolato con la formula disciplinata dall’art. 2120 c.c., risulta essere pari a euro 1.125.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 1.125 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto |
1.125 |
Liquidazione del trattamento di fine rapporto
Nel momento in cui si interrompe il rapporto di lavoro con un dipendente, l’impresa deve, come di consueto, procedere al calcolo e poi al versamento del trattamento di fine rapporto. Nel calcolo, però, non deve essere considerato solo il fondo presente in bilancio, rappresentativo del debito al 31 dicembre 2006 e successive rivalutazioni, bensì si deve tener conto anche delle quote versate all’INPS nel corso degli anni.
Infatti, l’impresa deve farsi carico dell’intero versamento del trattamento di fine rapporto al dipendente, dovendo anche anticipare le somme già versate all’INPS, salva poi la possibilità di procedere al recupero attraverso la compensazione con l’INPS per i successivi pagamenti dei contributi.
In data 30 settembre si dimettono due dipendenti che hanno maturato un trattamento di fine rapporto pari ad euro 25.000, di cui:
-
euro 1.500 relativo all’anno in corso, dal 1° di gennaio al 30 di settembre;
-
euro 500 relativo all’anno in corso, quale rivalutazione del fondo accantonato fino al 31 dicembre 2006;
-
euro 10.000 relativo al fondo di trattamento fine rapporto ancora in azienda;
-
euro 13.000 relativo alla parte di fondo già destinato all’INPS.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 500 | |
SP | D.13 | INPS c/competenze | 14.500 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 10.000 | |
SP | D.14 | Personale c/liquidazione | 25.000 |
In data 10 ottobre l’azienda versa ai dipendenti dimissionari il trattamento di fine rapporto. All’atto del pagamento emerge la ritenuta erariale pari a euro 5.000.
CE | D.14 | Personale c/liquidazione | 25.000 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 5.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 20.000 |
15.3.4. Trattamento di fine rapporto con destinazione a un fondo pensione
15.3.4.Trattamento di fine rapporto con destinazione a un fondo pensioneIl lavoratore subordinato, indipendentemente dal fatto che esso sia assunto in realtà
aziendali più o meno grandi, aventi più o meno di 50 dipendenti, ha la possibilità
di destinare, in alternativa ai metodi visti in precedenza, il proprio fondo di fine
rapporto a un fondo pensione, di propria scelta (10.7.2.).
Anche in tale ipotesi, comunque, il fondo accantonato fino al 31 dicembre 2006 rimane nella piena disponibilità dell’impresa, ma le quote maturate successivamente a quella data, devono essere destinate a fondi pensione, che possono essere fondi di categoria, fondi aperti, oppure a piani individuali previdenziali, secondo la scelta effettuata dal lavoratore. Scelta che, se compiuta, è irrevocabile, nel senso che il trattamento di fine rapporto maturato dal 2007 in poi va sempre versato a tali fondi, fino a che l’attività non cessa.
Principali differenze con gli altri metodi
Le principali differenze che distinguono questo metodo rispetto ai precedenti, consistono in due aspetti:
-
la rivalutazione del fondo;
-
i modi in cui si ritorna in possesso delle somme versate.
Rivalutazione del fondo - Con riferimento alla rivalutazione del fondo di trattamento di fine rapporto, la principale differenza, riguarda il tasso di rivalutazione utilizzato. Mentre nei casi precedenti, infatti, il tasso di rivalutazione è disciplinato direttamente dalla legge, in questo caso è arbitrario in funzione dell’investimento che il fondo, cui sono stati destinati i soldi, intende effettuare.
In questo caso, quindi, mentre le somme versate precedentemente al 31 dicembre 2006, in quanto non versate al fondo pensione, soggiacciono alle regole previste dal Codice civile, i nuovi versamenti non hanno una percentuale fissa di rivalutazione e neanche un indice di riferimento, come l’ISTAT, ma il rendimento è differente a seconda degli investimenti effettuati dal fondo.
Il rendimento, quindi, non è costante lungo l’arco temporale, ma può avere anche sbalzi notevoli, in ragione dell’andamento dei titoli che sono stati acquisiti dal fondo, potendo avere anche un saldo negativo.
La scelta di destinare il proprio trattamento di fine rapporto a un fondo pensione è, quindi, sicuramente più rischiosa, in quanto paragonabile a un vero e proprio investimento, con la possibilità di contrarre un incremento anche notevole delle proprie somme, ma anche una riduzione.
Il lavoratore ha la facoltà di scegliere di destinare il proprio trattamento di fine rapporto, in funzione della propria avversità al rischio, ad un fondo che opera ad alto rischio (fondo che investe principalmente su titoli azionari), a medio rischio (fondo che investe principalmente in titoli obbligazionari), o a basso rischio (fondo che investe principalmente in titoli di Stato o sovranazionali).
Percezione del trattamento di fine rapporto - La differenza riguarda il momento e le modalità con cui il lavoratore ha diritto a ricevere il proprio trattamento di fine rapporto. Infatti, mentre nei precedenti casi, il lavoratore matura il diritto a ricevere l’intero trattamento di fine rapporto all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, questo non avviene nel caso in cui lo stesso venga destinato a un fondo pensione.
In questo secondo caso, infatti, il diritto al ricevimento spetta nel momento in cui si realizzano congiuntamente due eventi:
-
il lavoratore dipendente cessa la propria attività lavorativa;
-
il lavoratore dipendente abbia raggiunto l’età pensionabile.
Il lavoratore, anche in occasione della cessazione del rapporto di lavoro presso un datore di lavoro, non assume il diritto a ricevere il proprio trattamento di fine rapporto, dovendo aspettare il raggiungimento dell’età pensionabile.
Nel momento in cui i due aspetti precedenti sono entrambi soddisfatti, però, il lavoratore non ha diritto a ricevere l’intera somma dei versamenti effettuati nel corso del rapporto di lavoro, eventualmente rivalutata degli interessi, bensì ha diritto a ricevere una rendita vitalizia, erogata dal fondo cui sono stati effettuati i versamenti, che si affianca alla pensione pubblica.
In alternativa, il lavoratore ha il diritto a richiedere al fondo la metà della somma accumulata, in termini di capitale e interessi. In tale caso, la rendita vitalizia viene calcolata solamente sulla parte restante.
Infine, solamente nel caso in cui le somme erogate siano di importo molto esiguo, il lavoratore ha il diritto di richiedere l’intero ammontare accumulato.
Nel caso in cui il lavoratore dipendente opti per la destinazione del proprio trattamento a un fondo pensione, l’azienda deve, con cadenza mensile o differente, in funzione degli accordi sottoscritti, procedere al versamento delle somme maturate.
Le retribuzioni lorde del mese di settembre per i dipendenti che hanno optato per la destinazione al fondo pensione, su cui calcolare la quota mensile di trattamento di fine rapporto, ammontano ad euro 33.750. Tale importo deve essere diviso per 13,5 così da ottenere la quota di trattamento di fine rapporto (risultato pari a 2.500 euro), che deve essere versata al fondo pensione scelto.
La somma deve poi essere decurtata dei contributi anticipati del mese, pari ad euro 100 (sempre che l’azienda abbia effettuato, all’atto dell’iscrizione dei contributi a proprio carico, la scrittura con l’emersione dei contributi anticipati).
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 2.500 | |
SP | D.14 | Fondo pensione c/competenze | 2.400 | |
SP | C.II.5-quater | Personale c/contributi anticipati | 100 |
La scrittura di rivalutazione del fondo di trattamento di fine rapporto già in essere al 31 dicembre 2006, che si riporta di seguito, risulta esattamente uguale a quella vista nel precedente paragrafo.
Il fondo di trattamento di fine rapporto al 31 dicembre 2006 ammonta ad euro 50.000. Nell’anno non vi sono state decurtazioni e l’incremento, calcolato con la formula disciplinata dall’art. 2120 c.c., risulta essere pari a euro 1.125.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 1.125 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto |
1.125 |
Liquidazione del trattamento di fine rapporto - Il lavoratore dipendente ha il diritto di ricevere dall’azienda solamente il trattamento di fine rapporto maturato fino alla data del 31 dicembre 2006, nulla avendo a pretendere con riferimento alle somme successive, non più in possesso dell’impresa.
In data 30 settembre si dimettono due dipendenti, che hanno optato per la destinazione del proprio trattamento di fine rapporto a un fondo pensione. Il trattamento di fine rapporto maturato al 31 dicembre 2006, correttamente rivalutato risulta essere pari a euro 12.000, di cui:
-
euro 500 relativo all’anno in corso, quale rivalutazione del fondo accantonato fino al 31 dicembre 2006;
-
euro 11.500 relativo al fondo di trattamento fine rapporto ancora in azienda.
CE | B.9.c) | Accantonamento al trattamento di fine rapporto | 500 | |
SP | C. | Debiti per trattamento di fine rapporto | 11.500 | |
SP | D.14 | Personale c/liquidazione | 12.000 |
In data 10 ottobre l’azienda versa ai dipendenti dimissionari il trattamento di fine rapporto. All’atto del pagamento emerge la ritenuta erariale.
CE | D.14 | Personale c/liquidazione | 12.000 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute su TFR | 2.000 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 10.000 |
15.4. Amministratori
15.4.AmministratoriL’aspetto del compenso da attribuire agli amministratori è, per alcuni versi, similare a quello dei lavoratori subordinati, per altri molto
differente.
Emolumento dell’amministratore
È attribuita all’assemblea dei soci la totale competenza in materia di decidere il quantum e le modalità di versamento, potendo decidere sia in sede di redazione dell’atto costitutivo che, successivamente, mediante verbale assembleare (artt. 2389 e 2364, c. 1, n. 3, c.c.).
Il compenso può essere deciso:
-
in misura fissa, con differenti periodicità, di solito mensile;
-
in misura variabile, in proporzione agli utili aziendali o in ragione di altri parametri espressamente concordati e purché di facile determinazione;
-
attraverso l’attribuzione di specifiche stock option.
Indipendentemente dalle modalità di attribuzione degli emolumenti, gli stessi prevedono una gestione molto semplificata, avendo solamente la necessità di provvedere a:
-
versamento dell’INPS, senza la previsione degli assegni familiari;
-
versamento dell’INAIL (nei casi in cui l’attività richieda l’iscrizione dell’amministratore all’INAIL);
-
applicazione delle ritenute erariali (IRPEF, addizionali regionali e addizionali comunali).
Anche in tale circostanza, quindi, l’azienda assume il ruolo di sostituto di imposta dovendo trattenere all’amministratore una serie di ritenute che deve poi versare con le stesse modalità e negli stessi termini visti in precedenza.
L’unica differenza rispetto a quanto visto per il lavoro dipendente riguarda l’assoggettamento all’INPS. Infatti, l’amministratore non viene iscritto alla gestione “INPS dipendenti”, bensì a quella “INPS gestione separata”, che prevede le stesse modalità e gli stessi termini di versamento, ma una diversa aliquota. In particolare, dal 2018 l’aliquota di legge è divenuta pari al 34,23%, di cui 1/3 viene posta a carico dell’amministratore, mentre gli altri 2/3 sono a carico della ditta.
In data 31 ottobre l’azienda, dopo la delibera assembleare con la quale si era prevista l’attribuzione di un compenso mensile all’amministratore unico della società, procede alla relativa contabilizzazione.
CE | B.7. | Compensi amministratori non soci | 10.000 | |
SP | D.14. | Debiti verso amministratori | 10.000 |
Da un punto di vista contabile il compenso degli amministratori non viene iscritto in bilancio nella voce B.9. del Conto economico, come, invece, avviene nel caso del lavoro dipendente, ma viene ricompreso tra i costi per servizi.
All’atto della contabilizzazione, inoltre, viene richiesto se il compenso sia attribuito ad un amministratore che riveste anche la qualifica di socio dell’azienda, oppure se lo stesso sia configurabile come un collaboratore non legato da un vincolo di proprietà. Tale distinzione, viene ad essere utile con riferimento alla compilazione del Modello ISA, in quanto è un dato che viene richiesto nel quadro A, del lavoro subordinato.
Contributi previdenziali
Il compenso dell’organo amministrativo, come accade nel caso del lavoro subordinato, prevede l’applicazione delle ritenute erariali e previdenziali.
L’azienda, quindi, anche in tale circostanza si trova a dover rivestire il ruolo di sostituto di imposta e deve procedere con l’applicazione e il successivo versamento delle ritenute.
Con riferimento alla contribuzione pensionistica, gli amministratori devono essere iscritti all’INPS (Istituto Nazionale di Previdenza Sociale), ma non confluiscono nella stessa gestione dei lavoratori dipendenti, in quanto devono essere iscritti alla gestione separata che è una forma pensionistica residuale, che ricomprende tutti quei lavoratori che non trovano tutela nelle altre gestioni previste dall’INPS quali:
-
la gestione dei lavoratori dipendenti;
-
la gestione degli artigiani e dei commercianti;
-
la gestione dei lavoratori in agricoltura.
Gli amministratori, i collaboratori, a progetto o coordinati continuativi, e i lavoratori autonomi non muniti di altra Cassa previdenziale devono, dunque, essere iscritti in tale forma pensionistica residuale, che prevede proprie regole di funzionamento.
A seconda delle diverse figure iscritte e a seconda che si tratti di soggetti già pensionati o soggetti non ancora pensionati esistono differenti aliquote contributive della gestione separata per il 2023 (INPS, circ. n. 12/2023).
Tipologia di soggetti | % | |
a) | Collaboratori e figure assimilate (tra cui gli amministratori) per i quali è prevista la contribuzione aggiuntiva DIS-COLL | 35,03 (33,00 IVS + 0,72 + 1,31 quote aggiuntive) |
b) | Collaboratori e figure assimilate per i quali non è prevista la contribuzione aggiuntiva DIS-COLL | 33,72 (33 IVS + 0,72) |
c) | Soggetti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria | 24 (IVS) |
d) | Liberi professionisti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie | 26,23 (25 IVS + 0,72 + 0,51 ISCRO) |
e) | Liberi professionisti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria | 24 (IVS) |
La contribuzione aggiuntiva DIS-COLL era un’indennità di disoccupazione mensile in favore dei collaboratori (sia coordinati continuativi, che a progetto), che avevano perduto involontariamente la propria occupazione nel corso dell’anno 2015 (art. 15, D.Lgs. n. 22/2015).
Successivamente, tale tutela, è stata stabilizzata ed è stata estesa ad altre categorie di lavoratori, quali:
-
assegnisti;
-
dottorandi di ricerca con borsa di studio;
-
amministratori e i sindaci
per cui spetta una contribuzione aggiuntiva dello 1,31% (art. 7, Legge n. 81/2017).
Inoltre, per tutti i lavoratori iscritti che non siano pensionati o non siano tutelati da altra forma previdenziale obbligatoria (nello specifico per i soggetti individuati con le lettere a, b e d della Tabella “Tipologia di soggetti”), spetta il pagamento di un ulteriore aliquota, pari allo 0,72% utile per il finanziamento dell’onere derivante dalla tutela relativa:
-
alla maternità;
-
agli assegni per nucleo familiare;
-
alla malattia;
-
alla degenza ospedaliera;
-
al congedo parentale (Legge n. 449/1997).
Oggi la possibilità di beneficiare dell’indennità di maternità per tali lavoratori prescinde dall’astensione del lavoro, prima considerato elemento imprescindibile. Inoltre, il congedo parentale, che prima era utilizzabile fino ad un massimo di 3 mesi, da fruire entro i 3 anni del bambino, ora è stato esteso a 6 mensilità (INPS, circ. n. 109/2018).
Versamenti contributi previdenziali - I versamenti, effettuati alla gestione separata, sono differenti a seconda dalla tipologia di soggetto interessato. Per gli amministratori, così come per i collaboratori, il funzionamento è del tutto analogo a quanto accade per i lavoratori dipendenti. In particolare, si prevede una ritenuta alla fonte nella busta paga, pari a 1/3 della contribuzione totale dovuta, e un versamento diretto da parte dell’impresa, pari agli ulteriori 2/3 del totale.
Per il mese di ottobre l’azienda contabilizza i contributi a carico dell’amministratore unico, che risultano pari a euro 1.141.
SP | D.14 | Debiti verso amministratori | 1.141 | |
SP | D.13 | INPS collaboratori c/competenze | 1.141 |
Per il mese di ottobre l’azienda contabilizza i contributi a proprio carico per l’amministratore unico, che risultano pari a euro 2.282.
CE | B.7 | Contributi previdenziali amministratori | 2.282 | |
SP | D.13 | INPS collaboratori c/competenze | 2.282 |
L’impresa deve procedere poi con il versamento dei contributi all’INPS, da effettuarsi entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stato pagato il compenso, con l’eccezione del mese di agosto, in cui la scadenza è il giorno 20. Se, però, il giorno della scadenza cade in una festività, il versamento deve essere effettuato entro il primo giorno feriale successivo.
Il 16 novembre, l’azienda procede con il versamento dei contributi, attraverso il Modello F24.
SP | D.13 | INPS collaboratori c/competenze | 3.423 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 3.423 |
Per i lavoratori autonomi, non provvisti di Cassa previdenziale, invece, le scadenze di versamento sono quelle determinate dalla dichiarazione dei redditi. I lavoratori autonomi, quindi, devono procedere ai versamenti dei contributi, sempre tramite Modello F24, il giorno 30 del mese di giugno (data in cui deve essere versato il saldo dell’anno precedente e il primo acconto dell’anno in corso) e il 30 del mese di novembre (data in cui deve essere versato il secondo acconto). I due acconti, di pari importo, sono calcolati prendendo a riferimento l’80% dei contributi dovuti per l’esercizio precedente.
Il professionista ha la possibilità, per la rata in scadenza il 30 del mese di giugno, di procedere attraverso un pagamento in ritardo, purché nei 30 giorni successivi, con una sanzione del 4 per mille, oppure con un versamento rateale, con un massimo di 6 o 5 (nel caso di scelta del pagamento in ritardo con la sanzione) rate mensili. L’ultima rata non può essere successiva al mese di novembre.
Contributi INAIL
Gli amministratori, che svolgono il proprio lavoro in aziende operanti in particolari attività, sono soggetti al prelievo dei contributi assistenziali.
Il procedimento di versamento all’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) è del tutto similare a quanto accade per i lavoratori subordinati. La scadenza di pagamento, infatti, è quella del 16 del mese di febbraio di ciascun anno. In tale data l’azienda deve procedere al versamento del saldo dell’anno precedente e al versamento dell’acconto dell’anno in corso.
A scelta dell’azienda, la legge dà la possibilità di procedere con un versamento rateale, in un numero massimo di 4 rate, aventi le scadenze del 16 febbraio, 16 maggio, 20 agosto e 16 novembre.
A differenza, però, di quanto accada per i lavoratori subordinati, anche per il contributo
da versare all’INAIL, il cui importo dipende dal settore di attività dell’impresa
(15.2.1. nella parte relativa ai “contributi assicurativi”), viene previsto che i 2/3 del
premio rimangano a carico dell’azienda, mentre 1/3 rimane a carico dell’amministratore.
Ogni mese, quindi, l’azienda trattiene all’amministratore 1/12 della sua quota di
premio dovuta, per poi procedere al versamento entro il giorno 16 del mese di febbraio.
Relativamente alla mensilità di ottobre, l’azienda trattiene direttamente in busta paga 1/12 della quota dei contributi INAIL a carico dell’amministratore, pari a euro 13.
SP | D.14 | Debiti verso amministratori | 13 | |
SP | D.13 | Inail c/competenze amministratore | 13 |
Tale differenza si ripercuote nella scrittura di fine anno quando l’impresa imputa il costo INAIL di competenza dell’esercizio, a cui deve essere scontata la quota a carico dell’amministratore.
Alla fine dell’anno i contributi INAIL di competenza dell’esercizio vengono calcolati in euro 2.500, ma per euro 1.000 erano già precedentemente stati versati in acconto, il 16 di febbraio dello stesso anno. Inoltre, i contributi a carico dell’amministratore, già trattenuti dalle sue buste paga delle precedenti mensilità, risultano pari a euro 150.
CE | B.9.b) | Contributi assicurativi | 1.350 | |
SP | D.13 | Debiti per Inail | 150 | |
SP | D.13 | Inail c/contributi da liquidare | 1.500 |
Il 16 febbraio dell’anno successivo, l’impresa calcola in euro 2.800 il debito nei confronti dell’INAIL e procede al pagamento.
CE | B.9.b) | Contributi assicurativi | 1.300 | |
SP | D.13 | Inail c/contributi da liquidare | 1.500 | |
SP | D.13 | Inail c/competenze | 2.800 |
Ritenute erariali e le addizionali
L’impresa, oltre alle ritenute contributive e assistenziali viste in precedenza, attua ai redditi assimilati al lavoro dipendente, qual è quello dell’amministratore, una ritenuta erariale (art. 24, D.P.R. n. 600/1973). Tale ritenuta, viene eseguita all’atto del pagamento del compenso e, successivamente, versata dall’azienda entro il termine del giorno 16 del mese successivo.
Tale versamento deve essere eseguito attraverso l’utilizzo del Modello F24, utilizzando il codice tributo 1001, lo stesso utilizzato anche per le ritenute erariali dei lavoratori dipendenti.
Relativamente a ottobre, l’azienda eroga il compenso all’amministratore pari a euro 8.846 trattenendo una ritenuta erariale, pari a euro 2.200.
SP | D.14 | Debiti verso amministratori | 8.846 | |
SP | D.12 | Erario c/ritenute erariali | 2.200 | |
SP | C.IV.1 | Banche c/c | 6.646 |
Si sottolinea che il conto di debito “Erario c/ritenute erariali” è il medesimo usato in precedenza per i lavoratori dipendenti, in quanto, non vi è più distinzione di codice tributo.
Con riferimento, invece, alle ritenute per addizionali regionali e comunali, si fa presente che il funzionamento e le aliquote sono le stesse viste in precedenza per i lavoratori dipendenti.
L’impresa effettua le ritenute per addizionali regionali per euro 50 sul reddito corrisposto all’amministratore nel mese di ottobre.
SP | D.14 | Debiti verso amministratore | 70 | |
SP | D.12 | Erario c/Addizionali Regionali | 50 | |
SP | D.12 | Erario c/Addizionali comunali | 20 |
Trattamento integrativo
Si tratta di un’agevolazione a sostegno dei redditi più bassi (Legge n. 21/2020) che non spetta solamente ai lavoratori subordinati (art. 49, D.P.R. n. 917/1986) (15.2.3.) ma anche ai redditi assimilati al lavoro dipendente, quali quelli degli amministratori.
Il trattamento integrativo relativo alla mensilità di ottobre sul compenso all’amministratore risulta pari ad euro 100.
SP | C.II.5-bis) | Recupero per somme Legge n. 21/2020 | 100 | |
SP | D.14 | Debiti verso amministratore | 100 |
Trattamento di fine mandato
Agli amministratori, a differenza dei lavoratori subordinati, non è riconosciuto il trattamento di fine rapporto. L’azienda, però, può, autonomamente, prevedere la formazione di un trattamento di fine mandato, avente caratteristiche similari.
Si tratta di un vero e proprio compenso aggiuntivo che viene erogato all’amministratore all’atto della cessazione del rapporto.
A differenza di quanto accade per i dipendenti (art. 2120 c.c.) la definizione del trattamento di fine mandato non è vincolata da nessuna legge, ma è soggetta alla libera contrattazione delle parti, non dovendo essere legata ad alcun parametro, purché sia stabilita nel rispetto del vincolo della ragionevolezza e della congruità, ovvero della sua commisurazione alla realtà economica dell’azienda, ai suoi volumi di reddito e all’attività svolta dall’amministratore.
La quota di trattamento di fine mandato deve essere deliberata dall’assemblea dei soci o all’atto della costituzione iniziale della società o, successivamente, sotto forma di delibera assembleare.
15.4.1. Aspetti fiscali
15.4.1.Aspetti fiscaliLa disciplina degli amministratori ha subito negli anni diversi interventi normativi e giurisprudenziali, che hanno interessato sia il compenso che, anche, il trattamento di fine mandato.
Emolumento
La deducibilità del compenso dell’amministratore è subordinata a due criteri:
-
il principio di cassa;
-
il principio della precedente delibera assembleare.
In base al principio di cassa (art. 95, c. 5, D.P.R. n. 917/1986) la deducibilità del compenso dell’amministratore è legata al momento del pagamento indipendentemente dalla competenza economica del costo come invece avviene per il lavoratore dipendente.
Solo all’atto del pagamento l’impresa può procedere con la deduzione del costo.
La legge, però, riconosce il principio della c.d. Cassa allargata ovvero che il pagamento effettuato entro i primi 12 giorni del mese di gennaio si considera effettuato entro l’anno precedente (art. 51, c. 1, D.P.R. n. 917/1986). Va, però, sottolineato quanto disposto da una recente sentenza della Corte di cassazione, secondo la quale al fine della corretta deducibilità non è sufficiente che l’impresa abbia effettuato il pagamento, bensì è necessario che anche l’amministratore lo abbia ricevuto, ovvero che entro tale data la somma sia nelle disponibilità dell’amministratore (Cass. n. 20033/2017).
Il compenso dell’amministratore per essere deducibile deve, inoltre, essere precedentemente deliberato dall’assemblea dei soci. In mancanza, oppure se la delibera avviene successivamente, la deduzione non è ammessa, anche nell’ipotesi in cui sia avvenuto il pagamento (Cass. n. 5349/2014).
Il tema dell’emolumento all’amministratore è stato oggetto di controverse vicende. L’alternanza delle sentenze della Corte di Cassazione non ha dato certezza in merito alla deducibilità dell’emolumento. Negli ultimi anni sembra che sia orientamento predominante quello per cui il compenso che l’impresa sceglie di elargire all’amministratore sia un atto libero, unicamente formato dalle volontà contrattuali. Per cui non è possibile presumere l’onerosità, allorquando il compenso sia definito pari a zero (Cass. n. 18643/2018), né non riconoscere la deduzione in caso di compenso troppo elevato rispetto alla qualità dell’incarico (Cass. n. 450/2018).
Trattamento di fine mandato
Il trattamento di fine mandato prevede dei criteri differenti rispetto a quelli visti per gli emolumenti. In particolare, la deduzione è subordinata:
-
al principio di competenza;
-
alla tassazione separata per il percipiente;
-
al principio rafforzato della precedente delibera assembleare.
A differenza di quanto previsto per i compensi degli amministratori (art. 95, D.P.R. n. 917/1986), il trattamento di fine mandato viene equiparato al trattamento di fine rapporto (15.3.1.). Da ciò ne deriva che, per l’impresa erogante, la deduzione avviene secondo il criterio
generale della competenza economica, mentre il percipiente è soggetto a tassazione all’atto del percepimento e ha il
diritto di richiedere l’applicazione della tassazione separata.
La deducibilità del costo, così come la stessa possibilità di assoggettamento a tassazione separata, è condizionata dalla presenza di un atto di data certa, quale la delibera assembleare dei soci, che deve essere precedente all’insediamento in carica dell’amministratore stesso. Non è sufficiente che l’atto sia precedente rispetto alla decisione di accantonare il relativo costo, essendo necessario che l’atto sia precedente all’instaurazione del rapporto stesso.
Tale richiesta è espressamente prevista dalla normativa che definendo la tassazione separata (art. 17, c. 1, D.P.R. n. 917/1986) dispone letteralmente che il diritto all’indennità deve risultare da atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto.
Allo stesso modo la prassi ha definito che la deducibilità in capo all’impresa si ha solo se gli accantonamenti per il trattamento di fine mandato risultino da atto precedente all’inizio del rapporto (ris. n. 211/E/2008).