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    Autore:

    AA.VV.

    Editore:

    IPSOA

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    CONTABILITÀ E BILANCIO

    37. ANALISI DI BILANCIO PER INDICI

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    37.1. Finalità - 37.1.1. Misurazione del valore economico - 37.1.2. Tipologie e destinatari dell’analisi di bilancio - 37.1.3. Comparazione degli indici di bilancio - 37.1.4. Modalità tecniche e fasi operative dell’analisi di bilancio - 37.2. Riclassificazione dello Stato patrimoniale - 37.2.1. Criterio finanziario - 37.2.2. Analisi della solvibilità aziendale - 37.2.3. Analisi della liquidità - 37.2.4. Analisi della solidità patrimoniale - 37.2.5. Analisi del fabbisogno di finanziamento: criterio di pertinenza gestionale - 37.3. Riclassificazione del Conto economico - 37.3.1. Introduzione - 37.3.2. Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta - 37.3.3. Conto economico a costi e ricavi del venduto - 37.3.4. Conto economico marginalistico - 37.4. Indicatori di sintesi economico-finanziaria - 37.4.1. Indici di redditività - 37.4.2. Indicatori di efficienza del personale - 37.4.3. Indicatori di indebitamento - 37.5. Analisi dello sviluppo - 37.5.1. Leva finanziaria - 37.5.2. Leva operativa - 37.6. Indicatori basati sul cash flow operativo - 37.7. Cruscotto degli indicatori economico-finanziari - 37.8. Parametri esterni di benchmark - 37.8.1. Confronto con aziende concorrenti o best practices - 37.8.2. Comparazione con valori medi di settore - 37.8.3. Comparazione con dati aggregati

    37.1. Finalità

    37.1.Finalità

    Il bilancio di esercizio rappresenta il principale strumento di reporting aziendale caratterizzato da una valida capacità informativa, rigido e al tempo stesso flessibile nella forma, in grado di offrire una rappresentazione veritiera e corretta della dinamica aziendale e capace di assolvere a molteplici finalità, pur nella unitarietà del documento che lo rappresenta. Fin dalla metà del Novecento il bilancio ha assunto un ruolo centrale nell’ambito del sistema delle rilevazioni contabili svolgendo una funzione di sintesi dei valori economici e finanziari generati dalla successione delle operazioni di gestione avvenute nell’arco del periodo amministrativo. Si tratta quindi di un modello che può essere interpretato in maniera tradizionale quale sintesi di periodo del sistema di contabilità generale ma anche come una sorta di “pacchetto informativo”.

    Il bilancio si pone l’obiettivo di rappresentare la vita aziendale comprendendo al suo interno valori determinati con logiche valutative anche differenti ma con la comune finalità di evidenziare i tratti essenziali della gestione aziendale conclusa al termine del periodo amministrativo.

    Il bilancio, indicato come “sistema di valori”, rappresenta indubbiamente la sintesi per eccellenza delle rilevazioni avvenute nell’ambito della contabilità generale. Si tratta di un sistema organizzato ed affidabile di informazioni che viene utilizzato come strumento di comunicazione non soltanto verso l’esterno ma anche verso l’interno, a vari livelli decisionali.

    Svolge quindi una funzione indispensabile nel processo di decision-making, capace di integrare informazioni rilevanti nell’ambito di qualunque tipologia di azienda.

    Tale caratteristica di strumentalità informativa, valida anche verso l’interno, ovvero rispetto al sistema delle decisioni e dei controlli aziendali, consente quindi di qualificare il bilancio di esercizio come l’elemento indispensabile del sistema informativo aziendale.

    Quale strumento di comunicazione verso l’esterno il bilancio svolge un ruolo cruciale nei confronti di tutti i soggetti che, sia per disposizioni di carattere legislativo che per rapporti di natura contrattuale, intrattengono rapporti e relazioni con l’azienda.

    In funzione di tali considerazioni il bilancio riflette le caratteristiche della contabilità sia in termini positivi che negativi. In particolare, l’accezione maggiormente negativa “ereditata” dalla contabilità deriva dal fatto che il bilancio è espressione di dati e informazioni relativi a periodi già conclusi. Da ciò consegue che tale documento non è in grado di fornire informazioni a carattere prospettico (c.d. forward-looking) sull’andamento futuro della gestione aziendale.

    In considerazione delle esigenze informative di un’economia ormai caratterizzata da recenti cambiamenti quali in particolare la globalizzazione dei mercati finanziari, i dati di bilancio delle aziende, in particolare di quelle di grandi dimensioni, possono esercitare un’influenza rilevante sulle variabili economiche a livello sia micro che macroeconomico.

    A maggior ragione, quindi, diventa indispensabile interrogarsi sull’attendibilità dei dati di bilancio e su quali siano le tecniche più idonee da utilizzare per una loro adeguata e corretta interpretazione.

    37.1.1. Misurazione del valore economico

    37.1.1.Misurazione del valore economico

    Il bilancio di esercizio, quale fonte di informazioni per l’esterno è il principale strumento per misurare la creazione di valore delle aziende, finalità condivisa non soltanto dai detentori del capitale di rischio (stockholders) ma anche da tutti coloro che hanno un interesse specifico nell’azienda (stakeholders).

    Al fine di pervenire a una corretta misurazione del nuovo valore economico creato dall’azienda è necessario che i dati forniti dal bilancio siano il risultato di una accurata rendicontazione della gestione aziendale, sebbene sia riconosciuta la necessità di integrare tali informazioni con altre che siano rappresentative non soltanto di aspetti di natura economico-finanziaria ma anche di natura sociale e ambientale oltre che attinenti al capitale umano dell’azienda.

    Per una corretta quantificazione del nuovo valore generato dall’azienda è necessario verificare se dai dati del bilancio di esercizio è possibile individuare le variabili che consentano di accertare se effettivamente è stato creato nuovo valore.

    Tale ipotesi si verifica, in termini semplificati, qualora il rendimento effettivo del capitale investito nell’attività aziendale risulti superiore al costo medio ponderato del capitale acquisito per il finanziamento sia a titolo di capitale di rischio che a titolo di capitale di credito.

    Nell’ambito di tali considerazioni risulta quindi indispensabile quantificare numerosi fattori, quali il rapporto fra capitale di credito e capitale di rischio, il costo medio del capitale, la redditività del capitale investito e in particolare il rischio aziendale che è ovviamente soggetto anche a fattori esogeni.

    Considerato che una parte di tali fattori possono essere determinati utilizzando i dati di bilancio, la base dei dati su cui misurare la creazione di valore economico rimane comunque di origine contabile. Al fine di superare alcune limitazioni intrinseche dovute a dati che derivano da elaborazioni contabili è necessario rendere il bilancio più adeguato a rispondere alle esigenze informative degli stakeholders.

    La tecnica dell’analisi di bilancio per indici rappresenta uno strumento molto utile al fine di rielaborare i dati di bilancio fornendo un supporto interpretativo agli utenti delle informazioni di bilancio. Nonostante le ovvie considerazioni in merito al grado di attendibilità e/o arbitrarietà (soggettività) dei dati di bilancio tale tecnica rappresenta un valido strumento per interpretare la dinamica finanziaria e reddituale delle aziende, utile anche per rilevare eventuali scorrettezze o anomalie dei dati economico-finanziari.

    Il bilancio di esercizio ed i relativi strumenti di analisi consentono di elaborare un profilo essenzialmente basato su dati consuntivi relativi a eventi passati. Da tali considerazioni emerge quindi che l’interpretazione dei dati di un bilancio assume validità soltanto nella misura in cui gli andamenti passati sono rappresentativi dei trend attuali e prospettici dell’azienda.

    Qualora la tecnica dell’analisi di bilancio venga utilizzata come strumento di diagnosi delle crisi aziendali essa può rappresentare un valido ausilio ad analisti esterni ed interni, soprattutto in ottica preventiva. Considerato che i dati di bilancio sono espressivi di azioni umane che derivano dalla composizione di variabili interne ed esterne, la rilevazione di uno stato di crisi potrebbe segnalare una fase degenerativa già avanzata e difficilmente sanabile.

    In sostanza quindi l’analisi di bilancio può essere utile non tanto per rilevare tempestivamente situazioni di difficoltà quanto per riconoscere segnali che potrebbero anticipare una situazione di probabile crisi aziendale. In tale ottica sarebbe opportuno selezionare le tecniche di analisi più appropriate, maggiormente sensibili a diagnosticare eventuali stadi di crisi, da utilizzare quali segnali “premonitori”.

    37.1.2. Tipologie e destinatari dell’analisi di bilancio

    37.1.2.Tipologie e destinatari dell’analisi di bilancio

    Una corretta analisi di bilancio deve essere realizzata confrontando situazioni contabili riferite almeno a 3 esercizi amministrativi consecutivi, attraverso cui individuare trend evolutivi che permettano di delineare il più probabile scenario di sviluppo dell’attività aziendale, integrati eventualmente da confronti con “benchmark di settore” (concorrenti principali o medie di mercato).

    L’applicazione pratica degli schemi di riclassificazione e degli indicatori richiede necessariamente la contestualizzazione della specifica realtà aziendale analizzata. La capacità segnaletica delle logiche alla base degli strumenti di analisi di bilancio può essere massimizzata solo attraverso l’interpretazione da parte di soggetti che sono a conoscenza delle specificità dell’azienda e del settore di attività in cui opera.

    Analisi interne e analisi esterne

    È possibile distinguere due differenti tipologie di analisi di bilancio: analisi interne e analisi esterne.

    Le analisi interne vengono svolte da soggetti che possono accedere a fonti informative interne all’azienda oltre che disporre dei dati che sono pubblicamente accessibili. In tali ipotesi gli analisti sono in grado di conoscere il grado di affidabilità dei dati provenienti dai bilanci di esercizio. In tale ipotesi il management aziendale compie una ricognizione della situazione economico-finanziaria dell’azienda per motivazioni di controllo della gestione aziendale, quindi l’analisi di bilancio rappresenta uno degli strumenti utilizzati nel sistema di controllo aziendale.

    Con le analisi esterne invece si ha la possibilità di utilizzare le tecniche di riclassificazione soltanto sui dati estrapolati dal bilancio. Tale ipotesi è quella più ricorrente e rappresenta la principale motivazione della nascita e della diffusione della tecnica di analisi di bilancio.

    In particolare, gli enti creditizi possono utilizzare tale analisi per valutare la performance delle aziende e in particolare indagarne il grado di affidabilità creditizia.

    Senza dubbio le analisi esterne rivestono un’importanza maggiore rispetto alle analisi interne dal momento che possono esercitare un’influenza rilevante in particolari momenti della vita aziendale, quali ad esempio le analisi svolte dalle banche per le istruttorie fidi, le analisi svolte dalle aziende concorrenti per valutare la performance di un’azienda oppure in generale le analisi di bilancio svolte prima della valutazione di azienda.

    In definitiva quindi tale tecnica consente anche a soggetti esterni alla realtà aziendale (analisti esterni) che non hanno la possibilità di avere contatti diretti con il management aziendale di poter acquisire dati e informazioni che consentono di monitorare lo stato di salute dell’azienda mediante una verifica della situazione di redditività, solidità patrimoniale e solvibilità finanziaria. Per tale motivo le analisi esterne, rispetto a quelle interne, richiedono un approfondimento maggiore in considerazione anche degli effetti sulla regolazione delle transazioni di mercato.

    La caratteristica basilare di tale tecnica è rappresentata dalla rielaborazione dei dati ottenuti dai bilanci mediante il calcolo di indici, consentendo di ottenere informazioni maggiormente significative rispetto ai valori assoluti rinvenibili dagli schemi di Stato patrimoniale e Conto economico. I dati di bilancio vengono quindi correlati e messi in relazione fra di loro pervenendo alla realizzazione di schemi che presentino le caratteristiche della chiarezza e della sintesi.

    Destinatari

    I potenziali destinatari (users) dell’analisi di bilancio sono ovviamente tutti i soggetti che sono effettivamente o anche soltanto potenzialmente interessati all’azienda oggetto di analisi e che desiderano quindi avere informazioni sul suo stato di salute. In primis i destinatari sono identificabili con soggetti che hanno interessi economici con l’azienda oggetto di analisi e che ovviamente devono tutelare i propri interessi.

    SI tratta in pratica degli “stakeholder”:

    • soci dell’azienda;

    • finanziatori esterni (banche e altri istituti finanziari);

    • fornitori;

    • clienti;

    • concorrenti;

    • dipendenti e i loro sindacati;

    • comunità, stampa e opinione pubblica (per le aziende quotate).

    37.1.3. Comparazione degli indici di bilancio

    37.1.3.Comparazione degli indici di bilancio

    Comparazione nello spazio

    La finalità principale dell’analisi di bilancio mediante la tecnica del calcolo degli indici è di diagnosticare lo stato di salute dell’azienda. Al fine di poter esprimere un giudizio significativo è però necessario effettuare una comparazione fra gli indici elaborati e indici che possono essere definiti come valori “standard” in riferimento al settore di attività o alle aziende concorrenti.

    Tale tecnica, detta “comparazione spaziale” e consente di superare alcuni limiti legati all’interpretazione di indicatori espressi nel loro valore assoluto.

    In alcuni casi, infatti, è possibile esprimere un giudizio in riferimento al valore di un indicatore di bilancio (basti pensare ad alcuni indicatori come il livello di indebitamento), ma in molti casi è necessario valutare i dati in modo “relativo” e non “assoluto”, ovvero in maniera tale da richiedere un confronto fra la performance dell’azienda oggetto di analisi e quella delle aziende concorrenti o comunque appartenenti allo stesso settore di attività.

    Ovviamente i due giudizi, quello che si basa sui valori assoluti e quello che utilizza i valori relativi, devono essere integrati.

    Esempio

    Se un’azienda presenta un elevato livello di indebitamento in termini assoluti ma se tale valore è inferiore rispetto al livello medio di indebitamento delle aziende del settore è necessario rivedere il giudizio negativo che era stato espresso in termini assoluti dal momento che comunque presenta una situazione di vantaggio rispetto alle aziende concorrenti.

    Ovviamente considerazione analoga può essere formulata in un caso esattamente opposto, ovvero qualora il giudizio sui valori assoluti sia molto positivo ma se confrontato con quelli delle aziende concorrenti emergono valori più bassi in termini di performance. Ciò rappresenta un motivo di preoccupazione rappresentando una posizione di debolezza che, in ipotesi di peggioramento delle condizioni del sistema economico, potrebbe comportare un peggioramento più marcato rispetto a quello delle aziende concorrenti.

    La comparazione spaziale può essere effettuata secondo due modalità:

    • confronto degli indici delle principali aziende concorrenti;

    • confronto degli indici relativi alla media del settore di appartenenza.

    Nel confronto tra indici relativi alla media del settore di appartenenza dell’azienda possono sorgere problemi di carattere operativo, in quanto spesso non è agevole reperire i dati relativi agli indici medi di settore. Le banche dati potrebbero non essere aggiornate con dati recenti e per un corretto utilizzo di tali indici è necessario verificare in maniera accurata la modalità di determinazione. In tal senso diventa necessario controllare che la metodologia di calcolo utilizzata per i valori medi di settore sia la stessa utilizzata per gli indici che sono oggetto di comparazione. Se non si verifica tale situazione i risultati dell’analisi potrebbero non essere significativi.

    Comparazione nel tempo

    Altra tipologia di analisi è rappresentata dalla comparazione nel tempo. In tale ipotesi gli indici di bilancio vengono comparati con gli indici della stessa azienda riferiti a periodi precedenti (in genere vengono confrontati 3 anni consecutivi). In tale ipotesi è possibile comprendere il trend evolutivo della performance aziendale nel periodo oggetto di analisi. Tale tipologia di analisi può essere integrata con l’analisi che prevede la comparazione spaziale sia in termini assoluti che relativi.

    37.1.4. Modalità tecniche e fasi operative dell’analisi di bilancio

    37.1.4.Modalità tecniche e fasi operative dell’analisi di bilancio

    L’analisi di bilancio per indici può essere realizzata con modalità differenti. Di seguito viene proposto un modello di analisi che prevede lo svolgimento di una serie di fasi operative:

    • inquadramento e analisi dell’azienda, della sua storia, del mercato e del settore di attività in cui opera;

    • raccolta dei dati e valutazione in merito alla attendibilità delle informazioni;

    • riclassificazione dei bilanci;

    • calcolo degli indicatori;

    • interpretazione e commento degli indici al fine di elaborare un giudizio sullo stato di salute dell’azienda.

    La fase finale dell’analisi riconduce allo scopo principale dell’analisi di bilancio ovvero alla diagnosi dello stato di salute dell’azienda, che deve essere associato alla volontà di comprendere non soltanto la performance attuale dell’azienda analizzata ma anche la performance futura.

    L’interesse prevalente è incentrato sulla potenziale evoluzione futura della gestione aziendale intendendo quindi l’analisi sulla performance passata come uno strumento per valutare il grado di rischio dell’investimento effettuato nell’azienda.

    Tale analisi risulta influenzata da due differenti tipologie di variabili, esogene e endogene. Tramite l’analisi di bilancio è possibile analizzare soltanto le variabili endogene, ovvero le variabili legate alla situazione economico-finanziaria, alla capacità del management, alla posizione competitiva dell’azienda analizzata. Per quanto concerne le variabili esogene, si tratta di svolgere una valutazione sulle prospettive generali del settore in cui opera che dovranno essere considerate contestualmente all’analisi di bilancio da svolgere.

    L’analisi di bilancio secondo il modello proposto inizia con l’inquadramento e l’analisi dell’azienda, segue la raccolta dei dati che viene attuata reperendo i dati dei bilanci di esercizio e dei loro allegati riferiti agli ultimi 3 esercizi amministrativi, in modo da poter disporre di informazioni relative ad un arco temporale idoneo a valutare adeguatamente la dinamica aziendale.

    Altro elemento essenziale in questa fase è il reperimento degli indici medi di settore che generalmente possono essere raccolti da numerose banche dati oltre che la raccolta dei bilanci dei principali competitors qualora siano ritenuti rilevanti dal punto di vista della posizione competitiva rispetto all’azienda analizzata.

    La terza fase prevede la parte centrale e più importante dell’analisi di bilancio, ovvero la riclassificazione dei prospetti di bilancio, che essendo elaborati in base a norme di legge (essenzialmente in base alle norme del Codice civile, dei principi contabili OIC oppure, in alternativa, in base ai principi contabili internazionali IFRS) necessitano di essere rielaborati al fine del calcolo degli indici.

    Gli schemi di Stato patrimoniale e di Conto economico non presentano dati aggregati in base alle esigenze degli indicatori di bilancio.

    Tale fase rappresenta quindi un momento complesso in cui l’analista dovrà procedere al corretto posizionamento delle poste contabili in base a determinati criteri che caratterizzano una determinata procedura di riclassificazione del bilancio. Sono senz’altro da evitare procedure che prevedono un automatico posizionamento delle voci del bilancio civilistico nel bilancio riclassificato senza alcun approfondimento sulla natura delle poste contabili oggetto di riclassificazione. In questa fase è importante quindi evitare errori o scorrette impostazioni dal momento che sulla base dei dati riclassificati verrà svolta la fase successiva che prevede il calcolo degli indicatori.

    Lo svolgimento delle fasi dell’analisi di bilancio comporta che l’analista possieda non soltanto una buona conoscenza teorica dell’analisi di bilancio corredata da un’adeguata impostazione metodologica, ma anche un’adeguata esperienza operativa che consenta una corretta interpretazione degli indici di bilancio.

    37.2. Riclassificazione dello Stato patrimoniale

    37.2.Riclassificazione dello Stato patrimoniale

    37.2.1. Criterio finanziario

    37.2.1.Criterio finanziario

    Dalla riclassificazione dei prospetti di bilancio, Stato patrimoniale e Conto economico, sarà possibile estrarre i dati rielaborati che consentiranno il calcolo dei vari indicatori.

    La metodologia di riclassificazione dello Stato patrimoniale più comunemente utilizzata è quella che si basa sul criterio finanziario. In base a tale criterio le poste contabili vengono riclassificate in base alla loro velocità di conversione in denaro (liquidità) per gli elementi dell’attivo e in base al tempo di estinzione per gli elementi del passivo.

    È opportuno distinguere gli elementi dell’attivo dello Stato patrimoniale in impieghi numerari e impieghi non numerari in base alla natura degli elementi. I primi fanno riferimento a elementi monetari disponibili essenzialmente in cassa e nel deposito bancario.

    Gli impieghi non numerari invece fanno riferimento ai fattori produttivi disponibili per la produzione. Tali impieghi sono il risultato della fase di investimento a cui segue la fase della trasformazione dove i fattori produttivi si convertono gradualmente in prodotti finiti. Tali prodotti saranno poi oggetto dell’operazione di vendita tramite la quale si verifica la fase del realizzo ovvero gli impieghi non numerari si convertono nuovamente in impieghi numerari, mediante la conclusione del ciclo produttivo.

    Gli impieghi numerari possono essere distinti in liquidi o non liquidi, dove i primi fanno riferimento a disponibilità liquide mentre i secondi sono relativi ai crediti di regolamento o crediti commerciali ovvero ai crediti che si originano in conseguenza di dilazioni concesse in occasione di operazioni di vendita.

    Un’altra distinzione degli impieghi si basa sulla velocità di conversione in liquidità, in quanto alcuni impieghi possono trasformarsi in liquidità in tempi brevi oppure in periodi più estesi. Ovviamente se consideriamo alcuni impieghi come i crediti di regolamento oppure i prodotti finiti, la velocità di conversione in liquidità è maggiore rispetto ad altri impieghi quali ad esempio i fattori produttivi che in dipendenza della loro natura possono trasformarsi in liquidità in tempi brevi oppure in tempi più estesi.

    Per poter attribuire una specifica definizione in base a tale criterio è necessario individuare un periodo temporale di riferimento: se gli impieghi si convertono in liquidità entro tale periodo si avranno impieghi disponibili o semplicemente disponibilità. Tutti gli altri impieghi che invece possono convertirsi in liquidità in un periodo di tempo superiore all’arco temporale di riferimento verranno denominati impieghi immobilizzati o semplicemente immobilizzazioni.

    Riclassificazione degli impieghi non numerari

    Il segmento temporale di riferimento dovrebbe essere il ciclo operativo, ovvero l’insieme delle fasi di produzione che determinano la trasformazione da input in output o prodotto finale. Tale approccio, corretto teoricamente, può tuttavia comportare problematiche applicazioni operative per l’elevata variabilità della lunghezza del periodo temporale da azienda a azienda.

    Si rende quindi necessario individuare un segmento temporale caratterizzato da uniformità, detto ciclo convenzionale, che consenta di distinguere da periodo breve a periodo non breve: tale periodo viene individuato nel periodo amministrativo che coincide generalmente con l’anno solare. In base a tale criterio gli impieghi che sono in grado di convertirsi in liquidità oltre l’esercizio vengono classificati come immobilizzazioni, al contrario gli impieghi a breve ovvero che possono trasformarsi in forma monetaria entro l’esercizio vengono denominati disponibilità.

    Attivo immobilizzato e attivo disponibile - Al fine della riclassificazione delle poste contabili dell’attivo è necessario valutare la capacità del bene di trasformarsi in denaro e in quali tempi, ovvero se entro l’anno oppure oltre l’anno. A tal fine risulta necessario distinguere all’interno delle due macro-categorie, disponibilità e immobilizzazioni, altre tipologie di poste contabili utili ai fini della riclassificazione del bilancio.

    In generale gli impieghi del capitale possono riguardare tre tipologie di impieghi:

    • impieghi nei fattori produttivi;

    • impieghi nel prodotto;

    • impieghi nei crediti di regolamento.

    Entrambe le macro-categorie possono interessare tutte e tre le tipologie anche se ad esempio la macro-categoria Immobilizzazioni riguarderà in particolare la tipologia degli impieghi nei fattori produttivi a carattere pluriennale. Si possono comunque verificare casi dove possono essere interessate anche le altre tipologie di impieghi. In maniera esattamente speculare la macro-categoria disponibilità in larga parte sarà riferita alla tipologia degli impieghi nei fattori produttivi di esercizio, anche se si potranno verificare casi in cui i fattori produttivi di esercizio possono essere stati acquisiti in misura eccedente rispetto alle esigenze del ciclo operativo e quindi il tempo di conversione in forma liquida potrebbe andare oltre il periodo amministrativo.

    In tali ipotesi, peraltro non frequenti, le poste contabili dovranno essere trasferite dagli impieghi “a breve termine” o disponibilità a quelli a “non breve termine” o immobilizzazioni. Tale spostamento può essere dovuto a differenti ipotesi operative: ad esempio per motivi non fisiologici alcune tipologie di fattori produttivi possono diventare obsolete, invece in altri casi può essere opportuno per l’azienda prevedere scorte funzionali destinate a permanere per motivi economico-tecnici per un periodo temporale ultrannuale. In entrambi i casi tali poste dovranno essere collocate negli impieghi a non breve termine.

    In maniera analoga possono essere considerati anche gli investimenti di natura finanziaria, ovvero in partecipazioni, titoli, crediti che siano motivati da finalità strategiche e che si riferiscono ad un arco temporale ultrannuale.

    Per quanto riguarda invece i fattori produttivi pluriennali che tipicamente identificano impieghi a non breve, in alcuni casi specifici, ovvero in ipotesi di dismissione, verranno considerati nella categoria degli impieghi a “breve” in quanto realizzabili entro la fine del periodo amministrativo.

    In sostanza quindi i due principali aggregati dell’attivo dello Stato patrimoniale, attivo immobilizzato e attivo disponibile, accolgono determinate poste contabili, il primo le immobilizzazioni, ovvero gli impieghi nei fattori produttivi pluriennali, e il secondo le disponibilità ovvero gli impieghi nei fattori produttivi di esercizio, nel prodotto e nei crediti di regolamento.

    Tale distinzione non è rigida: ci possono essere casi di impieghi in fattori produttivi di esercizio che per ragioni funzionali o non funzionali non potranno più essere collocati nell’aggregato delle disponibilità ma dovranno essere posizionati in quello delle immobilizzazioni (si pensi ad esempio alle scorte di materie ultrannuali denominate anche immobilizzazioni commerciali, oppure ai crediti di regolamento che potranno essere incassati oltre l’esercizio amministrativo, denominati come immobilizzazioni numerarie).

    Composizione dell’aggregato “attivo immobilizzato”

    Se consideriamo il secondo aggregato, ovvero l’attivo disponibile è possibile individuare differenti elementi, quali le disponibilità tecniche di esercizio, ovvero le scorte di materie, le disponibilità finanziarie (investimenti patrimoniali a breve, crediti di finanziamento), le disponibilità commerciali (ovvero le scorte di prodotti) e le disponibilità numerarie (ovvero i crediti di regolamento).

    A tali categorie, come accennato precedentemente, si possono aggiungere impieghi nei fattori produttivi pluriennali che, a causa di programmi di dismissione dall’area delle immobilizzazioni, devono essere accolti nell’area dell’attivo disponibile.

    Composizione dell’aggregato “attivo disponibile”

    La classificazione proposta dell’attivo dello Stato patrimoniale si basa sul tempo di conversione degli elementi dell’attivo in forma liquida. In altri termini la stessa distinzione può essere proposta in termini di attivo a non breve e di attivo a breve o anche in alternativa attivo fisso e attivo circolante anche se non si ha una perfetta coincidenza considerato che l’attivo fisso dovrebbe accogliere soltanto le immobilizzazioni escludendo quindi la parte immobilizzata delle disponibilità, così come la categoria dell’attivo circolante che non considera la parte disponibile delle immobilizzazioni.

    Passivo patrimoniale: le fonti di finanziamento - Le fonti di finanziamento possono essere considerate dal punto di vista della natura dei soggetti finanziatori. In tal caso è possibile distinguere in due categorie:

    • il capitale di rischio (o mezzi propri) e

    • il capitale di credito (o mezzi di terzi).

    Il primo è vincolato dal titolare dell’azienda o nella società, dai soci, mentre il secondo è apportato dai terzi e soggetto a rimborso.

    La presenza delle fonti di finanziamento è inoltre legata alla possibilità di ottenere finanziamenti oppure dilazioni nel pagamento del prezzo di acquisto di fattori produttivi. Nel primo caso si parla di debiti di finanziamento, mentre nel secondo di debiti di funzionamento o di regolamento. I primi danno origine a valori finanziari, mentre i secondi a valori numerari legati alle dilazioni ottenute.

    Le fonti si possono distinguere in fonti finanziarie di rischio, nel caso dei mezzi propri, oppure in fonti finanziarie di credito, ossia relative a passività vere e proprie.

    Altra distinzione importante riguarda invece il tempo di estinzione ovvero il tempo in cui sarà possibile l’annullamento mediante il pagamento.

    Tale estinzione potrà avvenire gradualmente nel tempo e con scadenze diverse.

    Ci sono ovviamente alcune poste contabili che avranno una scadenza di estinzione entro l’esercizio amministrativo, altre che invece potranno avere scadenze più lontane nel tempo.

    Da considerare inoltre che alcune fonti di finanziamento, ovvero quelle attinenti al capitale di rischio, non hanno scadenza.

    Le fonti di finanziamento sono riconducibili a due aggregati individuabili tramite la scadenza entro l’esercizio amministrativo (fonti a breve) oppure oltre l’esercizio (fonti a non breve, a medio lungo termine).

    Le prime si qualificano come passività correnti (passivo corrente) e le altre come passività consolidate (passivo consolidato).

    Composizione del capitale di finanziamento

    Da un punto di vista operativo quindi si presentano le seguenti situazioni:

    • debito di finanziamento dove è previsto un piano di rimborso con rate semestrali si avrà: posizionamento nel passivo corrente per le 2 rate scadenti entro l’esercizio, mentre per la restante parte l’indebito dovrà essere considerato nel passivo consolidato;

    • debito di regolamento (commerciale) con scadenza a 90 giorni: posizionamento nel passivo corrente;

    • debito di finanziamento avente scadenza fra 3 anni: posizionamento nel passivo consolidato.

    Dallo schema di sintesi emerge l’aggregato passivo permanente il quale indica il passivo sia relativo al capitale di rischio che a quello consolidato, andando quindi a individuare la parte delle fonti di finanziamento che permane stabilmente o a medio-lungo termine in azienda.

    Altro aggregato che può essere calcolato è rappresentato dal capitale di credito o capitale di terzi che invece è la sommatoria del passivo consolidato e del passivo corrente, in contrapposizione al capitale di rischio. Nell’ambito di tale aggregato vengono inclusi sia i finanziamenti diretti, ovvero i debiti di finanziamento che vengono stipulati fra l’azienda e vari soggetti finanziatori (in primis le banche) che i finanziamenti indiretti, che invece si concretizzano mediante le dilazioni di pagamento ottenute.

    La distinzione delle fonti di finanziamento in relazione alla scadenza assume un’importanza fondamentale, in particolare per quanto riguarda le decisioni relative al fabbisogno di finanziamento. Una razionale gestione delle scadenze delle varie posizioni debitorie consente di non incorrere in situazioni di illiquidità o di incaglio finanziario.

    In considerazione degli aggregati, sia per quanto concerne l’attivo che il passivo dello Stato patrimoniale è possibile pervenire alla costruzione dello Stato patrimoniale finanziario, la cui denominazione deriva dal fatto che il processo di riclassificazione delle varie poste contabili segue il criterio finanziario (crescente/decrescente). Tale schema viene anche denominato Stato patrimoniale “a zone” in quanto dal lato delle attività si identificano le zone dell’attivo fisso e dell’attivo circolante, mentre dal lato del passivo si hanno le tre zone dei mezzi propri, passivo consolidato e passivo corrente.

    Lo Stato patrimoniale finanziario si presenta come un prospetto a sezioni contrapposte redatto allo scopo di evidenziare alcuni punti (privilegiando gli aspetti sostanziali rispetto a quelli formali):

    • la provenienza delle risorse finanziarie raccolte (capitale di finanziamento);

    • l’impiego di tali risorse in investimenti necessari per lo svolgimento dell’attività aziendale (capitale di funzionamento).

    Il criterio basilare è che le fonti di finanziamento sono classificate in funzione del tempo presumibilmente necessario alla loro estinzione (criterio di esigibilità), mentre gli impieghi sono classificati sulla base del tempo presumibilmente necessario per il loro ritorno in forma liquida (criterio di liquidabilità).

    In sintesi, quindi le fonti di finanziamento sono classificabili in tre categorie principali:

    • fonti non soggette a vincolo di restituzione;

    • fonti esigibili nel medio-lungo periodo (passività consolidate);

    • fonti esigibili nel breve periodo (passività correnti).

    Le fonti non esigibili si riferiscono ai mezzi finanziari raccolti a titolo di capitale di rischio quale risultato di capitale autoprodotto in conseguenza di risultati economici positivi generati in precedenti esercizi ed esclusi dal processo di distribuzione ai soci dei dividendi.

    Le fonti esigibili nel medio-lungo e nel breve termine si riferiscono essenzialmente a capitale di terzi, distinto rispetto alla natura delle operazioni che ne determinano la formazione, in debiti di funzionamento e di finanziamento.

    Per quanto riguarda invece la classificazione degli impieghi, il criterio della liquidabilità consente la creazione di due macro-categorie, l’attivo fisso e l’attivo corrente, formate dagli elementi patrimoniali che, con buona approssimazione, si trasformeranno in forma liquida rispettivamente nel medio-lungo o nel breve periodo. L’attivo fisso è a sua volta disaggregato nelle tre categorie classiche, corrispondenti alle tipologie di fattori produttivi pluriennali: immobilizzazioni immateriali, materiali e finanziarie.

    Un aspetto che risulta interessante considerare è l’inclusione della categoria delle immobilizzazioni materiali (o eventualmente immateriali), di eventuali fattori produttivi durevoli utilizzati con continuità dall’azienda anche in assenza del titolo di proprietà, per esempio in forza di un contratto di locazione finanziaria. Tale scelta di riclassificazione sembra giustificabile in considerazione del criterio di prevalenza della sostanza sulla forma, rendendo quindi possibile equiparare beni di proprietà con beni sui quali è possibile esercitare il diritto di utilizzo (godimento) pur in mancanza della proprietà formale del bene.

    Nell’attivo fisso è possibile inserire altre categorie di immobilizzazioni allo scopo di evidenziare investimenti non coinvolti nell’attività operativa aziendale (immobilizzazioni patrimoniali) o investimenti in fattori produttivi che risultino essere facilmente liquidabili, che tuttavia non avranno la possibilità di trasformarsi in liquidità nel corso dell’esercizio successivo alla data di riferimento del bilancio (c.d. immobilizzazioni commerciali) tale aggregato fa riferimento a rimanenze di prodotti finiti o materie prime, temporaneamente bloccate perché non vendibili o non utilizzabili, ovvero a crediti di natura commerciale con scadenza superiore a 12 mesi.

    L’attivo circolante invece può essere scomposto in almeno tre categorie:

    • disponibilità economiche, relative essenzialmente a rimanenze di materie prime e prodotti finiti;

    • liquidità differite, rappresentate essenzialmente da crediti, di natura operativa o finanziaria, con scadenza inferiore ai 12 mesi;

    • liquidità immediate, rappresentate dal denaro immediatamente disponibile.

    Le disponibilità economiche possono eventualmente includere, a rettifica, gli acconti ricevuti da clienti, in quanto considerabili di diretta pertinenza delle rimanenze di magazzino. Sempre nella stessa sezione è inoltre possibile inserire anche i risconti attivi “operativi” in quanto caratterizzati dalla stessa natura (costi sospesi) ed interpretabili come rimanenze di servizi o fattori produttivi immateriali. La sezione delle disponibilità economiche, infine, potrà accogliere eventuali immobilizzazioni che l’azienda ha deciso di dismettere entro i 12 mesi successivi alla data di costruzione dello Stato patrimoniale.

    Riclassificazione Stato patrimoniale sintetico in base al criterio finanziario (decrescente)

    IMPIEGHI FONTI
    Attivo immobilizzato Mezzi propri
    Attivo circolante Passivo consolidato
    Passivo corrente
    CAPITALE INVESTITO CAPITALE DI FINANZIAMENTO

    Riclassificazione Stato patrimoniale in base

    al criterio finanziario (decrescente)

    Di seguito vengono dettagliati i posizionamenti di alcune poste contabili nell’ambito delle macro categorie evidenziate.

    Posizionamento di poste contabili nello Stato patrimoniale finanziario

    Posta contabile Posizionamento nello Stato patrimoniale finanziario
    Crediti verso soci per versamenti
    ancora dovuti
    A rettifica del capitale netto, se non sono previsti termini di richiamo
    oppure
    Liquidità differite o immobilizzazioni finanziarie in funzione dei tempi di richiamo previsti
    Versamenti dei soci in c/aumento
    capitale sociale
    Mezzi propri
    Immobilizzazioni Attivo fisso se utilizzate in maniera durevole (al netto dei relativi Fondi di ammortamento)
    oppure
    Disponibilità economiche se destinate alla cessione
    Azioni proprie A rettifica del capitale netto
    Rimanenze di magazzino Disponibilità economiche se saranno presumibilmente utilizzate nei 12 mesi successivi alla data di bilancio
    oppure
    Attivo fisso (immobilizzazioni commerciali) in caso contrario
    Crediti operativi (es. crediti v/clienti) Liquidità differite se incassabili entro 12 mesi
    oppure
    Attivo fisso (immobilizzazioni commerciali o finanziarie) se incassabili oltre 12 mesi
    Crediti verso soci per prelevamenti A rettifica del risultato di periodo (nel capitale netto)
    Attività finanziarie Liquidità immediate se non soggette a volatilità del cambio, se smobilizzabili in tempi rapidi senza sopportare perdite economiche (i c.d. cash equivalents)
    oppure
    Liquidità differite nel caso non si verifichino contemporaneamente le tre condizioni di cui sopra
    Ratei attivi Liquidità differite
    Risconti attivi Disponibilità economiche se relativi a fattori produttivi correnti
    oppure
    Attivo fisso se relativi a fattori produttivi pluriennali
    Risultato d’esercizio La parte di utile di esercizio destinato alla distribuzione, sotto la voce Debiti verso soci verrà collocato tra le passività correnti. Tali informazioni relative alla destinazione dell’utile di periodo, sono desumibili dal verbale di approvazione del bilancio.
    Fondi Spese Passività correnti operative se esigibili entro 12 mesi
    oppure
    Passività consolidate operative se esigibili oltre 12 mesi
    Fondi Rischi Capitale netto
    Debiti Passività correnti operative o finanziarie se esigibili entro 12 mesi
    oppure
    Passività consolidate operative o finanziarie se esigibili oltre 12 mesi
    Ratei passivi Passività correnti operative
    Risconti passivi Passività correnti se di importo non rilevante
    oppure
    Capitale netto se pluriennali
    oppure
    Capitale netto o a rettifica delle immobilizzazioni se relativi a contributi in c/impianti
    Anticipi a fornitori Se riferiti ad acquisti di fattori produttivi pluriennali sono collocati in Attivo fisso
    Se riferiti ad acquisti di fattori produttivi di esercizio sono collocati in disponibilità economiche
    Anticipi da clienti Se riferiti a vendite di semilavorati o prodotti finiti entro i 12 mesi verranno collocati con il segno meno nelle disponibilità economiche
    Se riferiti a vendite di fattori produttivi pluriennali entro i 12 mesi verranno collocati con il segno meno nelle disponibilità economiche
    Se riferiti a vendite di semilavorati o prodotti finiti o fattori produttivi pluriennali, oltre i 12 mesi verranno collocati nelle passività correnti
    Se riferiti a vendite di fattori produttivi pluriennali oltre i 12 mesi verranno collocati nelle passività correnti

    37.2.2. Analisi della solvibilità aziendale

    37.2.2.Analisi della solvibilità aziendale

    Il processo di riclassificazione dello Stato patrimoniale consente all’analista di ottenere significative informazioni in merito ad aspetti rilevanti della gestione aziendale. Uno degli aspetti che può essere opportunamente controllato e monitorato dall’analisi di bilancio per indici è l’analisi della solvibilità aziendale ovvero l’analisi della capacità dell’azienda di rispettare i propri impegni finanziari.

    Qualora tale analisi riveli segnali di difficoltà, più o meno rilevanti, da parte dell’azienda, deve essere attentamente considerata la possibilità del sorgere dello stato di insolvenza. Un’azienda che si trova in condizioni di insolvenza con molta probabilità si sta avvicinando al dissesto, la fase terminale della crisi aziendale. Una volta constatata la situazione di insolvenza, all’azienda verrà sottoposta la richiesta di restituzione dei capitali concessi in prestito dai finanziatori, e conseguentemente si verificherà la chiusura delle linee di fido concesse dai fornitori. Tale situazione potrà comportare quindi il rischio del blocco delle attività produttive e commerciali. Indicazioni operative in merito al grado di solvibilità aziendale possono essere ottenute mediante l’analisi della liquidità e della solidità patrimoniale.

    Con il termine di liquidità aziendale si fa riferimento al raggiungimento dell’equilibrio aziendale, ovvero alla capacità dell’azienda di rispettare le scadenze dei pagamenti senza rischiare di compromettere le condizioni che garantiscono l’equilibrio economico e patrimoniale. In tale situazione l’analisi della solvibilità aziendale è proiettata in un’ottica di breve periodo.

    Qualora l’ottica invece si sposti dal breve al medio-lungo periodo (all’interno del quale l’azienda solida è in grado di mantenere un tendenziale equilibrio senza compromettere la gestione aziendale) verrà effettuata un’analisi della solidità patrimoniale la quale segnala la capacità di adeguamento della struttura delle fonti di finanziamento raccolte in relazione alla struttura degli impieghi, evidenziando la capacità del patrimonio aziendale di estinguere i debiti contratti, prescindendo dal periodo di scadenza.

    Tale capacità dipende essenzialmente da due fattori:

    • correlazione fra impieghi a medio-lungo termine e le fonti di finanziamento a medio-lungo termine;

    • la struttura dei finanziamenti.

    In particolare, il primo fattore risiede nel fatto che l’attivo immobilizzato caratterizzato da un periodo di ritorno in forma liquida piuttosto lungo necessita di modalità di finanziamento che avranno un impatto sul mantenimento dell’equilibrio finanziario nel medio-lungo termine. Per quanto riguarda il secondo fattore invece è collegato all’impatto dei finanziamenti sul rischio aziendale e sull’autonomia nella scelta dei finanziamenti degli impieghi. Tali aspetti possono quindi influenzare il rischio aziendale e in particolare il rischio di insolvenza oltre che incidere sul grado di autonomia dell’azienda dai finanziatori. In condizioni di forte dipendenza dai finanziatori l’azienda si trova in una posizione di elevata criticità rispetto ad eventuali eventi negativi provenienti dall’ambiente esterno.

    Le due differenti tipologie di analisi, la liquidità e solidità patrimoniale rappresentano due variabili da considerare congiuntamente per esprimere un giudizio sulla solvibilità aziendale.

    37.2.3. Analisi della liquidità

    37.2.3.Analisi della liquidità

    Qualora il processo di costruzione dello Stato patrimoniale finanziario sia stato realizzato correttamente, l’aggregato delle passività correnti indica l’importo dei debiti esigibili entro i 12 mesi successivi alla data del bilancio, mentre l’attivo circolante rappresenta l’importo degli impieghi che, con buona probabilità, si trasformeranno in denaro entro lo stesso periodo.

    L’analisi della liquidità è essenzialmente basata sul confronto tra questi (due aggregati) passività correnti e impieghi.

    In base al principio di finanziamento dell’attivo circolante gli impieghi di esercizio dovrebbero essere finanziati prevalentemente con il passivo corrente.

    Un’azienda può essere definita liquida quando - alla data di riferimento dello Stato patrimoniale - è in grado virtualmente di rimborsare le passività in scadenza nel breve periodo, senza compromettere le condizioni future di equilibrio patrimoniale ed economico.

    Al fine di verificare se l’azienda è in grado di fronteggiare la solvibilità nei 12 mesi successivi alla data di bilancio è necessario che venga rispettata la seguente condizione:

    Li + Ebp-Ubp > 0

    dove:

    Li = Liquidità immediate

    Ebp = entrate di breve periodo

    Ubp = uscite di breve periodo

    La verifica continua di tale condizione è resa necessaria dalla possibilità che l’equilibrio finanziario possa essere influenzato da eventi a carattere congiunturale che possano alterarne l’equilibrio, quali ad esempio il ritardo nel pagamento di alcune posizioni creditizie di elevati importi. Tale analisi può essere condotta attraverso l’analisi di bilancio anche se importanti informazioni possono essere ottenute anche con altri documenti, quali il budget di tesoreria e il Rendiconto finanziario (17.5.), in grado di fornire anche informazioni a carattere previsionale.

    Gli indicatori che possono essere utilizzati in tale tipo di analisi sono:

    • margini e quozienti che analizzano la correlazione fonti-impieghi nel breve periodo;

    • i quozienti che analizzano i legami temporali che esistono fra le operazioni all’interno dei cicli gestionali correnti.

    L’analisi della liquidità può essere condotta calcolando in primis gli indici che confrontano l’attivo circolante con le passività correnti. Il concetto di fondo richiederebbe che tutti gli elementi dell’attivo circolante possano trasformarsi in liquidità nel breve periodo e possano quindi garantire il rispetto della seguente equazione:

    M + Ld + Li - Pb >0

    dove:

    M = Rimanenze di magazzino

    Ld = Liquidità differite (crediti a breve)

    Li = Liquidità immediate (disponibilità liquide)

    Pb = Passivo corrente

    La stessa condizione può essere espressa in maniera più sintetica con tale equazione:

    Ac - Pb >0

    dove:

    Ac = attivo circolante

    Pb = Passivo a breve

    Dalla differenza dei due valori è possibile calcolare il margine di disponibilità (Capitale Circolante Netto o CCN) il cui valore può essere positivo, negativo o nullo. Se il valore è positivo l’importo dell’attivo circolante è superiore rispetto a quello del passivo corrente, quindi l’azienda presenta una situazione di equilibrio in quanto è in grado con l’attivo corrente di far fronte alle passività a breve termine.

    Dal rapporto fra tali valori è possibile ottenere il quoziente di disponibilità, o indice di struttura corrente, espresso dalla seguente formula:

    Indice di Struttura Corrente =
    (Current Ratio)
    Attivo Circolante
    Passività Correnti

    CASO 1 - Calcolo del margine/quoziente di disponibilità
    IMPIEGHI FONTI
    Attivo immobilizzato 10.000 Mezzi propri 6.000
    Attivo circolante 13.000 Passivo consolidato 8.000
    Rimanenze 3.000 Passivo corrente 9.000
    Liquidità differite 8.000
    Liquidità immediate 2.000
    CAPITALE INVESTITO 23.000 CAPITALE DI FINANZIAMENTO 23.000

    In base ai seguenti dati l’indice sarà pari a:

    Md o CCN = (3.000 + 8.000 + 2.000) - 9.000 = 4.000

    Il quoziente di disponibilità o Indice di struttura corrente sarà pari a:

    13.000/9.000 = 1,44

    In questo caso il valore maggiore di 1 segnala che l’importo delle attività correnti è maggiore dell’importo delle passività correnti.

    Valore negativo dell’indice di struttura corrente - L’interpretazione di tale indice assume una rilevanza particolarmente significativa soprattutto quando presenta valori inferiori a 1: ciò segnala che l’importo dell’attivo circolante non sarebbe sufficiente qualora fosse necessario procedere al rimborso integrale delle passività in scadenza. Di conseguenza, una teorica richiesta di rientro dei debiti a breve da parte dei finanziatori potrebbe essere soddisfatta solamente ricorrendo allo smobilizzo di una parte dell’attivo fisso. Questa eventualità comprometterebbe indubbiamente le condizioni future di operatività e di equilibrio economico: in tale ipotesi l’azienda analizzata potrebbe senza dubbio essere definita come non liquida.

    La presenza di un valore negativo dell’indice di struttura corrente può essere motivata da un eccessivo ricorso all’indebitamento di breve termine.

    Il ripristino dell’equilibrio dovrebbe quindi prevedere una modifica sostanziale della struttura delle fonti di finanziamento. Una delle modalità che può essere utilizzata dal management in una situazione del genere è rappresentata dal “consolidamento dei debiti”: si tratta di una soluzione che può essere rapida e efficace in quanto consiste nell’accensione di debiti di finanziamento a medio-lungo termine, attraverso i quali sia possibile ridurre l’esposizione debitoria di breve periodo. La possibilità concreta di realizzare tale tipologia di operazione è influenzata dalla disponibilità di beni di valore sufficiente che possano garantire i nuovi finanziamenti. Quale modalità alternativa, i soci stessi potrebbero concedere un finanziamento, in relazione al quale non sarebbero richieste garanzie reali.

    Altra soluzione percorribile è rappresentata dalla alienazione di eventuali cespiti non strumentali: tale operazione consentirebbe di ridurre in tempi relativamente rapidi l’ammontare dei debiti a breve termine. In tale ipotesi la motivazione della rinuncia al bene da parte degli amministratori potrebbe essere rappresentata dalla eventualità concreta del sopraggiungere di uno stato di insolvenza, causato ad esempio da una imminente scadenza di un finanziamento o dal pagamento di un fornitore.

    Qualora il management non ritenga necessario ricorrere a misure straordinarie, il raggiungimento dell’equilibrio fonti-impieghi del breve periodo richiede un periodo certamente più lungo, durante il quale il cash flow generato e potenzialmente utilizzabile dovrebbe essere impiegato per la riduzione dei debiti a breve, rinunciando ad esempio alla possibilità di distribuire dividendi o di effettuare eventuali investimenti di natura extra-operativa.

    Valore positivo dell’indice di struttura - In presenza di un valore positivo dell’indice di struttura corrente l’azienda si trova in condizioni di poter teoricamente rimborsare le passività in scadenza mediante lo smobilizzo parziale o integrale di tutto o di una parte dell’attivo circolante. Tuttavia, in tale ipotesi, prima di esprimere un giudizio positivo sulla liquidità, è opportuno confrontare l’attivo circolante al netto delle disponibilità economiche, con le passività correnti.

    Le disponibilità economiche, infatti, possono trasformarsi in liquidità solamente attraverso la realizzazione di un processo operativo (di produzione e vendita, oppure solamente di vendita, oltre che lo stadio della liquidazione ovvero dell’incasso dei crediti per effetto della dilazione dei ricavi di vendita), per il quale può essere necessario un periodo di tempo più o meno lungo per essere realizzato in termini di convenienza economica.

    Da considerare inoltre il fatto che le rimanenze di magazzino frequentemente comprendono una parte, detta scorta vincolata, che presenta caratteristiche molto più vicine all’attivo fisso che all’attivo circolante. Per evitare tali difficoltà una possibilità potrebbe essere offerta dalla scomposizione del magazzino in due parti:

    • il magazzino liquidabile nel breve termine;

    • il magazzino non liquidabile a breve.

    In considerazione di ciò sia il margine che il quoziente di disponibilità potrebbero includere soltanto la parte del magazzino liquidabile e fornire quindi indicazioni maggiormente attendibili sul grado di solvibilità dell’azienda nel breve termine.

    Indice di liquidità secca

    L’indice di liquidità secca, o in altri termini, quoziente di tesoreria (quick ratio o acid test) è dato dal rapporto tra la somma delle liquidità immediate e differite (sia operative che finanziarie) e le passività correnti:

    Nel caso in cui questo indicatore assuma valori maggiori di 1 potremo affermare che l’azienda si trova in una situazione di liquidità alla data di bilancio.

    Anche per questo indicatore è possibile calcolare il relativo margine che sarà dato da:

    Mt = (Ld + Lt) - Pb

    Una variante del precedente indicatore può essere calcolata sottraendo dal denominatore gli anticipi ricevuti da clienti, i quali, nel presupposto della continuità aziendale, non esprimono debiti da rimborsare quanto piuttosto il valore delle rimanenze di magazzino oggetto di un contratto di compravendita da parte dell’azienda:

    In tal caso il valore degli acconti da clienti andrà dunque a rettificare le rimanenze di magazzino.

    Ci potrebbero essere invece dubbi interpretativi nel caso in cui l’indice di struttura corrente assuma valore maggiore di 1, e l’indice di liquidità secca inferiore ad 1. I due risultati contrapposti segnalerebbero una situazione operativa in cui l’attivo circolante è complessivamente in grado di coprire le passività correnti, mentre la sommatoria delle liquidità immediate e differite non è altrettanto sufficiente.

    In questi casi, la chiave interpretativa più efficace per l’analisi ed il commento degli indicatori è basata sulla comparazione, tramite cui è possibile esprimere un giudizio in termini migliorativi o peggiorativi, piuttosto che esprimere un giudizio legato esclusivamente alla positività o negatività dei valori ottenuti dal calcolo.

    In ogni situazione l’obiettivo dovrebbe essere di ripristinare l’equilibrio tra fonti e impieghi che dovrebbe condurre verso la ricerca di soluzioni operative più efficienti attraverso le quali diminuire la consistenza media delle rimanenze di materie prime e prodotti finiti, a parità di volumi di vendita.

    Il miglioramento dell’efficienza produttiva permetterebbe di modificare la composizione dell’attivo circolante:

    • diminuendo gli impieghi di capitale e dunque i fabbisogni di finanziamento collegati alle giacenze di magazzino e

    • accelerando la produzione di flussi di cassa da utilizzare per una tempestiva e puntuale estinzione dei debiti a breve.

    In base al principio di correlazione fonti-impieghi la scelta della tipologia delle fonti di finanziamento dovrebbe privilegiare l’accensione di debiti a medio-lungo termine piuttosto che di quelli a breve termine.

    CASO 2 - Calcolo del margine/quoziente di tesoreria (indice di liquidità secca)
    IMPIEGHI FONTI
    Attivo immobilizzato 10.000 Mezzi propri 6.000
    Attivo circolante 13.000 Passivo consolidato 8.000
    Rimanenze 3.000 Passivo corrente 9.000
    Liquidità differite 8.000
    Liquidità immediate 2.000
    CAPITALE INVESTITO 23.000 CAPITALE DI FINANZIAMENTO 23.000

    In base ai seguenti dati gli indici saranno pari a:

    Mt = (8.000 + 2.000) - 9.000 = 1.000

    Qt = (8.000 + 2.000)/ 9.000 = 1,11

    Il margine e il quoziente di tesoreria inoltre possono essere considerati in base alla prospettiva del grado di dipendenza dal magazzino dell’equilibrio finanziario di breve termine. In altri termini se il quoziente di tesoreria è maggiore di uno (e il margine è positivo) l’equilibrio finanziario di breve termine non dipende dalla capacità del magazzino di trasformarsi in liquidità nel breve termine.

    Se ci troviamo nella situazione opposta, ovvero il quoziente di tesoreria è minore di uno (e il margine negativo) l’equilibrio finanziario di breve termine è invece più o meno influenzato dalla capacità del magazzino di trasformarsi in forma liquida.

    Di seguito vengono sintetizzate alcune tipologie di giudizio legate al segno dei valori assunti dagli indici di liquidità e sono indicati alcuni interventi adottabili per favorire il miglioramento dei risultati:

    Valore indicatori Giudizio liquidità Interventi di miglioramento
    Attivo Circolante < Passività
    correnti
    Giudizio negativo conseguente a squilibrio tendenzialmente grave - Consolidamento dei debiti.
    - Dismissione immobilizzazioni extra-operative.
    - Utilizzo del cash flow liberamente disponibile esclusivamente per la riduzione dei debiti a breve.
    Attivo Circolante > Passività
    correnti e:
    Giudizio positivo
    Liquidità immediate e differite > Passività correnti Giudizio positivo
    Liquidità immediate e differite < Passività correnti Giudicare l’eventuale miglioramento o peggioramento attraverso comparazioni temporali o spaziali - Ricercare soluzioni operative più efficienti per ridurre la giacenza media di prodotti finiti e materie prime.
    - In relazione alla scelta delle fonti di finanziamento preferire l’accensione di debiti a medio-lungo termine rispetto a quelli a breve termine.
    - Utilizzare il cash flow disponibile soltanto per ridurre i debiti a breve termine.

    Calcolo e interpretazione del cash ratio

    Un indicatore utile per controllare il grado di liquidabilità dell’attivo circolante è calcolato ponendo al numeratore il totale delle liquidità immediate e differite di natura finanziaria e al denominatore l’attivo circolante:

    L’interpretazione di tale indice suggerisce che, se il valore dell’indicatore si avvicina ad 1, l’attivo corrente sarebbe immediatamente utilizzabile per la copertura delle passività in scadenza, con un minimo rischio di sopportare perdite economiche conseguenti alla trasformazione in denaro delle attività correnti.

    Considerazioni di sintesi sull’analisi della solvibilità aziendale

    Al termine di tale analisi sulla solvibilità aziendale è importante sottolineare che il principale vantaggio legato all’utilizzo degli indici commentati sopra è rappresentato dalla estrema semplicità di calcolo e facilità di confronto anche con realtà esterne. Al tempo stesso è necessario sottolineare che i valori calcolati alla data di bilancio potrebbero segnalare una situazione approssimativa, non necessariamente attendibile di quanto effettivamente avviene durante l’esercizio amministrativo.

    Gli indicatori di liquidità, infatti, permettono di offrire una rappresentazione della situazione aziendale alla data di riferimento del bilancio. Ciò, tuttavia, non offre certezze o garanzie che la situazione possa cambiare o svilupparsi in maniera significativamente diversa. Ad esempio, se il margine di tesoreria esprime un valore positivo ciò significa che alla fine dell’esercizio amministrativo l’azienda presenta una eccedenza di liquidità ma ciò non garantisce che durante l’anno vi sia stata la stessa situazione di eccedenza di liquidità. La positività di tali indicatori, quindi, non rappresenta una condizione sufficiente per garantire l’esistenza di una situazione di liquidità nel breve termine.

    Alcuni elementi per migliorare l’analisi sulla solvibilità nel breve termine dovrebbero pervenire da documenti che nella maggior parte dei casi l’analista esterno non è in grado di reperire. Ad esempio, sarebbe utile poter consultare i piani di tesoreria, che sono strumenti interni di gestione e potrebbero servire di completamento delle informazioni desumibili dagli indici finora commentati.

    Nonostante alcuni limiti informativi nella pratica operativa gli indici di bilancio sono molto utilizzati, non tanto per valutare le capacità di produrre liquidità, quanto piuttosto in termini prudenziali, per esprimere un giudizio sulla capacità aziendale di estinguere i debiti in scadenza qualora la generazione di nuova liquidità risultasse impossibile.

    Indici di rotazione/durata

    L’analisi di liquidità viene spesso integrata con indicatori che permettono di valutare la rotazione/durata degli elementi del capitale circolante, anche se la prassi operativa ritiene che il Rendiconto finanziario (17.5.) sia lo strumento più efficace per valutare la capacità dell’azienda di produrre liquidità.

    Gli indici di rotazione del capitale circolante netto e la durata media del capitale circolante netto tendono a risolvere uno dei limiti informativi delle due tipologie di indicatori commentati ossia il problema legato alla discontinuità della gestione, ovvero al fatto che riflettono esclusivamente la situazione al 31/12 senza considerare la distribuzione temporale dei flussi finanziari all’interno del periodo amministrativo.

    L’obiettivo principali degli indici di rotazione/durata è di investigare la velocità di trasformazione in forma liquida delle varie classi di valori dell’attivo circolante e la velocità di estinzione delle passività correnti.

    In termini generali l’equilibrio finanziario di breve termine potrà essere raggiunto più facilmente, a parità di condizioni, qualora la velocità di ritorno in forma liquida dell’attivo circolante sia superiore alla velocità di estinzione delle passività correnti.

    Il focus, quindi, è incentrato sulla velocità di rinnovo, ovvero l’intensità della rotazione delle singole poste contabili che compongono il capitale circolante netto operativo. L’analisi è limitata alla parte del capitale circolante netto che si rinnova come diretta conseguenza del succedersi dei cicli operativi legati a acquisto-trasformazione-vendita. L’indagine sarà quindi volta a calcolare i tempi medi mediante i quali si verificano i flussi finanziari legati ai cicli gestionali correnti di acquisto-trasformazione-vendita.

    I flussi finanziari sono legati a due momenti fondamentali:

    • il pagamento dei costi relativi all’acquisto dei fattori produttivi correnti e

    • la riscossione dei ricavi legati alle vendite.

    Si possono prospettare due situazioni diverse: la prima prevede che l’incasso avvenga successivamente al pagamento dei fattori produttivi correnti: in tale ipotesi lo svolgimento dei cicli operativi produce un fabbisogno di finanziamento che deve essere soddisfatto affinché sia possibile garantire la solvibilità nel breve periodo. La situazione sarà tanto più critica quanto più elevato è il periodo che intercorre fra il pagamento e l’incasso.

    Nella seconda situazione invece l’incasso delle vendite precede il pagamento degli acquisti correnti e quindi i cicli gestionali generano liquidità, creando condizioni favorevoli per il mantenimento delle condizioni di equilibrio finanziario.

    Esempio

    Considerando il caso di un’azienda industriale o commerciale è possibile ipotizzare che:

    • il pagamento dei costi relativi all’acquisto dei fattori produttivi correnti potrà avvenire soltanto dopo il periodo di dilazione concesso ai fornitori;

    • l’incasso dei ricavi relativi alle vendite si verificherà dopo il periodo di giacenza delle scorte e il successivo periodo di dilazione concesso ai clienti.

    In sostanza quindi per valutare i flussi finanziari legati ai cicli operativi sarà necessario considerare:

    • i tempi di giacenza delle rimanenze di magazzino;

    • i tempi di incasso dei crediti commerciali;

    • i tempi di pagamento dei debiti commerciali.

    Tali indici non prendono in considerazione i tempi della liquidità delle attività finanziarie a breve e dei debiti finanziari a breve dal momento che non sono oggetto di rinnovo continuo ma sono il risultato indiretto delle conseguenze indirette di natura finanziaria dei cicli operativi.

    In termini tecnici la velocità di rinnovo può essere analizzata in un duplice modo:

    • intensità (frequenza) di rotazione;

    • tempo medio di rinnovo.

    Indici di rotazione/durata delle scorte - Qualora il riferimento sia alla prima modalità si avranno indici di rotazione che esprimeranno quante volte un dato stock, riferito a una classe di valori, è destinato a rinnovarsi in conseguenza dei cicli gestionali.

    Il secondo caso invece si riferisce a indici che esprimono quanto tempo è necessario, in media, per il rinnovo di un dato stock di valori in conseguenza dei cicli gestionali.

    Prendendo in analisi le tre classi di stock del capitale circolante operativo netto iniziando dalle rimanenze di magazzino è possibile calcolare l’indice di rotazione e il tempo medio di giacenza delle scorte. L’indice di rotazione (IRs) si ottiene dal rapporto fra le vendite e il valore delle giacenze di magazzino ovvero è pari a:

    IRs = V/M

    Il tempo medio di giacenza delle scorte (o tempo medio di rinnovo delle scorte) invece sarà pari a:

    Ggs = M/V * 365 giorni

    Tale indicatore fornisce informazioni in merito al tempo medio in cui le rimanenze si trovano in magazzino per un determinato periodo. Il risultato viene espresso in giorni.

    CASO 3 - Calcolo dell’indice di rotazione/durata delle scorte

    Si considerino i seguenti dati: ricavi delle vendite pari a 16.000 euro e capitale investito nelle scorte pari a 2.000 euro, il calcolo degli indici sarà il seguente:

    IRs = 16.000/2.000 = 8

    Tale importo relativo all’indice di rotazione delle scorte può essere interpretato nel seguente modo: il magazzino si rinnova otto volte l’anno facendo l’ipotesi che lo stock di magazzino venga rinnovato in conseguenza delle vendite effettuate.

    Il tempo medio di giacenza delle scorte sarà pari a:

    Ggs = 2.000/16.000 * 365 = 45 giorni

    In altri termini se il magazzino si rinnova otto volte l’anno questo significa che necessita di 1/8 di anno ovvero di 45 giorni per rinnovarsi e che quindi il tempo medio di giacenza è pari a 45 giorni.

    Il calcolo dell’indice di rotazione e del tempo medio di giacenza delle scorte viene spesso utilizzato ma è necessario ricordare che tali indici hanno dei limiti tecnici, quali:

    • le due grandezze dell’indice sono eterogenee in quanto le vendite esprimono una grandezza flusso riferita a un dato esercizio amministrativo mentre il magazzino è una grandezza stock che esprime un valore riferito alla fine dell’esercizio amministrativo;

    • le vendite e il magazzino sono espresse con criteri di valutazione diversi.

    Per risolvere il primo aspetto sarebbe necessario calcolare il rapporto fra le vendite annue e il magazzino medio dell’esercizio. Il calcolo basato sul valore del magazzino riferito al 31/12 potrebbe essere alterato da fenomeni congiunturali, frequenti in particolare per le aziende dove la gestione delle scorte è caratterizzata da forte stagionalità, che possono determinare incrementi o decrementi di natura anomala. Il dato relativo al magazzino medio non è comunque disponibile per un analista esterno e quindi il problema rimane.

    Tale difficoltà può essere superata soltanto tenendo conto della possibile distorsione in sede di interpretazione dei risultati legata alla differenza fra il valore del magazzino di fine esercizio e il valore delle rimanenze mediamente esistenti durante l’anno.

    L’altro limite discende dal fatto che i criteri di valutazione adottati per il numeratore e il denominatore sono disomogenei. I ricavi di vendita sono ottenuti come sommatoria dei prezzi di vendita mentre il magazzino viene generalmente valorizzato al costo.

    In tale situazione, essendo il prezzo superiore al costo, si verifica una sorta di sopravvalutazione dell’indice di rotazione, ovvero una sottostima del tempo medio di giacenza. Tale distorsione viene accentuata tanto più sono elevati i margini di vendita. Il problema può essere eliminato sostituendo ai ricavi delle vendite il costo del venduto che viene ottenuto nel modo seguente:

    Acquisti di merce

    +/- Variazione delle rimanenze di merce/prodotti finiti

    - Costo delle merci vendute

    L’importo ottenuto (costo del venduto) viene inserito al numeratore nel primo indice e al numeratore nel secondo indice.

    Indici di rotazione/tempo medio di incasso dei crediti verso clienti

    L’altra classe di valori che può essere considerata nell’ambito di tale tipologia di indici è rappresentata dai crediti verso i clienti e quindi dall’indice di rotazione e dal tempo medio di incasso dei crediti verso clienti. I crediti verso i clienti si rinnovano durante i cicli operativi in conseguenza della presenza sia di incassi, che determinano l’estinzione dei crediti verso clienti esistenti, che delle nuove vendite che determinano la nascita di nuovi crediti.

    Gli indici che devono esprimere la velocità di rinnovo dei crediti per effetto delle vendite possono essere espressi in due modi:

    • come frequenza di rotazione ovvero come numero di volte in cui i crediti verso clienti si rinnovano in un esercizio mediante il conseguimento dei ricavi;

    • come tempo medio di incasso ovvero come numero di giorni in cui i crediti commerciali vengono mediamente incassati.

    L’indice di rotazione dei crediti commerciali viene calcolato nel seguente modo:

    IRc = V/Ccl

    dove:

    V= ricavi delle vendite

    Ccl = crediti commerciali iscritti in bilancio

    Si tratta quindi di un rapporto fra le vendite e i crediti di natura commerciale.

    Il calcolo del tempo medio di incasso dei crediti verso clienti è dato da:

    Ggc = Ccl/V * 365 giorni

    Tale indicatore fornisce informazioni in merito al tempo medio in cui i crediti impiegano a rinnovarsi completamente. Il risultato viene espresso in giorni. Il tempo medio di rinnovo dei crediti coincide con il tempo medio di incasso in quanto se i crediti si rinnovano in un certo periodo mediamente questo sta a significare che la vita media dei crediti è uguale allo stesso periodo.

    CASO 4 - Calcolo dell’indice di rotazione/tempo medio di incasso dei crediti verso clienti

    Si considerino i seguenti dati: ricavi delle vendite pari a 16.000 euro e crediti verso clienti pari a 4.000 euro, l’indice di rotazione dei crediti sarà pari a:

    IRc = 16.000/4.000 = 4

    In conseguenza delle vendite e dei relativi incassi i crediti verso clienti si rinnovano 4 volte l’anno dal momento che le vendite sono pari a 4 volte il totale dei crediti. La rotazione dei crediti, quindi, sarebbe di 4 volte l’anno.

    Il calcolo del tempo medio di incasso dei crediti verso clienti sarà:

    Ggc = 4.000/16.000 * 365 = 91 giorni

    In altri termini se i crediti si rinnovano 4 volte l’anno, vuol dire che impiegano circa ¼ di anno, ovvero circa 90 giorni, a rinnovarsi e quindi che il tempo medio di incasso dei crediti è pari a circa 90 giorni.

    Pur in presenza di una ampia diffusione dell’utilizzo di tali indicatori, è necessario segnalare la presenza di alcune difficoltà di natura tecnica quali:

    • disomogeneità delle grandezze presenti al numeratore e al denominatore: anche in questo caso le vendite sono una grandezza flusso relative all’intero esercizio mentre i crediti sono una grandezza stock misurata alla fine dell’esercizio;

    • le vendite e i crediti verso clienti vengono valorizzati in maniera differente dal momento che i crediti sono comprensivi dell’IVA.

    In merito alla prima difficoltà, per evitarla sarebbe necessario inserire il valore medio dei crediti verso clienti. Il valore dei crediti verso clienti riferito alla data del 31/12 potrebbe essere influenzato da fenomeni di natura congiunturale, legati in particolare alla stagionalità di alcune attività produttive, e quindi subire alterazioni dovute a incrementi o decrementi di natura non fisiologica. Anche in questo caso sarebbe necessario disporre del dato medio, che non è tuttavia disponibile per l’analista esterno. Sarà quindi necessario provvedere a tenere in considerazione tale aspetto in sede di interpretazione dei dati a causa delle possibili difformità fra i crediti iscritti in bilancio e il loro valore medio.

    L’altra difficoltà invece è dovuta alla presenza dell’IVA che rende disomogeneo il valore che si ottiene dal calcolo degli indici.

    Il calcolo, quindi, viene alterato dalla assenza dell’IVA al numeratore e dalla sua presenza (all’interno del valore dei crediti) al denominatore. Da tali considerazioni emerge quindi che il valore dell’indice di rotazione è sottostimato mentre quello dell’indice del tempo medio di incasso dei crediti è sovrastimato. Tale difficoltà tecnica può essere risolta depurando il valore dei crediti verso clienti dall’IVA. Facendo riferimento a vendite assoggettate ad IVA con aliquote diverse, dovrà essere presa in considerazione l’aliquota media IVA.

    L’indice di rotazione dei crediti si modificherà nel seguente modo:

    dove IVA è l’aliquota media

    Allo stesso modo la formula del tempo medio di incasso si modifica nel seguente modo:

    Indici di rotazione/tempo medio di pagamento dei debiti verso fornitori

    L’ultima classe di valori che deve essere considerata nell’ambito di tale tipo di analisi sono i debiti commerciali. Tali valori si rinnovano durante i cicli operativi per effetto del verificarsi sia del pagamento dei debiti, che determina l’estinzione dei debiti esistenti, sia dei nuovi acquisti che determinano la nascita di nuovi debiti. L’indicatore di velocità dei debiti verso fornitori deve quindi esprimere la velocità del rinnovo dei debiti per effetto degli acquisti. Tale velocità, in maniera analoga a quanto visto precedentemente, può essere espressa sia in termini di frequenza di rotazione (ovvero come numero di volte in cui i debiti verso fornitori si rinnovano in conseguenza degli acquisti nell’ambito di un esercizio) sia in termini di tempo medio di pagamento (ovvero come numero dei giorni che mediamente sono necessari per pagare i debiti commerciali).

    La formula relativa all’indice di rotazione dei debiti commerciali sarà data da:

    IRd = A/Df

    dove

    A = acquisti di beni e servizi (si tratta delle voci B6 e B7 del Conto economico civilistico)

    Df = debiti verso fornitori

    Tale indicatore consente di esprimere la velocità del rinnovo dei debiti per effetto degli acquisti.

    Il calcolo del tempo medio di pagamento dei debiti verso fornitori (o tempo medio di rinnovo dei debiti) sarà pari a:

    Tale indice esprime in giorni il tempo medio necessario affinché i debiti si rinnovino completamente. Il tempo medio di rinnovo equivale al tempo medio di pagamento dal momento che la vita media dei debiti, cioè il tempo medio di pagamento è pari allo stesso periodo.

    Il tempo medio di pagamento dei debiti ai fornitori sarà pari a:

    Ggd = 4.000/12.000 * 365 = 121 giorni

    In altri termini se i debiti si rinnovano 3 volte l’anno, vuol dire che impiegano circa 1/3 di anno, ovvero circa 120 giorni, a rinnovarsi e quindi che il tempo medio di incasso dei crediti è pari a circa 120 giorni.

    CASO 5 - Calcolo dell’indice di rotazione/tempo medio di pagamento dei debiti commerciali

    Si considerino i seguenti dati: acquisti pari a 12.000 euro e debiti verso fornitori pari a 4.000 euro. L’indice di rotazione dei debiti commerciali sarà pari a:

    IRd = 12.000/4.000 = 3

    Tale importo può essere interpretato nel seguente modo: in conseguenza degli acquisti e dei relativi pagamenti, i debiti commerciali si rinnovano tre volte l’anno dal momento che gli acquisti sono pari a tre volte il totale dei debiti. La rotazione dei debiti commerciali è quindi di tre volte all’anno.

    Anche il caso degli indici legati alla velocità dei debiti commerciali presenta alcune imperfezioni tecniche. In particolare, vengono segnalati i seguenti aspetti:

    • gli acquisti esprimono una grandezza flusso riferita all’intero esercizio mentre i debiti sono una grandezza stock misurata alla fine del periodo amministrativo;

    • gli acquisti e i debiti verso i fornitori sono valorizzati in modo differente, dal momento che i debiti includono l’IVA.

    In merito alla prima problematica sarebbe opportuno ricorrere al valore medio dei debiti commerciali dal momento che il valore dei debiti di fine anno potrebbe essere alterato da incrementi o decrementi congiunturali o stagionali dei debiti. Anche in questo caso il valore medio non è disponibile per l’analista esterno e quindi si suggerisce di utilizzare nel calcolo il dato finale pur tendendo in considerazione le possibili distorsioni dovute alla diversità fra il valore dei debiti al 31/12 e il valore medio.

    In riferimento alla seconda difficoltà anche in questo caso sarà possibile depurare i debiti verso fornitori dell’IVA dal momento che il calcolo conduce a una sottostima dell’indice di rotazione e a una sovrastima del tempo medio di giacenza. Nel caso di acquisti effettuati con aliquote diverse si farà riferimento a una aliquota media.

    I due indicatori si modificheranno nel seguente modo:

    dove IVA è aliquota media.

    Ulteriori informazioni possono essere fornite dai valori che riguardano gli impegni futuri e le garanzie prestate che, precedentemente, venivano riportati tra i conti d’ordine in calce allo Stato patrimoniale e che oggi (con le modifiche normative successive al D.Lgs. n. 139/2015) vengono esposte in Nota integrativa (art. 2427, punto 9, c. 1, c.c.). Tale informativa è di estrema utilità ed è in grado di integrare con efficacia le informazioni desumibili dagli indicatori o dalla lettura dei prospetti di bilancio.

    Gli impegni futuri permettono di esprimere un giudizio di valutazione in chiave prospettica riguardo al fabbisogno di liquidità collegato agli impegni già sottoscritti che tuttavia non producono alcun riflesso in bilancio. Le garanzie prestate, invece, assumono rilevanza in particolare a supporto dell’analisi di solidità patrimoniale.

    Tali poste rappresentano delle passività potenziali che l’azienda potrebbe essere obbligata ad estinguere in caso di insolvenza dell’obbligato principale (un’azienda consociata o un terzo). In tale ipotesi, ovvero di probabile impegno all’estinzione delle garanzie prestate, i relativi valori dovrebbero essere sommati alle passività effettive. In caso contrario le garanzie prestate dovrebbero essere considerate al momento del commento dell’analisi di bilancio, quali rischi che potrebbero modificare la situazione in maniera anche significativa.

    Durata del ciclo monetario

    Attraverso gli indicatori di rotazione e di durata è possibile integrare l’analisi della liquidità, con informazioni sulla dinamica di incassi e pagamenti riconducibili al ciclo operativo corrente. A tale scopo gli indicatori di durata possono essere opportunamente combinati per ottenere una stima della durata del ciclo monetario, ovvero il periodo di tempo che intercorre tra il pagamento dei fornitori per l’acquisizione dei fattori produttivi e l’incasso del corrispettivo derivante dalla vendita dei prodotti finiti.

    La durata del ciclo monetario può essere stimata utilizzando la seguente formula:

    Durata magazzino materie
    + Durata ciclo produttivo
    + Durata magazzino prodotti
    + Durata crediti commerciali
    - Durata debiti commerciali
    Durata ciclo monetario

    Il valore relativo alla durata del ciclo produttivo potrà essere inserito nella formula solo se rilevante; in caso contrario può essere posto pari a zero (per esempio per i cicli produttivi che si esauriscono nell’arco di una giornata).

    La durata del ciclo monetario condiziona, a parità di volumi operativi, la dimensione del fabbisogno finanziario residuo.

    37.2.4. Analisi della solidità patrimoniale

    37.2.4.Analisi della solidità patrimoniale

    Per esprimere un giudizio sulla solidità patrimoniale dell’azienda possono essere utilizzati due differenti strumenti:

    • l’analisi di correlazione fonti-impieghi;

    • l’analisi di capienza del capitale netto.

    Lo scopo principale dell’analisi di correlazione fonti-impieghi - tra i cui indicatori rientrano anche gli indicatori di liquidità - è quello di valutare l’adeguatezza della struttura delle fonti di finanziamento utilizzate in relazione alla struttura degli impieghi, al fine di verificarne il grado di sincronizzazione, ovvero se il tempo di scadenza delle fonti è sincronizzato con il tempo di recupero degli impieghi.

    Da tale concetto deriva il principio basilare della solidità patrimoniale in base al quale l’attivo fisso dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo permanente.

    Da ciò deriva che il tempo di estinzione delle fonti dovrebbe essere omogeneo con il tempo richiesto dagli impieghi per convertirsi in forma liquida.

    Correlazione fonti-impieghi

    Per sincronizzare adeguatamente le fonti agli impieghi occorrerebbe finanziare l’attivo fisso con fonti durevoli (capitale netto o, in alternativa, passività a medio e lungo termine), mentre l’attivo circolante dovrebbe essere finanziato da fonti con scadenza nel breve periodo (il confronto su cui si concentra l’analisi della liquidità).

    Tale situazione eviterebbe situazioni di incaglio dove potrebbe presentarsi il seguente caso: l’impiego in fattori produttivi pluriennali richiede un rientro mediante i ricavi superiore all’esercizio amministrativo, il finanziamento richiede una estinzione in tempi inferiore quindi l’azienda potrebbe non essere in grado di far fronte alle proprie obbligazioni.

    L’analisi di correlazione in realtà permette di esprimere un giudizio sulla solidità patrimoniale di un’azienda solo in maniera indiretta: la sincronizzazione delle fonti di finanziamento rispetto alla struttura degli impieghi dovrebbe attenuare il rischio di punte finanziarie, ovvero crisi di liquidità generate dalla non disponibilità di risorse liquide - o facilmente liquidabili - sufficienti ad estinguere un debito in scadenza. In tal senso un’azienda che presenta un basso rischio di incorrere in crisi di liquidità può definirsi solida.

    In generale è possibile affermare che se un’azienda è liquida, risulterà allo stesso tempo anche solida. Infatti, tecnicamente, il confronto tra attivo e passivo corrente effettuato durante l’analisi della liquidità permette di verificare in termini speculari se anche le fonti di finanziamento a carattere permanente (mezzi propri e passività consolidate) sono correttamente sincronizzate con l’attivo fisso.

    Per poter esprimere un giudizio sulla solidità patrimoniale sarebbe opportuno considerare anche il grado di capitalizzazione o di autonomia finanziaria, ovvero verificare il grado di utilizzo dei mezzi propri per la copertura degli investimenti operativi. In tale ottica il finanziamento degli investimenti con mezzi propri determina un duplice effetto positivo:

    • la caratteristica principale dell’aggregato mezzi propri è quella di non essere soggetto ad obbligo di rimborso, non assorbendo, salvo casi eccezionali, la liquidità prodotta; date tali condizioni quanto maggiore è il grado di finanziamento dell’attivo fisso da parte dei mezzi propri, tanto più elevata sarà la capacità dell’azienda di conservare la liquidità generata;

    • i mezzi propri rappresentano una classe di valori soggetta al rischio d’impresa: qualora dovesse essere chiamato ad assorbire eventuali perdite economiche e non sarà rimborsato se, in caso di cessazione aziendale, non sarà sufficiente a coprire eventuali perdite.

    Con riferimento a questi aspetti è possibile utilizzare due indicatori attraverso i quali sia possibile verificare l’adeguata presenza di mezzi propri, o in alternativa evidenziare la necessità di ricapitalizzazione. Se si dovesse verificare la progressiva erosione dei mezzi propri saremmo di fronte ad un importante sintomo di una crisi in atto.

    Indice di copertura delle immobilizzazioni tecniche - Viene calcolato nel seguente modo:

    Si tratta di una versione “ristretta” del quoziente di struttura primario che risulta pari al rapporto fra i mezzi propri e l’attivo fisso, mentre il quoziente di struttura secondaria viene calcolato inserendo al numeratore i mezzi propri e il passivo a medio-lungo termine. Il quoziente di struttura secondario rappresenta la visione speculare dell’indice di struttura corrente: è infatti calcolato utilizzando le voci residuali dello Stato patrimoniale finanziario.

    Considerando il primo indicatore, le immobilizzazioni tecniche corrispondono ai fattori produttivi durevoli coinvolti nell’attività operativa (immobilizzazioni materiali). L’interpretazione dell’indice di copertura delle immobilizzazioni tecniche, così come l’indice di struttura primario o secondario, richiede la comparazione con benchmark di settore: in termini assoluti risulta evidente che quanto più l’indicatore è vicino all’unità, tanto più l’azienda ha la possibilità di beneficiare dei due aspetti di natura finanziaria sopra descritti.

    In caso di squilibrio fonti-impieghi le azioni volte al risanamento sono analoghe a quelle descritte (37.2.3.) a proposito dell’indice di struttura corrente.

    Capitale netto di garanzia

    Quoziente di struttura secondaria - Il secondo indicatore di solidità, ovvero il quoziente di struttura secondario, permette di esprimere un giudizio sull’adeguatezza dei mezzi propri quale fondo di garanzia per i creditori aziendali.

    L’indicatore in oggetto prende appunto il nome di capitale netto di garanzia: per pervenire al suo calcolo è necessaria una stima delle perdite che l’azienda subirebbe qualora fosse messa in liquidazione, verificando dunque se l’ammontare dei mezzi propri fosse sufficiente alla loro copertura.

    In questo senso l’azienda può essere definita solida quando non sottopone i propri creditori al rischio di dover sopportare perdite di liquidazione: ciò corrisponde ad affermare che gli investimenti aziendali sono in grado di generare, in caso di estrema necessità, un ammontare di liquidità sufficiente a rimborsare tutti i creditori.

    Il processo di stima delle perdite di liquidazione, tuttavia, può essere condizionato da approssimazioni, nonché dalla soggettività dell’analista. Nonostante tali difficoltà il valore informativo del capitale netto di garanzia può risultare estremamente significativo e giustificare tali calcoli ed elaborazioni.

    L’individuazione delle perdite di liquidazione è collegata ad una lettura e interpretazione dello Stato patrimoniale abbandonando il presupposto della continuità (going concern), in favore di un’ottica di break up, ossia di interruzione della vita aziendale. Le perdite di liquidazione corrispondono a quelle poste contabili iscritte a Stato patrimoniale non suscettibili di essere dismesse isolatamente rispetto alla combinazione aziendale. In mancanza di informazioni più accurate il valore della perdita viene considerato pari al valore di iscrizione dell’investimento a Stato patrimoniale.

    Gli oneri pluriennali rappresentano in questo senso delle perdite di liquidazione oggettive, suscettibili di produrre ritorni monetari nel corso degli esercizi successivi solo nel caso in cui l’azienda prosegua la propria attività, ma inutilizzabili in caso di liquidazione aziendale.

    In altri casi la classificazione di un investimento come perdita di liquidazione o come attivo liquidabile dipende da una valutazione soggettiva e più o meno prudenziale dell’analista. Nella tavola seguente sono sintetizzate alcune delle voci più significative per la costruzione del capitale netto di garanzia, evidenziandone le possibili classificazioni. Le voci dell’attivo non inserite in tabella sono da considerare “attivo liquidabile”.

    Capitale netto di garanzia e perdite di liquidazione
    Impieghi/Fonti Destinazione
    Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti La voce può essere considerata come attivo liquidabile considerato che all’atto della liquidazione i soci dovrebbero essere obbligati a versare i decimi residui
    Oneri pluriennali (es. costi di impianto e ampliamento) Perdite di liquidazione
    Beni immateriali (es. Marchi, Brevetti, ecc.) In base ad un approccio prudenziale potrebbero rientrare nelle perdite di liquidazione
    Avviamento Perdite di liquidazione
    Immobilizzazioni in corso ed acconti (sia immateriali che materiali) Potrebbero rientrare nelle perdite di liquidazione utilizzando un approccio prudenziale
    Partecipazioni Potrebbero rientrare nelle perdite di liquidazione utilizzando un approccio prudenziale
    Azioni Proprie Perdite di liquidazione
    Crediti finanziari verso partecipate Se le partecipazioni sono state considerate perdite di liquidazione queste voci potrebbero seguire la stessa destinazione
    Acconti a fornitori di materie Perdite di liquidazione
    Risconti attivi Perdite di liquidazione (i risconti passivi potrebbero andare ad incrementare il capitale netto)
    Crediti operativi verso partecipate Se le partecipazioni sono state considerate perdite di liquidazione queste voci potrebbero seguire la stessa destinazione (al limite solo per l’importo eventualmente eccedente rispetto ai debiti verso partecipate)

    Dopo che sono state stimate le perdite di liquidazione il calcolo del Capitale netto di garanzia risulta piuttosto semplice:

    Nel caso in cui l’indice assuma valore maggiore di 1 l’azienda può considerarsi solida. Qualora si presenti una situazione opposta si segnala un possibile rischio per i creditori aziendali sanabile con una ricapitalizzazione di importo tale da riportare l’indicatore in equilibrio.

    Per valutare la solvibilità aziendale, possono risultare molto utili anche le garanzie prestate a terzi e riportate nei conti d’ordine. In prospettiva di una cessazione queste passività potenziali potrebbero diventare effettive, incrementando dunque il capitale di terzi, determinando un aggravio della posizione debitoria dell’azienda.

    Qualora siano iscritti beni strumentali, potrebbe essere significativo integrare extra-contabilmente il capitale netto per tenere conto di differenze significative tra i valori di iscrizione in bilancio ed i valori di mercato. Una approssimazione verosimile del valore di mercato può essere recuperata presso l’Osservatorio immobiliare dell’Agenzia del territorio. In questa configurazione del patrimonio netto, detta patrimonio netto responsabile, è possibile inserire anche eventuali garanzie prestate dai soci a favore della società.

    37.2.5. Analisi del fabbisogno di finanziamento: criterio di pertinenza gestionale

    37.2.5.Analisi del fabbisogno di finanziamento: criterio di pertinenza gestionale

    La gestione del fabbisogno di finanziamento può essere considerata un driver al fine di prevenire la formazione di squilibri gestionali. In tale ottica appare importante acquisire consapevolezza della misura in cui i differenti ambiti gestionali contribuiscono a generare il fabbisogno finanziario, in relazione al quale l’azienda pianifica di stipulare dei finanziamenti.

    Questa consapevolezza può fornire al management preziose indicazioni per intervenire, se necessario, sull’importo del fabbisogno di finanziamento, ovvero per selezionare le alternative di copertura in maniera più razionale.

    La misura del fabbisogno finanziario generato dalle aree aziendali più significative è ottenuta riclassificando impieghi e fonti per destinazione, all’interno di un prospetto scalare, in cui gli impieghi (di segno positivo) sono contrapposti alle fonti (con segno negativo). Tale schema prende il nome di Stato patrimoniale gestionale (o di pertinenza gestionale).

    Le aree più comunemente utilizzate per classificare impieghi e fonti sono le seguenti:

    • area operativa corrente: include gli impieghi e le fonti di finanziamento “spontanee” derivanti dai processi di acquisizione di fattori produttivi correnti, la realizzazione prodotti finiti e la vendita (quindi in pratica rimanenze di magazzino, crediti e debiti commerciali, a cui si aggiungono gli altri crediti e debiti riconducibili all’area operativa corrente);

    • area operativa strutturale: comprende tutti i fattori pluriennali coinvolti nella gestione operativa al netto delle relative fonti di finanziamento spontanee (debiti v/fornitori di immobilizzazioni e fondo TFR);

    • area extra-operativa: accoglie eventuali impieghi e fonti riconducibili ad attività estranee alla gestione operativa (ad esempio immobili non strumentali, partecipazioni non inerenti l’attività caratteristica, attività finanziarie non classificabili come cash equivalents);

    • area finanziaria: comprende con segno positivo la liquidità immediata ed i cash equivalents e con segno negativo i debiti finanziari (non classificati in relazione al loro periodo di scadenza).

    Per la realizzazione dello Stato patrimoniale gestionale occorre distinguere i debiti spontanei (o di funzionamento) dai debiti esplicitamente onerosi (o di finanziamento).

    I debiti di finanziamento si formano a seguito di una esplicita negoziazione che coinvolge l’importo da finanziare, il costo del finanziamento e le modalità di restituzione. Al contrario i debiti di funzionamento nascono “spontaneamente” durante lo svolgimento dei processi operativi (ad esempio i debiti verso fornitori si formano durante i processi di acquisizione). I debiti di funzionamento sono classificati a seconda della pertinenza nelle rispettive aree (corrente, strutturale o accessoria), mentre i debiti di finanziamento sono interamente collocati nell’area finanziaria.

    In questo schema di Stato patrimoniale, gli impieghi esprimono le cause che generano il fabbisogno finanziario.

    Il fabbisogno finanziario complessivo di ogni area è dato dal valore totale degli impieghi destinati al suo interno. I debiti di funzionamento, invece, esprimono la quota di copertura del fabbisogno finanziario che si è originata in maniera fisiologica durante lo svolgimento dei processi che caratterizzano l’area.

    Se posizioniamo impieghi e fonti in un prospetto scalare, la loro somma algebrica esprime il fabbisogno finanziario residuo (se di segno positivo) o l’eccedenza di fonti finanziarie spontanee rispetto al fabbisogno dell’area (se di segno negativo). Tale schema assume quindi una notevole rilevanza dal punto di vista operativo: un’azienda che intende ridurre il proprio indebitamento può innanzitutto provare a diminuire, o comunque limitare, la crescita del fabbisogno di finanziamento residuo generato all’interno di ciascuna area gestionale.

    Stato patrimoniale gestionale

    Il primo dei risultati intermedi, il capitale circolante netto commerciale, è determinato considerando esclusivamente investimenti e fonti spontanee generate dal ciclo operativo aziendale: crediti e debiti commerciali e rimanenze di magazzino. Si ritiene opportuno distinguere tale area all’interno della gestione operativa corrente in quanto il fabbisogno finanziario generato dalla gestione commerciale, a differenza degli altri risultati intermedi, può essere, entro certi limiti, influenzato agendo sui relativi tempi medi di pagamento e/o riscossioni.

    Infatti, la diminuzione nella durata dei crediti o delle scorte comporta, a parità di altre condizioni, una minore giacenza media di tali fattori e pertanto un minore fabbisogno di finanziamento. In maniera analoga un innalzamento dei tempi di pagamento dei debiti commerciali comporta un aumento del grado di copertura del fabbisogno finanziario da parte delle fonti spontanee e quindi una riduzione del fabbisogno finanziario residuo. Occorre tuttavia considerare che nella pratica operativa questa possibilità di manovra è valida solo entro i limiti consentiti dalle pratiche commerciali vigenti nei diversi settori. Qualora si intenda perseguire una eccessiva efficienza finanziaria il rischio è che tale efficienza venga più che compensata da perdite nella redditività.

    Il capitale investito netto globale rappresenta invece il fabbisogno finanziario residuo riferibile al complesso della gestione aziendale che deve essere coperto ricorrendo ai debiti finanziari ed ai mezzi propri.

    I debiti finanziari sono parzialmente rettificati dall’importo delle liquidità immediate (eventualmente comprensive dei cash equivalents). La ragione che porta a collocare le liquidità immediate a rettifica dei debiti finanziari è legata al loro inquadramento come fattore produttivo generico, come tale utilizzabile per l’acquisizione di fattori produttivi specifici potenzialmente riconducibili a tutte le aree di investimento dello Stato patrimoniale gestionale. Pertanto, la collocazione di queste disponibilità nell’area finanziaria evidenzia che in qualunque momento queste risorse potrebbero essere utilizzate a riduzione dell’indebitamento.

    La classificazione delle liquidità immediate a rettifica dei debiti finanziari consente di evidenziare la Posizione Finanziaria Netta (PFN). Si tratta di un indicatore estremamente diffuso che sintetizza, il risultato combinato della capacità aziendale di generare cash flow e la tendenza ad aumentare o diminuire l’indebitamento finanziario. Un aumento della posizione finanziaria netta viene interpretata come un peggioramento, così come al contrario la sua riduzione può essere valutata positivamente.

    La posizione finanziaria netta può essere calcolata complessivamente, includendo l’intero ammontare dei debiti finanziari, o in alternativa possono essere isolate le componenti a medio-lungo e breve termine.

    La normativa contabile nazionale e il Principio contabile OIC 6 “Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio” suggeriscono una modalità di calcolo della posizione finanziaria netta. Il Principio contabile OIC 6 emanato nel 2011 è stato però abrogato nel 2017 e sostituito dal Principio contabile OIC 19 nel quale non è più presente lo schema di calcolo che era riportato nel principio contabile precedente, essendo semplicemente menzionata nel par. 81A a proposito degli effetti prodotti dalla ristrutturazione del debito.

    Nel calcolo sono inclusi i debiti verso le società di leasing, distinti nella parte corrente e non corrente e le attività finanziarie correnti, assimilate alla liquidità. Potrebbe inoltre essere possibile calcolare la posizione finanziaria netta considerando le liquidità e le attività finanziarie con segno negativo, a rettifica dei debiti finanziari.

    Schema di calcolo della posizione finanziaria netta ex OIC 6
      anno n anno n-1
    a) Disponibilità liquide (-)    
    b) Altre attività finanziarie correnti (-)    
    c) Crediti finanziari correnti (-)    
    d) Debiti bancari correnti (-)    
    e) Parte corrente dell’indebitamento non corrente (+)    
    f) Altre passività finanziarie correnti (+)    
    g) Debiti per leasing finanziario correnti (+)    
    h) Indebitamento finanziario corrente netto (∑ a…g)    
    i) Debiti bancari non correnti (+)    
    j) Obbligazioni emesse (+)    
    k) Altre passività finanziarie non correnti (+)  
    l) Debiti per leasing finanziario non correnti (+)    
    m) Indebitamento finanziario non corrente (∑ i…l)    
    n) Indebitamento finanziario netto o Posizione finanziaria netta (h + m)    

    I due documenti prodotti dall’IRDCEC (Documento n. 22, 2013) e dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti (Documento n. 15, 2015) chiariscono differenti aspetti operativi in merito alla modalità di calcolo della PFN e alla relativa iscrizione in bilancio.

    Si tratta di un modello alternativo di performance che è finalizzato ad analizzare:

    • il livello complessivo dell’indebitamento dell’azienda;

    • la solidità della struttura patrimoniale, mediante il calcolo dell’indicatore PFN/Mezzi propri, conosciuto come rapporto di indebitamento finanziario;

    • la capacità di restituzione del debito, quando viene effettuato il rapporto fra PFN e vendite mediante l’indicatore denominato “tasso di assorbimento dell’indebitamento”.

    In sintesi, la PFN può essere calcolata nel seguente modo:

    PFN=

    + Debiti finanziari (a breve termine e a m/l termine)

    - Disponibilità differite

    - Disponibilità immediate

    In sostanza la PFN è un indicatore sintetico che è in grado di esprimere la capacità di copertura delle passività finanziarie considerando soltanto le disponibilità liquide immediate e differite.

    L’indicatore può essere calcolato anche soltanto come differenza tra i debiti finanziari a breve termine e le disponibilità liquide differite e immediate offrendo quindi un indicatore sintetico della sostenibilità dei debiti finanziari relativi soltanto al breve termine generati da passività finanziarie.

    Se a una certa data l’indice esprime un valore positivo questo indica una situazione in cui lo stock delle passività finanziarie è superiore rispetto alle liquidità potenzialmente disponibili nel breve termine. È quindi un indicatore del debito finanziario complessivo dell’azienda.

    La crisi di liquidità in genere è legata ad un aumento progressivo della posizione finanziaria netta a breve: la produzione di cash flow non raggiunge livelli in grado di assolvere ai pagamenti dei fornitori e in tali condizioni l’azienda è costretta ad aumentare il ricorso ai debiti finanziari.

    Le azioni di intervento in tale ipotesi possono limitarsi ad un migliore rapporto tra crediti commerciali, magazzino e debiti commerciali per ridurre in maniera fisiologica il fabbisogno di finanziamento derivante dalla gestione corrente. Tali azioni possono arrivare a coinvolgere l’area reddituale dell’azienda per ottenere un rapporto efficiente tra ricavi e costi monetari che aumenti strutturalmente le capacità aziendali di produrre cash flow.

    37.3. Riclassificazione del Conto economico

    37.3.Riclassificazione del Conto economico

    37.3.1. Introduzione

    37.3.1.Introduzione

    La rappresentazione del reddito di esercizio che emerge dallo schema di Conto economico civilistico (art. 2425 c.c.) mediante la struttura a costi e ricavi e la forma scalare, deve essere strutturata e rappresentata in base a determinati criteri ai fini dell’analisi economico-finanziaria e della gestione aziendale. In particolare, la previsione di una crisi aziendale determinata da perdite legate a cause di natura economica rende indispensabile analizzare i drivers del risultato economico di esercizio. Da una situazione di crisi economica si potrebbe poi passare a una situazione di crisi di natura finanziaria.

    Dal punto di vista reddituale i segnali che possono evidenziare una situazione di difficoltà in atto sono riconducibili alla progressiva riduzione del fatturato da cui deriva una conseguente diminuzione del risultato operativo. Situazione analoga si può presentare qualora i costi operativi aumentino senza incrementi nei ricavi di vendita.

    In maniera analoga allo Stato patrimoniale, si rende necessaria un’operazione di riclassificazione dal Conto economico in modo che assuma una struttura idonea all’analisi economico-finanziaria dal punto di vista reddituale. In particolare, l’analisi delle determinanti della redditività aziendale richiede preliminarmente la classificazione di costi e ricavi in categorie che possano essere rappresentative delle principali aree di attività aziendali, o meglio delle principali aree funzionali:

    • area operativa (o caratteristica): si tratta della prima area dove si realizza l’attività tipica dell’azienda; tale area accoglie ricavi legati ai processi tipici di vendita di prodotti e/o servizi ed i costi collegati all’impiego dei necessari fattori produttivi;

    • area finanziaria: è la seconda area dove vengono posizionati principalmente oneri, ed in misura marginale proventi, legati alla copertura del fabbisogno finanziario residuo dell’azienda;

    • area accessoria (o extra-caratteristica): tale area include ricavi e costi derivanti da investimenti estranei all’attività operativa;

    • area straordinaria: tale area include costi e ricavi che si originano da eventi eccezionali e non prevedibili;

    • area tributaria, riguarda le imposte sul reddito.

    Se analizziamo un’attività aziendale che opera in condizioni normali l’area caratteristica dovrebbe produrre la parte più consistente del risultato economico: per tale motivo le analisi di efficienza ed efficacia sono focalizzate sull’area caratteristica. L’area accessoria in realtà non è frequentemente presente nelle attività aziendali, soprattutto nelle aziende di grandi dimensioni, caratterizzate da attività gestionali ampie e diversificate. In tali realtà diventa difficile stabilire la linea di demarcazione fra attività operativa e attività accessoria. Inoltre, in alcuni casi le componenti extra-caratteristiche vengono posizionate direttamente nell’area operativa ovvero nell’area finanziaria, se derivano da investimenti finanziari.

    Da segnalare inoltre alcune incertezze relative all’imputazione dei costi dell’area accessoria: può accadere infatti che alcuni costi che presentano la stessa natura contabile in realtà vengano poi imputati ad aree funzionali diverse.

    Il Conto economico riclassificato o gestionale è costruito mettendo in sequenza le aree caratteristica, finanziaria e tributaria, eventualmente integrate dalle aree accessoria e straordinaria, che sono utilizzate solo qualora sia realmente necessario.

    Schema di Conto economico gestionale

    Gli schemi di Conto economico riclassificato o gestionale sono essenzialmente riconducibili a tre configurazioni, caratterizzate da diversi criteri di classificazione dei costi operativi:

    • Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta: il criterio è basato sulla classificazione dei costi per natura e sulla distinzione tra costi interni ed esterni;

    • Conto economico a costi e ricavi del venduto: il criterio è basato sulla classificazione dei costi per destinazione, con riferimento ai più rilevanti centri di responsabilità operativi;

    • Conto economico marginalistico: il criterio si basa sulla classificazione dei costi in fissi e variabili rispetto ai volumi di vendita/produzione.

    La scelta riguardo alla configurazione di Conto economico riclassificato o gestionale dipende dal soddisfacimento di particolari scopi conoscitivi. In generale l’adozione dell’analisi di efficienza ed efficacia economica richiede che venga effettuata una comparazione dei dati aziendali nel tempo e nello spazio. In tale ottica, la scelta della configurazione del Conto economico riclassificato o gestionale è influenzata dalla possibilità di trattare contestualmente i dati interni, che sono estremamente flessibili nei criteri di classificazione e nei livelli di sintesi/dettaglio, con le informazioni di benchmark esterne, dove in genere i criteri di classificazione e livelli di dettaglio sono difficilmente modificabili.

    37.3.2. Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta

    37.3.2.Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta

    La configurazione di Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta consente di apprezzare la redditività dell’area operativa assumendo il volume di produzione realizzata nel periodo come driver del risultato della gestione aziendale. In base a tale configurazione il risultato intermedio principale sarà rappresentato dal risultato operativo che viene calcolato come differenza tra il valore della produzione realizzata ed i costi-consumo dei fattori produttivi utilizzati nelle varie attività dell’area operativa.

    In sostanza viene messo a confronto il costo della produzione ottenuta con il ricavo della stessa. Il valore della produzione ottenuta viene calcolata sommando i ricavi di vendita con la variazione del magazzino prodotti finiti (semilavorati ed in corso di lavorazione) oltre agli eventuali incrementi per costruzioni in economia ed agli altri ricavi operativi.

    Valore del prodotto di esercizio

    Ricavi di vendita dei prodotti finiti 41.670
    + Incremento del magazzino:
    Semilavorati 50
    Prodotti finiti 750 800
    Incrementi di imm.ni per lavori
    interni
    750
    Prodotto di esercizio 43.220

    In tale configurazione i costi operativi vengono classificati per natura ed esprimono il consumo dei fattori produttivi impiegati in tutte le attività operative - di produzione, vendita, approvvigionamento, amministrative, ecc. - correlate al volume di produzione realizzata.

    È possibile distinguere i costi operativi in due categorie in base alla posizione funzionale dei fattori produttivi a cui si riferiscono:

    • costi interni, riferiti ai fattori interni o “strutturali” - ovvero personale (struttura organizzativa) e immobilizzazioni (struttura tecnica);

    • costi esterni, relativi a tutti i fattori produttivi correnti di esercizio, anticipati e posticipati ad eccezione di quelli relativi al personale dipendente.

    Tale criterio si basa sul fatto che l’azienda prima dell’inizio dei cicli produttivi deve predisporre le strutture tecniche, ovvero gli impianti, e le strutture organizzative, rappresentate dal personale dipendente. Questi due fattori produttivi vengono considerati fattori “preesistenti” rispetto al processo produttivo, ovvero fattori interni, dal momento che sono già esistenti all’interno della combinazione aziendale. Al fine di poter iniziare i cicli produttivi l’azienda ha necessità di acquisire altri fattori produttivi, ovvero le materie e gli altri servizi operativi. Tali fattori sono quindi da considerarsi come acquisiti all’esterno della combinazione aziendale. I relativi costi sono quindi qualificabili come esterni.

    Costi interni/esterni

    Costi interni
    1) Spese del personale 10.000
    2) Quote di ammortamento 3.000 13.000
    Costi esterni
    1) Spese di utilizzo materie 7.000
    2) Altre spese operative 5.000 12.000
    Costo della produzione ottenuta 25.000

    Questo criterio di classificazione permette di determinare due risultati intermedi:

    • il valore aggiunto;

    • il Margine Operativo Lordo (MOL).

    Valore aggiunto

    Il valore aggiunto viene ottenuto sottraendo il totale dei costi esterni al valore della produzione ottenuta. Tale risultato intermedio rappresenta il valore incrementale rispetto al valore dei fattori produttivi “esterni” impiegati, si tratta del valore che viene generato dai fattori produttivi interni. In altri termini il valore aggiunto può essere interpretato come la parte del prodotto di esercizio che, una volta soddisfatti i costi relativi ai fattori produttivi esterni, può essere utilizzato per coprire i costi interni (personale dipendente e impianti) e i successivi costi relativi alle altre aree di gestione.

    Nell’ambito dei costi interni si distinguono da un lato i costi del personale e dall’altro gli ammortamenti e gli accantonamenti.

    Il valore aggiunto può essere interpretato come il margine lordo che rimane dopo la copertura dei costi esterni relativi alle materie prime e ai servizi. In maniera speculare il valore aggiunto può essere interpretato come il margine lordo che può essere destinato alla copertura dei costi interni e alla remunerazione del capitale sia di credito che di rischio.

    La differenza fra valore aggiunto e costo del personale determina un altro risultato intermedio, il MOL (chiamato anche EBITDA).

    Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta - Valore aggiunto

    Valore della produzione ottenuta
    (costi esterni)
    Valore aggiunto
    (costi del personale)
    Margine Operativo Lordo (EBITDA)
    (costi della struttura tecnica)
    Risultato operativo caratteristico (EBIT)

    EBITDA = Earnings Before Interests, Taxes, Depreciation, Amortization.

    EBIT = Earnings Before Interests and Taxes

    Il valore aggiunto, pur non possedendo elevate capacità di segnalazione della performance economica, può essere oggetto di comparazione nel tempo o nello spazio, a condizione che le aziende o i periodi oggetto del confronto siano omogenei in termini di livello di integrazione verticale. In ogni caso il valore aggiunto, quale risultato intermedio, non tiene in considerazione la dinamica dei fattori strutturali e dunque la sua valutazione comporta un’analisi eccessivamente parziale.

    Margine operativo lordo (MOL)

    Il MOL esprime la parte del valore aggiunto che rimane dopo la remunerazione del costo del personale. Tale indicatore risulta molto significativo per l’interpretazione delle condizioni di equilibrio economico in particolare nelle aziende dove l’ammontare delle spese del personale è una componente di costo rilevante.

    In altri termini quindi si tratta della parte di valore aggiunto che viene destinato alla remunerazione del capitale tecnico e del capitale di finanziamento, sia di credito che di rischio. Tale risultato intermedio, inoltre, integra nel calcolo una componente strutturale, ovvero i costi del personale fornendo informazioni molto significative, in quanto permette di valutare, contestualmente all’efficienza economica, anche il cash flow che la gestione operativa è “potenzialmente” in grado di generare.

    Tutti i costi considerati nel calcolo del MOL (costi esterni e costi del personale) possono, infatti, definirsi “monetari”, in quanto esprimono, contestualmente al consumo in termini economici, anche le uscite finanziarie collegate ai pagamenti, già sostenuti o da sostenersi in un futuro piuttosto vicino.

    Il valore della produzione esprime il potenziale flusso di cassa prodotto dalla gestione operativa e quindi il MOL misura il differenziale tra entrate ed uscite potenziali del periodo e di conseguenza il cash flow che la gestione operativa può generare, in assenza di differimenti temporali tra acquisti-pagamenti, produzione-vendita, vendite-incassi.

    La conversione di cash flow potenziale in liquidità effettive è condizionata dal grado di efficienza finanziaria, ovvero dalla dinamica degli incassi-pagamenti e delle rimanenze di magazzino. In sintesi, il MOL scaturisce del rapporto tra ricavi e costi monetari, e dunque sintetizza la condizione primaria affinché un’azienda possa strutturalmente produrre liquidità nell’ambito della gestione operativa. Costituisce un risultato finanziario in quanto espressione dell’autofinanziamento operativo della gestione. La negatività del MOL segnala quindi non soltanto uno squilibrio economico ma anche una strutturale incapacità a generare liquidità, derivante da costi monetari più elevati rispetto al volume delle potenziali entrate.

    La presenza di un valore negativo del MOL richiede un intervento sulla struttura dei costi al fine di ottenere una maggiore efficienza senza tuttavia compromettere ulteriormente la potenziale competitività dell’azienda.

    Spesso la complessità gestionale è causata da strategie finalizzate alla diversificazione e personalizzazione da cui deriva la necessità di gestire (in termini sia logistici che amministrativi) un numero progressivamente crescente di componenti di prodotto, attività di progettazione ed ingegnerizzazione, lotti di produzione, provoca inevitabilmente l’appesantimento nelle strutture di costo.

    In altri casi, invece, la complessità gestionale è legata a trasformazioni del prodotto con servizi ad elevato standard qualitativo o prestazionale (assistenza post-vendita, call center, ecc.) o con valori intangibili al fine di ottenere un elevato posizionamento sul mercato. In tali ipotesi la riduzione dei costi può essere perseguita mediante una semplificazione gestionale volta ad eliminare attività o prodotti che siano in grado di assorbire un volume eccessivo di risorse in relazione al valore generato.

    In merito al controllo dei costi e alle difficoltà legate alla riclassificazione del Conto economico il prospetto a costi e ricavi della produzione ottenuta rappresenta la soluzione più semplice e conveniente dal momento che può essere costruito utilizzando dati che sono disponibili in un bilancio pubblico. Per questo motivo la riclassificazione del CE a costi e ricavi della produzione ottenuta può essere utilizzato per confrontare la redditività di un’azienda con i suoi competitor dei quali si ha la possibilità di disporre esclusivamente dei bilanci pubblici. In realtà se è necessario effettuare il confronto con aziende che applicano i principi contabili internazionali IAS/IFRS sarebbe più utile adottare la configurazione di Conto economico a costi e ricavi della produzione venduta in quanto è possibile utilizzare alternativamente una classificazione dei costi operativi per destinazione invece che per natura.

    In ogni caso l’analisi della redditività operativa dovrebbe basarsi prevalentemente sul confronto dei valori percentuali mediante la realizzazione del c.d. Conto economico percentualizzato. Si tratta di uno schema di Conto economico dove i dati vengono ottenuti mediante il rapporto fra i costi operativi e il volume del valore della produzione, o dei ricavi di vendita a seconda del prospetto utilizzato. Il confronto dei valori assoluti non consente infatti di valutare l’aumento o la perdita di efficienza posto che i costi di alcuni fattori impiegati sono direttamente correlati ai volumi di attività.

    37.3.3. Conto economico a costi e ricavi del venduto

    37.3.3.Conto economico a costi e ricavi del venduto

    La configurazione di Conto economico a costi e ricavi della produzione venduta utilizza una classificazione dei costi operativi per destinazione, assumendo che i ricavi di vendita siano il driver dei costi operativi. Utilizzare una configurazione focalizzata sulle attività di vendita piuttosto che sulla produzione probabilmente consente di superare alcuni limiti del Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta.

    Tale prospetto consente di esprimere un sistema di valori che considera da un lato il costo della produzione venduta nell’esercizio e dall’altro il ricavo della stessa.

    Tale schema permette di enfatizzare l’efficacia gestionale in maniera migliore rispetto allo schema precedente in quanto espone il risultato economico prodotto in funzione dei volumi effettivi di vendita. Risultano dunque escluse le “vendite potenziali” costituite dalla produzione realizzata e non venduta, mentre i costi operativi esprimeranno i consumi rapportati alle quantità vendute. Di seguito si riporta lo schema di calcolo del costo della produzione venduta nel quale in genere vengono inclusi i componenti industriali del costo.

    Costo della produzione venduta

    Prodotti (esistenze iniziali) 20.000
    + Spese di utilizzo materie 38.000
    + Spese operative industriali 46.000 84.000
    104.000
    - Prodotti (rimanenze finali) 30.000
    Costo della produzione venduta 74.000

    La classificazione dei costi per destinazione comporta la scomposizione dell’area operativa nelle attività o nei centri di responsabilità più rilevanti (industriale, commerciale, logistica, amministrativa, ecc.), e consente di imputare a ciascun centro i costi dei fattori produttivi direttamente consumati. Sulla base di tale criterio l’analisi del risultato economico presenta un maggiore contenuto manageriale: in tale prospettiva non soltanto è possibile individuare i fattori produttivi il cui costo ha determinato un guadagno o una perdita di efficienza, ma è anche possibile individuare il centro organizzativo responsabile della sua gestione. Di conseguenza tale configurazione di Conto economico risulta più efficace qualora l’analisi del risultato economico sia finalizzata ad evidenziare le leve di manovra più utili al miglioramento o al consolidamento del risultato, nonché i relativi responsabili organizzativi. Al tempo stesso, il costo in termini di sistemi informativi può essere molto elevato in quanto le rilevazioni contabili originarie, classificate per natura, devono infatti essere riclassificate per destinazione.

    Conto economico a costi e ricavi della produzione venduta

    Tale rielaborazione può essere effettuata successivamente o contestualmente alla rilevazione originaria, con il supporto di un sistema contabile strutturato per centri di costo e collegato al sistema di contabilità generale.

    Tale schema (“conto della vendita”) si contrappone alla configurazione che si basa sui costi e ricavi della produzione (“conto della produzione”) ottenuta in quanto mette a confronto i valori relativi alla produzione venduta nell’esercizio indipendentemente dall’appartenenza della produzione stessa all’esercizio considerato. La differenza fondamentale fra i due schemi consiste nella posizione assegnata all’incremento del magazzino prodotti.

    Nel Conto economico a costi e ricavi del venduto l’incremento del magazzino prodotti appare fra i costi, quale elemento sottrattivo, in relazione alla determinazione del costo della produzione venduta.

    Nel Conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta invece l’incremento del magazzino prodotti viene posizionato fra i ricavi quale elemento additivo al fine di formare il prodotto di esercizio. Ciascuno dei due conti si riferisce esclusivamente all’esercizio in quanto mette in evidenza valori di sintesi relativi ad esso. Secondo alcuni, tuttavia, il conto a costi e ricavi della produzione venduta è preferibile rispetto all’altro in quanto è contraddistinto da una maggiore omogeneità. Il conto a costi e ricavi della produzione ottenuta invece non rappresenterebbe valori completamente omogenei, soprattutto dal lato dei ricavi. Lo stesso prodotto di esercizio, infatti, non è un valore propriamente omogeneo in quanto deriva dalla somma di ricavi effettivi e realizzati (ovvero quelli che si riferiscono alle vendite) con ricavi virtuali e da realizzare (ovvero quelli relativi all’incremento del magazzino).

    37.3.4. Conto economico marginalistico

    37.3.4.Conto economico marginalistico

    Si basa sulla classificazione dei costi operativi in variabili e costanti, ipotizzando come driver di costo i volumi di vendita-produzione:

    Ricavi netti di vendita
    Costi variabili industriali (del venduto)
    Margine di contribuzione industriale
    Costi variabili commerciali
    Margine di contribuzione totale
    Costi fissi
    Risultato operativo caratteristico

    La classificazione basata sulla variabilità dei costi è inevitabilmente condizionata da un certo grado di soggettività: in effetti, fatta eccezione per limitati fattori produttivi di chiara collocazione (ad esempio materie prime ed ammortamenti, i primi indubbiamente variabili, i secondi fissi), per molte voci di costo “ibride”, è necessario effettuare approssimazioni basate sulla prevalenza, qualora la significatività del loro importo non giustifichi analisi più approfondite per valutare accuratamente le componenti fisse e variabili.

    Lo schema di Conto economico marginalistico è quindi poco efficace quale strumento di diagnosi di una situazione di crisi ex post (consuntiva), mentre al contrario risulta molto efficace per stimare l’andamento dei costi (e del risultato caratteristico) in rapporto ad ipotesi di sviluppo dei volumi di produzione/vendita.

    Il Conto economico marginalistico è dunque utilizzato per la costruzione di piani di risanamento o più in generale di business plan o di piani industriali.

    37.4. Indicatori di sintesi economico-finanziaria

    37.4.Indicatori di sintesi economico-finanziaria

    L’analisi di bilancio utilizza indicatori di sintesi di natura economico-finanziaria accompagnandosi (senza sostituirsi) all’analisi dei prospetti del bilancio di esercizio con la finalità di analizzare:

    • le relazioni tra valori riclassificati nello stesso prospetto (indici di incidenza percentuale, indici di liquidità), o in prospetti diversi (indici di redditività e rotazione/durata);

    • le relazioni tra valori di bilancio e valori esterni al bilancio (indicatori di efficienza del personale);

    • le relazioni tra bilanci di esercizi diversi (indicatori di trend).

    Tra gli indicatori di sintesi economico-finanziaria, ad integrazione degli indicatori di liquidità, solidità patrimoniale e di rotazione/durata (37.2.3.), si segnalano:

    • redditività (37.4.1.);

    • efficienza del personale (37.4.2.);

    • indebitamento (37.4.3.);

    • sviluppo

    • cash flow.

    37.4.1. Indici di redditività

    37.4.1.Indici di redditività

    In generale gli indicatori di redditività sono costruiti ponendo al numeratore un flusso di reddito ed al denominatore il valore del capitale investito per la sua generazione.

    I due principali indicatori di redditività sono il ROE ed il ROI.

    Il ROE (Return On Equity) o ROCE (Return On Common Equity) esprime la redditività del capitale netto.

    Si tratta di un indicatore utilizzato principalmente da investitori in capitale di rischio attuali o potenziali, per valutare la convenienza dell’investimento in azienda rispetto ad ipotesi di investimento alternative.

    Nella valutazione di convenienza occorre interpretare i vari coefficienti di rendimento, tenendo conto anche del rischio collegato alle diverse alternative.

    Nell’ottica del finanziatore, appare rilevante misurare il grado di crescita del capitale netto per effetto dell’autofinanziamento, ovvero l’intensità con cui i risultati economici dei precedenti esercizi sono stati destinati alla copertura del fabbisogno finanziario operativo.

    Tale indice viene calcolato mediante una formula derivata dalla costruzione del Rendiconto finanziario (17.4.) nella quale al numeratore troviamo la variazione delle poste del capitale netto utilizzate in alternativa alla distribuzione degli utili ed al denominatore l’utile del precedente esercizio:

    Il tasso di autofinanziamento assume un valore compreso tra 0 ed 1, dove 1 indica il totale investimento in azienda degli utili dei precedenti esercizi e 0 la totale distribuzione ai soci. Il tasso di autofinanziamento potrebbe tuttavia assumere valore pari ad 1 anche nel caso di una perdita originatasi nel precedente esercizio e coperta dalle riserve o portata a nuovo.

    Nell’ambito dell’analisi gestionale l’indicatore di redditività più utilizzato è sicuramente il ROI (Return On Investment) o ROA (Return On Assets):

    Il ROI consente di valutare il rendimento dell’attività operativa in rapporto al capitale investito durante la sua realizzazione.

    Appare utile sottolineare che al fine di ottenere dati omogenei rispetto al numeratore, il denominatore dovrebbe considerare solamente gli asset (sia correnti che strutturali) coinvolti nell’attività operativa. Tale aspetto in molti casi differenzia il ROI dal ROA, il quale utilizza al denominatore il totale degli impieghi e dunque dovrebbe considerare al numeratore sia il reddito operativo che extra-operativo.

    Il ROI può essere scomposto in due ulteriori indici che consentono di evidenziare le leve di manovra utili a migliorare o consolidare la redditività relativa all’area caratteristica:

    • il ROS (Return on Sales): Risultato operativo/Ricavi di vendita;

    • il Turnover degli investimenti: Ricavi di vendita/Capitale investito.

    Il ROS esprime la redditività delle vendite, ovvero la capacità dei prezzi di vendita di remunerare i costi operativi. Tale indicatore potrà migliorare se l’azienda decide di aumentare i prezzi di vendita, ovvero se adotta politiche aziendali, volti a ridurre i costi caratteristici.

    Il turnover degli investimenti invece evidenzia il rapporto tra volume di attività sviluppata e volume di impieghi. Un turnover che presenta valori molti bassi evidenzia un sotto-utilizzo (o in alternativa un sovra-dimensionamento) degli investimenti in rapporto al volume di fatturato generato. Tale valore può quindi essere migliorato attraverso aumenti dei volumi di attività, da realizzare tenendo sotto controllo la crescita del capitale investito, soprattutto nella parte corrente di crediti e rimanenze di magazzino.

    In letteratura e nella prassi gli indicatori di redditività operativa sono calcolati utilizzando differenti formule e varianti. Molto spesso alla stessa denominazione corrispondono indicatori estremamente differenti.

    Alcuni esempi:

    Principali varianti del ROI

    RONA Return on Net
    Assets
    EBIT Permette di valutare la redditività in rapporto al fabbisogno di finanziamento residuo della gestione operativa.
    Capitale Investito Netto Operativo
    ROA
    (ROTA)
    Return on
    Assets
    (Return on
    Total Assets)
    EBIT + Risultato extra-operativo Coefficiente di redditività operativa ed extra-operativa. Significativo quando sono sistematicamente presenti attività extra-operative. In assenza di queste coincide con il ROI
    Totale impieghi
    RONIC Return on New Invested
    Capital
    Δ EBITDA Viene utilizzato per valutare la convenienza di nuovi progetti che implicano un incremento degli investimenti
    Δ capitale investito

    Sia il ROI che il ROS possono essere calcolati ponendo al numeratore il MOL. In questo modo la misurazione della redditività aziendale non viene influenzata dalle politiche di ammortamento ed accantonamento. Inoltre, come descritto nei precedenti paragrafi, il MOL esprime la liquidità potenziale della gestione corrente che potrebbe dunque essere messa in relazione sia con il volume degli investimenti che con i ricavi di vendita.

    37.4.2. Indicatori di efficienza del personale

    37.4.2.Indicatori di efficienza del personale

    L’analisi basata sugli indicatori di efficienza del fattore lavoro permette di correlare il volume di attività aziendale, espresso dai ricavi di vendita, con l’utilizzo del fattore lavoro, che in molti casi viene ritenuto responsabile di una situazione di appesantimento dei costi operativi. I quozienti che possono essere calcolati sono: i ricavi pro-capite ed il costo pro-capite.

    Il primo indicatore esprime il volume di attività teoricamente creato da ogni unità lavorativa presente in azienda, pertanto la crescita del quoziente in condizioni normali è da interpretare come un guadagno in termini di efficienza e produttività.

    Il costo pro-capite invece esprime il costo unitario mediamente sostenuto in rapporto alle unità lavorative impiegate. La riduzione di tale indicatore può comportare un aumento dell’efficienza aziendale sebbene, per una efficace interpretazione e gestione dell’indice, sia comunque necessaria la valutazione della dinamica dei costi del personale nell’ambito dello scenario strategico e politico-operativo in atto. In tale ottica, infatti, un aumento del costo medio del personale non necessariamente potrebbe costituire un fenomeno negativo.

    Esempio

    L’inserimento di nuovi dirigenti determina ovviamente una crescita del costo pro-capite che, tuttavia, può essere accompagnato o seguito con un certo ritardo da un corrispondente aumento dei volumi di vendita o della redditività delle vendite, in conseguenza del valore, in termini di relazioni e di esperienza, apportato dall’inserimento dei nuovi dirigenti.

    Ai fini della correttezza del calcolo dei due indicatori potrebbe essere opportuno considerare tutte le forme impiegate per reclutare risorse umane. In molti casi, infatti, per ridurre o rendere più flessibile il costo del lavoro in rapporto alle oscillazioni delle vendite o alle punte di fabbisogno in caso di stagionalità, possono essere stabilmente utilizzati lavoro interinale, contratti di lavoro a tempo determinato, contratti a progetto, ecc. In questi casi se il calcolo degli indicatori viene svolto considerando esclusivamente i soggetti legati all’azienda dai tradizionali contratti di lavoro subordinato possono essere generate distorsioni informative.

    Il “numero di unità lavorative annue” dovrebbe esprimere il numero medio di lavoratori a qualunque titolo (ed in qualunque forma) impiegati in azienda, mentre il costo del lavoro dovrebbe rappresentare l’onere complessivamente sostenuto per il reclutamento delle risorse umane, comprendendo anche gli eventuali costi di intermediazione.

    Dall’altro lato, il calcolo “allargato” degli indicatori di efficienza del personale presenta difficoltà di natura operativa in quanto i dati relativi all’utilizzo di personale “flessibile” non sono sempre disponibili nei bilanci d’esercizio, mentre la reperibilità dei dati collegati al lavoro “dipendente” non presenta problemi operativi.

    In generale potrebbe essere opportuno valutare la dinamica dei costi del personale in relazione alla dinamica dei ricavi di vendita: ad esempio la diminuzione dei costi del lavoro associata all’aumento dei ricavi potrebbe essere prodotta da esternalizzazioni o dal ricorso a forme flessibili di reclutamento del personale, in relazione ai quali è necessario individuare un riscontro in termini di incremento dei costi per servizi.

    37.4.3. Indicatori di indebitamento

    37.4.3.Indicatori di indebitamento

    L’analisi dell’indebitamento può essere realizzata mediante il calcolo di indicatori che hanno lo scopo di misurare:

    • il grado di indebitamento;

    • la sostenibilità del debito.

    L’analisi del grado di indebitamento può utilizzare indici di composizione, costruiti ponendo categorie di fonti di finanziamento in rapporto tra loro o rispetto al totale delle passività dello Stato patrimoniale finanziario. Due indicatori risultano particolarmente significativi:

    Analizzando entrambi gli indicatori la presenza di un tendenziale incremento dei valori fa emergere un appesantimento nella struttura delle fonti da parte del capitale di terzi rispetto ai mezzi propri e quindi un incremento del grado di indebitamento aziendale.

    Gli indicatori consentono di avere una visione globale dell’indebitamento considerando sia la dimensione operativa dei debiti spontanei, sia la dimensione finanziaria dei debiti espliciti.

    In generale in alcuni casi è possibile riscontrare per entrambi gli indicatori, valori superiori all’unità, anche se il settore di appartenenza tende ad esercitare una certa influenza nelle scelte relative al grado di indebitamento. In molti casi se il Debt to equity ratio assume valori non superiori a 3 è considerato accettabile, tuttavia si raccomanda una valutazione complessiva del grado di indebitamento che tenga conto anche del grado di liquidità, solidità e della sostenibilità dei debiti.

    In base al grado di adeguatezza dei finanziamenti stipulati in relazione ai volumi operativi e alla capacità dell’azienda di rimborsare e remunerare i debiti finanziari contratti attraverso il cash flow operativo, è possibile esprimere un giudizio relativo alla sostenibilità del debito.

    In tale prospettiva un primo indicatore che può essere utilizzato è l’indice di copertura degli oneri finanziari:

    L’indice misura la capacità economica di sopportare l’onerosità dell’indebitamento finanziario. In particolare, quanto più il risultato operativo è superiore agli oneri finanziari tanto più l’azienda è economicamente in grado di sostenere il costo dell’indebitamento “esplicitamente oneroso”.

    Una variante, probabilmente più significativa, può essere realizzata ponendo al numeratore il MOL:

    In sostanza il MOL esprime il flusso potenziale di liquidità generata dalla gestione operativa la quale viene messa a confronto con la liquidità assorbita per la remunerazione degli oneri finanziari.

    Nella valutazione di questi indicatori occorre tenere conto del fatto che l’importo del MOL (o in alternativa del reddito operativo) deve essere sufficiente a remunerare tutti i costi extra-operativi, compreso il carico fiscale.

    Deve inoltre residuare una congrua remunerazione per gli investitori in capitale di rischio e generare al contempo risorse liquide sufficienti a consentire il rimborso dei prestiti. Pertanto, l’indicatore di copertura può essere valutato positivamente quando il numeratore supera almeno di 4-5 volte il valore degli oneri finanziari. Qualora si riscontrino dati al di sotto di tale valore si renderà necessario intervenire sul volume dei debiti contratti, riducendo il fabbisogno finanziario o aumentando la quota di capitale sociale.

    Il rapporto tra debiti finanziari ed i ricavi di vendita esprime un ulteriore indice di sostenibilità del debito:

    L’entità del debito per un’azienda assume livelli preoccupanti nel caso in cui supera il volume di ricavi generati. Tale indice può in alternativa essere realizzato mettendo al numeratore la variazione dei debiti in rapporto alla variazione dei ricavi al fine di verificare l’equilibrio nello sviluppo delle due variabili.

    37.5. Analisi dello sviluppo

    37.5.Analisi dello sviluppo

    Al fine di valutare in termini prospettici la convenienza e la rischiosità di azioni di sviluppo sia da un punto di vista economico che finanziario possono essere utilizzati due strumenti di analisi: la leva finanziaria e la leva operativa.

    37.5.1. Leva finanziaria

    37.5.1.Leva finanziaria

    La leva finanziaria fornisce al management indicazioni prospettiche sugli incrementi di redditività dei mezzi propri collegati ad un maggior ricorso all’indebitamento.

    In particolare, il maggiore indebitamento può esercitare un effetto propulsivo sulla redditività dei mezzi propri quando la redditività del capitale investito è superiore al costo dell’indebitamento. In tale ipotesi gli investitori-soci potranno godere del vantaggio relativo al differenziale tra redditività operativa e costo del reperimento delle risorse finanziarie. Nell’ipotesi opposta, ovvero quando il costo dell’indebitamento è superiore al rendimento prodotto dall’investimento delle risorse finanziarie, il maggiore indebitamento produrrà un margine economico negativo a danno della redditività degli investitori in capitale di rischio. Nel primo caso si parla di leva finanziaria positiva, nel secondo di leva finanziaria negativa.

    L’effetto leva può essere sinteticamente tradotto nella seguente formula:

    ROE (lordo) = [ROI + (ROI - tf) × CT/CN]

    La formula presentata per semplicità si ferma al ROE lordo per escludere l’influenza degli oneri tributari. Nella formula il ROE è frutto della somma tra il ROI ed un secondo termine dato da:

    (ROI - tf) × CT/CN

    • tf è il costo del capitale di terzi (spesso denominato ROD, Return On Debt), che può essere calcolato dai dati di bilancio mediante il rapporto tra oneri finanziari (Conto economico) e capitale di terzi (Stato patrimoniale). Per ottenere indicazioni più attendibili un calcolo maggiormente corretto dell’indicatore richiede di inserire al numeratore gli oneri finanziari espliciti ed al denominatore l’indebitamento “esplicitamente oneroso”;

    • CT/CN è l’indice di indebitamento in senso stretto (debt to equity ratio).

    La formula sintetizza l’effetto leva prima descritto:

    • se ROI > tf l’azienda opera con una leva finanziaria positiva (leverage positivo), per cui quanto più cresce l’indebitamento (CT/CN) tanto maggiore sarà l’incremento del ROE rispetto al ROI;

    • se ROI < tf l’azienda opera con un leverage negativo, per cui un aumento dell’indebitamento produrrà una riduzione del ROE rispetto al ROI.

    L’indicazione fornita dalla leva finanziaria può quindi essere di estrema utilità per orientare le decisioni relative alle scelte da adottare in merito alla struttura finanziaria. Tuttavia, occorre considerare che:

    • nonostante una condizione di leverage positivo, l’indebitamento non può essere aumentato oltre la capacità dell’azienda di rimborsare i capitali ottenuti in prestito;

    • in caso di peggioramento della leva finanziaria causato da avverse condizioni di mercato, non è semplice ridurre in tempi rapidi il grado di indebitamento salvo che i soci non siano disposti ad intervenire aumentando l’apporto di mezzi propri.

    37.5.2. Leva operativa

    37.5.2.Leva operativa

    La leva operativa esprime l’effetto prodotto sul risultato operativo da un incremento del volume di attività. Al fine di illustrare il funzionamento della leva operativa di seguito riportiamo un semplice esempio numerico.

    CASO 6 - Leva operativa

    L’azienda Alfa espone alla fine dell’anno n un risultato operativo pari 10.000 a fronte di un fatturato di 100.000. Utilizzando un Conto economico marginalistico - basato sulla classificazione dei costi operativi in fissi e variabili in rapporto ai ricavi di vendita si stima la variazione % del risultato operativo prodotta da un ipotetico incremento del 30% nei ricavi di vendita.

    L’incremento % dei ricavi comporta un aumento corrispondente nei costi variabili e quindi nel margine di contribuzione. Per quanto riguarda i costi fissi, per definizione, si ipotizza che non siano soggetti a variazioni, pertanto il margine di contribuzione incrementale (+12.000) si trasferisce integralmente sul risultato operativo, il cui valore passa da 10.000 a 22.000, con una variazione relativa del 120%.

    Anno n Anno n+1
    Ricavi 100.000 +30% 130.000
    Costi Variabili 60.000 (+30%) 78.000
    Margine di contribuzione 40.000 (+30%) 52.000
    Costi Fissi 30.000 30.000
    Risultato Operativo 10.000 +120% 22.000

    La formula della leva operativa prevede il rapporto tra le variazioni % del risultato operativo e dei ricavi di vendita. Applicando la formula ai dati del caso si avrà una leva operativa pari a 4:

    La leva operativa consente di valutare la convenienza allo sviluppo della gestione ed esprime anche la rischiosità in caso di contrazione del volume di attività.

    Ad esempio, se un’azienda presenta un’elevata leva operativa (caso “Leva operativa con valore elevato”) tale indicatore segnala una grande sensibilità del risultato operativo a fronte di riduzioni percentuali, anche piccole, del fatturato. Un livello elevato di leva operativa dipende (a parità di altre condizioni) da una più elevata incidenza di costi fissi.

    CASO 7 - Leva operativa con valore elevato

    Le aziende Alfa e Beta presentano un valore uguale di fatturato e risultato operativo, ma presentano scelte contrapposte in relazione alla struttura dei costi.

    Alfa presenta una più elevata incidenza dei costi variabili che derivano dall’adozione di politiche di outsourcing e di un basso grado di integrazione verticale, Beta utilizza in maniera più significativa la struttura interna con una maggiore incidenza di costi fissi.

    Tra le due aziende la struttura di costi di Beta appare più rischiosa. Nell’ipotesi in cui per tutte e due le aziende si verifichi una riduzione del fatturato pari al 10% il proprio risultato operativo di Alfa si ridurrà del 30%, mentre Beta registrerà un decremento pari al 70%, avvicinandosi in maniera rischiosa al break-even point.

    L’effetto per così dire moltiplicativo della leva operativa sull’aumento del prodotto di esercizio e quindi dell’utile operativo dipende dalla struttura dei costi dell’area operativa. Quindi la prevalenza dei costi fissi rispetto ai costi variabili influenza positivamente il grado di leva operativa.

    Alfa Beta
    Ricavi 100.000 100.000
    Costi Variabili 70.000 30.000
    Margine di contribuzione 30.000 70.000
    Costi Fissi 20.000 60.000
    Risultato Operativo 10.000 10.000
    Leva Operativa 3 7

    37.6. Indicatori basati sul cash flow operativo

    37.6.Indicatori basati sul cash flow operativo

    Tali indicatori consentono di valutare la potenzialità e l’adeguatezza del cash flow prodotto, sia nel breve che nel medio periodo.

    Il primo degli indicatori proposti consente di valutare la capacità di tradurre in cash flow le potenziali liquidità prodotte dalla redditività operativa:

    L’indicatore può assumere valori ˃ o ˂ di 1. La differenza tra numeratore e denominatore è riconducibile alla dinamica del capitale circolante netto operativo, composto da magazzino, crediti e debiti operativi. Quando l’indicatore assume valori ˂ di 1 il flusso di liquidità potenzialmente generabile in relazione al rapporto tra ricavi e costi monetari si disperde in una cattiva gestione del circolante. In caso contrario l’efficiente gestione del circolante produce l’effetto di amplificare la produzione di cash flow.

    È possibile, inoltre, calcolare altri indicatori utilizzando come base di riferimento il cash flow liberamente disponibile, dato dal cash flow operativo, al netto del prelievo fiscale e degli altri assorbimenti “forzosi”, ovvero gli oneri finanziari (al netto dei proventi) ed il rimborso dei debiti finanziari a medio-lungo termine (se presente):

    Free Cash Flow (FCF) = [Cash Flow Operativo (al netto delle imposte) - Oneri finanziari netti

    - Rimborso debiti finanziari a m/l termine]

    Mediante la modalità di calcolo indicata il FCF esprime la liquidità generata e libera da vincoli che può essere utilizzata, a discrezione degli amministratori, per:

    • rimborsare i debiti di breve termine;

    • auto-finanziare nuovi investimenti;

    • distribuire dividendi senza ricorrere ad ulteriore debito.

    Indicatori di impiego del CFC
    Indicatori Criteri di valutazione
    Free Cash Flow Soddisfacente quando il FCF copre una quota significativa della PFN a breve (es. 50%).
    Posizione finanziaria netta a breve
    Free Cash Flow Soddisfacente quando il FCF è coerente con il rimborso periodico di un finanziamento acceso per il finanziamento dell’investimento.
    Nuovi investimenti
    Free Cash Flow Soddisfacente quando il FCF è superiore ai dividendi distribuiti.
    Dividendi distribuiti

    In mancanza di informazioni esplicite in Nota integrativa, sia i nuovi investimenti che i dividendi distribuiti possono essere agevolmente calcolati utilizzando le formule impiegate nel procedimento indiretto di costruzione del Rendiconto finanziario.

    Dal lato dei finanziamenti, il FCF esprime l’importo massimo che l’azienda è fisiologicamente in grado di rimborsare nel periodo considerato: di conseguenza potrebbe considerarsi adeguata una copertura vicina al 50% della posizione finanziaria netta a breve.

    La valutazione del rapporto tra FCF e nuovi investimenti è più complicata, considerato che l’importo degli investimenti può essere notevolmente superiore al flusso di liquidità periodicamente disponibile. Il risultato può essere interpretato mediante il principio della sincronizzazione fonti-impieghi.

    Si potrebbe verificare ad esempio se il FCF è coerente con l’impegno che un teorico finanziamento richiederebbe per la copertura dell’investimento. In alternativa si potrebbe considerare soddisfacente il rapporto tra FCF e nuovi investimenti se superiore alla % di ammortamento dei beni acquisiti. La quota di ammortamento rappresenta infatti il volume di cash flow che l’impiego di un bene strumentale dovrebbe contribuire a produrre in condizioni di equilibrio economico.

    Infine, la distribuzione dei dividendi può essere considerata opportuna soltanto entro i limiti del cash flow disponibile, salvo che non ci sia la volontà di aumentare l’indebitamento.

    Uno strumento alternativo ai precedenti tre indicatori è rappresentato dal Cash Flow Adequacy Ratio che permette di valutare l’adeguatezza del cash flow a fronte di scelte relativamente discrezionali in un’ottica di medio periodo:

    L’indicatore esprime la capienza con cui il cash flow è in grado nel medio periodo di soddisfare i fabbisogni legati ad acquisizioni di beni strumentali, incremento del magazzino e distribuzione dei dividendi.

    37.7. Cruscotto degli indicatori economico-finanziari

    37.7.Cruscotto degli indicatori economico-finanziari

    Si riportano i principali indicatori, utili in particolare al fine di segnalare possibili situazioni di crisi aziendali in atto. Per ogni indicatore sono evidenziate le condizioni generali per valutarne la positività o l’equilibrio ed alcune tra le azioni e/o politiche (a breve e medio-lungo periodo) utilizzabili per ripristinare o per consolidare lo stato di equilibrio economico-finanziario.

    All’interno della tabella proposta, è possibile notare che alcuni indicatori rappresentano contestualmente dei segnali di crisi aziendale e al tempo stesso delle leve di manovra che possono essere utilizzati per modificare i valori di altri indicatori ad essi correlati.

    Cruscotto di bilancio
    Solidità Patrimoniale / Liquidità
    Indicatori Valore
    positivo/
    Equilibrio
    Valore negativo/
    Disequilibrio
    Azioni di
    miglioramento a
    breve termine
    Azioni di
    miglioramento a medio/lungo
    termine
    Indice di struttura corrente > 1 < 1 - Ridurre Posizione Finanziaria netta a breve
    - Ridurre durata ciclo monetario
    - Dismettere eventuali asset extra-operativi
    - Consolidare debiti finanziari
    - Destinare interamente il Free Cash Flow al rimborso dei debiti
    Indice di liquidità secca ≥ 1 < 1
    Copertura
    immobilizzazioni
    tecniche
    ≈ 1 ≈ 0 - Non distribuire dividendi per incrementare il capitale netto attraverso l’autofinanziamento
    - Richiedere ai soci l’eventuale versamento di decimi residui
    - Aumentare il capitale sociale

    Capitale netto di garanzia ≥ 1 < 1
    Posizione
    finanziaria
    netta breve
    Δ ≤ 0 Δ ≥ 0 - Aumentare il cash flow
    - Diminuire i debiti finanziari correnti
    - Diminuire il Capitale Circolante Netto Operativo (Indici di durata)
    Posizione
    finanziaria a medio/lungo termine
    Δ ≤ 0 Δ ≥ 0 - Diminuire il Capitale Investito Netto Operativo
    - Diminuire i debiti finanziari a medio/lungo termine
    - Aumentare il ricorso ai debiti di funzionamento
    Redditività
    ROE > rendimenti alternativi
    > esercizi precedenti
    < rendimenti alternativi
    < esercizi precedenti
    - Migliorare il risultato della gestione accessoria
    - Negoziare migliori condizioni sui finanziamenti a breve termine
    - Aumentare il ROI
    - Ridurre la Posizione finanziaria complessiva
    - Migliorare onerosità finanziamenti a medio-lungo termine
    ROI > esercizi precedenti
    > principali concorrenti
    < esercizi precedenti
    < principali concorrenti
    - Migliorare l’efficienza di impiego dei fattori produttivi (indici di efficienza)
    - Incrementare il Turnover (volumi di vendita a parità di capitale investito)
    - Adottare strategie di costo o differenziazione per migliorare la redditività


    Indebitamento
    Debt to Equity ≤ esercizi precedenti
    ≤ 3
    > esercizi precedenti
    > 3
    - Diminuire posizione finanziaria a breve
    - Diminuire il Capitale Circolante Netto Operativo (Indici di durata)
    - Ridurre la Posizione finanziaria complessiva
    - Ridurre il Capitale Investito Netto Operativo
    - Aumentare il capitale sociale
    Copertura Oneri Finanziari > 1
    ≥ esercizi precedenti
    < 1
    < esercizi precedenti
    - Diminuire posizione finanziaria a breve
    - Diminuire onerosità debiti finanziari a breve
    - Diminuire la Posizione finanziaria complessiva
    - Migliorare onerosità finanziamenti a medio-lungo termine
    Debiti/Ricavi < 1 ≥ 1 - Diminuire la Posizione finanziaria complessiva
    - Sviluppare l’attività operativa senza aumentare il fabbisogno finanziario
    - Aumentare il grado di capitalizzazione
    Cash Flow
    Cash Flow
    Operativo
    EBITDA
    ≥ 1 < 1 - Diminuire il Capitale Circolante Netto Operativo (Indici di durata)
    Free Cash Flow
    PFN a breve
    ≥ 0,5 < 0,5 - Diminuire posizione finanziaria a breve
    - Diminuire onerosità debiti finanziari a breve
    - Migliorare la redditività operativa per aumentare la produzione di cash flow
    Free Cash Flow
    Dividendi
    distribuiti ai soci
    >1 <1 - Non procedere ad alcuna distribuzione di dividendi

    37.8. Parametri esterni di benchmark

    37.8.Parametri esterni di benchmark

    Nella parte iniziale del capitolo è stata evidenziata la necessità di comparare i valori e gli indici di bilancio nel tempo e/o nello spazio al fine di ottenere informazioni significative sulla situazione economico-finanziaria dell’azienda (37.2., 37.3., 37.4.). L’interpretazione dei prospetti e degli indicatori presuppone infatti la necessità di realizzare un confronto finalizzato a comprendere se, rispetto ad un dato fenomeno gestionale, sono in atto dei trend di miglioramento o di peggioramento.

    La comparazione temporale, senza dubbio più semplice da realizzare, si basa sul confronto dei valori con i bilanci di esercizi precedenti prodotti dalla stessa azienda. In genere non presenta problemi significativi in termini di reperibilità dei dati, omogeneità degli schemi, e flessibilità di utilizzo perché si basa su comparazioni realizzate con dati interni che possono essere utilizzati con differenti modalità di riclassificazione.

    L’analisi spaziale invece dovrebbe consentire di valutare il trend aziendale alla luce delle dinamiche in atto nel mercato competitivo. Tale tipo di comparazione presenta una serie di complessità prevalentemente riconducibili a:

    • reperimento dei dati per il confronto;

    • attendibilità dei dati e delle informazioni;

    • scarsa flessibilità di utilizzo;

    • omogeneità;

    • metodologie matematico-statistiche di manipolazione dei dati esterni.

    I problemi di attendibilità si riferiscono al rischio (non facilmente quantificabile) che i dati esterni, qualora riferiti a competitori diretti, possano essere condizionati da politiche di bilancio con la finalità di presentare una situazione migliore rispetto a quella reale.

    Il rischio di inattendibilità in genere non produce conseguenze operative, in termini di rettifica o integrazione dei valori di bilancio, ma può generare “cautele interpretative” nell’analista. Se il parametro di riferimento dell’analisi è un bilancio esterno, è necessario supporre che quel bilancio sia corretto, salvo che dalla sua lettura non emergano dubbi di coerenza. Di conseguenza sarà necessario tenere conto dei rischi di attendibilità in particolare nella fase interpretativa mediante la formulazione di giudizi probabilistici piuttosto che assoluti.

    Un valido strumento per misurare la probabilità che il bilancio oggetto di analisi sia viziato da scelte soggettive degli amministratori, finalizzate ad offrire una migliore rappresentazione contabile degli andamenti aziendali è rappresentato dall’ M-Score di Beneish. Tale strumento è basato su un modello di regressione multivariata che utilizza otto diversi indicatori derivati dal bilancio in grado di segnalare potenziali tipologie di manipolazione.

    M-Score indicatori e formula
    L’indice M-Score di Beneish si basa sui seguenti 8 indicatori:
    - DSRI = Days’ Sales in Receivables Index. Giorni medi di incasso anno t/anno t-1.
    - GMI = Gross Margin Index. Risultato lordo industriale, (vedi par. 2.4.2.) anno t/anno t-1.
    - AQI = Asset Quality Index. Attivo fisso, al netto di fabbricati, impianti e macchinari anno t/anno t-1.
    - SGI = Sales Growth Index. Ricavi di vendita anno t/ Ricavi di vendita anno t-1.
    - DEPI = Depreciation Index. Tasso di ammortamento anno t-1/ Tasso di ammortamento anno t
    - SGAI = Sales, General and Administrative expenses Index. (Ricavi - Spese generali e amministrative) anno t/anno t-1.
    - LVGI = Leverage Index. (Totale debiti/capitale investito) anno t/anno t-1.
    - TATA - Total Accruals to Total Assets. Variazione del capitale circolante operativo al netto di liquidità immediate e svalutazioni.
    Le 8 variabili sono impiegate nel seguente modello di regressione:
    M = -4.84 + 0.92*DSRI + 0.528*GMI + 0.404*AQI + 0.892*SGI + 0.115*DEPI - 0.172*SGAI + 4.679*TATA - 0.327*LVGI
    Quando l’M-Score assume un valore soglia superiore (meno negativo) di -1,78, esistono rilevanti probabilità che il bilancio sia stato oggetto di valutazioni discrezionali da parte degli amministratori.

    Un’altra difficoltà che può emergere nell’analisi spaziale è la scarsa flessibilità dei dati dovuta all’impossibilità di riclassificare i dati esterni con criteri alternativi rispetto a quelli con cui sono originariamente presentati. Tale aspetto limita la scelta dei prospetti che possono essere utilizzati e in alcuni casi degli indicatori che è possibile calcolare.

    La disomogeneità tra dati interni e dati esterni può dipendere da differenti motivazioni: ad esempio può infatti riferirsi a scelte differenti nell’applicazione dei principi contabili (nei casi in cui i principi contabili lascino spazio ad alternative), oppure a norme di legge o principi contabili o valute di riferimento diverse (nel caso in cui la comparazione avvenga fra bilanci di paesi diversi). In altri casi la mancanza di omogeneità può riferirsi a modalità diverse di presentazione delle informazioni, in relazione ai prospetti, alla analiticità delle informazioni e alla terminologia.

    Infine, nell’ipotesi in cui i dati aziendali siano confrontati con valori medi di settore o con dati aggregati, o più in generale con informazioni ottenute attraverso elaborazioni dei dati esterni le metodologie matematico-statistiche possono costituire un problema. In tali casi è opportuno essere a conoscenza delle metodologie di trattamento delle informazioni utilizzate al fine di:

    • omogeneizzare opportunamente i dati interni ai dati esterni;

    • interpretare le informazioni in maniera corretta rispetto ai procedimenti matematici utilizzati.

    Per esempio, al fine di una corretta comparazione del ROI aziendale con un valore medio di settore dovremmo prima verificare quale formula è stata utilizzata per il calcolo del ROI di settore, successivamente applicare la stessa formula ai dati interni.

    La comparazione spaziale può essere realizzata utilizzando differenti tipologie di parametri di riferimento, ciascuna delle quali presenta delle specifiche criticità:

    • aziende concorrenti o best practices;

    • valori medi;

    • dati aggregati.

    37.8.1. Confronto con aziende concorrenti o best practices

    37.8.1.Confronto con aziende concorrenti o best practices

    Il confronto con aziende concorrenti o caratterizzate da best practices richiede l’individuazione di un’azienda di riferimento di cui è necessario reperire i bilanci relativi ad almeno 3 esercizi amministrativi. I bilanci dell’azienda benchmark e quelli interni possono quindi essere riclassificati e confrontati utilizzando schemi omogenei. In genere, questo tipo di comparazione viene effettuata utilizzando i valori percentuali: la motivazione deriva dal fatto che le aziende oggetto di comparazione, pur operando nello stesso settore, potrebbero gestire volumi di attività completamente diversi, di conseguenza i valori assoluti delle due aziende non sarebbero significativi.

    Altra motivazione deriva dalla finalità conoscitiva di tale analisi che è principalmente orientata alla ricerca dei fattori che consentono al benchmark di ottenere eventuali efficienze (in termini economici o finanziari) che invece non sono conosciute dall’azienda oggetto di analisi. Di conseguenza il confronto si focalizza sull’analisi dell’incidenza dei costi operativi e finanziari in rapporto ai ricavi e sulle strutture di impieghi e fonti. In questi casi, pertanto, i valori relativi risultano più idonei a rappresentare la “composizione” del bilancio rispetto ai valori assoluti.

    Il reperimento dei bilanci delle aziende “benchmark” non presenta difficoltà significative. Da sottolineare tuttavia che le aziende confrontate dovrebbero essere quanto più possibile “simili” in termini operativi: ovvero dovrebbero operare prevalentemente nello stesso settore, essere caratterizzate dal medesimo livello di integrazione verticale e con strutture produttive paragonabili.

    In presenza di aziende con caratteristiche difformi, sarà necessario per l’analista conoscere l’operatività dell’azienda benchmark al fine di effettuare in fase interpretativa le dovute ponderazioni valutando tali differenze. È necessario quindi evidenziare che la comparazione orizzontale con concorrenti diretti può causare distorsioni interpretative oppure confronti poco significativi quando si paragonano aziende sostanzialmente diverse in mancanza di una completa conoscenza della realtà operativa del concorrente.

    37.8.2. Comparazione con valori medi di settore

    37.8.2.Comparazione con valori medi di settore

    I valori medi di settore consentono di rappresentare il profilo più comune degli operatori di una determinata area competitiva. Tale confronto può essere realizzato sia con bilanci che con indicatori medi di settore. Il metodo utilizzato per il calcolo dei valori medi è determinante per evitare problemi di attendibilità e per una corretta interpretazione dei valori. Le medie aritmetiche, infatti, possono essere condizionate dal peso delle aziende di maggiori dimensioni; in questo caso senza indicazioni sulla variabilità dei dati rispetto ai valori medi non è possibile tracciare il profilo statisticamente “normale” dell’azienda-tipo del settore.

    Un ulteriore aspetto da valutare riguarda i canali di reperimento delle informazioni di benchmark: in genere la raccolta dei valori medi richiede l’attivazione di processi di acquisizione, classificazione ed elaborazione dei dati piuttosto complessi: di conseguenza tali tipologie di raccolta di informazioni richiede il pagamento di un compenso per il servizio offerto.

    Tra i canali gratuiti, si segnala in particolare un servizio informativo realizzato dal Comitato Europeo delle Centrali dei Bilanci (ECCBSO - European Committee of Central Balance Sheets Offices) in collaborazione con la Commissione Europea (Direzione Generale degli Affari Economici e Finanziari). L’applicazione ESD - European Sectoral reference Database - è alimentata da un data-base contenente bilanci armonizzati provenienti da 11 nazioni europee, Stati Uniti e Giappone (per l’utilizzo dell’applicazione ESD si rinvia al www.bach.banque-france.fr). I dati presenti nel data-base sono riclassificati per settore, per classe di fatturato, per nazione e per anno.

    Il data-base fornisce gratuitamente un cruscotto di indicatori economico-finanziari esponendo i valori-soglia dei quartili calcolati in relazione al gruppo di aziende selezionate. Un esempio è riportato nel caso “Confronto attraverso quartili”.

    CASO 8 - Confronto attraverso quartili

    Settore: Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari

    Classe di fatturato: da 7 a 40 milioni di euro

    Nazione: Italia

    Anno: 200X

    Quota di copertura del fatturato: 77,07%

    Quota di copertura totale sul numero di imprese: 17,97%

    Ratio N Q1 Q2 Q3
    ROE (Utile d’esercizio/Patrimonio netto) 433 0,39% 4,60% 13,37%

    I quartili sono costruiti su serie numeriche ordinate in senso crescente ed indicano i limiti al di sotto dei quali si colloca il 25% delle rilevazioni: nell’esempio riportato, il primo quartile indica che il 25% delle aziende del settore analizzato ha prodotto un ROE inferiore a 0,39%; il 50% delle aziende ha generato un ROE minore o uguale a 4,60%, mentre il 75% delle aziende ha generato un ROE minore o uguale a 13,37%. Le best performer del settore hanno dunque tassi di redditività superiori a quest’ultimo valore.

    Il metodo dei quartili presenta il vantaggio di pesare tutte le unità del campione analizzato allo stesso modo. Le aziende di dimensioni più consistenti non sono quindi in grado di influenzare i valori di benchmark come invece accade nell’impiego di medie aritmetiche.

    37.8.3. Comparazione con dati aggregati

    37.8.3.Comparazione con dati aggregati

    Una ulteriore base di dati aziendali che possono essere reperiti dall’analista esterno è costituita dai bilanci aggregati. In sintesi, si tratta di prospetti di bilancio che rappresentano la sommatoria delle poste di bilancio di una serie di aziende che vengono selezionate in base a un criterio di appartenenza a un settore piuttosto che ad una nazione. In alcuni casi tali tipologie di bilanci possono essere molto utili per analisi di natura macroeconomica.

    Numerosi studi annuali vengono svolti da società di ricerche che consentono di individuare informazioni utili per valutare lo sviluppo degli investimenti e delle attività di ricerca e sviluppo nei diversi settori, così come indicatori di redditività e di liquidità/indebitamento. In particolare, alcuni indicatori presentati nelle ricerche possono essere utili anche per realtà aziendali di minori dimensioni (gli indicatori sono calcolati e presentati per settore produttivo) quali ad esempio:

    • tasso medio di investimento tecnico;

    • valore aggiunto e costo del lavoro per dipendente;

    • spese di ricerca & sviluppo in % sul fatturato.

    In alternativa possono essere sempre utilizzati i canali a pagamento che offrono nei loro database informativi un’integrazione di valori medi e aggregati.

    Rispetto ai dati medi, i dati aggregati possono essere molto utili per calcolare il grado di “occupazione degli spazi” all’interno del segmento di aziende selezionate: per esempio il rapporto tra il fatturato dell’azienda ed il fatturato aggregato di settore indicherà la quota di mercato posseduta.

    CASO 9 - Riepilogo analisi di bilancio e calcolo indicatori

    La Beta Spa presenta al 31/12/n il seguente bilancio riclassificato con valori espressi in migliaia di euro.

    STATO PATRIMONIALE RICLASSIFICATO
    Schema sintetico IN EURO MIGLIAIA
    Impieghi n-1 n Fonti di finanziamento n-1 n
    Liquidità
    immediate
    161 277 Passività
    correnti
    11.255 8.720
    Liquidità
    differite
    5.324 6.366 Passività
    consolidate
    4.252 5.040
    Disponibilità di magazzino 4.685 4.775      
    Attivo
    corrente
    10.170 11.418 Capitale di terzi 15.507 13.760
               
    Attivo
    immobilizzato
    14.739 16.939 Capitale
    proprio
    9.402 14.597
    Totale impieghi 24.909 28.357 Totale
    finanziamenti
    24.909 28.357

    CONTO ECONOMICO
    Configurazione “a valore aggiunto”
    Descrizione n-1 n
    Ricavi netti di vendita 37.363 45.371
    + Incremento delle rimanenze di prodotti finiti 85 50
    + Incremento delle rimanenze di prodotti in lavorazione 25 10
    + Lavori in economia 3.720 5.000
    Valore della produzione (A) 41.193 50.431
    Acquisti di materie prime 23.284 25.791
    - Incremento rimanenze di materie prime -162 -30
    + Consumi di servizi 5.840 8.532
    Totale consumi di materie e servizi (B) 28.962 34.293
    Valore aggiunto caratteristico (A - B) 12.231 16.138
    - Costi per il personale -6.250 -7.950
    Margine operativo lordo (MOL o EBITDA) 5.981 8.188
    - Ammortamenti -2.374 -3.120
    - Svalutazione crediti -57 -70
    Margine operativo netto (EBIT) 3.550 4.998
    ± Saldo della gestione finanziaria -753 -660
    Utile lordo della gestione corrente 2.797 4.338
    ± Saldo della gestione straordinaria -83 48
    Utile lordo prima delle imposte 2.714 4.386
    - Imposte sul reddito -1.086 -1.754
    = UTILE NETTO DELL’ESERCIZIO 1.628 2.632

    ELEMENTI AGGIUNTIVI n-1 n
    Fatture emesse 45.582 55.352
    Fatture ricevute per acquisti di beni e servizi 35.531 41.874
    Crediti commerciali 3.746 4.398
    Debiti commerciali 2.434 3.815
    Oneri finanziari 740 670
    Numero dipendenti 125 140

    Di seguito si procede alla redazione del quadro degli indici patrimoniali, finanziari ed economici.

    STATO PATRIMONIALE RICLASSIFICATO
    Schema sintetico IN EURO MIGLIAIA
    Impieghi n-1 n Fonti di finanziamento n-1 n
    Liquidità
    immediate
    161 277 Passività
    correnti
    11.255 8.720
    Liquidità
    differite
    5.324 6.366 Passività
    consolidate
    4.252 5.040

    Disponibilità di magazzino 4.685 4.775      
    Attivo
    corrente
    10.170 11.418 Capitale di terzi 15.507 13.760
    - - - - - -
    Attivo
    immobilizzato
    14.739 16.939 Capitale
    proprio
    9.402 14.597
    Totale impieghi 24.909 28.357 Totale
    finanziamenti
    24.909 28.357
    - - - - - -

    STATO PATRIMONIALE RICLASSIFICATO
    Schema sintetico a valori percentuali
    Impieghi n-1 n Fonti di finanziamento n-1 n
    Liquidità 0,01 0,01 Passività
    correnti
    0,45 0,31
    Liquidità differite 0,21 0,22 Passività
    consolidate
    0,17 0,18
    Disponibilità di magazzino 0,19 0,17      
    Attivo corrente 0,41 0,40 Capitale di terzi 0,62 0,49
    Attivo immobilizzato 0,59 0,60 Capitale
    proprio
    0,38 0,51
    Totale impieghi 1 1 Totale
    finanziamenti
    1 1

    CONTO ECONOMICO
    Configurazione “a valore aggiunto”
    Descrizione n-1 n
    Ricavi netti di vendita 37.363 45.371
    + Incremento delle rimanenze di prodotti finiti 85 50
    + Incremento delle rimanenze di prodotti in lavorazione 25 10
    + Lavori in economia 3.720 5.000
    Valore della produzione (A) 41.193 50.431
    Acquisti di materie prime 23.284 25.791
    - Incremento rimanenze di materie prime -162 -30
    + Consumi di servizi 5.840 8.532
    Totale consumi di materie e servizi (B) 28.962 34.293
    Valore aggiunto caratteristico (A - B) 12.231 16.138
    - Costi per il personale -6.250 -7.950
    Margine operativo lordo (MOL o EBITDA) 5.981 8.188
    - Ammortamenti -2.374 -3.120
    - Svalutazione crediti -57 -70
    Margine operativo netto (EBIT) 3.550 4.998
    ± Saldo della gestione finanziaria -753 -660
    Utile lordo della gestione corrente 2.797 4.338
    ± Saldo della gestione straordinaria -83 48
    Utile lordo prima delle imposte 2.714 4.386
    - Imposte sul reddito -1.086 -1.754
    = UTILE NETTO DELL’ESERCIZIO 1.628 2.632

    Analisi della situazione patrimoniale-finanziaria
    Indici Formule n-1 n
    Indici di composizione degli impieghi
    Indice di rigidità degli impieghi I / Ci 0,5917 0,5973
    Indice di elasticità degli impieghi Ab / Ci 0,4083 0,4027
    Indici di composizione delle fonti
    Indice di autonomia finanziaria Cp / (Ct + Cp) 0,3775 0,5148
    Indice di dipendenza finanziaria Ct / (Ct + Cp) 0,6225 0,4852
    Indice di indebitamento o leverage Ci / Cp 2,649 1,943
    Quoziente di indebitamento Ct /Cp 1,649 0,943
    Indice di rigidità delle fonti (Pc + Cp) / (Ct + Cp) 0,5482 0,692
    Indici di correlazione impieghi durevoli-fonti permanenti
    Margine di struttura essenziale (migliaia di euro) Cp - I - 5.337 - 2.342
    Quoziente di autocopertura delle
    immobilizzazioni
    Cp / I 0,638 0,862
    Margine di struttura globale (migliaia di euro) (Pc + Cp) - I - 1.085 2698
    Quoziente di copertura delle immobilizzazioni (Pc + Cp) / I 0,926 1,159

    Analisi della situazione di liquidità
    Indici Formule n-1 n
    Indici di correlazione impieghi correnti-fonti a breve
    Capitale circolante netto (migliaia di euro) Ab-Pb - 1.085 2.698
    Quoziente di disponibilità Ab/Pb 0,904 1,309
    Margine di tesoreria (migliaia di euro) ( Li + Ld)-Pb - 5.770 - 2.077
    Quoziente di liquidità ( Li + Ld)/Pb 0,487 0,76
    Indici di rotazione e di durata

    Rotazione del capitale investito V/ Ci 1,5 1,6
    Rotazione del magazzino V/Dm 7,975 9,502
    Rotazione dei crediti commerciali Fatture emesse / crediti commerciali 12,168 12,586
    Giacenza media di magazzino Dm*365/V gg. 46 gg. 38
    Durata media dei crediti commerciali Crediti commerciali* 365/ Fatture emesse gg. 30 gg. 29
    Durata media dei debiti commerciali Debiti commerciali* 365/ Fatture ricevute gg. 25 gg. 33

    Analisi della situazione economica
    Indici Formule n-1 n
    Indici di redditività
    Redditività del capitale proprio (ROE) Rn/Cp x 100 17,32% 18,03%
    Redditività del capitale investito (ROI) Ro/Ci x 100 14,25% 17,63%
    Onerosità del capitale di credito (ROD) Of/Ct x 100 4,77% 4,87%
    Redditività delle vendite (ROS) Ro/V x 100 9,50% 11,02%
    Incidenza della gestione non caratteristica Rn/Ro 0,459 0,527
    Indici di produttività del lavoro
    Vendite per dipendente (migliaia di euro) Vendite/numero dipendenti 298,904 324,079
    Valore aggiunto per dipendente (migliaia di euro) Valore aggiunto/ numero dipendenti 97,848 115,271
    Incidenza del costo del lavoro sul valore aggiunto Costo del lavoro/ Valore aggiunto 51,10% 49,26%

    Indici per l’analisi del ROE n-1 n
    Redditività del capitale proprio (ROE) 17,32% 18,03%
    Redditività del capitale investito (ROI) 14,25% 17,63%
    Redditività delle vendite (ROS) 9,50% 11,02%
    Indice di indebitamento (leverage) 2,649 1,943
    Incidenza della gestione non caratteristica 0,459 0,527
    Onerosità del capitale di credito (ROD) 4,64% 4,65%
    Differenziale (ROI - ROD) 9,61% 12,97%
    CASO 10 - Analisi di Bilancio della TONI Spa

    La Toni Spa è un’impresa industriale di medie dimensioni che opera nel settore lattiero caseario; il suo brand è conosciuto a livello nazionale e la strategia del management è di attivare delle politiche di sviluppo in nuovi mercati esteri; per valutare lo stato di salute dell’impresa, i tre amministratori analizzano i dati di bilancio dell’anno N /N-1 mediante analisi dei principali indicatori patrimoniali, finanziari e di redditività. Infine, analizzano i risultati raggiunti evidenziando i punti di forza e debolezza della struttura della società in un’ottica di sviluppo di nuovi mercati di sbocco nel medio lungo periodo.

    Di seguito si riporta il bilancio civilistico con informazioni aggiuntive e la tabella della Nota integrativa relativa alla variazione delle immobilizzazioni:

    STATO PATRIMONIALE
    ATTIVO n n-1 PASSIVO n n-1
    A) CREDITI V/SOCI - - A) PATRIMONIO NETTO
    6.380.000

    6.494.460
          I. Capitale
    sociale

    5.500.000

    5.500.000
    B) IMMOBILIZZAZIONI IV. Riserva
    legale
    380.000 347.660
    I. Immobilizzazioni
    immateriali
    IX. Utile
    dell’esercizio
    500.000 646.800
    3) Brevetti 572.133,33 648.000      
          B) FONDI
    RISCHI
    E ONERI
    600.000 544.257
    II. Immobilizzazioni
    materiali
    7.211.516,67 6.552.000      
    1) Terreni e Fabbricati 3.729.900 2.880.000 C) TFR 1.118.153 1.095.743
    2) Impianti e
    Macchinari
    2.698.050 2.736.000      
    3) Attrezzature
    industriali
    641.166,67 432.000 D) DEBITI 3.891.847 3.845.540
    4) Altri beni 142.400 504.000 4. Verso banche
    (di cui oltre
    2.430.000 anno n)
    2.780.000 1.940.000
          7) Verso fornitori 605.771 1.399.464
    III. Immobilizzazioni
    finanziarie
    - - 12) Tributari 170.743 170.743
          13) Istituti
    previdenziali
    162.000 162.000
    C) ATTIVO
    CIRCOLANTE
    4.204.350 4.788.000 14) Altri debiti 73.333 173.333
    I. Rimanenze 1.686.540 1.920.000      
    1) Materie prime 674.616 768.000      
    2) Prodotti in corso di lavorazione 168.654 192.000      
    4) Prodotti finiti 843.270 960.000      
               
    II. Crediti 2.433.483 2.628.000      
    1) Verso clienti 1.798.513 2.286.245      
    2) Verso altri 634.970 341.755      
               
    III. Attività finanziarie non immobilizzate - -      
             
    IV. Disponibilità
    liquide
    84.327 240.000      
    1) Depositi bancari 82.327 238.000      
    3) Cassa 2.000 2.000    
               
    D) RATEI E
    RISCONTI ATTIVI
    12.000 12.000 E) RATEI E
    RISCONTI
    PASSIVI
    10.000 20.000
    TOTALE
    ATTIVO
    12.000.000 12.000.000 TOTALE
    PASSIVO
    12.000.000 12.000.000

    CONTO ECONOMICO
    Anno n n-1
    A) VALORE DELLA PRODUZIONE    
    1) Ricavi delle vendite 14.140.000 14.400.000
    2) Variazioni rimanenze prodotti finiti - 140.076 44.000
    5) altri ricavi 20.000  
    TOTALE A 14.019.924 14.444.000
    B) COSTI DELLA PRODUZIONE    
    6) Per materie prime 4.705.450,44 4.986.061,80
    7) Per servizi 1.809.788,63 1.917.716,08
    8) Per godimento beni di terzi 651.523,91 690.377,79
    9) Per il personale 3.359.333 3.359.333
    a) Salari e stipendi 2.340.000 2.340.000
    b) Oneri sociali 819.000 819.000
    c) Trattamento di fine rapporto 200.333 200.333
    10) Ammortamenti e Svalutazioni 1.931.008,63 1.872.928,77
    a) Ammortamenti e sval. Imm. Imm. 275.866,67 259.200
    b) Ammortamenti e sval. Imm. Mat. 1.560.483,33 1.493.400
    d) Svalutazioni dei crediti 94.658,63 120.328,77
    11) Variazione delle rimanenze di materie prime 93.384 -28.000
    13) Altri accantonamenti 600.000 544.257
    14) Oneri diversi di gestione 72.391,55 76.708,64
    TOTALE B 13.222.880,15 13.419.383,08
    DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE (A-B) 797.043,85 1.024.616,92
    C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI    
    17) Interessi e altri oneri finanziari 27.813,08 29.540
    TOTALE C 27.813,08 29.540
    D) RETTIFICHE DI VALORE    
    TOTALE D - -
    RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE 769.230,77 995.076,92
    20) Imposte sul reddito d’esercizio 269.230,77 348.276,92
    UTILE D’ESERCIZIO 500.000 646.800

    Ulteriori informazioni utili ai fini dell’analisi di bilancio per indici e flussi:

    • i fondi rischi e oneri sono considerati di medio /lungo termine;

    • il debito per TFR è interamente tenuto in azienda in quanto la società ha meno di 50 dipendenti (per semplicità ai fini del rendiconto non si tiene conto della componente monetaria della quota);

    • i debiti verso banche sono per euro 2.430.000 oltre l’anno nell’esercizio N e euro 1.500.000 nell’esercizio N-1;

    • i dividendi dell’anno N-1 sono distribuiti dopo aver accantonato il 5% dell’utile a riserva legale.

    Di seguito si riporta la tabella delle immobilizzazioni del bilancio N; a tal fine si tiene presente che durante l’anno è avvenuta la cessione a titolo oneroso di un automezzo che presenta i seguenti valori: valore contabile euro 180.000, prezzo di vendita euro 200.000; infine l’impresa ha effettuato diversi investimenti da come si evince dalle voci della tabella.

    Tabella Immobilizzazioni Costo storico Fondo Valore netto contabile
    Terreni e Fabbricati      
    importo n-1 4.800.000 1.920.000 2.880.000
    Acquisti in data 1/6 1.000.000   1.000.000
    Ammortamenti   150.100 150.100
    Importo n 5.800.000 2.070.100 3.729.900
    Impianti e macchinari      
    importo n-1 6.840.000 4.104.000 2.736.000
    Acquisti in data 1/8 900.000   900.000
    Ammortamenti   937.950 937.950
    Importo n 7.740.000 5.041.950 2.698.050
    Attrezzature      
    importo n-1 1.080.000 648.000 432.000
    Acquisti in data 1/11 500.000   500.000
    Ammortamenti   290.833,33 290.833,33
    Importo n 1.580.000 938.833,33 641.166,67
    Altri beni      
    importo n-1 1.008.000 504.000 504.000
    Vendita in data 1/7 200.000 20.000 180.000
    Ammortamenti   181.600 181.600
    Importo n 808.000 665.600 142.400
    Brevetti      
    importo n-1 1.296.000 648.000 648.000
    Acquisto in data 1/8 200.000   200.000
    Ammortamenti   275.866,67 275.866,67
    Importo n 1.496.000 923.866,67 572.133,33
    Totale immobilizzazioni     7.783.650

    Si presentano

    • La riclassificazione dello Stato patrimoniale analitica dell’anno N e n-1;

    • la riclassificazione del Conto economico secondo la configurazione a valore aggiunto dell’anno N e N-1;

    • un quadro comparativo degli indici dell’anno N e N-1 raggruppati per tipologia di analisi.

    I DIVIDENDI DELL’ANNO n-1 sono stati distribuiti dopo aver accantonato il 5% dell’utile a riserva legale

    I DIVIDENDI DELL’ANNO n sono stati distribuiti dopo aver accantonato a riserva il 5% dell’utile a riserva legale

    anno n-1 646.800
    riserva legale 32.340
    dividendi netti 614.460

    anno n 500.000
    riserva legale 25.000
    dividendi netti 475.000

    CONTO ECONOMICO RICLASSIFICATO
    Conto economico a valore aggiunto n n-1
    Ricavi netti di vendita + altri ricavi gestione caratteristica 14.140.000 14.400.000
    +/-Variazione rimanenze prodotti/semilavorati -140.076 44.000
    +Costi patrimonializzati per lavori interni/costruzioni interne    
    = Valore della produzione caratteristica 13.999.924 14.444.000
    - Costi operativi esterni: consumi materie, costi per servizi, godimento beni di terzi, altri oneri esterni 7.332.538,52 7.642.864,31
    =Valore aggiunto industriale 6.667.385,48 6.801.135,69
    - Costi per il personale dipendente 3.359.333 3.359.333
    = Margine operativo lordo MOL/ EBITDA 3.308.052,48 3.441.802,69
    - Ammortamenti legati alla gestione operativa 1.836.350 1.752.600
    -Accantonamenti operativi per fondi rischi e oneri 600.000 544.257
    -Svalutazione crediti e altre attività operative 94.658,63 120.328,77
    =Reddito operativo /ebit 777.043,85 1.024.616,92
    +/- Gestione accessoria 20.000 0
    +/- Gestione finanziaria -27.813,08 -29.540
    +/- Gestione straordinaria 0 1
    = Reddito ante imposte 769.230,77 995.076,92
    -Imposte sul reddito correnti, differite e anticipate 269.230,77 348.276,92
    Utile (perdita) esercizio 500.000 646.800

    ANALISI DI BILANCIO PER INDICI

    ANALISI PER INDICI
    Indici Formule n-1 N
    Composizione attivo
    Indice di rigidità I/ci 0,60 0,65
    Indice di flessibilità Ac/TI 0,40 0,35
    Indice di diponibilità Ac/li 1,67 2,22
    Indice di liquidità (li+ld)/p 1 1,33
    Indice di liquidità secca li/p 0,08 0,04
           
    Composizione fonti
    Indice di dipendenza (pc+p)/ci 0,510 0,508
    Indice di autonomia CP/ci 0,541 0,532
    Grado di capitalizzazione CP/(p+pc) 0,96 0,97
    Quoziente di indebitamento (pc+p)/CP 1,04 1,03
    Indice di rigidità fonti (pc+CP)/ci 0,76 0,84
           
    Indici di solidità
    Indice di autocopertura CP/I 0,82 0,76
    Indice di copertura globale (CP+pc)/i 1,267 1,298
           
    Margini dello Stato patrimoniale
    Capitale circolante netto ac-p 1.920.000 2.319.503
    Margine di tesoreria (li+ld)-p 514.460 632.963
    Margine primario (di struttura
    primario)
    CP-I - 1.320.000 - 1.878.650
    Margine secondario (di struttura globale) CP+pc -I 1.920.000 2.319.503
           
    Posizione finanziaria netta (PFN)
    PFN di+Crediti finanziari a breve- Debiti finanziari - 1.700.000 - 2.695.673
           
    Indici di rotazione
    Capital Turnover RV/ci 1,20 1,18
    Rotazione dei crediti (RV*1,22)/Crediti
    commerciali
    7,68 9,61
    Rotazione del magazzino RV/Scorta media Nc 7,85
    Rotazione dei debiti (B6+B7)*1,22/Debiti v/fornitori 6,02 13,12
           
    Indici di durata
    Durata impieghi 365/Indice rotazione
    impieghi
    304,17 309,32
    Durata crediti 365/Indice rotazione
    crediti
    47,50 38
    Durata debiti 365/Indice rotazione
    debiti
    60,65 27,82
    Durata magazzino 365/Indice rotazione
    magazzino
    Nc 46,48
           
    Indici del lavoro
    Fatturato medio per dipendente RV/Numero dipendenti 160.000 157.333,33
    Rendimento fattore umano Valore produzione/
    Numero dipendenti
    160.488,89 155.776,93
    Costo medio per dipendente Costo personale/Numero dipendenti 37.325,92 37.325,92
    Incidenza del fattore lavoro Costo personale/RV 0,23 0,24
           
    Indici di redditività
    ROI ro/ci 0,09 0,07
    ROD OF/p 0,01 0,01
    ROD 2 Risultato gestione
    finanziaria/Debiti
    finanziari
    0,02 0,01
    ROS ro/RV 0,07 0,06
    Tasso incidenza gestione non caratteristica Rn/ro 0,63 0,63
    ROE Rn/CP 0,11 0,08
    CTO RV/ci 1,20 1,18
    Leva finanziaria ci/CP 2,04 2,03
           
    Correlazioni tra indici
    1^CORRELAZIONE ROI= ROS*CTO 0,8 0,07
    2^CORRELAZIONE ROE= ROI*leva
    finanziaria*
    incidenza
    gestione non
    caratteristica
    0,11 0,08

    Fine capitolo