[1] Il tribunale che ha aperto le procedure di liquidazione è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.
[2] Nei giudizi che derivano dall’apertura delle procedure di liquidazione promossi innanzi al tribunale incompetente, il giudice, anche d’ufficio, assegna alle parti un termine di non oltre trenta giorni per la riassunzione della causa davanti al giudice competente ai sensi dell’articolo 50 del codice di procedura civile e ordina la cancellazione della causa dal ruolo.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. Il criterio di competenza funzionale - II. Perimetro delle azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale.
I. Il criterio di competenza funzionale
I.Il criterio di competenza funzionale1 Il Capo del codice della crisi dedicato alla competenza include la disposizione attributiva della competenza per le azioni che derivano dalla procedura di liquidazione giudiziale. Mentre le norme precedenti (artt. 27 ss. CCII) sono riferite al procedimento unitario, quella di cui all’art. 32 è relativa alle azioni che derivano, solo, dalla liquidazione giudiziale con la conseguenza che il tribunale che ha aperto un procedimento diverso da quello di liquidazione giudiziale non è assegnatario delle controversie che ne derivano, per cui tali azioni sono soggette alle norme sulla competenza fissate nel codice di procedura civile.
2 L’art. 32 è una norma processuale in senso stretto ed è stata correttamente innestata tra le norme sulla competenza dopo essere stata estrapolata dalle disposizioni in tema di organi della procedura. Segna il confine fra le cause che devono essere conosciute dal tribunale concorsuale e quelle che, invece, pur coinvolgendo una “procedura di liquidazione giudiziale” restano regolate dai normali criteri di competenza di cui agli artt. 7 ss. c.p.c. Così, la violazione del precetto di cui all’art. 32 potrebbe portare la parte interessata a censurare il vizio di competenza, o proponendo regolamento di competenza, ovvero impugnando una sentenza lamentando il difetto di competenza del giudice adito.
3 Il principio espresso dall’art. 32 merita un chiarimento preliminare per quanto concerne i rapporti con l’art. 151 CCII (a sua volta da valutare unitamente alle disposizioni di cui agli artt. 201 ss. CCII) e con l’art. 143 CCII. Tutte le pretese di credito nei confronti di un imprenditore assoggettato a liquidazione giudiziale devono essere raccolte all’interno del procedimento di accertamento del passivo, poiché solo presentando la domanda di ammissione al passivo il creditore può aspirare a trasformarsi da creditore concorsuale in creditore concorrente. Tutto ciò significa che per le azioni proposte davanti al tribunale concorsuale per ottenere una pronuncia di condanna nei confronti del debitore, non si pone un problema di competenza - visto che il tribunale sarebbe competente - ma di procedibilità della domanda per un vizio sul procedimento non essendo rispettato il rito dell’accertamento del passivo. Ne consegue che la pronuncia diviene impugnabile con l’appello quale strumento per la deducibilità dell’eventuale error in procedendo e non con il regolamento di competenza.
4 Il criterio di competenza fissato nell’art. 32 è usualmente ritenuto espressione di una competenza c.d. funzionale, tale da non essere derogabile dalle parti (ma da loro deducibile nei tempi di cui all’art. 38 c.p.c.) e dunque suscettibile di essere rilevata d’ufficio entro il termine dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., limite reputato, secondo la lezione corrente, invocabile anche per la competenza funzionale. Nel caso di specie, la competenza funzionale opera sia a livello verticale, orientando la selezione del giudice verso il tribunale (con esclusione del giudice di pace), sia a livello orizzontale individuando nel tribunale che ha dichiarato la liquidazione giudiziale, quello competente per le liti di cui all’art. 32.
II. Perimetro delle azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale
II.Perimetro delle azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale1 Le azioni che derivano non sono pertanto tutte le azioni nelle quali una delle parti è “un curatore di una liquidazione giudiziale”, ma soltanto quelle i cui presupposti sorgono a seguito della sentenza dichiarativa. Più esattamente, per azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale devono intendersi sia quelle che per legge spettano al curatore e che non sarebbero spettate, prima, a terzi, nonché tutte quelle che, in conseguenza della liquidazione giudiziale, subiscono una deviazione dallo schema tipico perché di fatto propongono questioni di diritto che vanno decise in base a norme o principi del concorso; non invece quelle che, al contrario, influiscono sulla procedura.
2 L’esempio emblematico della prima categoria è quello delle azioni revocatorie concorsuali che sono azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale in quanto non possono esistere al di fuori di tale procedura. L’esempio paradigmatico della seconda categoria è quello delle azioni in cui si controverta del diritto del curatore di sciogliersi da un contratto (pendente); in questo caso è il rapporto negoziale che subisce una modificazione nel suo schema tipico, sì che la relativa azione può ritenersi derivare dalla liquidazione giudiziale. Fra le azioni che derivano debbono essere indicate anche quelle che attengono alla responsabilità degli organi e in particolare l’azione nei confronti del curatore (art. 136 CCII) e quella nei confronti del comitato dei creditori (art. 140 CCII ove si richiama nei limiti della compatibilità l’azione di responsabilità ex art. 2407 c.c.).
3 Sicura è l’esclusione dal novero delle azioni che derivano dalla liquidazione giudiziale di tutte quelle relative al pagamento di somme di denaro proposte dalla curatela per crediti preesistenti. Oltre alle azioni per le quali è sicuramente affermata o negata la competenza del tribunale concorsuale, ve ne sono altre che presentano profili di criticità. Per ciò che attiene all’azione revocatoria ordinaria occorre considerare che l’azione non nasce dalla liquidazione giudiziale ma viene, necessariamente, proposta dal curatore se il debitore autore dell’atto dispositivo è stato sottoposto alla liquidazione giudiziale. A stretto rigore si dovrebbe sostenere che in questo caso non opera l’art. 32 in quanto l’azione già apparteneva ai creditori; l’art. 165 CCII stabilisce però, per diritto positivo, che l’azione si propone davanti al tribunale concorsuale, così di fatto integrando il disposto di cui all’art. 32.
4 L’azione di responsabilità nei confronti degli organi della società è una azione che, dopo la liquidazione giudiziale, spetta in via esclusiva al curatore, legittimato a promuovere sia quella della società che quella dei creditori sociali. L’azione, però, coincide con quella che preesisteva alla liquidazione giudiziale perché quella del curatore è una legittimazione di tipo derivativo, sì che tale azione non ricade fra quelle soggette alla competenza funzionale del tribunale concorsuale.
5 Per ciò che attiene all’azione di simulazione occorre rilevare come i profili dell’azione promossa dalla parte (il debitore) e dai creditori, non sia destinata a incontrare mutazioni per il solo fatto che venga promossa dal curatore, e, ciò nonostante, l’avversa interpretazione della giurisprudenza.
6 Infine, con riguardo all’azione di risarcimento del danno da “abusiva concessione di credito”, si tende ad escludere la natura di azione che deriva dalla liquidazione giudiziale, anche quando viene fatto valere un diritto che pertiene al patrimonio dell’impresa debitrice; in questo caso, al più, si può assegnare al curatore la legittimazione a proporla.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. La competenza funzionale: il concetto delle azioni che derivano dalla liquidazione - II. Le azioni estranee.
I. La competenza funzionale: il concetto delle azioni che derivano dalla liquidazione
I.La competenza funzionale: il concetto delle azioni che derivano dalla liquidazione1 L’art. 24, r.d. 16.3.1942, n. 267, il quale, in deroga ai comuni canoni sulla competenza, devolve al tribunale che ha dichiarato il fallimento le domande da esso discendenti, come le revocatorie di cui agli artt. 66 e 67 di detto regio decreto, non trova applicazione nella liquidazione coatta amministrativa, tenendosi conto che non è incluso fra le disposizioni richiamate dai successivi artt. 201 e 203, e che il tribunale che dichiara l’insolvenza non è organo della procedura concorsuale, a differenza del tribunale che apre il fallimento [C. VI 9.2.2021, n. 3055; in senso conforme C. I 15.2.1996, n. 1145, Fall 1996, 565]. Con riguardo all’azione revocatoria fallimentare, i criteri di collegamento stabiliti per la competenza territoriale, richiamati dalla citata disposizione della l. n. 218/1995, conducono appunto ad individuare il giudice fornito di giurisdizione in quello che ha emesso la sentenza di fallimento, tanto ai sensi dell’art. 20 c.p.c., dovendosi identificare nel domicilio del curatore il luogo di adempimento dell’obbligazione restitutoria fatta valere con detta azione, quanto ai sensi dell’art. 24 l. fall., che attribuisce a quel giudice la competenza a conoscere di tutte le azioni derivanti dal fallimento [T. Parma I 4.2.2016, n. 225, DeJure; C. I 13.12.2002, n. 17912, RDIPP 2003, 1002]. Ai sensi dell’art. 20 c.p.c. e dell’art. 24, l.fall., sussiste la giurisdizione italiana in ordine ad una azione revocatoria fallimentare qualora si domandi anche la restituzione del quantum versato e la relativa obbligazione vada adempiuta in Italia presso la curatela fallimentare (ovvero al domicilio del creditore ex art. 1182, c. 3, c.c.) [C. I 13.12.2002, n. 17912, RDIPP 2003, 1002]. Per “azioni derivanti dal fallimento”, ai sensi dell’art. 24 l. fall., devono intendersi quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna [C. I 7.2.2020, n. 2991]. Ne consegue che rientrano nella competenza inderogabile del foro fallimentare la richiesta di compensazione volta all’accertamento di un maggior credito nei confronti del fallito da insinuare al passivo, le azioni revocatorie fallimentari ordinarie, le azioni intese a far valere diritti verso il fallito, le azioni di annullamento seguite da domande di restituzione e quelle volte ad accertare la simulazione [C. III 22.5.2002, n. 7510]. Tra le azioni che derivano dal fallimento, a norma dell’art. 24 l. fall., sono comprese non solo quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, ma tutte quelle che incidono sul patrimonio del fallito o che, per la sopravvivenza del fallimento, sono sottoposte a una speciale disciplina, con la conseguenza che deve essere affermata la competenza del tribunale fallimentare ogni qual volta l’accertamento di un credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa [C. II 1.3.2018, n. 4864, GD 2018]. Sono devolute alla competenza assoluta ed inderogabile del Tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 l. fall., non soltanto le controversie che traggano origine e fondamento dal fallimento - con eccezione delle azioni reali immobiliari - ma anche quelle destinate, comunque, ad incidere sulla procedura concorsuale, tali da doversi dirimere necessariamente in seno alla procedura stessa, onde assicurarne l’unità e garantire la “par condicio creditorum” [C. VI 20.5.2020, n. 9224]. In tale novero sono da ricomprendere le controversie traenti origine da una domanda proposta dal curatore del fallimento per far valere la simulazione assoluta di un contratto stipulato dal fallito e siffatta inderogabile ed assoluta competenza del tribunale fallimentare è destinata a prevalere anche sul foro indicato, in materia di locazione, dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c. [C. I 20.7.2004, n. 13496]. Sussiste la competenza funzionale del tribunale fallimentare e non della sezione specializzata in materia di impresa, nel caso di azione promossa dal curatore tesa all’accertamento della simulazione dell’assegnazione di partecipazioni sociali della società fallita ai soci in occasione del loro recesso, in quanto, avuto riguardo al petitum ed alla causa petendi, la stessa non attiene a situazioni rilevanti sulla vita sociale, vale a dire a vicende di governo interno ovvero inerenti la persona del singolo socio nei suoi rapporti con la società, con gli organi societari e con gli altri soci [C. VI 20.5.2020, n. 9224, RDottComm 2020, 438].
2 La sentenza con la quale il tribunale ordinario dichiari improcedibile la domanda, perché inerente a preteso credito da accertare nell’ambito e con le forme proprie della procedura fallimentare, non è impugnabile con regolamento di competenza, non costituendo detta pronuncia decisione sulla competenza, onde le censure relative alla sussistenza delle condizioni per la dichiarazione di improcedibilità debbono essere fatte valere in via di impugnazione ordinaria [C. I 14.10.2005, n. 19984, Fall 2006, 600; in senso conforme C. I 1.8.1997, n. 7154, ivi 1998, 1026]. L’attuazione, nella sede fallimentare, delle domande intese a ottenere il riconoscimento del diritto di partecipare al concorso o di un diritto reale o restitutorio su beni mobili acquisiti all’attivo non discende dal principio di cui all’art. 24 l. fall. - il quale risolve, più che altro, un problema di competenza riferito alla cognizione del tribunale fallimentare, specie in relazione a crediti del soggetto fallito -, ma è riconducibile al principio, dettato dall’art. 52 della stessa legge, della obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo, quale strumento di cognizione attribuito a un giudice, la cui individuazione è disancorata dai criteri ordinari in materia di competenza, derivando, invece, dalla stessa sentenza dichiarativa di fallimento. Il necessario assoggettamento delle pretese fatte valere verso il fallimento al procedimento di verifica dei crediti, non involge, dunque, un problema di competenza - influenzata dalla “vis attractiva” del tribunale fallimentare - ma una questione di specialità del rito, con conseguente improponibilità della domanda eventualmente dedotta nella sede ordinaria, discendendo la devoluzione della controversia al foro fallimentare direttamente e inequivocabilmente dal combinato disposto degli artt. 52 e 93 l. fall. [C. I 7.2.2020, n. 2990; C. I 3.2.2006, n. 2439, Fall 2006, 847]. Per azioni che derivano dal fallimento, a norma dell’art. 24 della c.d. legge fallimentare, debbono intendersi - con principio estensibile anche alla procedura di amministrazione straordinaria (attesane la indiscutibile omogeneità di “ratio” sotto il profilo della tutela della “par condicio”) - non soltanto quelle che traggono origine dallo stato di dissesto, ma tutte quelle che incidono sul patrimonio del fallito e che, per la sopravvenienza del fallimento, sono sottoposte ad una speciale disciplina, con la conseguenza che deve essere affermata la competenza del tribunale fallimentare ogni qual volta l’accertamento di un credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa [C. VI 20.5.2020, n. 9224; in senso conforme C. III 11.6.2019, n. 15599; C. III 21.10.2005, n. 20350, Fall 2006, 719; C. I 28.12.1994, n. 11235, DFSC 1995, 2, 222;].
3 La domanda avanzata dal curatore fallimentare contro un terzo è soggetta al rito ordinario e solo quella eventualmente proposta in via riconvenzionale dal convenuto nei confronti del fallimento per una ragione vantata verso il fallito è improcedibile, perché soggetta al rito speciale previsto dall’art. 52, c. 2, l. fall., secondo cui, una volta aperto il concorso, ogni credito nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V della legge, ovvero col procedimento di accertamento del passivo [C. I 14.3.2022, n. 8128, GD 2022]. Qualora nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 ss., r.d. 16.3.1942, n. 267 (legge fallimentare), deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronunzierà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se, dopo l’esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito e anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell’art. 274 c.p.c. ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti a uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione, se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della controversia per ragioni di competenza inderogabili, in quanto la translatio dovrebbe comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’art. 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria [C. s.u. 12.11.2004, n. 21499, FI 2005, 1, 65]. Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il tribunale fallimentare è investito della competenza a decidere su tutti i fatti modificativi od estintivi dei crediti azionati dai creditori concorsuali, sicché il curatore può proporre in detta sede una eccezione riconvenzionale di compensazione al solo fine di ottenere il rigetto della domanda di partecipazione al concorso [C. I 15.4.2019, n. 10528, GCM 2019]. Nell’opposizione a decreto ingiuntivo, il fallimento del creditore opposto, nei cui confronti sia stata proposta dall’opponente domanda riconvenzionale, non determina l’improcedibilità dell’opposizione e la rimessione dell’intera controversia al giudice fallimentare, rimanendo il Tribunale ordinario competente per l’opposizione mentre al Tribunale fallimentare, previa separazione dei giudizi, deve essere rimessa esclusivamente la domanda riconvenzionale, in ordine alla quale soltanto sussiste, dunque, la competenza funzionale ed inderogabile di tale organo giudiziale [C. II 26.11.2020, n. 26993, GCM 2021].
4 Ai sensi dell’art. 80, r.d. 16.3.1942, n. 267, la prosecuzione del rapporto locativo dopo il fallimento del locatario comporta il subingresso del curatore nei diritti ed obblighi contrattuali e, quindi, il suo dovere di pagare i canoni che vengono a scadere posteriormente all’apertura del fallimento medesimo, nonché di conservare il bene, esponendolo, in caso d’inosservanza, ai comuni effetti dell’inadempimento; con la conseguenza che il locatore, a fronte dell’inadempimento del curatore, può promuovere in sede ordinaria azione di risoluzione del contratto e di rilascio dell’immobile, dato che la relativa domanda non trova causa o titolo nella dichiarazione di fallimento e, quindi, non è soggetta alla “vis attractiva” del foro fallimentare di cui all’art. 24, r.d. n. 267/1942; non può invece introdurre in quella sede ordinaria anche le pretese creditorie collegate all’inadempimento, dovendo avvalersi della specifica procedura di accertamento del passivo prevista per le istanze che si indirizzino, pure per il tramite di un prioritario accertamento circoscritto all’“an debeatur”, ad un prelevamento sull’attivo fallimentare [C. App. Bari 16.12.2020, n. 2176, DeJure].
5 L’esercizio, da parte del curatore fallimentare, della facoltà, conferitagli dall’art. 72 l. fall., di sciogliersi dal contratto preliminare di cui sia parte il fallito, ha natura di eccezione in senso proprio nel giudizio di esecuzione in forma specifica del contratto stesso promosso, ai sensi dell’art. 2932 c.c., dalla controparte, ed è idoneo a sottrarre il rapporto oggetto della controversia al suo schema legale tipico; sicché essa, trovando la sua genesi nel fallimento, riconduce l’azione, nel cui ambito è espressa, nel novero di quelle attribuite alla cognizione inderogabile del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 della legge citata [C. I 16.1.2003, n. 582, Fall 2003, 840; T. Roma 1.12.2020, n. 17110, DeJure].
6 La disposizione dell’art. 24 l. fall. - r.d. 16.3.1942, n. 267 - (in forza della quale il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere tutte le azioni che ne derivano qualunque ne sia il valore, eccezion fatta per le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le ordinarie norme di competenza) si applica a prescindere dalla circostanza che i rapporti oggetto della competenza funzionale del Tribunale stesso (nella specie, diritti di credito) siano preesistenti o successivi alla dichiarazione di fallimento [C. III 22.6.2004, n. 11647, GIUS 2004, 3867; T. Roma 12.12.2016, n. 22968, DeJure].
7 Nel sistema concorsuale riformato, l’art. 72, c. 5, periodo II, l. fall., impone, anche alla luce dei principi di specializzazione, concentrazione e speditezza sottesi agli artt. 24 e 52 l. fall., nonché del contraddittorio incrociato tipico del procedimento di accertamento del passivo, che la domanda di risoluzione proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede fallimentare, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 ss. l. fall. In sede di accertamento del passivo, la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione deve essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare, non essendo applicabile in via analogica l’istituto dell’ammissione con riserva ai sensi dell’art. 96, n. 1 o n. 3, l. fall., né potendosi disporre la sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della decisione della causa pregiudiziale di risoluzione in ipotesi proseguita in sede di cognizione ordinaria. La domanda di risoluzione diretta a conseguire finalità estranee alla partecipazione al concorso è procedibile in sede di cognizione ordinaria, dopo l’interruzione del processo ex art. 43 l. fall. e la sua riassunzione nei confronti della curatela fallimentare [C. I 7.2.2020, n. 2990, GD 2020].
II. Le azioni estranee
II.Le azioni estranee1 L’azione di reintegrazione nel possesso promossa per denunciare atti di spoglio compiuti dal curatore di un fallimento non rientra tra quelle devolute al tribunale fallimentare (art. 24, r.d. n. 267/1942), e resta affidata alla cognizione del pretore (art. 8 c.p.c.) ove attenga a beni non compresi nel fallimento, né rivendicati dal curatore [C. I 28.7.1995, n. 8253, Fall 1996, 142; T. Taranto 13.6.2022, n. 1604, DeJure]. L’azione giudiziale per il pagamento di corrispettivi ed importi per riserve iscritte, proposta del curatore del fallimento dell’appaltatore in relazione ad appalto pubblico risolto prima della dichiarazione del fallimento, non può - trattandosi di azione già presente nel patrimonio dell’appaltatore prima che fosse dichiarato fallito - considerarsi derivante dal fallimento, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 24 l. fall., e pertanto la competenza del giudice si determina in base alle norme del codice di rito [C. I 17.11.2005, n. 23248]. Sono escluse dalla sfera di competenza del tribunale fallimentare - in relazione al disposto dell’art. 24, r.d. n. 267/1942 (cosiddetta legge fallimentare) - le azioni che già esistevano nel patrimonio del fallito e che con il fallimento si trovano in una situazione di mera occasionalità e tanto a prescindere da ogni considerazione in ordine al fatto che il recupero di eventuali somme possa poi concorrere a formare l’attivo del fallimento [C. VI 12.1.2021, n. 299; C. I 9.11.2005, n. 21708]. Le controversie aventi ad oggetto la ripetizione di contributi previdenziali indebitamente versati dall’imprenditore in bonis sfuggono, in caso di successivo fallimento di questi, alla vis attractiva prevista dall’art. 24 l. fall. - che attribuisce al tribunale che ha dichiarato il fallimento la competenza a conoscere di tutte le azioni che ne derivano - e, in quanto relative ad azioni che sono già nel patrimonio del fallito alla data di apertura della procedura concorsuale, possano essere promosse dal curatore - previa autorizzazione del giudice delegato - nella osservanza dei criteri comuni di competenza [C. I 10.7.1992, n. 8396, Fall 1993, 997]. La competenza funzionale del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 l. fall. per le azioni previste dagli artt. 64 e 67 della citata legge contro gli atti pregiudizievoli ai creditori, non attrae quelle di nullità degli atti medesimi, non avendo queste ultime carattere strumentale rispetto alle prime [C. I 19.8.1992, n. 9659, Fall 1993, 60]. In tema di determinazione della competenza, la sottoposizione della società datrice di lavoro ad amministrazione straordinaria attribuisce al tribunale fallimentare la cognizione di tutte le controversie che derivano dalla declaratoria di insolvenza, e che si caratterizzano per una finalità recuperatoria del patrimonio dell’imprenditore ammesso alla procedura, dovendo escludersi che in tale novero possa ricomprendersi l’impugnativa del licenziamento di un dipendente dell’impresa medesima, che non ha natura di accertamento di un diritto connesso con le predette finalità concorsuali e per il quale resta competente il giudice del lavoro [C. s.l. 27.12.2021, n. 41586, GCM 2022]. Ove il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo, con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento, la reintegrazione nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro, in quanto la domanda proposta non è configurabile come mero strumento di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito, ma si fonda anche sull’interesse del lavoratore a tutelare la sua posizione all’interno della impresa fallita, sia per l’eventualità della ripresa dell’attività lavorativa (conseguente all’esercizio provvisorio ovvero alla cessione dell’azienda, o a un concordato fallimentare), sia per tutelare i connessi diritti non patrimoniali, ed i diritti previdenziali, estranei all’esigenza della par condicio creditorum [C. VI 27.8.2021, n. 23528; in senso conforme C. s.l. 17.6.2020, n. 11700; C. s.l. 21.6.2018, n. 16443; C. s.l. 18.8.1999, n. 8708, FI 2000, I, 1244]. Nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento, qualora difetti un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa e sia domandato un accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura, la cognizione spetta al giudice fallimentare. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato l’improseguibilità dell’originaria domanda di un dirigente, assunto con contratto a tempo determinato e poi licenziato, che aveva agito davanti al giudice del lavoro, rivendicando la sola tutela risarcitoria nei confronti dell’impresa, fallita in corso di causa) [C. s.l. 28.10.2021, n. 30512, GCM 2021]. Esula dalla competenza funzionale del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24, r.d. 16.3.1942, n. 267, ed è, invece, devoluta alla cognizione del Giudice del lavoro, la controversia instaurata dal lavoratore che, senza avanzare pretese creditorie, chieda solo l’accertamento del proprio rapporto di lavoro, non risolto dal fallimento, alle dipendenze della società dichiarata fallita, dovendo, per contro, essere fatta valere in sede fallimentare una siffatta domanda, quando essa costituisca solo la premessa per ottenere, nello stesso giudizio, vantaggi patrimoniali di natura retributiva o risarcitoria [C. VI 27.8.2021, n. 23528]. Nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive speciali prerogative, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo status del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; al fine di garantire la parità tra i creditori, rientrano, viceversa, nella cognizione del giudice del fallimento, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale [C. s.l. 30.3.2018, n. 7990, GCM 2018]. La competenza in merito all’opposizione, proposta avverso esecuzione forzata promossa da imprenditore successivamente ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria, resta devoluta al giudice ordinario e non al tribunale che ha dichiarato lo stato di insolvenza, in quanto non può trovare applicazione l’art. 24 l. fall., trattandosi di azione preesistente all’apertura della procedura concorsuale, né l’art. 51, trattandosi di esecuzione promossa dall’imprenditore insolvente [C. VI 2.10.2020, n. 21009; in senso conforme C. I 21.2.2001, n. 2487, DPS 2001, 93; C. I 1.8.1996, n. 6968, Fall 1997, 65]. Poiché tutti i crediti nei confronti del fallito devono essere accertati all’interno della procedura concorsuale, va affermata la competenza del tribunale fallimentare sia quando la pretesa creditoria è fatta valere direttamente nel concorso, sia quando la domanda proposta costituisca la premessa ed il mezzo attraverso il quale si intende ottenere il riconoscimento dell’obbligazione vantata nello stato passivo fallimentare, trovando deroga siffatta competenza solo quando l’intenzione del creditore di perseguire il fallito al suo rientro in bonis e, quindi, di non avanzare richiesta di sorta nei confronti del fallimento sia stata chiaramente ed inequivocabilmente espressa [C. I 5.3.1990, n. 1729, Fall 1990, 698; T. Catanzaro 10.1.2018, n. 90, DeJure; T. Milano 24.3.2015, n. 843, DeJure]. L’azione di danno da abusiva concessione di credito non può essere considerata azione di massa e, di conseguenza, non può essere esperita dal curatore [C. s.u. 28.3.2006, n. 7030, GI 2006, 1191; in senso conforme C. I 19.9.2003, n. 13934, GIUS 2004, 782]. Compete al tribunale fallimentare, e non al tribunale delle imprese, conoscere della domanda proposta dal fallimento di una società di capitali nei confronti dei soci per ottenere la restituzione delle somme ad essi rimborsate nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, a fronte di finanziamenti c.d. anomali concessi dai soci stessi [C. VI 24.10.2017, n. 25163, FI 2018, 233]. È attribuita alla competenza del tribunale ordinario e non di quello fallimentare, ai sensi dell’art. 24 l. fall., l’azione restitutoria ex art. 1526 c.c. conseguente alla risoluzione del contratto di leasing finanziario intervenuta prima della dichiarazione di fallimento e, in quanto tale, ricompresa tra quelle già esistenti nel patrimonio del fallito. Solo ove l’azione sia stata proposta a seguito di dichiarazione di scioglimento dal contratto operata dal curatore, ai sensi dell’art. 72 della stessa legge, essa deriva dal fallimento e non osta all’attrazione al foro fallimentare la circostanza che, sul piano sostanziale, il credito restitutorio, operando lo scioglimento con effetti ex tunc, abbia quale fatto costitutivo il venir meno del contratto ab origine [C. VI 18.6.2018, n. 15958, GCM 2018]. L’opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. promossa dall’imprenditore in bonis che, in corso di giudizio, sia stato dichiarato fallito non rientra, ai sensi dell’art. 24 l. fall., nella competenza funzionale del Tribunale fallimentare, trattandosi di un’azione inerente ad un diritto già esistente nel patrimonio del fallito anteriormente alla declaratoria della sua insolvenza, che si sottrae alle regole della concorsualità [C. VI 2.10.2020, n. 21009, GCM 2020]. In materia di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia tra il gestore del servizio energetico e il fallimento della società di produzione energetica, qualora la materia del contendere non riguardi le tariffe, il criterio di loro quantificazione o la concessione degli incentivi, ma soltanto l’opponibilità o meno alla procedura fallimentare della cessione di crediti inerenti agli incentivi concessi, in correlazione alla produzione anzidetta, per il periodo successivo alla dichiarazione da parte della curatela del fallimento di voler subentrare nel rapporto; né è idonea ad incidere sull’individuazione dell’autorità avente il potere di giudicare l’eccezione riconvenzionale proposta dal gestore in punto di giurisdizione, determinandosi quest’ultima sulla sola base del petitum sostanziale, che rimane inalterato pur a seguito dell’eccezione in parola [C. s.u. 29.10.2020, n. 23900, GD 2021; C. s.u. 27.3.2020, n. 7560, GCM 2020].
2 Il fallimento del debitore principale, verificatosi in pendenza del giudizio di pagamento proposto contro il fideiussore, non comporta il trasferimento della causa al giudice fallimentare, stante il carattere solidale della responsabilità del medesimo e la conseguente autonomia dell’azione di pagamento rispetto a quella proponibile contro il debitore principale [C. III 6.12.2019, n. 31880; in senso conforme C. III 24.2.2011, n. 4464; C. I 30.5.1994, n. 528, Fall, 1995, 136].