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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

143. Rapporti processuali

[1] Nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del debitore compresi nella liquidazione giudiziale sta in giudizio il curatore.

[2] Il debitore può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge.

[3] L’apertura della liquidazione giudiziale determina l’interruzione del processo. Il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l’interruzione viene dichiarata dal giudice.

A) Inquadramento funzionale:

A)Inquadramento funzionale:

I. Gli effetti processuali - II. Le liti attive - III. Le liti passive - IV. L’intervento del debitore - V. L’interruzione del processo.

I. Gli effetti processuali

I.Gli effetti processuali

1 Alla perdita da parte del debitore della capacità di gestire il suo patrimonio corrisponde il corollario processuale dell’art. 143 CCII, là dove si esclude che il debitore possa stare in giudizio nelle cause relative a diritti patrimoniali compresi nella liquidazione giudiziale. La dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale rende il debitore privo della capacità processuale di far valere i diritti sostanziali compresi nella liquidazione giudiziale, sia dal lato attivo che dal lato passivo. Cfr. [F452].

2 La legittimazione processuale del debitore resta invariata per le controversie che non hanno carattere patrimoniale; per fare un esempio, nel processo di divorzio sta in giudizio il debitore e non il curatore. La legittimazione permane in capo al debitore anche per liti patrimoniali ma relative a quella porzione di diritti che non è compresa nella liquidazione giudiziale; se il debitore viene assunto come lavoratore dipendente e poi viene licenziato, non v’è dubbio che l’impugnativa di licenziamento ben possa essere promossa dal debitore.

II. Le liti attive

II.Le liti attive

1 Per quanto attiene alle liti attive, il curatore si sostituisce al debitore in tutte le controversie pendenti e in quelle da intraprendere; per liti attive si intendono quelle nelle quali il debitore vanta un diritto nei confronti di qualcun altro. Ci sono altre liti attive e sono quelle che derivano direttamente dalla liquidazione giudiziale; anche in questo caso sta in giudizio il curatore, ma si tratta di azioni che il debitore non avrebbe potuto iniziare. In queste ipotesi, anziché parlare di sostituzione del curatore nei rapporti processuali del debitore, meglio dovremmo precisare che la legittimazione del curatore è esclusiva (e dunque anche in caso di inerzia del curatore, il debitore non potrebbe assumere la lite) e si confà alle controversie che possono nascere da rapporti giuridici preesistenti, dalla custodia e dall’amministrazione dei beni esistenti alla data di apertura della liquidazione giudiziale o quelle che sorgono per acquisire i beni che pervengono successivamente a tale data, le revoche degli atti pregiudizievoli, le opposizioni e le impugnazioni dello stato passivo, mentre sono esclusi il reclamo contro la sentenza che dichiara aperta la liquidazione giudiziale, e, in genere, tutti i rapporti di carattere personale e patrimoniale non compresi nella liquidazione giudiziale. Cfr. [F453] [F454].

III. Le liti passive

III.Le liti passive

1 Per quanto attiene alle liti passive, occorre distinguere ulteriormente. Se la causa ha ad oggetto un diritto di credito, una rivendica o una restituzione di un bene, il debitore perde la legittimazione ma in questi casi il processo deve anche essere convogliato nel procedimento di accertamento del passivo per il principio di esclusività che caratterizza quel modello di processo. Qualora, invece, la causa abbia un oggetto diverso, per quanto relativo a diritti patrimoniali (perché altrimenti la legittimazione non passa al curatore), il processo può proseguire nella sede ordinaria, ma in tal caso la domanda va rivolta nei confronti del curatore.

2 Pertanto: (i) nelle liti attive relative a diritti patrimoniali - compresi nella liquidazione giudiziale - sta in giudizio il curatore; (ii) nelle liti passive relative a diritti patrimoniali (crediti e pretese restitutorie) sta in giudizio il curatore, ma la lite non può essere proseguita in sede ordinaria e deve essere indirizzata verso il procedimento di accertamento del passivo; (iii) nelle liti passive relative a diritti patrimoniali diversi da quelli sub (ii) sta in giudizio il curatore e la lite può proseguire in sede ordinaria.

3 Quanto all’ipotesi sub (ii) va precisato che il creditore in bonis ha l’onere di trasferire la causa in sede concorsuale se vuole precostituirsi un titolo da spendere nel concorso; nulla esclude però che il creditore preferisca restare estraneo al concorso e conseguire un titolo che può azionare contro il debitore quando la procedura sarà terminata, ovvero anche in costanza di procedura ma limitatamente a quei beni che il curatore ritenga di non acquisire o di abbandonare.

4 Non è configurabile la perdita della capacità sostanziale e processuale del debitore nei casi in cui la lite verta su un rapporto di cui gli organi della procedura di liquidazione giudiziale si sono disinteressati, poiché il processo che si instaura resta valido e l’accoglimento della domanda produce effetti allorché il debitore tornerà in bonis.

IV. L’intervento del debitore

IV.L’intervento del debitore

1 Prima di verificare quali sono i giudizi nei quali il debitore può intervenire, dobbiamo ricordare che la legittimazione processuale del debitore, come già accennato, si conserva rispetto ai rapporti estranei al concorso. Il debitore conserva altresì la capacità processuale per quei rapporti inerenti all’esercizio di una nuova attività di impresa svolta durante la pendenza della liquidazione giudiziale, ove ciò naturalmente sia considerato ammissibile. Anche nelle controversie relative a rapporti di locazione aventi per oggetto l’immobile destinato esclusivamente ad abitazione per sé e per la propria famiglia, il debitore è legittimato ad agire e resistere, atteso che in tal caso la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nella liquidazione giudiziale del conduttore, bensì un rapporto di natura strettamente personale, in quanto rivolto al soddisfacimento di un’esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente al curatore.

2 In primo luogo, il debitore può intervenire in quelle cause che hanno ad oggetto fatti dal cui accertamento potrebbe dipendere una imputazione per bancarotta ed al proposito si fa l’esempio di quelle azioni revocatorie concorsuali riferite a condotte poste in essere dall’imprenditore che oltre a rivelarsi pregiudizievoli per i creditori, appaiono anche concretare la fattispecie criminosa del delitto di bancarotta (preferenziale).

3 La seconda ipotesi di permanente legittimazione afferisce alle controversie in materia tributaria, là dove la giurisprudenza ha espressamente riconosciuto che nel contenzioso tributario la legittimazione del curatore non esclude quella del debitore, il cui diritto di difesa deve essere assicurato.

4 Infine, in apparente contrasto con il generale principio di delegittimazione processuale del debitore fissato dall’art. 143 CCII, si prevede espressamente la legittimazione passiva del debitore stesso quanto all’azione civile che contro di lui proponga il curatore (o il creditore, nei limiti di cui in appresso) nel procedimento penale per un reato concorsuale.

5 Dalla regola che vuole il debitore privato della legittimazione processuale, al modo di più corollari, ricaviamo che il debitore non può, nelle cause concorsuali, prestare giuramento non avendo più la disponibilità della lite, né tantomeno può essergli rivolto l’interrogatorio formale, posto che il debitore non assume la qualità di parte e l’interrogatorio sarebbe diretto ad ottenere una confessione giudiziale relativa a diritti di cui il debitore non può (più) disporre.

6 È consueto affermare che il debitore non può testimoniare, anche se in quest’ultimo caso l’incapacità di rendere la testimonianza è legata essenzialmente, come tutti i soggetti chiamati a deporre, alla situazione di incompatibilità tra la qualità di testimone e quella di parte nel medesimo giudizio e ciò quando il giudizio veda protagonista il curatore come sostituto processuale del debitore. La tesi dell’incapacità del debitore a testimoniare va spiegata con la circostanza che il debitore è stato, pur sempre, parte del rapporto sostanziale oggetto della controversia; una diversa opzione porterebbe ad uno squilibrio nelle relazioni fra le parti, visto che la parte in bonis si troverebbe esposta al rischio di una soccombenza generata da una testimonianza di chi era stato la parte nel rapporto che è la fonte del giudizio.

V. L’interruzione del processo

V.L’interruzione del processo

1 La liquidazione giudiziale costituisce causa di interruzione del processo. Lo dice espressamente l’art. 143, c. 3, CCII, norma che stabilisce, anche, l’automatica produzione di tale effetto. Il fatto che si sia utilizzata la formula «determina» l’interruzione in luogo di «è causa di interruzione», induce a ritenere che il legislatore non abbia soltanto voluto affermare che la liquidazione giudiziale di una parte giustifica l’adozione delle cautele processuali previste per la morte e l’incapacità di una parte, ma abbia, invece, voluto stabilire che l’evento liquidazione giudiziale è da solo idoneo a generare l’interruzione del processo in modo automatico, al pari di quanto accade per la morte del difensore. Cfr. [F455] [F456] [F457].

2 Il processo si interrompe nel momento stesso in cui la parte è sottoposta a liquidazione giudiziale. Gli atti compiuti nella causa dopo la sentenza di sono viziati anche quando non vi sia stato un provvedimento del giudice che accerti l’avvenuta interruzione.

3 L’interruzione automatica del processo pone però un diverso problema e cioè quello della esatta individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine (di soli tre mesi) per la riassunzione ex art. 305 c.p.c. L’art. 143 CCII, al comma 3, ha stabilito un regola secca: il termine della riassunzione inizia a decorrere solo dal momento in cui l’interruzione è dichiarata (espressamente) dal giudice della causa, il che si traduce in una serie di conseguenze correlate al modo con il quale il giudice possa essere posto a conoscenza dell’evento.

4 Qualora il processo non venga dichiarato interrotto dal giudice la sentenza pronunciata nei confronti del debitore va considerata nulla per violazione del diritto di difesa. Altro conto è stabilire se la parte non colpita dall’evento interruttivo possa avere interesse alla riassunzione del processo. Qui si possono configurare tre diverse ipotesi: (i) se il processo aveva ad oggetto una pretesa di credito contro il debitore, il creditore che vuole partecipare al concorso deve presentare la domanda di ammissione al passivo; (ii) se il processo aveva ad oggetto una pretesa di credito contro il debitore, ma il creditore vuole rimanere estraneo al concorso ha interesse a riassumere il giudizio ma lo deve fare nei confronti del debitore perché l’illegittimazione del debitore riguarda solo i rapporti compresi nella liquidazione giudiziale; (iii) se il processo aveva ad oggetto altri diritti, la parte in bonis, dopo l’interruzione, può avere interesse ad ottenere una sentenza contro il curatore che in questo caso si sostituisce al debitore.

B) Frmule

B)Frmule
F452
ISTANZA DEL CURATORE PER FAR INTERROMPERE IL PROCESSO PENDENTE

G.D.: dr……….

Curatore: ………

Sent. n.: ………

Del: ………

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione ………

***

LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

***

ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE ALLA RINUNCIA A COLTIVARE L’AZIONE PROMOSSA DAL DEBITORE

Ill.mo Signor Giudice Delegato,

il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,

ESPONE

quanto segue:

- l’impresa debitrice è parte nel procedimento di cognizione radicato avanti al Tribunale di ………, G.I. dott………., N………. R.G………., attualmente rinviato all’udienza del [………] per l’incombente di cui all’art………. c.p.c., come da verbale allegato (doc. n. 1);

- il debitore era costituito in giudizio con il patrocinio dell’avv……….; poiché la causa ha per oggetto rapporti sostanzialmente estranei al concorso (………), non è interesse della procedura proseguire il giudizio coltivato dal debitore;

appare quindi opportuno rinunciare alla lite per ………

sull’opportunità di rinunciare alla lite in oggetto, è stato informato anche il comitato dei creditori, che convenendo con le conclusioni dello scrivente, ha rilasciato apposita autorizzazione.

Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto

INFORMA

la S.V. che si intende conferire mandato al legale costituito per far interrompere il processo alla prossima udienza.

Con osservanza

Luogo, data ………

Il curatore ………

Allegati:

1) verbale di causa

2) ………

F453
ISTANZA DEL CURATORE PER PROSEGUIRE IL GIUDIZIO PENDENTE

G.D.: dr……….

Curatore: ………

Sent. n.: ………

Del: ………

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione ………

***

LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

***

ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE ALL’INTERVENTO NEL PROCESSO CIVILE PENDENTE

Ill.mo Signor Giudice Delegato,

il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,

ESPONE

quanto segue.

- l’impresa debitrice è parte nel procedimento di cognizione radicato avanti al Tribunale di ………, G.I. dott………., N………. R.G………., attualmente rinviato all’udienza del [………] per l’incombente di cui all’art………. c.p.c., come da verbale allegato (doc. n. 1);

- il debitore era costituito in giudizio con il patrocinio dell’avv……….;

- la causa è stata introdotta da ……… ex art. 645 c.p.c. per opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dalla debitrice per il pagamento di euro ………;

- la procedura ha interesse alla prosecuzione del giudizio pendente in quanto il G.I. aveva concesso la provvisoria esecuzione e l’impresa debitrice aveva anche spiegato domanda riconvenzionale per l’ulteriore risarcimento dei danni, secondo quanto ha illustrato il legale del debitore (doc. n. 2);

- appare quindi opportuno non far interrompere il giudizio;

Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto

FA ISTANZA

perché la S.V. voglia autorizzare il curatore a subentrare ex art. 143 CCII nel processo pendente.

Con osservanza

Luogo, data ………

Il curatore ………

Allegati:

1) verbale di causa

2) lettera dell’avv……….

F454
DECRETO DEL G.D. DI AUTORIZZAZIONE A PROSEGUIRE IL GIUDIZIO

IL GIUDICE DELEGATO

Vista l’istanza con la quale il curatore chiede di proseguire il giudizio pendente;

rilevato che nel giudizio pendente sono dedotti diritti sostanziali compresi nella liquidazione giudiziale;

ritenuto che in relazione alle domande introdotte dal debitore, la procedura ha interesse a coltivare il procedimento pendente,

visto l’art. 143 CCII

AUTORIZZA

il curatore a costituirsi nel processo pendente per far valere le domande svolte dal debitore.

Luogo, data ………

Il Giudice delegato ………

F455
ISTANZA DEL CURATORE PER RIASSUMERE IL GIUDIZIO PENDENTE

G.D.: dr……….

Curatore: ………

Sent. n.: ………

Del: ………

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione ………

***

LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

***

ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE ALLA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO CIVILE Ill.mo Signor Giudice Delegato,

il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,

ESPONE

quanto segue.

- l’impresa debitrice è parte nel procedimento di cognizione radicato avanti al Tribunale di ………, G.I. dott………., N………. R.G……….;

- all’udienza del [………] chiamata per l’incombente di cui all’art………. c.p.c., come da verbale allegato (doc. n. 1), il G.I. ha dichiarato l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 143 CCII;

- il debitore era costituito in giudizio con il patrocinio dell’avv……….;

- la causa è stata introdotta da ……… ex art. 645 c.p.c. per opporsi al decreto ingiuntivo ottenuto dalla debitrice per il pagamento di euro ………;

- la procedura ha interesse alla riassunzione del giudizio pendente in quanto il G.I. aveva concesso la provvisoria esecuzione e l’impresa debitrice aveva anche spiegato domanda riconvenzionale per l’ulteriore risarcimento dei danni, secondo quanto ha illustrato il legale del debitore (doc. n. 2);

- appare quindi opportuno riassumere il giudizio;

- il termine di tre mesi per la riassunzione del processo decorre dalla dichiarazione di interruzione e quindi dal ………

Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto

FA ISTANZA

perché la S.V. voglia autorizzare il curatore a riassumere ex artt. 143 CCII e 303 c.p.c. il processo pendente.

Con osservanza

Luogo, data ………

Il curatore ………

Allegati:

1) verbale di causa

2) lettera dell’avv……….

F456
DECRETO DEL G.D. DI AUTORIZZAZIONE A RISSUMERE IL GIUDIZIO

IL GIUDICE DELEGATO

Vista l’istanza con la quale il curatore chiede di riassumere il giudizio pendente;

rilevato che nel giudizio interrotto sono dedotti diritti sostanziali compresi nella liquidazione giudiziale;

ritenuto che in relazione alle domande introdotte dal debitore, la procedura ha interesse a riassumere il procedimento pendente,

visto l’art. 143 CCII

AUTORIZZA

il curatore a riassumere il processo pendente per far valere le domande svolte dal debitore.

Luogo, data ………

Il Giudice delegato ………

F457
ISTANZA DEL CURATORE PER NON INTERVENIRE IN GIUDIZIO PENDENTE

G.D.: dr……….

Curatore: ………

Sent. n.: ………

Del: ………

TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

Sezione ………

***

LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

***

ISTANZA PER AUTORIZZAZIONE A NON INTERVENIRE NELL’AZIONE PROMOSSA CONTRO IL DEBITORE

Ill.mo Signor Giudice Delegato,

il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe,

ESPONE

quanto segue:

- il debitore sig………. è parte nel procedimento di cognizione radicato avanti al Tribunale di ………, G.I. dott………., N………. R.G………., attualmente rinviato all’udienza del [………] per l’incombente di cui all’art………. c.p.c., avente ad oggetto una controversia relativa alla abitazione condotta in locazione dal debitore;

- poiché la causa ha per oggetto rapporti estranei al concorso, non vi è alcun interesse della procedura ad intervenire nel giudizio;

- il curatore ha rappresentato al comitato dei creditori l’irrilevanza, rispetto agli interessi della procedura, del giudizio in oggetto;

- il comitato dei creditori - valutata l’ininfluenza di tale controversia rispetto ai beni e/o rapporti giuridici acquisiti ed acquisibili all’attivo fallimentare - ha autorizzato il curatore a non proseguire nel giudizio pendente;

- che il valore della causa si stima essere superiore ad euro cinquantamila.

Tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto

INFORMA

la S.V. della propria decisione di non costituirsi nel processo di cui sopra.

Con osservanza

Luogo, data ………

Il curatore ………

C) Giurisprudenza:

C)Giurisprudenza:

I. Gli effetti processuali: l’interruzione - II. (Segue) A) gli effetti processuali sulla sfera giuridica del fallito - III. L’autorizzazione all’azione giudiziale del fallito, in nome proprio, in itinere della procedura - IV. Le liti in materia tributaria - V. Le limitazioni probatorie - VI. La perdurante legittimazione processuale del fallito - VII. La scelta per le liti extraconcorsuali - VIII. L’intervento in causa del fallito.

I. Gli effetti processuali: l’interruzione

I.Gli effetti processuali: l’interruzione

1 La comunicazione in udienza, da parte del difensore costituito, del fallimento della parte da lui rappresentata, e la contestuale prospettazione dell’eventualità che il giudizio possa essere proseguito dal curatore del fallimento, è causa di interruzione del processo, a prescindere dalla natura (negoziale o di dichiarazione di scienza) di tale comunicazione, poiché il conferimento, ad un atto processuale, del suo contenuto legalmente determinato, ne comporta la produzione “ope legis” dei relativi effetti, indipendentemente dall’intenzione o dalle motivazioni del soggetto che esegue la dichiarazione [C. I 3.7.1998, n. 6517, GI 1999, 1176]. La previsione dell’art. 43, c. 3, l. fall. comporta un effetto interruttivo automatico del giudizio pendente in caso di fallimento di una parte nel senso che l’interruzione non dipende più dalla dichiarazione resa in giudizio dal difensore ma dalla conoscenza comunque acquisita dal giudice in quel giudizio; inoltre, tale disciplina, in caso di mancata costituzione del curatore fallimentare per la prosecuzione del giudizio, non fa venire meno la necessità che la interruzione sia comunque dichiarata nel corso del giudizio al fine di consentire la riassunzione nei confronti del fallimento [CdS 23.3.2020, n. 2011, Redazione Giuffrè amm. 2020]. In caso di perdita della capacità di stare in giudizio (così come in caso di morte) della parte rimasta contumace, l’evento interruttivo del processo deve essere portato a conoscenza delle altre parti, nei modi stabiliti dall’art. 300, c. 4, ad opera di coloro che possono proseguire il giudizio (nella specie, curatore fallimentare), in quanto l’indicata disposizione è dettata nell’interesse di chi può e deve difendersi in sostituzione della parte contumace [C. II 31.5.2012, n. 8755; C. I 5.5.1995, n. 4910, Fall 1995, 1195]. In base all’art. 300, c. 1 e 2, c.p.c., se durante il processo la parte costituita tramite procuratore viene colpita da un evento che determina la perdita della sua capacità di stare in giudizio, il procuratore costituito deve dichiarare l’evento in udienza o notificarne la comunicazione alle parti. Dal momento dell’avvenuta dichiarazione o notificazione il processo è interrotto. Tuttavia, l’art. 43, c. 3, l. fall., aggiunto dall’art. 41, c. 1, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, ha stabilito, in caso di fallimento di una delle parti processuali, che l’apertura di questo determina l’interruzione automatica del processo. Detta novella legislativa ha comportato l’introduzione nell’ordinamento di una nuova ipotesi di interruzione automatica del processo, che si verifica cioè senza la necessità di alcuna dichiarazione o presa d’atto non appena viene dichiarato il fallimento di una delle parti [TAR Roma 24.2.021, n. 2275, Redazione Giuffrè amm. 2021]. In tema di interruzione automatica del processo ex art. 43, c. 3, l. fall., la conoscenza del fallimento da parte del procuratore di più parti è produttiva del medesimo effetto conoscitivo legale (rilevante ai fini del decorso del termine perentorio ex art. 305 c.p.c.) anche nei confronti delle altre parti del medesimo processo rappresentate da quello stesso difensore, unico destinatario esclusivamente legittimato a ricevere la notizia dell’evento interruttivo con riferimento al giudizio nel quale quest’ultimo è destinato ad esplicare efficacia. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione che, in base alla prova della conoscenza legale dell’evento interruttivo da parte dal procuratore della società attrice fallita, aveva individuato identica data di decorrenza del termine perentorio per la riassunzione anche con riguardo alla posizione dell’interventore ad adiuvandum, socio unico della fallita, assistito nel medesimo giudizio dallo stesso difensore) [C. III 16.11.2020, n. 25859, GCM 2020].

2 È manifestamente infondata la q.l.c. dell’art. 300 c.p.c. nella parte in cui subordina l’interruzione del processo in caso di fallimento di una parte alla dichiarazione (o notificazione) dell’evento ad opera del suo procuratore, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. [C. Cost. 2.4.1999, n. 118, FI 2000, 1, 378].

3 Il fallimento di una delle parti non determina l’interruzione del giudizio di cassazione, il quale, instauratosi con la notificazione e il deposito del ricorso, è governato dall’impulso di ufficio e resta insensibile agli eventi di cui agli artt. 299 e 301 c.p.c., senza che tale regola si ponga in contrasto con l’art. 24 Cost., perché la piena tutela del diritto di difesa della parte su cui si riflette l’evento, che per altri giudizi sarebbe interruttivo, è assicurata dalla sopravvivenza della procura speciale rilasciata al difensore [C. III 11.2.2022, n. 4578; C. s.l. 29.8.2017, n. 20495; C. s.l. 27.4.1992, n. 5012, Fall 1992, 914]. Il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio. Ne consegue che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all’art. 302 c.p.c. (il quale prevede la costituzione in giudizio di coloro ai quali spetta di proseguirlo) [C. I 12.2.2021, n. 3630, GCM 2021]. Il processo di cassazione, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non è soggetto ad interruzione in presenza degli eventi previsti dagli artt. 299 ss. c.p.c., ivi compresa la dichiarazione di fallimento di una delle parti, poiché tali norme si riferiscono esclusivamente al giudizio di merito e non sono suscettibili di applicazione analogica in quello di legittimità [C. s.l. 16.3.2021, n. 7363; C. VI 9.6.2017, n. 14515; C. I 1.12.1998, n. 12198]. Nel giudizio di Cassazione non rileva la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della parte, dal momento che, in tale giudizio, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo, mentre la sussistenza della causa interruttiva potrà assumere rilievo nel giudizio di rinvio [C. I 24.9.2021, n. 25981 in senso conforme C. I 23.3.2017, n. 7477; C. s.t. 17.7.2013, n. 17450; C. I 12.10.1994, n. 8331, Fall 1995, 613]. L’intervenuta modifica dell’art. 43 l. fall. per effetto dell’art. 41, d.lgs. n. 5/2006, nella parte in cui stabilisce che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge [C. I 15.11.2017, n. 27143, GCM 2018; C. I 23.3.2017, n. 7477, GCM 2017]. In tema di giudizio di cassazione, sussiste la legittimazione processuale del curatore fallimentare se, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non sia ancora definitivo; così come nell’ipotesi in cui la legittimazione del curatore venga meno nella pendenza del giudizio, in quanto in esso non trovano applicazione gli artt. 299 e 300 c.p.c., né trova applicazione il principio generale secondo cui la chiusura del fallimento fa cessare la legittimazione processuale del curatore, con il conseguente sub ingresso del fallito, tornato in bonis, nei procedimenti pendenti al momento della chiusura [C. I 14.2.2019, n. 4514, GCM 2019].

4 In relazione ai rapporti tra giudizio arbitrale e il sopravvenuto fallimento di uno dei compromittenti si devono applicare le norme che disciplinano la capacità processuale del fallito. In particolare, ex art. 43 l. fall., il fallito perde la propria capacità processale in modo non assoluto, ma relativo rispetto alla massa dei creditori, alla quale soltanto è consentito eccepirla tramite il curatore che la rappresenta, con la conseguenza che, se ciò non avviene, il processo arbitrale può continuare nei confronti del fallito e il lodo pronunciato non è inutiliter datum, ma esplica i suoi effetti nei confronti del fallito una volta che questi ritornerà in bonis [C. III 5.2.2014, n. 2608; in senso conforme C. III 9.2.1993, n. 1588, NGCC 1994, 1, 103]. La perdita della capacità processuale del fallito, dalla dichiarazione di fallimento alla chiusura della procedura, non è assoluta, ma posta nell’interesse della massa dei creditori, per conto della quale è legittimato esclusivamente il curatore ad eccepirla; pertanto la domanda di condanna nei confronti del fallito, fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si sono disinteressati, instaura un valido processo e l’accoglimento di essa è efficace allorché egli torna in bonis [C. I 18.2.1999, n. 1359].

II. (Segue) A) gli effetti processuali sulla sfera giuridica del fallito

II.(Segue) A) gli effetti processuali sulla sfera giuridica del fallito

1 Il fallito, pur conservando la piena titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, non può assumere personalmente la veste di parte processuale in quanto la legittimazione in ordine a tali rapporti è demandata esclusivamente ai curatore, consentendosi una deroga solo allorché il fallito agisce per la tutela di diritti strettamente personali, nonché una legittimazione suppletiva nei casi di inerzia degli organi fallimentari [C. s.t. 26.11.2021, n. 36894; in senso conforme C. s.l. 5.12.2019, n. 31843; C. II 23.7.1994, n. 6873 Fall, 1995, 265]. In virtù dell’art 43, c. 1, l. fall. nelle controversie relative a rapporti patrimoniali del fallito è il curatore che sta in giudizio. Questo principio si giustifica in virtù del fatto che l’esito di tali giudizi incide sul patrimonio del fallito, influendo sulla formazione dell’attivo e sulla soddisfazione dei creditori ammessi al concorso, sicché il fallito non può domandare in prima persona l’adempimento delle obbligazioni di cui sia creditore, né essere convenuto per l’adempimento di quelle di cui sia creditori ammessi al concorso [T. Prato 5.10.2021, n. 685, DeJure 2021]. La perdita della capacità processuale del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento relativamente ai rapporti di pertinenza fallimentare, essendo posta a tutela della massa dei creditori, ha carattere relativo e può essere eccepita dal solo curatore, salvo che la curatela abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto dedotto in lite, nel qual caso il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è perciò opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio [C. s.l. 6.6.2017, n. 13991, GCM 2017].

2 La eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito sussiste nel caso di inerzia dell’amministrazione fallimentare; ne consegue che tale legittimazione è ammissibile solo quando l’inerzia sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia [C. s.t. 29.11.2017, n. 28542; in senso conforme C. VI 6.7.2016, n. 13814; C. I 25.10.2013, n. 24159; C. II 22.7.2005, n. 15369, Fall 2006, 350; C. III 21.5.2004, n. 9710, GIUS 2004, 3580]. La legittimazione suppletiva del fallito opera allorquando vengano in questione diritti patrimoniali del soggetto di cui si disinteressino gli organi fallimentari e non quando si faccia questione dell’impugnativa di atti della procedura rispetto ai quali è dato lo speciale rimedio del reclamo fallimentare [C. I 10.10.2022, n. 29462, D&G 2022]. Nel caso in cui il fallito intenda tutelare, personalmente e direttamente, beni o rapporti già acquisiti al fallimento, di cui gli organi fallimentari abbiano dimostrato concretamente di volersi interessare, va rilevato, anche d’ufficio, il difetto di legittimazione processuale del fallito stesso per difetto assoluto della sua capacità. Tuttavia, perché operi tale ultima situazione, è necessario che l’interesse del curatore sia dimostrato essere preesistente al compimento di attività da parte del fallito, mentre è irrilevante quando detto interesse insorga o sia manifestato in un momento successivo a tale attività [C. s.t. 31.3.2022, n. 10288; in senso conforme C. VI 26.10.2015, n. 21765; C. I 23.7.1998, n. 7200, Fall 1998, 1270]. Sebbene la dichiarazione di fallimento comporti di regola, in forza della previsione di cui all’art. 43 l. fall., la perdita della capacità del soggetto interessato da essa di stare in giudizio nella controversie relative a rapporti patrimoniali coinvolti dalla dichiarazione di fallimento, essendo trasferita la legittimazione processuale esclusivamente al curatore, tuttavia il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione per la tutela dei suoi diritti patrimoniali nel caso in cui l’amministrazione fallimentare rimanga inerte. Tale situazione non è tuttavia riscontrabile ove la inerzia della curatela sia stata determinata non dal disinteresse degli organi fallimentari ma da una negativa valutazione circa la convenienza della controversia [CTR Brescia 20.7.2021, n. 2818, DeJure 2021]. L’assoluto disinteresse della Curatela, come condizione negativa perché possa riconoscersi al fallito la legittimazione supplementare ed eccezionale, esige una rigorosa e specifica allegazione ed un accertamento preliminare il cui onere di allegazione specifico, sostenuto con rigore probatorio, spetta a colui che affermi i fatti di disinteresse e chieda di surrogarsi alla curatela [C. s.l. 22.5.2020, n. 9482, DeJure 2020]. È inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire ex art. 43, c. 1, l. fall., il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento concernente crediti fiscali i cui presupposti si siano verificati prima della dichiarazione del suo fallimento, ove il curatore abbia omesso di promuovere detto ricorso non per inerzia, ma in seguito ad una esplicita presa di posizione negativa circa la sua utilità per la massa dei creditori [C. VI 3.4.2018, n. 8132, GCM 2018]. La perdita della capacità processuale del fallito è stabilita dalla legge nell’interesse esclusivo delle ragioni del fallimento. Ne consegue che il difetto di legittimazione processuale ex art. 43 l. fall. può essere eccepito soltanto dal curatore, e non anche dalla controparte [C. s.l. 5.12.2019, n. 31843; in senso conforme C. s.u. 21.7.1998, n. 7132, Fall 1998, 1270].

III. L’autorizzazione all’azione giudiziale del fallito, in nome proprio, in itinere della procedura

III.L’autorizzazione all’azione giudiziale del fallito, in nome proprio, in itinere della procedura

1 In tema di cosiddetta eccezionale legittimazione processuale suppletiva del fallito relativamente a rapporti patrimoniali compresi nel fallimento per il caso di disinteresse od inerzia degli organi fallimentari, la negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia è sufficiente ad escludere detta legittimazione, allorquando venga espressa con riguardo ad una controversia della quale il fallimento sia stato parte, poiché, in tal caso è inconcepibile una sovrapposizione di ruoli fra fallimento e fallito, mentre non lo è, allorquando si tratti di una controversia alla quale il fallimento sia rimasto del tutto estraneo ed in particolare quando alla negativa valutazione si accompagni l’espresso riconoscimento della facoltà del fallito di provvedere in proprio e con suo onere [C. III 16.12.2004, n. 23435, DPS 2005, 90; C. App. Milano 3.11.2020, n. 2815, DeJure].

IV. Le liti in materia tributaria

IV.Le liti in materia tributaria

1 Il contribuente fallito non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario; conseguentemente, lo stesso, nell’inerzia degli organi fallimentari, è eccezionalmente legittimato all’impugnazione dell’accertamento tributario che lo concerne ed il termine relativo decorre nei suoi confronti dal momento in cui l’accertamento stesso sia stato portato a sua conoscenza [C. I 28.4.1997, n. 3667, FI 1998, 1, 571; C. App. Bari 17.3.2021, n. 511, DeJure]. In caso di proposizione di un giudizio da parte di un soggetto dichiarato fallito, con riferimento ad un rapporto patrimoniale astrattamente suscettibile di essere compreso nel fallimento, qualora il curatore abbia dimostrato il suo interesse per il rapporto in lite, il difetto di legittimazione processuale del fallito assume carattere assoluto ed è, perciò, opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio [C. I 10.1.2018, n. 373; in senso conforme C. V 3.4.2003, n. 5202, Fall 2004, 639].

2 L’amministratore o il liquidatore di una società di capitali dichiarata fallita è legittimato, nella sua qualità di organo della società fallita, ad impugnare il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria per la violazione di omesso versamento periodico di IVA, commessa anteriormente alla dichiarazione di fallimento, qualora non sia impugnato dal curatore fallimentare. In tale circostanza il termine per l’impugnazione di detto provvedimento decorre dal momento in cui i vecchi rappresentanti legali ne hanno avuto conoscenza dal curatore stesso [C. V 20.11.2000, n. 14987, DPS 2001, 74; in senso conforme C. III 18.5.2000, n. 6459, Fa, 2001, 546; C. I 19.2.2000, n. 1901, GT-RGT 2002, 161].

V. Le limitazioni probatorie

V.Le limitazioni probatorie

1 La perdita della legittimazione processuale attiva e passiva del fallito, conseguente alla dichiarazione di fallimento, non impedisce allo stesso fallito di conservare la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento e, quindi, la qualità di parte in senso sostanziale nelle controversie inerenti a tali rapporti; ne consegue che nei predetti giudizi il fallito non può assumere la veste di testimone, operando nei suoi confronti il generale principio di incompatibilità tra la qualità di teste e quella di parte nel medesimo giudizio [C. I 12.6.2015, n. 12258; C. I 5.3.1993, n. 2680, Fall 1993, 1017; T. Milano 30.11.2021, n. 9892, DeJure].

VI. La perdurante legittimazione processuale del fallito

VI.La perdurante legittimazione processuale del fallito

1 I beni del fondo patrimoniale non sono compresi nel fallimento, in quanto, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori. Pertanto, rispetto ad essi rimane integra la legittimazione del debitore, anche nei confronti della domanda proposta dal curatore fallimentare il quale, in contraddittorio con tutti i soggetti che hanno costituito il fondo stesso, agisca con azione revocatoria per acquisire i relativi beni al fallimento (senza che sia necessaria la nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 c.p.c.) [C. III 18.10.2011, n. 21494; C. I 20.6.2000, n. 8379, GC 2000, 1, 2584]. Sebbene, ai sensi dell’art. 43 l. fall., la perdita della legittimazione processuale del fallito coincida con l’ambito dello spossessamento fallimentare, poiché i rapporti relativi alla costituzione di un fondo patrimoniale non sono compresi nel fallimento (trattandosi di beni che, pur appartenendo al fallito, rappresentano un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento di specifici scopi che prevalgono sulla funzione di garanzia per la generalità dei creditori), permane rispetto ad essi la legittimazione del debitore-fallito, sicché sussiste la legittimazione processuale di quest’ultimo nel giudizio avente ad oggetto la revocatoria ordinaria del fondo patrimoniale [C. III 9.5.2019, n. 12264, GCM 2019].

2 Il fallito è legittimato ad agire e resistere nelle controversie concernenti la validità del contratto di locazione avente ad oggetto immobile destinato esclusivamente ad abitazione per sé e per la propria famiglia, atteso che, in tal caso, la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione dell’art. 43 l. fall., bensì un rapporto di natura strettamente personale ai sensi dell’art. 46 l. fall., in quanto rivolto al soddisfacimento di un’esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente per il curatore [C. pen. V 8.10.2018, n. 54512; C. 30.5.2000, n. 7142, NGCC 2001, 1, 698] .

VII. La scelta per le liti extraconcorsuali

VII.La scelta per le liti extraconcorsuali

1 La domanda di condanna nei confronti del fallito, fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si sono disinteressati, instaura un valido processo e l’accoglimento di essa è efficace allorché egli torna in bonis [C. I 19.6.2020, n. 11983; C. III 5.2.2014, n. 2608].

2 La perdita della capacità processuale del fallito, dalla dichiarazione di fallimento alla chiusura della procedura, non è assoluta, ma posta nell’interesse della massa dei creditori, per conto della quale è legittimato esclusivamente il curatore ad eccepirla; pertanto la domanda di condanna nei confronti del fallito, fondata su un rapporto di cui gli organi fallimentari si sono disinteressati, instaura un valido processo e l’accoglimento di essa è efficace allorché egli torna in bonis [C. II 22.10.2014, n. 22459].

VIII. L’intervento in causa del fallito

VIII.L’intervento in causa del fallito

1 Nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito, compresi nel fallimento, sta in giudizio il curatore, ai sensi dell’art. 43, c. 1, l. fall., spettando al fallito una legittimazione processuale di tipo suppletivo soltanto nel caso di totale disinteresse degli organi fallimentari, ipotesi da escludere dunque allorché il curatore sia parte, indipendentemente dalla sua concreta condotta processuale; il fallito può svolgere attività processuale unicamente nei limiti dell’intervento ex art. 43, c. 2, l. fall., cioè per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico, o nei limiti dell’intervento adesivo dipendente, che comunque non gli attribuisce il diritto di impugnare la sentenza in autonomia dal curatore [C. VI 19.10.2021, n. 28973; C. I 14.5.2012, n. 7448, Fall 2013, 673]. Le ipotesi di intervento in giudizio del fallito, previste nell’art. 43 l. fall., sono tassative [T. Genova 11.5.1985, GComm 1985, 2, 812].

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