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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

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    Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

    256. Società con soci a responsabilità illimitata

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Massimo Fabiani, Giovanni Battista Nardecchia

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    [1] La sentenza che dichiara l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile produce l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale anche nei confronti dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

    [2] La liquidazione giudiziale nei confronti dei soci di cui al comma 1 non può essere disposta decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per renderle note ai terzi. La liquidazione giudiziale è possibile solo se l’insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata.

    [3] Il tribunale, prima di disporre la liquidazione giudiziale nei confronti dei soci illimitatamente responsabili, ne ordina la convocazione a norma dell’articolo 41.

    [4] Se dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio nei confronti del quale la procedura è già stata aperta o del pubblico ministero, dispone l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti dei medesimi. L’istanza può essere proposta anche dai soci e dai loro creditori personali.

    [5] Allo stesso modo si procede quando, dopo l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale nei confronti di un imprenditore individuale o di una società, risulta che l’impresa è riferibile ad una società di cui l’imprenditore o la società è socio illimitatamente responsabile.

    [6] Contro la sentenza del tribunale è ammesso reclamo a norma dell’articolo 51. Al giudizio di reclamo deve partecipare il curatore, il creditore, il socio o il pubblico ministero che proposto la domanda di estensione, nonché il creditore che ha proposto il ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale.

    [7] In caso di rigetto della domanda, contro il decreto del tribunale l’istante può proporre reclamo alla corte di appello a norma dell’articolo 50.

    A) Inquadramento funzionale:

    A)Inquadramento funzionale:

    I. La liquidazione giudiziale delle società con soci illimitatamente responsabili - II. (Segue) A) le società coinvolte dalla norma - III. La liquidazione giudiziale per ripercussione e per estensione - IV. (Segue) A) il fenomeno della c.d. supersocietà di fatto - V. La liquidazione giudiziale del socio cessato - VI. (Segue) A) dal socio occulto alla società occulta - VII. Il procedimento di estensione della liquidazione giudiziale - VIII. La fase decisoria: impugnazioni ed effetti - IX. Il regime delle società cooperative.

    I. La liquidazione giudiziale delle società con soci illimitatamente responsabili

    I.La liquidazione giudiziale delle società con soci illimitatamente responsabili

    1 L’art. 256 CCII è norma che si applica in parte alle società di persone, e nella maggior parte alle società con soci illimitatamente responsabili, senza che vi sia coincidenza fra le due nozioni, posto che fra le società con soci illimitatamente responsabili è inserita anche la società in accomandita per azioni.

    2 La società di persone che esercita attività commerciale si scioglie in caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale, sì che la liquidazione giudiziale implica una modificazione del contratto sociale. Allo scioglimento della società per effetto della liquidazione giudiziale non consegue, peraltro, l’avvio della liquidazione secondo le regole del codice civile, posto che la liquidazione ‘civilistica’ è sospesa durante la procedura visto che l’attività di liquidazione è posta in essere dal curatore. Se mai è al termine della procedura che i soci debbono attivare la fase della liquidazione quando residuano beni da dismettere.

    3 I soci perdono il diritto di amministrare l’impresa per tutto ciò che è compreso nella liquidazione giudiziale, ma restano virtualmente titolari - senza poterne disporre visto l’art. 142 CCII - delle quote di partecipazione e possono quindi deliberare modifiche societarie (che non incidano sulla procedura) e prendere talune decisioni, come quella di proporre un concordato concorsuale; infatti l’art. 265 CCII stabilisce che la proposta è approvata dai soci che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale.

    4 L’effetto decisamente più rilevante della dichiarazione di liquidazione giudiziale di società con soci illimitatamente responsabili è costituito dalla liquidazione giudiziale del socio illimitatamente responsabile: la liquidazione giudiziale della società si comunica al socio. Al contrario, la liquidazione giudiziale del socio illimitatamente responsabile non produce la liquidazione giudiziale della società (art. 258 CCII) ma l’esclusione del socio dalla società di persone con conseguente diritto del curatore a riscuotere il valore della partecipazione sociale. Cfr. [F778].

    II. (Segue) A) le società coinvolte dalla norma

    II.(Segue) A) le società coinvolte dalla norma

    1 La ricerca ha un limitato interesse per le cc.dd. società regolari dal momento che il legislatore ci dice che la liquidazione giudiziale del socio illimitatamente responsabile si applica alle società in nome collettivo e alle società in accomandita, semplice e per azioni. Più interessante è verificare se questo elenco sia tassativo o se vi siano altre società per le quali si pone il problema della liquidazione giudiziale dei soci.

    2 Il fenomeno da indagare pertiene alla varietà delle società irregolari, per tali dovendosi intendere tutte quelle nelle quali l’organizzazione societaria esiste ma non è assecondata dal rispetto di regole formali. Pensiamo, in particolare, a quell’indistinto concetto di società di fatto, e cioè di società che non compaiono nel registro delle imprese e che pur tuttavia operano proprio come società, sia all’interno dove vigono le regole dell’affectio societatis, sia all’esterno laddove i terzi siano perfettamente a conoscenza dell’esistenza della società.

    3 Alle società di fatto si riconosce piena soggettività di diritto, quali titolari di un proprio patrimonio, e nel cui ambito la responsabilità dei soci per i debiti sociali rimane solamente di natura sussidiaria; perché possa essere dichiarata la liquidazione giudiziale della società di fatto occorre far precedere la pronuncia da un accertamento incidentale sull’esistenza della società e cioè sulla riconoscibilità dei sintomi caratterizzanti lo svolgimento in comune di una attività d’impresa.

    4 Orbene, se si accerta la sussistenza di una società di fatto, ad essa si applica il regime della società semplice e trattandosi di società che esercita attività commerciale anche il regime della società in nome collettivo, con la conseguenza che se debitrice è la società di fatto, la liquidazione giudiziale colpisce i soci illimitatamente responsabili.

    5 La protezione dei creditori nella ipotesi della c.d. società apparente, pure a fronte del nuovo CCII, va altrove ricercata, e cioè sul piano della responsabilità extracontrattuale.

    III. La liquidazione giudiziale per ripercussione e per estensione

    III.La liquidazione giudiziale per ripercussione e per estensione

    1 La liquidazione giudiziale della società produce la liquidazione giudiziale del socio; si apre, così, un’ulteriore, distinta e collegata, procedura concorsuale. Dal momento che il socio subisce la decisione come conseguenza diretta della liquidazione giudiziale della società, a nulla rileva l’accertamento sul suo stato di insolvenza, nel senso che non occorre dimostrare che il socio sia insolvente perché questi sia sottoposto alla liquidazione giudiziale. Nell’ipotetica situazione in cui il socio sia dotato di ingente patrimonio ben superiore al complesso dei debiti di cui deve rispondere, la liquidazione giudiziale non è esclusa in quanto il socio avrebbe avuto la possibilità di mettere a disposizione i suoi beni per estinguere i debiti della società.

    2 La liquidazione giudiziale del socio è prodotta dalla sentenza di liquidazione giudiziale della società, ma questa c.d. produzione di effetti si atteggia diversamente a seconda che la liquidazione giudiziale del socio sia, o no, contestuale alla liquidazione giudiziale della società. Per liquidazione giudiziale “per ripercussione”, quindi, dobbiamo intendere il fenomeno di diritto sostanziale per effetto del quale, la liquidazione giudiziale di una società con soci illimitatamente responsabili si ripercuote, automaticamente, sui soci che hanno assunto quella posizione nella compagine societaria. Questo fenomeno, proprio perché è un effetto del regime sostanziale della liquidazione giudiziale, si applica a tutti i soci, sia a quelli che tali sono nel momento in cui viene pronunciata la sentenza dichiarativa di liquidazione giudiziale della società, sia a quelli che vengono accertati in un secondo momento.

    3 Per liquidazione giudiziale “per estensione” dobbiamo più correttamente intendere quel fenomeno per il quale ad una pronuncia dichiarativa della liquidazione giudiziale di un’impresa (non necessariamente societaria visto il chiaro tenore del comma 5 dell’art. 256) se ne aggiunge un’altra. L’estensione della liquidazione giudiziale altro non è che un’addizione di una sentenza che si innesta su una precedente.

    4 Ripercussione ed estensione si ricollegano a situazioni disomogenee, come è dimostrato dal fatto che possiamo trovare una liquidazione giudiziale che si ripercuote sul socio occulto immediatamente se nei suoi confronti viene promossa l’iniziativa in un momento coevo a quello che concerne l’iniziativa contro la società, come, al contrario, una liquidazione giudiziale che si estende ad un socio palese quando nei suoi confronti non era stato (tempestivamente) radicato il contraddittorio.

    5 Ai fini della liquidazione giudiziale, la legge concorsuale prende in considerazione soltanto alcune delle ipotesi in cui un socio assume la responsabilità illimitata. L’art. 256 CCII descrive la limitata platea dei soci che rischiano la liquidazione giudiziale. Sono i soci: (i) delle società in nome collettivo (tutti a prescindere da chi abbia anche compiti di rappresentanza); (ii) l’accomandatario nella società in accomandita semplice; (iii) l’accomandatario nella società in accomandita per azioni.

    6 Vi sono, dunque, dei soci illimitatamente responsabili che non sono soggetti a liquidazione giudiziale. Il caso paradigmatico è rappresentato dal socio unico (nelle s.r.l. o nelle s.p.a.), ma la liquidazione giudiziale del socio unico è esclusa perché si ritiene che questa forma di responsabilità limitata sia occasionale, mentre la liquidazione giudiziale deve colpire solo i soci istituzionalmente illimitatamente responsabili.

    7 L’art. 256 CCII precisa che la liquidazione giudiziale del socio si produce anche rispetto al ‹‹socio non persona fisica››, espressione poco elegante per ricordare come la liquidazione giudiziale per ripercussione non sia condizionato dalla natura del soggetto-socio. Questa precisazione muove dagli effetti della Riforma societaria che ha espressamente acconsentito all’assunzione di partecipazioni in società personali da parte di società di capitali (art. 2361 c.c.), pur con diverse cautele.

    IV. (Segue) A) il fenomeno della c.d. supersocietà di fatto

    IV.(Segue) A) il fenomeno della c.d. supersocietà di fatto

    1 Si discute se sia ammissibile la rappresentazione di una società di fatto costituita da più soci, fra i quali anche una società di capitali; è il fenomeno della c.d. supersocietà di fatto, spesso collocata come holding di un gruppo. Si enuncia, di solito, che si tratta di scegliere se offrire maggiori tutele ai soci della società di capitali (negando la partecipazione non collegata ad una deliberazione societaria) o ai creditori dell’impresa insolvente. In verità, così si trascura che una protezione va assicurata anche ai creditori della società di capitali che fanno affidamento su un certo impegno della garanzia patrimoniale.

    2 Nel caso in cui il socio illimitatamente responsabile sia una società di capitali va dichiarata la liquidazione giudiziale di questa società, con l’effetto di rendere applicabili le regole di cui all’art. 256 CCII. Quando il socio illimitatamente responsabile è un’altra società di persone, la liquidazione giudiziale di questa può comportare, a catena, la liquidazione giudiziale di altri soci (anche non persone fisiche) illimitatamente responsabili ai sensi dell’art. 256 CCII; tutto ciò può determinare complessi scenari nella congiunzione ed organizzazione delle varie procedure concorsuali.

    V. La liquidazione giudiziale del socio cessato

    V.La liquidazione giudiziale del socio cessato

    1 Nell’art. 256 CCII si stabilisce che può essere assoggettato a liquidazione giudiziale sia il socio receduto, deceduto od escluso dalla società quando l’evento si è verificato prima della liquidazione giudiziale, come pure il socio che pur rimanendo nella compagine sociale abbia visto trasformato il proprio regime di responsabilità, da illimitata a limitata: sono i casi del socio accomandatario che diviene accomandante, del socio di società in nome collettivo che si trasforma (o si fonde o si scinde) in società di capitali. Cfr. [F779].

    2 La liquidazione giudiziale del socio può essere dichiarata soltanto (i) entro un anno dalla cessazione del rapporto sociale (o dal mutamento del regime di responsabilità) e (ii) quando al momento della cessazione già esistevano obbligazioni che non sono state soddisfatte in epoca successiva e permangono al momento della liquidazione giudiziale della società, esplicando dunque una efficienza causale sullo stato di insolvenza. Non si richiede, invece, che la società già si trovasse in stato di decozione al momento della cessazione del rapporto sociale o della trasformazione del regime di responsabilità.

    3 Il limite imposto sub (i) e cioè la dichiarazione della liquidazione giudiziale entro l’anno è volto ad assicurare certezza nei rapporti commerciali, ma viene superato quando da parte del socio o della società non vengano adottate le misure formali necessarie per rendere noti ai terzi i fatti sopra indicati. Quindi, l’operazione di trasformazione, fusione o scissione, come pure il recesso del socio non escludono la liquidazione giudiziale del socio [già] illimitatamente responsabile oltre l’anno dall’evento, se questo evento non era conoscibile dai terzi secondo le regole di opponibilità di volta in volta stabilite.

    VI. (Segue) A) dal socio occulto alla società occulta

    VI.(Segue) A) dal socio occulto alla società occulta

    1 Se dopo la liquidazione giudiziale della società (ma anche contestualmente se vi sono prove sufficienti) risulta che in precedenza vi erano altri soci - receduti, esclusi o defunti - oltre a quelli presenti nella compagine sociale al momento della liquidazione giudiziale, ad essi va estesa la liquidazione giudiziale ove vi fossero al momento della cessazione del rapporto sociale obbligazioni rimaste insoddisfatte. Cfr. [F780] [F781].

    2 Parimenti, la procedura di estensione della liquidazione giudiziale si applica anche quando dopo la liquidazione giudiziale si accerta l’esistenza di un socio che in apparenza non figurava: il caso è quello dell’estensione della liquidazione giudiziale al socio occulto e cioè ad un soggetto che era legato ai soci da un vincolo societario senza che questo vincolo fosse noto ai terzi, ovvero pur noto senza che fosse stato formalizzato.

    3 Quando si accerta l’esistenza del socio occulto e si acquisisce la prova del rapporto sociale, la liquidazione giudiziale viene estesa per ripercussione e per estensione, sul presupposto che tale socio abbia assunto la responsabilità illimitata, ma si tratta di una mera presunzione perché il socio potrebbe dimostrare di avere assunto la posizione di socio accomandante in una società in accomandita semplice.

    4 Il difetto di esteriorizzazione impone di verificare l’esistenza di una affectio societatis; questa può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando essi, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali.

    5 La norma dell’art. 256, c. 5, CCII, disciplina la ipotesi della liquidazione giudiziale della società occulta: ciò accade quando, dopo la liquidazione giudiziale, si accerta che quella che era apparsa come impresa individuale era in verità un’impresa esercitata in forma societaria. In presenza di una tale fattispecie, occorre dimostrare l’esistenza della società occulta e quindi dichiarare dapprima la liquidazione giudiziale della società e poi a cascata la liquidazione giudiziale dei soci occulti. A differenza del caso del socio occulto ove si tratta di accertare il singolo rapporto sociale, quando si parla di società occulta occorre prima dimostrare l’esistenza della società e poi l’apporto del socio.

    VII. Il procedimento di estensione della liquidazione giudiziale

    VII.Il procedimento di estensione della liquidazione giudiziale

    1 Il primo aspetto su cui occorre soffermarsi è quello che attiene alla giurisdizione, in termini di extraterritorialità. Si pone la questione di giurisdizione quando il socio illimitatamente responsabile sia una società di diritto straniero. La giurisdizione spetta al giudice italiano quando in Italia è dichiarata la liquidazione giudiziale della società, perché le regole che attengono al regime delle responsabilità sono quelle della lex contractus (art. 25, l. n. 218/1995).

    2 Le questioni di competenza nel procedimento di dichiarazione di liquidazione giudiziale del socio sono influenzate dalle regole dettate per la competenza nella liquidazione giudiziale. Il tribunale competente a dichiarare la liquidazione giudiziale è quello che è competente per la [seconda] liquidazione giudiziale sociale, ma la decisione del giudice si limiterà ad una declaratoria di mero accertamento dell’esistenza del rapporto sociale, mentre la gestione della liquidazione giudiziale del socio resterà affidata al tribunale che ne ha dichiarato la liquidazione giudiziale per primo e ciò potrà accadere facendo ricorso al meccanismo di migrazione degli atti di cui al successivo capoverso.

    3 Anche il caso della liquidazione giudiziale del socio dichiarato da un giudice incompetente, va risolto con l’applicazione del nuovo principio per il quale la sentenza di liquidazione giudiziale non deve più essere revocata, ma, accertato il vizio e dichiarato, l’effetto è solo quello della trasmissione degli atti del fascicolo al giudice dichiarato competente.

    4 Il venir meno dell’officiosità della iniziativa rende inevitabile qualificare il curatore, i creditori e i soci già in liquidazione giudiziale (cioè, i soggetti indicati come legittimati ex art. 256 CCII) come dei veri e propri ricorrenti, ai quali applicare l’intero statuto del ricorrente; questo statuto impone il rispetto degli oneri indicati negli artt. 40 e 41 CCII, così come dei poteri e delle responsabilità di cui all’art. 50 CCII. Sono costoro che possono promuovere la dichiarazione di liquidazione giudiziale in estensione, unitamente al pubblico ministero.

    5 Questa estensione della legittimazione non è del tutto convincente perché l’attribuzione della legittimazione al pubblico ministero nel chiedere la liquidazione giudiziale dell’imprenditore si spiega o per motivi che attengono all’esercizio dell’azione penale o per motivi che attengono alla presenza di interessi superindividuali che sono coinvolti e possono essere pregiudicati dal dissesto di un’impresa. Ambedue queste ragioni non sembrano ricorrere (nell’ipotesi di estensione) perché il coinvolgimento di una persona nei fatti di bancarotta prescinde dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale personale, dal momento che ciò che conta è che un liquidazione giudiziale sia stata dichiarata (quale condizione obiettiva di punibilità delle fattispecie di bancarotta) e perché gli interessi che ruotano attorno ad una comunità di soggetti che ha avuto rapporti con l’impresa, sono quelli connessi all’attività d’impresa e non al regime di responsabilità dei singoli soci.

    6 La legittimazione attribuita al curatore e ai soci è una forma di legittimazione speciale che va ad aggiungersi alle legittimazioni generali di cui all’art. 37 CCII e non pone specifiche problematiche. La legittimazione del curatore si spiega con il fatto che è il soggetto più qualificato per chiedere l’estensione avendo l’opportunità di esaminare tutta la documentazione e potendo assumere le più ampie informazioni sulla società.

    7 Quella dei soci, che pure sono ovviamente a conoscenza dei fatti, corrisponde al loro interesse a vedere coinvolti altri soggetti che, con l’apporto dei loro patrimoni, possono contribuire ad un maggiore soddisfacimento dei creditori, in funzione anche della conquista del beneficio dell’esdebitazione e della proposizione eventuale di un concordato concorsuale.

    8 La presenza nel sistema dell’esdebitazione induce a riflettere sulla possibilità di integrare il catalogo dei soggetti legittimati, aggiungendo fra gli istanti il socio non [ancora] in liquidazione giudiziale. Come l’art. 37 CCII stabilisce che l’imprenditore può domandare la propria liquidazione giudiziale, così anche il socio, tale “autodenunciatosi” ma non ancora sottoposto alla liquidazione giudiziale, dovrebbe poter avanzare la richiesta di liquidazione giudiziale [in proprio] in estensione, avendo un interesse a fruire dell’esdebitazione.

    9 Quando si parla, invece, di legittimazione dei creditori non vi è una sicura limitazione ai soli creditori della società, come pure si ritiene comunemente. Il fatto che un creditore di un socio, in quanto non creditore della società, non possa chiedere la liquidazione giudiziale della società risulta coerente con la circostanza che la liquidazione giudiziale principale è solo quella che riguarda un’impresa, tanto è vero che ciò che rileva è l’insolvenza della società e non quella del socio. Ma questo modo di argomentare non è più efficace quando la liquidazione giudiziale della società già è stata dichiarata perché allora, gli interessi sono altri se il legislatore ha stabilito e confermato la liquidazione giudiziale per ripercussione. Poiché il creditore particolare del socio concorre sul patrimonio del socio (non debitore) con i creditori sociali è razionale che il creditore del socio pretenda, a quel punto, di potersi avvalere della più ampia tutela fornita dalla procedura di liquidazione giudiziale; in tal senso, andrebbe rimeditata la diffusa convinzione per cui i creditori di cui all’art. 256 dovrebbero essere, soltanto, quelli sociali.

    10 Il procedimento per estensione ha un oggetto ben definito: si deve discutere o dell’esistenza del rapporto sociale rispetto ad un socio ulteriore (il caso del socio receduto, escluso o defunto ovvero il caso del socio occulto) o dell’esistenza, prima non avvertita, di una società quale reale titolare dell’impresa apparentemente individuale. Nondimeno, le due ipotesi contenute rispettivamente nel comma 4 e nel comma 5 dell’art. 256 CCII, non sono equivalenti proprio con riguardo all’oggetto del procedimento.

    11 Nel primo caso, infatti, si tratta di accertare se al momento della dichiarazione di liquidazione giudiziale esisteva un altro socio cui deve essere estesa la liquidazione giudiziale, ciò che imporrà di verificare l’esistenza del vincolo associativo, l’essere trascorso un tempo non superiore all’anno se si tratta di cessazione del rapporto sociale ed infine l’essere l’insolvenza della società riferibile ad obbligazioni contratte nel periodo in cui tale rapporto non era ancora cessato.

    12 L’estensione ‘inversa’, dall’impresa individuale alla società è una sorta di rettifica di una decisione precedente. Il meccanismo è generato dal fatto che si è dichiarata la liquidazione giudiziale di un’impresa individuale, ma poi si accerta che quell’impresa era, invece, una società di fatto (occulta) fra più persone o più soggetti. In questo caso, l’accertamento che il tribunale deve condurre non si limita al diverso profilo soggettivo dell’impresa, ma deve abbracciare anche il profilo oggettivo dell’insolvenza, posto che l’imprenditore (individuale) potrebbe essere stato dichiarato debitore per debiti personali di cui l’accertata società non risponde. Va, dunque, valutata l’insolvenza della società, mentre non vanno rivalutati i presupposti di accesso alla procedura concorsuale e cioè le soglie di cui all’art. 2 e l’indebitamento di cui all’art. 49, u.c., CCII.

    13 L’art. 256, c. 3, prescrive che il soggetto destinatario della richiesta di estensione debba essere convocato davanti al tribunale a norma dell’art. 41. Questa prescrizione impone che si svolga un procedimento del tutto omogeneo a quello previsto per la dichiarazione di liquidazione giudiziale principale. Così, mentre il curatore (o un creditore o un socio già debitore) assume la veste del ricorrente, la parte del debitore è assunta dal presunto socio di cui si reclama l’estensione, con la conseguente applicazione dei rispettivi oneri difensivi tracciati nella cennata disposizione.

    14 Per coerenza, se si ritiene che il difensore tecnico sia necessario nel procedimento per dichiarazione di liquidazione giudiziale principale, non v’è ragione di non richiederne la presenza anche nel procedimento accessorio, il che, a ben vedere, pone l’ulteriore problema se il curatore debba munirsi della autorizzazione a stare in giudizio di cui all’art. 128 CCII, posto che questa ipotesi non sembra ricadere nell’area di esenzione di cui alla predetta disposizione.

    VIII. La fase decisoria: impugnazioni ed effetti

    VIII.La fase decisoria: impugnazioni ed effetti

    1 Quando il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale in estensione nella sentenza inserisce tutte le prescrizioni stabilite nell’art. 49 CCII, compresa la fissazione dell’adunanza per la formazione dello stato passivo. Con la sentenza dichiarativa il tribunale nomina lo stesso giudice delegato e lo stesso curatore della liquidazione giudiziale sociale, mentre il giudice nominato può designare diversi componenti del comitato dei creditori tenendo conto dell’eventuale presenza di creditori particolari del socio. Cfr. [F782] [F783].

    2 La sentenza di liquidazione giudiziale del socio produce effetti costitutivi con decorrenza dalla data della pronuncia estensiva, posto che la sentenza non assume un carattere di mera integrazione o correzione rispetto alla sentenza che ha dichiarato la liquidazione giudiziale della società; l’effetto della liquidazione giudiziale si produce, dunque, ex nunc. Ne consegue che i termini di decorrenza per l’esercizio delle azioni revocatorie vanno computati a ritroso dalla seconda sentenza.

    3 Per quanto concerne l’impugnazione della sentenza di estensione, il socio posto in liquidazione giudiziale (o la società debitrice di cui è acclarata l’esistenza) deve promuovere il giudizio di reclamo ai sensi dell’art. 51 CCII; avverso questa decisione, il mezzo di reclamo spetta anche a terzi interessati, purché diversi da chi ha domandato l’estensione.

    4 L’oggetto del procedimento di reclamo si sovrappone a quello che è stato l’oggetto del giudizio davanti al tribunale e dunque si può discutere, solamente, di tutte le questioni che attengono all’estensione, senza nessuna intromissione nella contestazione dei presupposti per la dichiarazione della liquidazione giudiziale principale.

    5 Contro la sentenza di liquidazione giudiziale della società possono interporre reclamo, oltre che la società debitrice anche tutti coloro che ne abbiano (e dimostrino) interesse; questo interesse deve essere giuridico e non di mero fatto, e, pertanto, quando fra i terzi legittimati a reclamare includiamo tutti coloro che ricevono dalla sentenza un pregiudizio, non di mero fatto, possiamo includere anche i potenziali soci verso i quali è richiesta l’estensione. Se al momento della proposizione del reclamo contro la sentenza di estensione non fosse (ancora) passata in giudicato (nei confronti del reclamante socio) la sentenza di liquidazione giudiziale principale relativa all’impresa, il socio debitore in estensione può proporre un reclamo che investe sia la pronuncia principale che quella accessoria.

    6 Contraddittore necessario è, sempre, il curatore, sia che abbia rivestito il ruolo di parte istante (ai sensi, dunque, dell’art. 256), sia che ciò non sia accaduto (ai sensi, dunque, dell’art. 51 CCII); ed il curatore dovrà essere evocato in giudizio nella sua duplice veste di curatore della liquidazione giudiziale sociale e di quello personale se, come rammentato, sia configurabile la doppia impugnazione. Il contraddittorio, poi, va radicato nei confronti di chi ha richiesto l’estensione e, quindi, nei confronti del creditore o di altro socio già debitore, nonché nei confronti dei creditori (a suo tempo) ricorrenti della liquidazione giudiziale della società. La partecipazione al giudizio di reclamo dei soci già in liquidazione giudiziale va affermata perché esiste un loro interesse, non di mero fatto, alla conferma o alla revoca della liquidazione giudiziale, considerando, fra l’altro i possibili benefici derivanti dalla esdebitazione; diversamente, i soci non sono litisconsorti necessari quando il socio impugna solo la liquidazione giudiziale personale.

    7 Quando l’impugnazione si rivolge soltanto contro la sentenza di estensione, parimenti il procedimento di reclamo si svolge anche nei confronti di coloro che hanno assunto le vesti di creditori ricorrenti della liquidazione giudiziale sociale. Non sussiste litisconsorzio fra il reclamante e tutti i soci già in liquidazione e cioè anche di quelli che non abbiano presentato l’istanza di estensione.

    8 Con l’impugnazione il socio può chiedere, ai sensi dell’art. 52 CCII, la sospensione dell’attività di liquidazione che compete al curatore, ovviamente nella sola parte che lo riguarda e cioè per il patrimonio personale.

    9 Le conclusioni ora raggiunte, a parti rovesciate, sembrano riproponibili qualora il tribunale decida di rigettare la domanda di estensione. In tal caso, al reclamo sono legittimati il curatore (o il creditore o il socio debitore) e, dal lato passivo, il presunto socio “estendendo”. L’istante (così lo definisce l’art. 256, c. 7, CCII) deve promuovere il reclamo con le medesime modalità che sono stabilite nell’art. 50 CCII. La revoca della liquidazione giudiziale del socio non produce alcun effetto nei confronti della liquidazione giudiziale della società che deve progredire.

    10 Talora la sentenza di estensione vale, anche, come sentenza con la quale si accerta che la liquidazione giudiziale di un imprenditore individuale doveva intendersi come liquidazione giudiziale di un’impresa collettiva; in questo caso il procedimento è volto, dapprima, a dichiarare la liquidazione giudiziale della società, per poi ripercuotersi sui soci illimitatamente responsabili. Una specie di estensione ascendente prima, e discendente, poi. In questa ipotesi, l’accoglimento del reclamo può investire proprio la pronuncia dichiarativa di liquidazione giudiziale della società, con la conseguenza che l’effetto demolitorio si ripercuote sulle liquidazioni giudiziali dei soci, anche non reclamanti, per un principio generale in materia di impugnazioni che possiamo ricavare dall’art. 336, c. 2, c.p.c. (il c.d. effetto espansivo esterno).

    IX. Il regime delle società cooperative

    IX.Il regime delle società cooperative

    1 L’art. 2519 c.c. stabilisce che alle società cooperative si applicano in quanto compatibili le disposizioni sulla società per azioni e in particolare nell’art. 2518 c.c. si afferma che la responsabilità per le obbligazioni sociali grava soltanto sulla società. Pertanto, in base a queste due disposizioni si deve ritenere che alle cooperative si applicano gli artt. 255, 260 e 261 CCII dettati per le società capitalistiche.

    2 La disciplina concorsuale delle società cooperative non è però essenzialmente disegnata dalle regole appena ricordate ma è decisivamente influenzata dal fatto che a norma degli artt. 1 e 293 CCII le società cooperative sono assoggettate, in via concorrente od esclusiva, alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (cfr., infra artt. 293 ss. CCII), dovendosi avere riguardo all’attività, eventualmente commerciale, in concreto esercitata e non all’oggetto statutario.

    B) Frmule

    B)Frmule
    F778
    SENTENZA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE CON SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI

    REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    riunito in camera di consiglio con l’intervento dei Sigg. magistrati:

    dott………. Presidente

    dott………. Giudice

    dott………. Giudice

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    avente ad oggetto: dichiarazione di liquidazione giudiziale nei confronti di ………

    ………

    ………

    Visto il ricorso con il quale il creditore ………

    ………

    ………

    [i creditori] ha [nno] chiesto la liquidazione giudiziale dell’impresa sopra indicata;

    [Vista la richiesta con la quale il sig………. nella sua qualità di legale rappresentante della società ……… ha chiesto la dichiarazione di liquidazione giudiziale in proprio].

    Ritenuta la competenza del giudice adito in quanto l’impresa debitrice ha la sede legale [principale - effettiva] in un Comune ricompreso nel Circondario di questo Tribunale.

    Rilevato che il debitore è stato posto nelle condizioni di difendersi e di contraddire in udienza come risulta dal ricorso notificato ………

    Rilevato che il debitore deve essere considerato un imprenditore commerciale oltre le soglie di cui agli artt. 2 e 121 CCII e come tale assoggettabile a liquidazione giudiziale per quanto si ricava dal certificato camerale in atti, dalla natura dell’attività svolta e dalla caratteristica del rapporto sotteso al credito azionato.

    Rilevato che lo stato di insolvenza del debitore si ricava da una pluralità di elementi sintomatici, rappresentati nel caso concreto da ……… [inadempimenti - decreti ingiuntivi - sentenze di condanna - protesti di titoli di credito - esito infruttuoso di esecuzioni - cessazione dell’attività - chiusura della sede ed irreperibilità dei titolari dell’impresa - concordato stragiudiziale inadempiuto - dichiarazioni confessorie - situazione patrimoniale ……… - mancato deposito dei bilanci] ………

    ………

    ………

    ………

    Rilevato che dalle indagini esperite, risultano sicuramente sorpassate le soglie di cui all’art. 2 CCII, così come l’indebitamento appare superiore ad euro 30.000,00.

    Rilevato che la società ……… ha assunto una forma compatibile con la previsione di cui all’art. 256 CCII ed è in concreto costituita anche da soci illimitatamente responsabili e che gli stessi sono stati posti in grado di difendersi, mediante convocazione disposta ai sensi dell’art. 41 CCII.

    Ritenuto pertanto che sussistono i presupposti soggettivi ed oggettivi per la dichiarazione di liquidazione giudiziale

    P.Q.M.

    Visti gli artt. 2, 41, 49 e 256 CCII

    DICHIARA

    la liquidazione giudiziale dell’impresa ………, con sede in ………;

    DICHIARA

    la liquidazione giudiziale del socio ………, nato a ………, in data ………

    la liquidazione giudiziale del socio ………, nato a ………, in data ………

    la liquidazione giudiziale del socio ………, nato a ………, in data ………

    NOMINA

    il dott………. Giudice delegato alla procedura;

    NOMINA

    il ……… [dott.-rag.-avv.], con studio in ………, curatore della liquidazione giudiziale;

    ORDINA

    ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell’art. 2215-bis c.c., dei libri sociali, delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA dei tre esercizi precedenti, nonché dell’elenco dei creditori corredato dall’indicazione del loro domicilio digitale, se già non eseguito a norma dell’art. 39 CCII

    STABILISCE

    che si procederà all’esame dello stato passivo davanti al Giudice delegato all’udienza del ………, ad ore ………

    ASSEGNA

    ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza fissata per l’esame dello stato passivo per l’inoltro delle domande di insinuazione al curatore con le modalità di cui all’art. 201 CCII

    AUTORIZZA

    Il curatore con le modalità di cui agli artt. 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies disp. att. c.p.c.: 1) ad accedere alle banche dati dell’anagrafe tributaria e dell’archivio dei rapporti finanziari; 2) ad accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi; 3) ad acquisire l’elenco dei clienti e l’elenco dei fornitori di cui all’art. 21, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla l. 30.7.2010, n. 122 e successive modificazioni; 4) ad acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti; 5) ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l’impresa debitrice

    DICHIARA

    la sentenza immediatamente produttiva di effetti.

    Così deciso in camera di consiglio in data ………

    Il Giudice est……….

    Il Presidente ………

    F779
    ISTANZA PER L’ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AI SOCI RECEDUTI EX ART. 256, C. 2, CCII

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    ***

    LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

    G.D.: dr……….

    Curatore: ………

    Sent. n.: ………

    ***

    ISTANZA PER ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AL SOCIO RECEDUTO

    Ill.mo Tribunale,

    il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe, giusta autorizzazione del Giudice delegato in data ……… ai sensi degli artt. 123 e 128 CCII rappresentato e difeso dall’avv………. come da procura ………, del presente atto

    ESPONE

    - con sentenza del ……… il Tribunale di ……… dichiarava la liquidazione giudiziale della s.n.c………. e dei soci illimitatamente responsabili sigg……….;

    - dall’esame della documentazione agli atti è risultato che della s.n.c. aveva fatto parte sino al ……… anche il sig……….

    nato a ………

    ivi residente in Via ………

    codice fiscale ………

    quotista al ………% euro ………;

    - sino a che in data ………, e cioè solo ……… mesi prima della sentenza di liquidazione giudiziale, con atto a rogito notaio ……… n………. di repertorio, aveva ceduto le sue quote di partecipazione ai sigg……….;

    - dalle dichiarazioni rese dall’attuale socio sig………. alla curatela, dalle informazione assunte e dagli accertamenti disposti in ordine alla contabilità sociale, appare fondata la circostanza che lo stato di insolvenza della s.n.c………. si sia manifestato in epoca anteriore alla predetta cessione di quote: infatti il fatturato della debitrice negli ultimi tre esercizi è andato via via riducendosi sensibilmente con conseguenti perdite di esercizio sempre più significative; nel secondo anno di attività hanno avuto inizio le prime insolvenze; agli inizi del terzo anno i due Istituti di credito con i quali la debitrice intratteneva rapporti di conto corrente avevano revocato gli affidamenti bancari.

    Quanto alla situazione economica del dissesto si precisa:

    Liquidazione giudiziale della società

    L’attivo realizzato è di euro ………

    Il passivo ammesso è di euro ……… Liquidazione giudiziale personale del socio ………

    L’attivo realizzato è di euro ………

    Il passivo ammesso corrisponde al passivo della liquidazione giudiziale della società

    Liquidazione giudiziale personale del socio ………

    L’attivo realizzato è di euro ………

    Il passivo ammesso corrisponde al passivo della liquidazione giudiziale della società.

    ***

    Per tutto quanto sopra premesso ed esposto, considerato che:

    1) l’atto con il quale il socio è receduto dalla società è stato iscritto nel registro delle imprese prima del decorso del termine di un anno dalla dichiarazione di liquidazione giudiziale;

    2) all’epoca in cui tale recesso si è perfezionato, la s.n.c………. già versava in stato di insolvenza.

    Tutto ciò considerato il sottoscritto curatore

    FA ISTANZA

    perché l’Ill.mo Tribunale, esperiti gli adempimenti di cui all’art. 256, c. 3, CCII, sentito il Sig………. ai sensi dell’art. 41 CCII, voglia dichiarare la liquidazione giudiziale del socio receduto sig………. in estensione della liquidazione giudiziale della società ………

    Luogo, data ………

    Firma ………

    F780
    ISTANZA PER ACCERTAMENTO DI SOCIETÀ DI FATTO ED ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AD UN SOCIO OCCULTO EX ART. 256, C. 4E5, CCII

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    ***

    LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

    G.D.: dr……….

    Curatore: ………

    Sent. n.: ………

    ***

    ISTANZA PER ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AL SOCIO OCCULTO E ACCERTAMENTO DELLA SOCIETÀ DI FATTO

    Ill.mo Tribunale,

    il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe, giusta autorizzazione del Giudice delegato in data ……… ai sensi degli artt. 123 e 128 CCII rappresentato e difeso dall’avv………. come da procura ………, del presente atto

    ESPONE

    quanto segue.

    - a seguito di approfonditi riscontri sulla contabilità dell’impresa debitrice, dall’esame della corrispondenza degli ultimi anni e da dichiarazioni rese da dipendenti e fornitori, è risultato inequivocabilmente che il debitore sig………., dopo il primo anno di attività e fino a pochi mesi dalla sentenza di liquidazione giudiziale, dichiarato su iniziativa di due creditori, si è avvalso dell’opera di ………, nato a ……… residente in ……… Via ………, il quale ha, in pratica, gestito l’impresa ……… di cui era ufficialmente titolare il debitore;

    - questa grave ed importante circostanza è stata accertata sulla base dei seguenti elementi emersi:

    - il sig………., all’inizio della sua collaborazione, prestava all’impresa debitrice soltanto consulenze ……… inerenti ai progetti di ………;

    - successivamente, a partire dal ……… interessato per i soddisfacenti risultati iniziali dell’azienda, per la lunga amicizia col titolare e su richiesta dello stesso disposto a cointeressarlo, intensificava via via la sua presenza ………;

    - si occupava inoltre di ……… e dell’incasso dei crediti (all. n……….);

    - di comune accordo col debitore, il sig………., in data ………, aveva iniziato anche a disporre sui due c/c bancari delle Banche con cui l’impresa lavorava, in virtù dei poteri di firma conferitigli dal titolare (all. n……….);

    1) in data ………, in occasione di ………, il sig………., aveva rilasciato fideiussione personale a Istituti di credito per un adeguato aumento delle facilitazioni creditizie già accordate all’impresa (all. n……….);

    2) nei confronti dei terzi si qualificava come nuovo socio del titolare (si allegano lettere-fax dei sigg……….);

    3) da ulteriori ricerche effettuate, sono state anche reperite le contabili delle Banche relative a quel periodo, con addebiti in c/c per emissione di assegni circolari richiesti dall’impresa, risultati poi incassati da entrambi i soggetti (all. n……….).

    ***

    Per tutte le considerazioni sopra svolte, va ravvisato nel comportamento del sig………. quello di socio di fatto del sig………. nella gestione dell’impresa edile debitrice in quanto:

    a) è stata provata, anche dalle testimonianze delle persone che operavano nell’azienda, la volontà dei precitati signori di associarsi in quell’attività, suddividendosi le mansioni;

    b) è stata ampiamente documentata la esteriorità del rapporto da parte del sig………., il quale gestiva l’impresa come un vero e proprio contitolare;

    c) è stata altresì accertata, documentalmente, l’avvenuta suddivisione degli utili da parte dei due soggetti relativi a ……… anni di lavoro

    tutto ciò premesso ed esposto, il sottoscritto curatore,

    FA ISTANZA

    perché l’ill.mo Tribunale, esperiti gli adempimenti di cui all’art. 256, c. 3, CCII, sentito il sig………. ai sensi dell’art. 41 CCII, voglia dichiarare la liquidazione giudiziale della società di fatto fra il sig………. titolare dell’impresa debitrice e il sig………., nonché per estensione la liquidazione giudiziale del socio illimitatamente responsabile sig………., fermo restando il già dichiarato liquidazione giudiziale personale del sig………. titolare dell’omonima impresa debitrice.

    Luogo, data ………

    Firma ………

    F781
    ISTANZA PER L’ ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AL SOCIO ACCOMANDANTE EX ART. 256, C. 2, CCII

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    ***

    LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE ………

    G.D.: dr……….

    Curatore: ………

    Sent. n.: ………

    ***

    ISTANZA PER ESTENSIONE DELLA LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE AL SOCIO ACCOMANDANTE

    Ill.mo Tribunale,

    il sottoscritto ………, curatore della liquidazione giudiziale in epigrafe, giusta autorizzazione del Giudice delegato in data ……… ai sensi degli artt. 123 e 128 CCII rappresentato e difeso dall’avv………. come da procura ………, del presente atto

    ESPONE

    quanto segue.

    - la debitrice ………, società dalle modeste dimensioni, svolgeva la propria attività nel campo di ………;

    - la sig.ra ………, socio accomandatario, si occupava della gestione della società mentre al marito, sig………., socio accomandante, competeva il lavoro di ………, con l’ausilio di ………;

    - sin dall’inizio della procedura, il sottoscritto si è reso conto di come la sig.ra ………, fosse sempre stata estranea alle vicende della società ma, soprattutto, ignara della gestione della stessa;

    - infatti, a seguito degli accertamenti disposti in ordine alla documentazione contabile ed amministrativa della società, dall’esame della corrispondenza dei suoi clienti e fornitori ed infine dalle dichiarazioni di ………, è emerso con tutta evidenza, che l’amministratore di fatto della società era, in realtà, il socio accomandante sig……….;

    - le circostanze qui di seguito indicate comprovano la tesi del ricorrente:

    RAPPORTI COI FORNITORI

    - il fascicolo “Richieste di forniture” contiene n………. ordinativi di materiale vario dove in ciascun documento risulta apposta la firma del socio accomandante con il timbro della società ……… (all. n……….);

    - sono state rinvenute n………. lettere di fornitori per il sollecito di pagamenti, con altrettante lettere di risposta della società a firma del sig………. in cui venivano richieste dilazioni di pagamento a causa difficoltà finanziarie (all. n……….),

    - i responsabili dell’ufficio vendite della ……… e della ……… (i due maggiori fornitori della debitrice), hanno dichiarato di aver sempre intrattenuto rapporti commerciali col sig………., a loro noto come il titolare dell’azienda.

    RAPPORTI COI CLIENTI

    - nel fascicolo “Clienti” sono stati rinvenuti n………. preventivi di spesa, di cui n………. firmati dal socio accomandate e solo n………. dal socio accomandatario (all. n……….).

    RAPPORTI COI DIPENDENTI

    - il dipendente sig………., ha dichiarato alla curatela che il sig………. ha sempre gestito l’impresa a suo insindacabile giudizio (all. n……….).

    ***

    Nell’ambito degli adempimenti di procedura il sottoscritto ha altresì interrogato il socio accomandatario, sig.ra ………, in merito all’attività dai lei svolta nella società e la stessa, data l’evidenza dei fatti, non ha potuto che confermare che di fatto era suo marito a gestire ogni attività dell’impresa mentre lei era limitata a firmare assegni e sottoscrive documenti su istruzioni di quest’ultimo (all. n……….).

    Per tutto quanto sopra premesso ed esposto, il sottoscritto curatore, accertato che il socio accomandante sig………. si è indebitamente ingerito nell’amministrazione della società e rilevato che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2320, c. 2, c.c.

    CHIEDE

    che l’Ill.mo Tribunale voglia dichiarare - dopo averne disposto, a norma dell’art. 41 CCII, la convocazione in camera di consiglio - la liquidazione giudiziale del socio accomandante sig………., in estensione al già dichiarato liquidazione giudiziale della s.a.s……….

    Luogo, data ………

    Firma ………

    F782
    SENTENZA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE IN ESTENSIONE DEL SOCIO OCCULTO

    REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    riunito in camera di consiglio con l’intervento dei sigg. magistrati:

    dott………. Presidente

    dott………. Giudice

    dott………. Giudice

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    avente ad oggetto: dichiarazione di liquidazione giudiziale nei confronti di ………

    ………

    ………

    Visto il ricorso con il quale il curatore della liquidazione giudiziale ………, chiede la dichiarazione di liquidazione giudiziale del sig………. in estensione ex art. 256 CCII, quale socio occulto.

    Ritenuta la competenza del giudice adito in quanto la liquidazione giudiziale principale è stato dichiarato da questo Tribunale.

    Rilevato che il sig………. è stato posto nelle condizioni di difendersi e di contraddire in udienza come risulta dal ricorso notificato ………

    ………

    ………

    Rilevato che dalla documentazione prodotta dal curatore si ricava che il sig………. ha operato non solo nell’interesse della società ma si è comportato come un contitolare come è dimostrato da ………

    ………

    ………

    Ritenuto che tali circostanze, complessivamente valutate, dimostrino in modo non equivoco che il sig………. ha assunto la veste di socio della debitrice s.n.c……….

    P.Q.M.

    Visti gli artt. 2, 41, 49 e 256 CCII

    DICHIARA

    la liquidazione giudiziale del socio ………, nato a ………, in data ………in estensione della già dichiarata liquidazione giudiziale della società………

    NOMINA

    il dott………. Giudice delegato alla procedura;

    NOMINA

    il ……… [dott.-rag.-avv.], con studio in ………, curatore della liquidazione giudiziale;

    ORDINA

    ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei

    casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell’art. 2215-bis c.c., dei libri sociali, delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA dei tre esercizi precedenti, nonché dell’elenco dei creditori corredato dall’indicazione del loro domicilio digitale, se già non eseguito a norma dell’art. 39 CCII

    STABILISCE

    che si procederà all’esame dello stato passivo davanti al Giudice delegato all’udienza del ………, ad ore ………

    ASSEGNA

    ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza fissata per l’esame dello stato passivo per l’inoltro delle domande di insinuazione al curatore con le modalità di cui all’art. 201 CCII

    AUTORIZZA

    Il curatore con le modalità di cui agli artt. 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies disp. att. c.p.c.: 1) ad accedere alle banche dati dell’anagrafe tributaria e dell’archivio dei rapporti finanziari; 2) ad accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi; 3) ad acquisire l’elenco dei clienti e l’elenco dei fornitori di cui all’art. 21, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla l. 30.7.2010, n. 122 e successive modificazioni; 4) ad acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti; 5) ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l’impresa debitrice

    DICHIARA

    la sentenza immediatamente produttiva di effetti.

    Così deciso in camera di consiglio in data ………

    Il Giudice est……….

    Il Presidente ………

    F783
    SENTENZA DI LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE IN ESTENSIONE DEL SOCIO RECEDUTO

    REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

    TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI ………

    Sezione ………

    riunito in camera di consiglio con l’intervento dei sigg. magistrati:

    dott………. Presidente

    dott………. Giudice

    dott………. Giudice

    ha pronunciato la seguente

    SENTENZA

    avente ad oggetto: dichiarazione di liquidazione giudiziale nei confronti di ………

    ………

    ………

    Visto il ricorso con il quale il curatore della liquidazione giudiziale ………, chiede la dichiarazione di liquidazione giudiziale del sig………. in estensione ex art. 256 CCII, quale socio receduto.

    Ritenuta la competenza del giudice adito in quanto la liquidazione giudiziale principale è stato dichiarato da questo Tribunale.

    Rilevato che il sig………. è stato posto nelle condizioni di difendersi e di contraddire in udienza come risulta dal ricorso notificato ………

    ………

    ………

    Rilevato che dalla documentazione prodotta dal curatore si ricava che il sig………. ha rivestito la qualità di socio illimitatamente responsabile della ……… sino a quando in data ……… ha ceduto le sue quote;

    Rilevato che la cessione delle quote e lo scioglimento del vincolo sociale sono intervenuti entro l’anno dall’odierna pronuncia.

    Ritenuto che al momento del recesso la società già si trovasse in stato di decozione come risulta da ………

    ………

    ………

    Ritenuto che tali circostanze, complessivamente valutate, dimostrino in modo non equivoco che il sig………. è receduto da socio della debitrice ……… quando l’impresa era già insolvente ………

    ………

    ………

    ………

    ………

    P.Q.M.

    Visti gli artt. 2, 41, 49 e 256 CCII

    DICHIARA

    la liquidazione giudiziale del socio ………, nato a ………, in data ……… in estensione della già dichiarata liquidazione giudiziale della società………

    NOMINA

    il dott………. Giudice delegato alla procedura;

    NOMINA

    il ……… [dott.-rag.-avv.], con studio in ………, curatore della liquidazione giudiziale;

    ORDINA

    ordina al debitore il deposito entro tre giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, in formato digitale nei

    casi in cui la documentazione è tenuta a norma dell’art. 2215-bis c.c., dei libri sociali, delle dichiarazioni dei redditi, IRAP e IVA dei tre esercizi precedenti, nonché dell’elenco dei creditori corredato dall’indicazione del loro domicilio digitale, se già non eseguito a norma dell’art. 39 CCII

    STABILISCE

    che si procederà all’esame dello stato passivo davanti al Giudice delegato all’udienza del ………, ad ore ………

    ASSEGNA

    ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del debitore, il termine perentorio di trenta giorni prima dell’adunanza fissata per l’esame dello stato passivo per l’inoltro delle domande di insinuazione al curatore con le modalità di cui all’art. 201 CCII

    AUTORIZZA

    Il curatore con le modalità di cui agli artt. 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies disp. att. c.p.c.: 1) ad accedere alle banche dati dell’anagrafe tributaria e dell’archivio dei rapporti finanziari; 2) ad accedere alla banca dati degli atti assoggettati a imposta di registro e ad estrarre copia degli stessi; 3) ad acquisire l’elenco dei clienti e l’elenco dei fornitori di cui all’art. 21, d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla

    l. 30.7.2010, n. 122 e successive modificazioni; 4) ad acquisire la documentazione contabile in possesso delle banche e degli altri intermediari finanziari relativa ai rapporti con l’impresa debitrice, anche se estinti; 5) ad acquisire le schede contabili dei fornitori e dei clienti relative ai rapporti con l’impresa debitrice

    DICHIARA

    la sentenza immediatamente produttiva di effetti.

    Così deciso in camera di consiglio in data ………

    Il Giudice est……….

    Il Presidente ………

    C) Giurisprudenza:

    C)Giurisprudenza:

    I. Il fallimento delle società con soci illimitatamente responsabili - II. (Segue) A) il catalogo dei soci fallibili - III. Il procedimento di estensione.

    I. Il fallimento delle società con soci illimitatamente responsabili

    I.Il fallimento delle società con soci illimitatamente responsabili

    1 Con riferimento alle azioni revocatorie fallimentari, nel caso di fallimento di un socio illimitatamente responsabile di una società di persone, dichiarato per effetto del fallimento della società, la scientia decoctionis va riscontrata con riferimento all’insolvenza della società considerato che è quest’ultima insolvenza a determinare il fallimento del socio [C. VI 28.1.2014, n. 1760; C. I 13.9.1997, n. 9075, Fall 1998, 1033; C. I 6.2.1997, n. 1122, ivi 1997, 1179; C. I 30.1.1995, n. 1106, ivi 1995, 919]. Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società, che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da un’unica società holding, l’accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti [C. I 21.4.2011, n. 9260; C. I 18.11.2010, n. 23344, Fall 2011, 565; T. Benevento 7.6.2022, n. 1366, DeJure].

    2 Nel caso di fusione eterogenea per incorporazione fra società con soci illimitatamente responsabili e società con soci a responsabilità limitata qualora sia mancata la liberazione da parte dei creditori sociali dalle obbligazioni sociali pregresse, permane la responsabilità illimitata dei soci e può essere esteso nei loro confronti il fallimento della società in cui gli stessi abbiano assunto la veste di soci limitatamente responsabili a nulla rilevando il decorso dell’anno dall’estinzione della società in quanto permane il vincolo sociale [C. I 13.3.2003, n. 3733, FI 2003, I, 1738]. La trasformazione di una società di persone in società di capitali non determina l’estinzione del precedente soggetto e la creazione di un soggetto diverso e, pertanto, nell’ipotesi della persistenza delle obbligazioni contratte dalla società di persone e di successiva dichiarazione di fallimento della società di capitali, i soci illimitatamente responsabili della società di persone, a meno di adesione alla trasformazione della società di persone da parte dei creditori di tale società, possono essere sottoposti a fallimento, ai sensi dell’art. 147 l. fall. [C. I 5.3.2015, n. 4498, D&G 2015; C. I 24.7.1997, n. 6925, DF 1998, II, 905; C. 6.11.1985, n. 5394, S 1986, 277]. In caso di scioglimento della società in nome collettivo in seguito a decisione dei soci, il fallimento della società (ed eventualmente dei soci) può essere dichiarato, ai sensi dell’art. 10 l. fall., sino a quando sia decorso un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese e non già dal mero verificarsi della causa di scioglimento atteso che questo è astrattamente revocabile con diversa volontà dei soci, e che, per quanto le cause di scioglimento operino di diritto, tuttavia, verificatasi una di esse, la società non si estingue automaticamente, ma entra in stato di liquidazione e rimane in vita sino al momento della cancellazione [C. VI 3.5.2012, n. 6692, Fall 2013, 620; C. App. Genova 30.10.2017, n. 117, DeJure; in senso contrario C. I 7.7.2208, n. 18600, GComm 2009, II, 945]. In seguito alla trasformazione di una società di persone in una società di capitali, soltanto la società risponde delle nuove obbligazioni, risultando la responsabilità illimitata dei soci incompatibile con la disciplina delle società di capitali. Ne consegue che, decorso un anno dall’iscrizione della trasformazione nel registro delle imprese, non può più essere dichiarato il fallimento del socio già illimitatamente responsabile, anche qualora non sia stato liberato, in mancanza del consenso esplicito o presunto dei creditori, dalle obbligazioni sociali contratte anteriormente alla trasformazione [C. VI 31.3.2016, n. 6308; C. I 18.11.2013, n. 25846].

    II. (Segue) A) il catalogo dei soci fallibili

    II.(Segue) A) il catalogo dei soci fallibili

    1 L’applicabilità dell’art. 147 l. fall., che consente l’estensione del fallimento a soci illimitatamente responsabili è subordinata alla duplice condizione che il socio sia illimitatamente responsabile e che l’ente sia costituito nelle forme e con i caratteri della società con soci a responsabilità illimitata; esso si riferisce esclusivamente alle società di persone nelle quali la responsabilità illimitata del socio è conseguenza della natura del modello societario e non è pertanto applicabile alle società di capitali, in cui la responsabilità illimitata rappresenta un’eventualità collegata all’assunzione da parte del socio, nel corso della vita sociale e con riferimento ad uno specifico periodo, di una responsabilità personale e solidale in conseguenza del suo potere di determinare in via assoluta la volontà dell’ente [C. I 14.4.2010, n. 8964]. Laddove nel corso del procedimento prefallimentare venga accertata l’esistenza di soci non risultanti dall’atto costitutivo (o da altro scritto comprovante l’acquisto della partecipazione), è comunque possibile estendere nei loro confronti la dichiarazione di fallimento, senza necessità che venga presentata l’apposita istanza di estensione di cui all’art. 147, c. 4, l. fall. [C. I 21.2.2019, n. 5234, GCM 2019]. La qualità di socio illimitatamente responsabile di società passibile di fallimento - e dunque di soggetto a cui il fallimento può essere esteso, ex art. 147 l. fall. - non esclude l’accessibilità alle procedure di sovraindebitamento, atteso che - non essendo imprenditore -, in sede di estensione del fallimento della società non viene valutata la sua insolvenza e non vi è ragione per sostenere che egli, per ottenere l’esdebitazione, sia tenuto ad attendere la dichiarazione di fallimento della società [T. Rimini 12.3.2018, Ilsocietario.it 2018; T. Prato 16.11.2016, Ilsocietario.it 2017]. Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 147, c. 5, r.d. 16.3.1942, n. 267, censurato, per violazione degli artt. 3, c. 1, e 24, c. 1, Cost., nella parte in cui, disponendo la estensibilità della dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale anche alla società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, non prevede una corrispondente ipotesi di estendibilità del fallimento, originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, ad altre società o persone fisiche che ne risultino essere soci di fatto. Invero, l’esegesi estensiva della disposizione in esame, ritenuta preclusa dal giudice rimettente, si è ormai consolidata in termini di diritto vivente per effetto di alcuni risolutivi interventi del giudice della nomofilachia. La disposizione denunciata già, dunque, vive e si riflette nell’interpretazione, costituzionalmente adeguata, che equipara la società di capitali all’impresa individuale ai fini della estendibilità del fallimento agli eventuali rispettivi soci di fatto [C. Cost. 6.12.2017, n. 255, GCost 2017, 2719]. Il curatore fallimentare non è legittimato ad agire per far valere la responsabilità solidale dell’unico azionista o quotista di una società di capitali, in quanto tale azione è attribuita dalla legge esclusivamente ed individualmente a ciascun singolo creditore sociale [C. I 27.5.1997, n. 4701, GI 1998, 508]. La responsabilità illimitata dell’azionista unico, prevista dall’art. 2362 c.c., si verifica quando tutte le azioni di una società si concentrino nelle mani di un solo soggetto, direttamente o per il tramite di mandatari o di intestazioni fittizie, e non quando uno dei soci si trovi in posizione dominante riguardo alla volontà gestionale e agli effetti patrimoniali della gestione stessa, ancorché il socio di minoranza sia costituito da altra società il cui capitale sia posseduto totalitariamente dal socio dominante [C. I 31.1.2008, n. 2422; C. 7.10.1982, n. 5143, FI 1982, I, 2410; C. 9.12.1976, n. 4577, ivi 1977, I, 269]. Deve essere affermato e ribadito il consolidato orientamento della cassazione secondo il quale non può essere sottoposto a fallimento il soggetto individuale o collettivo che si serva della società di capitali come schermo di una propria attività, assumendo il ruolo di imprenditore indiretto, perché in virtù dell’acquisto della personalità giuridica gli atti compiuti e l’attività svolta in nome della società, con le relative conseguenze patrimoniali passive, vanno imputati alla società; deve essere ugualmente affermato che la responsabilità illimitata dell’azionista unico ex art. 2632 c.c. non comporta l’estensione del fallimento della società al socio [C. I 4.2.2009, n. 2711, Fall 2009, 1397; C. I 12.11.2008, n. 27013, GComm 2009, II, 301; C. 19.11.1981, n. 6151, DF 1982, II, 302]. Nel concordato preventivo proposto da società con soci illimitatamente responsabili, l’omologazione della proposta non estende i suoi effetti remissori, ai sensi dell’art. 184, c. 2, l. fall., anche in favore del socio che, avendo prestato fidejussione per debiti della società ed a favore di un terzo creditore di questa, successivamente non rivesta più la predetta qualità al momento della citata omologa, dovendo allora l’ex socio, cui non si applica l’art. 10 l. fall., essere considerato, ai fini del concorso, alla stregua di un terzo garante; ne conseguono, da un lato, l’irrilevanza dell’accertamento dell’epoca della perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile rispetto all’apertura del concordato e, dall’altro, nei confronti del creditore sociale, la responsabilità piena di tale ex socio, in virtù dell’obbligazione fidejussoria assunta, poiché debito proprio, del tutto distinto da quelli sociali [T. Ancona 5.11.2021, n. 1408, DeJure; C. I 29.12.2011, n. 29863, Fall 2012, 569].

    2 Nella società in accomandita semplice, il socio accomandante che, avvalendosi di procura conferente ampio ventaglio di poteri, compie atti di amministrazione, interna od esterna, ovvero tratta o conclude affari della gestione sociale, incorre, a norma dell’art. 2320 c.c., nella decadenza dalla limitazione di responsabilità, la quale, in attuazione del principio di tipicità di cui all’art. 2249 c.c., è volta ad impedire che sia perduto il connotato essenziale di tale società, costituito dalla spettanza della sua amministrazione, ai sensi dell’art. 2318 c.c., al solo socio accomandatario; ne consegue che il fallimento della predetta società va esteso, ex art. 147 l. fall., anche all’accomandante cui siano state conferite due procure, denominate speciali ma talmente ampie da consentire la effettiva sostituzione all’amministratore nella sfera delle Delibere di competenza di questi [C. I 28.2.2017, n. 5069; C. I 8.5.2015, n. 9398; C. I 19.12.2008, n. 29794; C. I 19.12.2008, n. 2979, Fall 2009, 1279; C. 6.6.2000, n. 7554, ivi 2001, 555; C. I 28.4.1999, n. 4270, ivi 2000, 519]. Il socio accomandante o occulto di una società in accomandita semplice - caratterizzata dall’esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità - assume la qualità di accomandatario quando sia accertato che si sia ingerito nell’amministrazione della società, contravvenendo al divieto di compiere atti di amministrazione o di trattare o concludere affari in nome della società; in tal caso egli assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 c.c., ed è fallibile, in applicazione dell’art. 147 l. fall. [C. I 18.1.2017, n. 1160; C. VI 27.4.2016, n. 8272; C. I 17.12.2012, n. 23211, GI 2013, 1371]. La soluzione secondo cui il fallimento della società in accomandita semplice va esteso, ex art. 147 l. fall., anche all’accomandante al quale siano state conferite procure denominate speciali ma talmente ampie da consentire la effettiva sostituzione dell’amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi va ribadita, anche e massimamente, per il caso del conferimento di procura institoria, essendo quest’ultima tipicamente generale [C. I 28.2.2017, n. 5069, GiustiziaCivile.com 2018]. Il fallimento di un socio accomandatario di una s.a.s., ai sensi dell’art. 147 l. fall., può essere dichiarata anche dopo un anno dall’annotazione sul Registro delle imprese della nomina del liquidatore della società. Infatti, la messa in liquidazione di una s.a.s. non fa venir meno la responsabilità dei soci accomandatari, dato che nessuna norma prevede una tale disciplina, né tale conseguenza può farsi derivare dall’attribuzione dei poteri di gestione a un liquidatore. Essi rispondono in quanto soci e non perché abbiano o meno ricoperto anche la carica di amministratori [C. VI 13.10.2016, n. 20671, Ilfallimentarista.it 2016]. Lo scioglimento di una società di persone (nella specie, una società in accomandita semplice) non determina la cessazione della responsabilità illimitata dei soci illimitatamente responsabili, pur quando non siano nominati liquidatori, e non esclude, pertanto, che siano dichiarati personalmente falliti per effetto del fallimento della società [C. VI 13.10.2016, n. 20671, GCM 2017].

    3 Anche la società di fatto e la società occulta, quali fattispecie nelle quali viene prospettata l’esistenza di soggetti che nella veste di soci non apparenti devono condividere con l’imprenditore fallito la responsabilità verso i creditori, possono essere dichiarate fallite ai sensi dell’art. 147 l. fall.: tale disposizione, infatti, rendendo operativo nella sede fallimentare il principio della responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, stabilito dagli artt. 2291 e 2297 c.c. [C. pen. V 30.5.2018, n. 53399], si applica anche all’ipotesi in cui, dichiarato il fallimento di un’impresa apparentemente individuale, sia successivamente accertata la natura sociale di essa, e debba quindi dichiararsi il fallimento della società e degli altri soci illimitatamente responsabili. Legittimato a chiedere l’estensione del fallimento in tal caso è il solo curatore, mentre non risultano legittimati né all’azione né alle impugnazioni i singoli creditori, i quali, ai sensi dell’art. 6 l. fall., possono chiedere la dichiarazione di fallimento soltanto ex novo [C. I 10.2.2006, n. 2975, Fall 2006, 1208]. Al fine dell’applicazione dell’art. 147 l. fall., è sufficiente il riscontro, oltre che della situazione normale di una società che esista nella realtà e come tale operi nei rapporti con i terzi, anche delle situazioni anomale costituite dalla società meramente apparente nei confronti dei terzi, pure se inesistente nei rapporti interni, e dalla società occulta, cioè realmente esistente, ma non esteriorizzata. Queste due ultime situazioni, peraltro, in relazione alla diversità di presupposti, si pongono su un piano alternativo. Ne consegue che l’estensione del fallimento di un imprenditore individuale ad altro soggetto, previo riscontro di una società di fatto, non può essere contraddittoriamente giustificata in base al contemporaneo accertamento, in detto soggetto, della qualità di socio apparente e di socio occulto [C. I 13.9.2021, n. 24633, GD 2021]. Occorre verificare lo stato di insolvenza della società di fatto occulta, ai fini della fallibilità del socio occulto di società di capitali. Infatti, quando è stato dichiarato il fallimento di una società di fatto, non è necessario accertare l’insolvenza dei singoli soci per la dichiarazione del loro fallimento in estensione (fase c.d. discendente), mentre nell’ipotesi opposta di fallimento in estensione del socio occulto di una società di fatto non può prescindersi dall’accertamento dello stato di insolvenza della società di fatto (fase c.d. ascendente) [T. Catania 1.3.2018, Ilsocietario.it 2018]. Ai fini della prova dell’esistenza di un socio occulto, l’affectio societatis può essere dedotta da molteplici elementi indiziari, ma quando si intenda riscostruire un rapporto societario tra parenti stretti, il vaglio degli elementi probatori deve essere particolarmente pregnante e idoneo a superare il fatto che essi possano trovare giustificazione nella diversa ipotesi dell’affectio familiaris [T. Padova 12.2.2018, Ilsocietario.it 2018]. In tema di società di fatto, per la configurabilità della responsabilità delle persone e/o dell’ente, anche in sede fallimentare, non è necessaria la prova dell’esistenza della società, essendo sufficiente la cosiddetta “apparenza della società”, ossia il comportamento di due o più persone che, pur non essendo legate da vincoli sociali, operano nel mondo esterno in modo da generare il convincimento che esse agiscono come soci. L’apparenza, tuttavia, non è oggetto di tutela in sé stessa, ma solo in quanto strumentale alla tutela dell’affidamento dei terzi di buona fede, onde essa non può essere invocata da chi sia consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale [C. 16.6.2010, n. 14580, Fall 2010, 1146; C. I 16.3.2007, n. 6299; C. I 14.2.2007, n. 3271, Fall 2007, 970; C. I 22.3.2001, n. 4089, ivi 2002, 151]. L’esistenza del rapporto sociale, anche al fine della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile a norma dell’art. 147 l. fall., può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando essi - ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società - siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali [C. App. Trento 11.2.2022, n. 28, DeJure 2022]. In tema di estensione del fallimento del titolare dell’impresa individuale agli altri componenti della famiglia, l’esistenza del contratto sociale può essere desunta, oltre che da prove dirette specificamente riguardanti i suoi requisiti (“affectio societatis”, costituzione di un fondo comune, partecipazione agli utili ed alle perdite), anche da manifestazioni esteriori che, pur giustificabili alla luce del rapporto di coniugio o di parentela, siano rivelatrici, per il loro carattere di sistematicità e concludenza, delle componenti del rapporto societario, tra le quali particolare significatività può riconoscersi ai rapporti di finanziamento e di garanzia che siano ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività dell’impresa per il raggiungimento degli scopi sociali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, sulla base delle sole prove testimoniali raccolte tra i dipendenti, aveva negato l’esistenza di una società di fatto in cui il coniuge e un figlio avevano sostenuto in modo continuativo l’attività di impresa mediante il rilascio sistematico di fideiussioni, garanzie ipotecarie e finanziamenti, nonché con l’incasso di assegni e l’utilizzazione di altre forme di liquidità d’impresa) [C. I 28.10.2019, n. 27541, GCM 2019]. Costituisce indizio grave, preciso e pertinente, ai fini dell’accertamento dell’esistenza di una società di fatto fra due società di capitali e la persona fisica che delle stesse sia socio ed amministratore, la circostanza di un’unica attività sostanzialmente finalizzata alla gestione di un complesso alberghiero [T. Sulmona 19.9.2017, GComm 2018, 720]. Qualora un soggetto che abbia agito in nome di una società di capitali non ancora registrata, e quindi inesistente, abbia posto in essere un’attività imprenditoriale o un’attività quale socio di una società di fatto insolvente, ne risponde a pieno titolo, con la conseguenza che tale responsabilità determina la sua soggezione a fallimento [C. I 26.7.2012, n. 13287, Fall 2013, 765; C. App. Venezia 23.9.2019, n. 3760, DeJure]. Se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore apparentemente individuale, risulti che egli era socio di una società di fatto esercente la stessa impresa, una volta dichiarato il fallimento della società e di altri soci non è più possibile per questi ultimi contestare la sussistenza dei presupposti di fallibilità dell’imprenditore individuale, deducendone la natura di piccolo imprenditore, dovendo tale qualità essere fatta valere con l’opposizione alla prima dichiarazione di fallimento, alla quale i soci sono legittimati come controinteressati; ne consegue che, una volta dichiarato il fallimento in estensione ex art. 147 l. fall., la contestazione può riguardare solo la sussistenza della società di fatto e la qualità di socio del convenuto in estensione [C. I 18.6.2008, n. 16594, Fall 2009, 118; C. App. Firenze 6.10.2021, n. 1875, DeJure]. La norma di cui all’art. 147, c. 5, l. fall. trova applicazione non solo quando, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulti che l’impresa è, in realtà, riferibile ad una società di fatto tra il fallito ed uno o più soci occulti, ma, in virtù di sua interpretazione estensiva, anche laddove il socio già fallito sia una società, anche di capitali, che partecipi, con altre società o persone fisiche, ad una società di persone, cosiddetta supersocietà di fatto, non assoggettata ad altrui direzione e coordinamento - la cui sussistenza, però, postula la rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, che deve essere conforme, e non contrario, all’interesse dei soci, dovendosi ritenere che la circostanza che le singole società perseguano, invece, l’interesse delle persone fisiche che ne hanno il controllo, anche solo di fatto, costituisca, piuttosto, una prova contraria all’esistenza della supersocietà di fatto [C. I 27.6.2022, n. 20552, D&G 2022]. Ai fini della dichiarazione di fallimento della c.d. supersocietà di fatto è imprescindibile l’accertamento della sua specifica insolvenza, che è autonoma rispetto a quella di uno o più dei suoi soci, rappresentando quest’ultima una mera circostanza indiziante [C. VI 4.3.2021, n. 6030, GCM 2021]. Al fine di configurare una “supersocietà di fatto”, non è sufficiente dimostrare che la gestione di un unico complesso aziendale, oggetto di una serie di operazioni affitto e subaffitto tra diverse società di capitali amministrate o partecipate dai membri di una famiglia, sia stata posta in essere al solo scopo di sottrarre i beni al soddisfacimento dei creditori, conservando dette società un proprio specifico oggetto sociale e rimanendo tra di loro distinte le diverse gestioni susseguitesi nel tempo [C. App. Catania 17.2.2021, GComm 2022].

    4 L’art. 10, c. 1, l. fall., non è applicabile al socio occulto, che, per sua scelta, non è iscritto nel registro delle imprese e che conseguentemente non può pretendere l’osservanza del limite annuale per la sua dichiarazione di fallimento [C. VI 6.11.2014, n. 23718; C. I 20.6.2013, n. 15488]. In caso di estensione del fallimento al socio occulto, non trova applicazione il termine annuale ai fini della dichiarazione di fallimento di cui all’art. 10 l. fall., in quanto si tratta di beneficio riservato soltanto a coloro che abbiano assolto all’adempimento formale dell’iscrizione, vale a dire a quei soli soggetti cui la norma si riferisce [C. VI 4.3.2021, n. 6029, GCM 2021]. L’estensione del fallimento della società commerciale di persone al socio illimitatamente responsabile è ammissibile solo se operata entro il limite temporale di un anno dallo scioglimento del rapporto sociale di cui agli artt. 10 e 11 l. fall., realizzandosi, in caso contrario (e, cioè, nella ipotesi in cui si ritenesse legittima l’estensione del fallimento del socio anche oltre il predetto limite temporale, alla sola condizione che l’insolvenza della società riguardi anche obbligazioni contratte prima del suo recesso), una inaccettabile disparità di trattamento tra l’imprenditore individuale cessato o defunto ed il socio illimitatamente responsabile di una società di persone [C. I 6.10.2000, n. 13322, Fall 2001, 73]. Nelle società di persone, il rapporto sociale tra la società e il socio illimitatamente responsabile non si scioglie in seguito alla cessazione dell’attività d’impresa della società qualora non vi sia stata la cancellazione di quest’ultima dal registro delle imprese, anche quando il socio sia di fatto o occulto. Di conseguenza il termine annuale previsto dall’art. 147, c. 2, l. fall., oltre il quale il socio non può più essere dichiarato fallito in conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, decorre dall’iscrizione nel registro delle imprese dei fatti determinanti la perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile non dall’eventuale cessazione dell’attività d’impresa. [C. App. Firenze 13.5.2022, n. 914, DeJure 2022]. Il decesso del socio produce lo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti, come previsto dall’ art. 2284 c.c. Non per questo, tuttavia, il termine annuale per dichiarare il fallimento dell’imprenditore decorre dalla morte di quest’ultimo. L’art. 147 l. fall., infatti, ancora la decorrenza al momento dello scioglimento del rapporto sociale solo “se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati”. Di conseguenza, nei confronti dei terzi creditori tali formalità non si risolvono nella mera annotazione della morte nei registri dello stato civile. La finalità di tale annotazione, infatti, non è quella di informare dello scioglimento del rapporto sociale i terzi, che certo non consultano i registri dello stato civile per conoscere le vicende societarie, bensì quello di informare l’intera collettività del venir meno di uno dei suoi membri [C. App. Bari 19.11.2018, n. 1940, DeJure 2019]. La responsabilità illimitata del socio accomandante ingeritosi nell’amministrazione della società, sancita dall’art. 2320 c.c. che, a tal fine, lo equipara all’accomandatario, non è collegata a vicende personali o societarie suscettibili di pubblicizzazione nelle forme prescritte dalla legge, ma deriva dal dato meramente fattuale di tale ingerenza e non è destinata a venir meno per effetto della sola cessazione di quest’ultima, prescindendo la suddetta equiparazione da qualsiasi distinzione tra debiti sorti in epoca anteriore o successiva alla descritta ingerenza, ovvero dipendenti o meno da essa. Pertanto, l’estensione, in siffatte ipotesi ed alla stregua dell’art. 147, del fallimento della società in accomandita semplice al socio accomandante non è soggetta ad altro termine di decadenza che non sia l’anno dalla iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale (ad esempio il recesso) o societaria (ad esempio la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità illimitata, escludendosi, invece, la possibilità di ancorare la decorrenza di detto termine alla mera cessazione dell’ingerenza nell’amministrazione [C. I 7.12.2012, n. 22246, Fall 2013, 994; C. I 7.12.2012, n. 22256, ibidem, 998; C. I 1.3.2010, n. 4865; C. App. L’Aquila 20.4.2016, n. 405, DeJure]. La dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile resta assoggettata esclusivamente al termine previsto dal comma 2 dell’art. 147 l. fall. decorrente dall’iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia determinato il venir meno della responsabilità illimitata, e tale disciplina trova applicazione anche al fallimento in estensione del socio accomandante di una società in accomandita semplice che, in quanto ingeritosi nella gestione, sia tenuto a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali [C. I 1.3.2022, n. 6771, GCM 2022].

    5 Il focus dell’art. 147, c. 5, l. fall. non appare diretto verso una o altra forma di esercizio dell’attività di impresa (individuale o, per contro, collettiva), ma è volto piuttosto verso l’ipotesi in cui - una volta dichiarato il fallimento di un singolo - emerga che, invece, si tratta di una impresa riferibile ad una società. Pertanto, non vi è alcuna ragione che, nell’ipotesi disciplinata dalla citata norma, possa giustificare un differenziato trattamento normativo, ammettendo o non ammettendo il fallimento di una società che risulti socia di fatto di una società irregolare a seconda che il socio già fallito sia un imprenditore individuale o collettivo [C. I 13.1.2021, n. 366, D&G 2021]. Lo status di socio oggetto di accertamento nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 147, c. 5, l. fall. non è suscettibile di transazione, rientrando, per contro, nella disponibilità delle parti i soli diritti ed obblighi che ne rappresentano diretta ed immediata estrinsecazione [T. Benevento 8.3.2018, DeJure 2018].

    6 Il fallimento del socio receduto non deve avvenire necessariamente con la procedura di estensione ex art. 147, c. 2, l. fall., poiché, quando la sua esistenza è già nota prima della dichiarazione di fallimento della società, questo, ai sensi del comma 1, produce il fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili; pertanto, in tal caso non sussiste esercizio di un potere d’impulso d’ufficio da parte del giudice, con accertamenti in fatto eccedenti l’oggetto della domanda, né ne è compromessa la terzietà in quanto, accogliendo l’istanza volta alla dichiarazione di fallimento della società, il giudice stabilisce le conseguenze che ad essa la legge ricollega, tra cui anche il fallimento del socio illimitatamente responsabile [C. I 31.5.2013, n. 13838; C. I 14.3.2011, n. 6003, GC. 2012, I, 2787; C. I 20.4.2007, n. 9445, Fall 2007, 1231]. La cessazione per qualsiasi causa dell’appartenenza alla compagine sociale del socio di società di persone, cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell’art. 2290 c.c., comma 2, è inopponibile ai terzi, con ciò dovendosi intendere che non produce i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario; conseguentemente la cessazione non pubblicizzata non è idonea ad escludere l’estensione del fallimento pronunciata ai sensi dell’art. 147 l. fall., né assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario per quanto concerne i terzi a quel momento è ancora in atto [C. I 29.11.2018, n. 30882; C. I 27.3.2008, n. 7965, Fall 2008, 717; C. I 16.6.2004, n. 11304, Fall 2005, 521; C. I 5.10.1999, n. 11045, FI 1999, I, 1045]. In tema di dichiarazione del fallimento del socio illimitatamente responsabile di società di persone, il principio di certezza delle situazioni giuridiche - la cui generale attuazione la Corte Costituzionale ha inteso assicurare con la pronuncia di incostituzionalità del comma 1 dell’art. 147 l. fall., nella parte in cui non prevede l’applicazione del limite del termine annuale dalla perdita della qualità di socio illimitatamente responsabile (sentenza n. 319/2000) - impone che la decorrenza di detto termine per il socio occulto receduto non possa farsi risalire alla data del suo recesso, né, tanto meno, a quella della dichiarazione di fallimento della società, poiché l’evento fallimentare non scioglie il vincolo societario, ma piuttosto a quella in cui lo scioglimento del rapporto sia portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Occorre pertanto, in concreto, tener conto della data della eventuale pubblicizzazione del recesso o di quella in cui i creditori ne abbiano avuto conoscenza o lo abbiano colpevolmente ignorato [C. VI 25.11.2015, n. 24112; C. I 10.3.2011, n. 5764, Fall 2011, 1365; C. I 28.9.2005, n. 18927, ivi 2006, 476]. In tema di estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 l. fall., la situazione del socio palese che per anomalie procedimentali non sia stato dichiarato fallito unitamente alla società non è assimilabile a situazioni che, se adeguatamente pubblicizzate, escludono la fallibilità dopo un anno dal loro verificarsi, quali quella del socio uscito dalla società ovvero non più illimitatamente responsabile o dell’imprenditore individuale o collettivo che ha cessato l’attività, trattandosi di effetto, previsto dalla legge, del fallimento della società con soci illimitatamente responsabili, con la conseguenza che il curatore, in tal caso, è legittimato a richiedere l’estensione del fallimento [C. I 7.12.2012, n. 22263, Fall 2013, 999; C. App. L’Aquila 3.12.2019, n. 2004, DeJure]. L’estensione del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile, che sia receduto, presuppone la correlazione causale tra le obbligazioni riferibili al socio e l’insolvenza pur successivamente verificatasi e non la contemporaneità tra sussistenza del vincolo sociale e manifestarsi dell’insolvenza [C. I 19.5.2000, n. 6541].

    III. Il procedimento di estensione

    III.Il procedimento di estensione

    1 Potendo il soggetto straniero, anche persona giuridica, assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile di una società italiana, esso soggiace a tutte le implicazioni proprie di siffatta qualità, tra cui il fallimento in via di estensione della società italiana, dichiarato dal competente Tribunale fallimentare italiano. Sotto tale profilo, la giurisdizione italiana è una mera conseguenza del meccanismo regolato dall’art. 147 l. fall., restando perciò inapplicabile - ove il socio straniero sia una persona giuridica - la normativa di conflitto dettata, per le società e gli altri enti, dall’art. 25, l. 31.5.1995, n. 218, recante la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, alla stregua del quale è disciplinata dalla legge regolatrice dell’ente, tra l’altro, la responsabilità per le obbligazioni dell’ente stesso [C. s.u. 6.7.2005, n. 14196, I 2005, 1241; C. s.u. 27.6.2003, n. 10293, GIUS 2003, 2790]. Il giudice delegato che abbia autorizzato il curatore, ex art. 25, c. 1, n. 6, l. fall. a richiedere, alla stregua dell’art. 147, c. 4, della medesima legge, l’estensione del fallimento in danno del socio accomandante asseritamente ingeritosi nell’amministrazione della società in accomandita semplice, non può, poi, partecipare al collegio chiamato a pronunciarsi sul corrispondente ricorso, trovando anche in tal caso piena e diretta applicazione il comma 2 del suddetto art. 25, la cui chiara portata precettiva impedisce a quel giudice di trattare i giudizi che abbia autorizzato[C. I 8.5.2013, n. 10732; C. App. Venezia 11.1.2021, n. 11, DeJure]. Va dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal curatore al fine di promuovere l’estensione del fallimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 147, c. 5, l. fall. qualora il ricorso venga presentato senza la preventiva autorizzazione del Giudice Delegato. Tale autorizzazione è necessaria in quanto, stante l’abrogazione del fallimento d’ufficio, il procedimento di estensione del fallimento assume carattere contenzioso e quindi è sottoposto alla regola di cui all’ art. 25 l. fall. [T. Roma 26.7.2017, DeJure 2018].

    2 L’estensione del fallimento della società di persone al socio illimitatamente responsabile è funzionalmente ed inderogabilmente devoluta al tribunale che ha dichiarato il fallimento della società medesima ai sensi dell’art. 147 l. fall. Tale competenza sussiste anche per il fallimento degli altri soci della società già dichiarata fallita [C. I 15.2.1999, n. 1230, Fall 1999, 1017]. Qualora una persona fisica sia socio (illimitatamente responsabile) di più società operanti in luoghi diversi, il conflitto di competenza eventualmente sorto in relazione alla dichiarazione di fallimento della persona fisica deve essere risolto, in base al generale principio della prevenzione, che esige unicità di procedura concorsuale nei confronti del medesimo soggetto, dichiarando la competenza del giudice che, per primo, ne ebbe a dichiarare il fallimento [C. 28.11.2001, n. 15105; C. VI 5.8.2020, n. 16686]. Anche nel procedimento per dichiarazione di fallimento in estensione di una società di fatto fra l’imprenditore fallito e altre persone fisiche e giuridiche trova applicazione la regola generale secondo la quale l’eccezione di incompetenza non può essere formulata oltre la prima udienza [C. App. Salerno 25.1.2022, FI 2022, 1438]. In tema di fallimento, l’art. 147, c. 5, l. fall. trova applicazione anche qualora il socio già fallito sia una società partecipe con altre società o persone fisiche ad una società di persone (c.d. supersocietà di fatto), nel qual caso, in deroga all’art. 9 l. fall., la competenza alla dichiarazione di fallimento in estensione si radica presso il tribunale ove risulta già pendente la procedura concorsuale riguardante il socio, venendo in rilievo il principio di prevenzione sancito dai commi 4 e 5 dell’art. 9 anzidetto e dall’art. 40 c.p.c. e costituendo il fallimento della società, che sia socia illimitatamente responsabile, l’occasione per accertare anche la distinta insolvenza della supersocietà di fatto [C. I 22.2.2021, n. 4712, GCM 2021].

    3 L’inderogabile esigenza di assicurare il diritto di difesa dell’imprenditore insolvente nella fase anteriore al fallimento deve ritenersi soddisfatta, avuto riguardo alla struttura sommaria e camerale del procedimento per la dichiarazione del fallimento, ogni qualvolta l’imprenditore sia posto comunque in grado di conoscere e contraddire le ragioni che hanno portato a richiedere detta dichiarazione; a tal fine la convocazione e l’audizione del socio illimitatamente responsabile, in qualità di rappresentante della società, sono idonee a mettere in grado di esercitare il diritto di difesa sia con riguardo alla dichiarazione di fallimento della società, sia con riguardo alla dichiarazione di fallimento, di esso socio, conseguente ope legis [C. VI 11.12.2017, n. 29629; C. VI 3.9.2013, n. 20170; C. I 24.7.1992, n. 8924, Fall 1993, 48]. Il principio secondo cui nel procedimento per estensione del fallimento a norma dell’art. 147 l. fall., come, più in generale, in ogni procedimento per la dichiarazione di fallimento, sono parti necessarie i debitori dei quali si chiede il fallimento ed i creditori direttamente od indirettamente istanti non è applicabile alla stessa società debitrice, che abbia chiesto il fallimento, né al suo socio accomandatario, poiché essi sono già parti nel giudizio per la dichiarazione di fallimento ex art. 15, c. 2, l. fall., in quanto debitori, sicché la loro qualifica di istanti non ne giustifica una legittimazione diversa ed autonoma nel giudizio di estensione del fallimento [C. I 7.12.2012, n. 22256, cit.; C. App. Catanzaro 24.1.2017, n. 72, DeJure]. I creditori che hanno proposto il ricorso di fallimento nei confronti dell’imprenditore apparentemente individuale sono litisconsorti necessari nel procedimento di estensione previsto dagli artt. 15 e 147, c. 5, l.fall., compresa la fase dell’eventuale reclamo, avendo l’interesse, non delegabile al curatore né ad altro legittimato che abbia assunto l’iniziativa, ad evitare che, sui beni del socio già dichiarato fallito, possano concorrere, ex art. 148 l. fall., i creditori della società occulta. Pertanto, se il giudice di primo grado non ha disposto l’integrazione del contraddittorio e la corte d’appello non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, c. 1, c.p.c., resta viziato l’intero procedimento e si impone, in sede di legittimità, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il rinvio della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 383, u.c., c.p.c. [C. I 24.2.2016, n. 3621]. In caso di dichiarazione di fallimento conseguente al rigetto dell’istanza di ammissione al concordato preventivo, il diritto di difesa del debitore insolvente è adeguatamente assicurato se egli è stato sentito dal giudice relatore all’uopo nominato nel procedimento di apertura del concordato [C. 26.2.1980, n. 1328, DF 1980, II, 140]. In tema di fallimento dichiarato in esito alla risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni a carico di società di persone, con estensione ex art. 147 l. fall. ai soci illimitatamente responsabili, nel giudizio di opposizione instaurato da questi ultimi non sussiste litisconsorzio necessario in capo alla società, considerato che il diritto di difesa dell’originario soggetto fallito trova adeguata tutela nella possibilità di partecipare al giudizio di opposizione spiegando in esso intervento volontario ex art. 105, c. 2, c.p.c. [C. I 30.10.2008, n. 26108, Fall 2009, 1176; C. App. Venezia 22.11.2019, n. 5259, DeJure].

    4 A seguito della sentenza della C. Cost. n. 142/1970 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 147, c. 2, l. fall., nella parte in cui nega al creditore la legittimazione a proporre istanza di estensione del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile, al creditore medesimo deve riconoscersi anche la legittimazione a proporre reclamo, davanti alla corte d’appello, avverso il provvedimento con il quale il tribunale rigetti la suddetta istanza [C. 17.1.1985, n. 112, Fall 1985, 628]. Per effetto delle sentenze della C. Cost. n. 142/1970 e n. 127/1975, va riconosciuta la qualità di parte istante ai falliti ed ai creditori che abbiano assunto la iniziativa nel procedimento di estensione del fallimento di cui all’art. 147 l. fall. e nel processo di opposizione a tale estensione [C. 19.11.1981, n. 6151, cit.]. In tema di fallimento in estensione, la nullità dell’istanza ex art. 147, c. 4, l. fall., in quanto proposta personalmente dal curatore, non è suscettibile della sanatoria prevista dall’art. 182, c. 2, c.p.c., la quale presuppone che l’atto di costituzione in giudizio sia stato comunque redatto da un difensore, non trovando quindi applicazione nell’ipotesi di originaria inesistenza della procura [C. I 4.3.2021, n. 5985, GCM 2021]. Il procedimento volto alla dichiarazione del fallimento in estensione richiede l’assistenza tecnica per il curatore che propone l’istanza ex art. 147, c. 4, l. fall., trattandosi di giudizio camerale a carattere contenzioso cui risulta applicabile l’art. 82, c. 3, c.p.c. [C. I 4.3.2021, n. 5985, GD 2021].

    5 In tema di estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 l. fall., qualora, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, si accerti l’esistenza di altro socio illimitatamente responsabile (ovvero, dopo la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale, risulti l’esistenza di una società di fatto tra lo stesso imprenditore ed altro od altri soci), la successiva dichiarazione di fallimento ha natura costitutiva ed effetto ex nunc, in virtù del carattere autonomo che (pur in seno al simultaneus processus) va ad essa riconosciuta [C. I 24.2.2016, n. 3621; C. I 13.5.2008, n. 13421, Fall 2008, 1470]. Quando, dopo la dichiarazione di fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, risulti l’esistenza di altro socio illimitatamente responsabile, la successiva dichiarazione di fallimento di quest’ultimo ha effetto ex nunc; pertanto, per la revocabilità di atti compiuti da detto socio, l’anno anteriore al fallimento va computato con riferimento alla data del fallimento del socio stesso [C. s.u. 7.6.2002, n. 8257, I 2003, 1223]. La dichiarazione di fallimento in estensione del socio occulto illimitatamente responsabile di una società in accomandita semplice ha effetto “ex nunc”, in ragione del carattere autonomo che ad essa va riconosciuto, e non è preclusa dal giudicato endofallimentare formatosi sul decreto che, in epoca anteriore alla scoperta di tale sua qualità, ha ammesso al passivo sociale il credito da lui vantato nei confronti della medesima società [C. I 23.12.2016, n. 26944, GCM 2017]. I fallimenti della società e dei soci illimitatamente responsabili, nonostante l’unicità della sentenza dichiarativa e degli organi della curatela e del giudice delegato, costituiscono procedure autonome, poiché si riferiscono a centri diversi di imputazione giuridica degli effetti di tale sentenza, stabilendo gli artt. 147 e 148 l. fall., la distinzione tra i patrimoni della società e dei soci, nonché delle situazioni attive e passive riferibili alla prima ed ai secondi [C. I 13.9.2017, n. 21212]; pertanto, il curatore è legittimato a stare in giudizio quale organo del fallimento sociale o di ciascuno dei soci, a seconda della riferibilità della controversia all’uno o agli altri e, qualora subentri in un’azione revocatoria avente ad oggetto un atto compiuto dalla società ed agisca in qualità di organo del fallimento sociale ma altresì dei soci, deve attuare, ove processualmente tenuto, il contraddittorio con esplicito riferimento al fallimento di entrambi [C. I 13.12.2007, n. 26177, Fall 2008, 465]. La legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria di atti di disposizione patrimoniale compiuti a titolo personale dal socio illimitatamente responsabile compete anche al curatore della società, poiché l’effetto recuperatorio utilmente perseguito va a vantaggio dell’intero ceto creditorio e non dei soli creditori personali [C. III 7.2.2022, n. 3771, GCM 2022; C. I 3.7.2007, n. 15677, Fall 2007, 15480]. Il curatore del fallimento della società di persone è legittimato ad esperire l’azione revocatoria contro gli atti di disposizione del socio illimitatamente responsabile fallito, atteso che, nonostante la massa del fallimento della società sia distinta da quella del socio, l’accrescimento del patrimonio di quest’ultimo in conseguenza dell’accoglimento dell’azione produce risultati positivi anche a favore dei creditori della società, il cui credito si intende dichiarato per intero nel fallimento del socio ed è, pertanto, indifferente che il curatore promuova l’azione spendendo il nome del solo fallimento sociale o, viceversa, del solo fallimento del socio, posto che, in un caso o nell’altro, il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse [C. VI 21.10.2021, n. 29284, GCM 2021]. In ipotesi di fallimento di una società di persone e dei soci illimitatamente responsabili (ai sensi dell’art. 147 l. fall.), il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro atti del socio, in quanto la distinzione tra i due fallimenti è unicamente finalizzata a limitare il concorso dei creditori particolari del socio al solo fallimento del proprio debitore, senza alcuna possibilità di partecipazione al fallimento sociale, mentre il credito dichiarato dai creditori sociali nel fallimento della società si intende dichiarato per l’intero anche in quello del socio, che ha natura derivativa e prescinde dall’insolvenza di questi, sicché, tra l’altro, l’accrescimento del patrimonio del socio, in conseguenza dell’accoglimento di azioni revocatorie, produce risultati positivi agli effetti del soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società [C. I 25.1.2013, n. 1778; C. VI 21.1.2016, n. 1103, GCM 2016]. In tema di effetti del fallimento, non è revocabile la vendita di una quota di comproprietà immobiliare al coniuge, da parte del socio illimitatamente responsabile, al quale sia poi esteso il fallimento dichiarato a carico della società in nome collettivo, ai sensi dell’ art. 147 l. fall., in quanto tale estensione non si fonda sulla qualità di imprenditore commerciale di detto socio; né tale limitazione dell’applicabilità dell’art. 69 cit. può ritenersi irragionevole perché, mentre il coniuge dell’imprenditore, conoscendone lo stato d’insolvenza, non ne può ignorare la fallibilità, nel caso di dichiarazione di fallimento in estensione al socio illimitatamente responsabile non può presumersi la conoscenza da parte del coniuge dell’insolvenza della società [C. App. Ancona 9.7.2019, n. 1149, DeJure 2019].

    6 È da escludere l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra la procedura fallimentare relativa ed un imprenditore individuale ed altra procedura fallimentare relativa ad un distinto soggetto e promossa nel presupposto dell’esistenza di una società di fatto fra i due; ne consegue che l’impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento va notificata solo al curatore e ai creditori che hanno chiesto il fallimento, non anche al fallimento del soggetto che è stato ritenuto socio di fatto [C. I 25.5.2021, n. 14365; C. I 9.1.1998, n. 122, FI 1998, I, 413]. Nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi alla estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l’eventuale estraneità alla compagine sociale. La sentenza dichiarativa di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili va notificata dal cancelliere alla società e ai soli soci dichiarati falliti secondo la decisione assunta nella pronuncia stessa, non potendo la nozione di debitore, nella lettura corrente degli artt. 17 e 18 l. fall. includere altri soci illimitatamente responsabili, i quali, sebbene destinatari delle istanze di fallimento nel corso dello stesso procedimento, non siano stati dichiarati falliti all’esito, per essi pertanto decorrendo il termine d’impugnazione della sentenza, quali interessati, dalla iscrizione della stessa nel registro delle imprese [C. I 14.6.2021, n. 16777, GD 2021]. Invero, il principio generale, secondo cui l’accertamento di un rapporto sociale deve essere necessariamente effettuato in contraddittorio di tutti i presunti e reali componenti della società, non trova applicazione nell’ipotesi particolare di opposizione ad una sentenza dichiarativa di fallimento di una società di persone e dei soci in proprio da parte di un socio illimitatamente responsabile che, per sottrarsi all’estensione del fallimento nei propri confronti, neghi il rapporto sociale. Ciò in quanto l’accertamento relativo all’esistenza di detto rapporto è strumentale rispetto alla decisione sull’opposizione avverso la dichiarazione di fallimento che costituisce il vero oggetto del giudizio e che è retta dalla disposizione dell’art. 18 l. fall. Tale principio, affermato in riferimento al giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento è estensibile, per analogia di ratio, anche al giudizio volto, in prima istanza, alla declaratoria di fallimento di una società di fatto, allo stesso modo, pertanto, di quanto già affermato, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte, in materia di dichiarazione del fallimento sociale ex art. 147 l. fall., in estensione ai soci illimitatamente responsabili [C. I 25.5.2021, n. 14365; C. I 9.1.1998, n. 122, FI 1998, I, 413]. Per effetto delle sentenze della C. Cost. n. 142/1970 e n. 127/1975, va riconosciuta la qualità di parte istante ai falliti ed ai creditori che abbiano assunto la iniziativa nel procedimento di estensione del fallimento di cui all’art. 147 l. fall. e nel processo di opposizione a tale estensione [C. 19.11.1981, n. 6151, cit.].

    7 Nel procedimento di impugnazione della dichiarazione di fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili, legittimati passivi sono solo il curatore e i creditori istanti, ai sensi dell’art. 18 l. fall.; non è litisconsorte il socio illimitatamente responsabile, sia perché egli non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, sia perché egli può opporsi alla estensione del fallimento nei propri confronti, facendo valere la eventuale estraneità alla compagine sociale, sia, infine, perché è in grado di fruire della eventuale revoca della dichiarazione di fallimento, che priverebbe di effetti tale pronuncia esclusiva, siccome dipendente ed accessoria, in applicazione del principio generale di cui all’art. 336 c.p.c. [C. VI 25.11.2015, n. 24112, D&G 2015; C. I 10.7.2013, n. 17098; C. I 12.10.2004, n. 20166, I, 2005, 118; C. I 9.1.1998, n. 122, cit.; C. 9.11.1988, n. 6023, Fall 1989, 366]. Nel procedimento di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, dichiarato fallito ai sensi dell’art. 147 l. fall., questi non è legittimato a contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, in relazione al quale la sentenza dichiarativa di fallimento fa stato erga omnes, e quindi anche nei confronti dei soci, attuali e precedenti se fallibili; la sua opposizione può avere, dunque, ad oggetto solo le condizioni che attengono alla sussistenza del vincolo sociale, e, quindi, alla sua personale fallibilità [C. App. Salerno 6.9.2022, n. 1127, DeJure 2022; C. App. Torino 2.3.2021, n. 233, DeJure 2021]. Gli originari creditori istanti per il fallimento di una società di persone o di un imprenditore individuale assumono la posizione di litisconsorti necessari nel giudizio di reclamo proposto dal socio illimitatamente responsabile, attinto dalla dichiarazione di fallimento in estensione ai sensi dell’art. 147, c. 4 e 5, l. fall. (In applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del socio dichiarato fallito in estensione contro la pronuncia di estinzione del reclamo ex art 18 l. fall. per mancata integrazione del contraddittorio, nel termine assegnato dal giudice, nei confronti di uno dei creditori che avevano richiesto il fallimento della società di persone) [C. VI 21.10.2021, n. 29288, GCM 2021; C. I 4.1.2017, n. 97; C. I 8.5.2013, n. 10731, cit.; C. I 3.6.2010, n. 13468; C. I 20.5.2005, n. 10693, Fall 2006, 215; C. I 10.7.2001, n. 9359].

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