[1] Dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione si applicano gli articoli 142, 144, 145, 146 e 147 e se l’impresa è una persona giuridica, cessano le funzioni delle assemblee e degli organi di amministrazione e di controllo, salvo il caso previsto dall’articolo 314.
[2] Nelle controversie anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale, sta in giudizio il commissario liquidatore.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. Gli effetti dell’apertura della l.c.a. - II. Gli effetti nei confronti del debitore.
I. Gli effetti dell’apertura della l.c.a.
I.Gli effetti dell’apertura della l.c.a.1 La sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza non è immediatamente efficace, posto che i suoi effetti (o meglio, la maggior parte dei suoi effetti) decorrono dalla data del decreto di ammissione alla l.c.a. Poiché i creditori possono sollecitare l’apertura della liquidazione solo indirettamente tramite l’accertamento dello stato d’insolvenza, nel caso in cui l’Autorità amministrativa non adempia all’obbligo di apertura della procedura liquidatoria, i creditori possono ricorrere al giudizio di ottemperanza avanti al giudice amministrativo.
II. Gli effetti nei confronti del debitore
II.Gli effetti nei confronti del debitore1 L’apertura della liquidazione genera una pluralità di effetti, analogamente a quanto accade con l’apertura della liquidazione giudiziale. Con il decreto che dispone la liquidazione, l’imprenditore viene spossessato secondo le regole di cui agli artt. 142 ss. CCII; lo spossessamento prescinde, quindi, dall’accertamento dello stato d’insolvenza. In virtù di espresso rinvio, trovano applicazione alla l.c.a. l’inefficacia degli atti successivi all’apertura della procedura (art. 144 CCII), l’inopponibilità degli atti rispetto ai terzi (art. 145 CCII), l’individuazione dei beni non ricompresi nella massa passiva (art. 146 CCII) ed il regime alimentare (art. 147 CCII).
2 Allo spossessamento sostanziale corrisponde anche quello processuale perché il commissario liquidatore sta in giudizio in luogo dell’imprenditore per tutto ciò che attiene ai rapporti compresi nella liquidazione (art. 303 CCII). Pur in assenza di un rinvio all’art. 143 CCII, v’è da ritenere che, quanto meno in via interpretativa, anche la liquidazione coatta amministrativa costituisca causa di interruzione dei processi civili, operante d’ufficio.
3 Quando l’autorità governativa dispone la liquidazione di una società o di una persona giuridica, le funzioni dell’assemblea cessano a norma dell’art. 303 CCII, con l’eccezione dell’ipotesi della proposizione della domanda di concordato che spetta all’organo amministrativo salva diversa previsione nell’atto costitutivo o nello statuto. Poiché l’esito obbligato (salva la soluzione concordataria) della procedura di l.c.a. è la dissoluzione dell’ente, non ha alcun senso che permangano in vita le competenze degli organi societari posto che in nessun caso le deliberazioni potrebbero acquisire efficacia, visto il destino segnato dell’impresa. Deve ritenersi che l’art. 303 CCII vada interpretato nel senso che la cessazione delle funzioni non sia assoluta, ma limitata a quelle operazioni incompatibili con la liquidazione e che non siano prodromiche ad una domanda di concordato.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. Gli effetti della liquidazione coatta amministrativa - II. (Segue) A) gli effetti sulla capacità processuale .
I. Gli effetti della liquidazione coatta amministrativa
I.Gli effetti della liquidazione coatta amministrativa1 È inammissibile la q.l.c. dell’art. 200, c. 1, r.d. 16.3.1942, n. 267, in combinato disposto con gli art. 42 e 44 dello stesso decreto, impugnato, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui prevede che, per i terzi in buona fede, gli effetti della liquidazione coatta amministrativa si producano dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione, anziché dalla data di pubblicazione nella G.U. o di iscrizione nel registro delle imprese del medesimo provvedimento. La questione risulta ancipite, cioè proposta in termini di alternatività irrisolta, poiché il rimettente ha chiesto di rimuovere la denunciata illegittimità della disposizione censurata attraverso due distinte modalità di intervento sul testo normativo senza optare per l’una ovvero per l’altra, ponendole entrambe sullo stesso piano e indicandole come alternative tra loro; il regime di pubblicità del provvedimento che ordina la liquidazione coatta consente di ipotizzare, in ordine alla decorrenza dei suoi effetti rispetto ai terzi, diverse soluzioni, tutte praticabili perché non costituzionalmente obbligate, sicché il richiesto intervento manipolativo appare creativo ed eccedente i poteri del giudice costituzionale, implicando scelte affidate alle valutazioni del legislatore; il silenzio dell’ordinanza di rimessione su taluni aspetti problematici - riguardanti il campo di applicazione dell’evocato “tertium comparationis” e il corretto inquadramento dell’oggetto del giudizio a quo - si riverbera in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione [C. Cost. 31.10.2014, n. 248, GCost 2014]. L’art. 200, r.d. 16.3.1942, n. 267 (che disciplina gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa dell’impresa) fa esplicito riferimento alla data del provvedimento che ordina la liquidazione e non alla data di pubblicazione dell’avvio della procedura concorsuale nella G.U. La compatibilità di detta interpretazione con i principi costituzionali è stata affermata dal giudice delle leggi nella pronuncia n. 337/98 [TAR Brescia 20.5.2015, n. 736, FAmm 2015]. Non vi è alcun dubbio circa la legittimità dell’art. 200 l. fall., nella parte in cui non prevede che, nel procedimento di liquidazione coatta amministrativa, il momento in cui vengono a prodursi gli effetti sostanziali verso i terzi sia da individuarsi con la pubblicazione del decreto stesso in gazzetta ufficialo. Il decreto di liquidazione è un atto giuridico e pertanto viene ad esistenza con la sola esteriorizzazione che si realizza secondo la disciplina propria dell’atto amministrativo [T. Treviso 19.1.2015, Ilfallimentarista.it 2015]. Il termine annuale previsto dall’art. 67 l. fall. per la revoca dei pagamenti compiuti dall’imprenditore, decorre dalla data dell’emanazione dell’atto amministrativo che dispone la liquidazione coatta amministrativa e non dalla data della sua pubblicazione in quanto è alla prima data che fanno riferimento gli artt. 200 e 201 l. fall. sugli effetti del provvedimento per l’impresa e per i rapporti preesistenti, nonché dall’art. 203 il quale prevede l’applicabilità delle disposizioni degli artt. 64-71 con effetto dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa [C. I 18.2.2008, n. 3927; C. I 10.7.1999, n. 7275, Fall 2000, 835; C. 3.9.1973, n. 2399; T. Firenze 10.3.2015, n. 785, DeJure]. In tema di liquidazione coatta amministrativa, l’art. 203 l. fall. identifica il periodo sospetto per la proposizione dell’azione revocatoria ma non detta il regime dell’esercizio di tale azione, con riguardo al termine di prescrizione - ora di decadenza, alla stregua di quanto sancito dall’art. 69-bis l. fall., introdotto dall’art. 55, d.lgs. 9.1.2006, n. 5, inapplicabile alla specie ratione temporis - e alla sua decorrenza. Ne consegue che il menzionato termine, secondo la disciplina anteriore alla riforma, va desunto dall’art. 2903 c.c., e, poiché per l’esercizio dell’azione in parola sono indispensabili la nomina del liquidatore e la dichiarazione giudiziale di insolvenza, per la identificazione del “dies a quo” occorre far riferimento ai due eventi congiunti dell’accertamento giudiziale predetto e del provvedimento che ordina la liquidazione [C. I 11.1.2013, n. 605; C. I 18.7.2007, n. 15960; C. App. Venezia 13.7.2017, n. 1505, DeJure].
2 Nella liquidazione coatta amministrativa della società, procedimento finalizzato alla soppressione dell’ente, trova applicazione l’art. 200 l. fall., per cui, dalla data del provvedimento che ordina la liquidazione, “cessano le funzioni delle assemblee e degli organi di amministrazione e di controllo” [C. I 14.1.2015, n. 494; C. I 27.9.2012, n. 16494, Fall 2013, 899; C. I 4.12.1992, n. 12928, FI 1993, I, 1118].
3 È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 195 e 202 l. fall., che consentono la dichiarazione dello stato di insolvenza di impresa già soggetta a liquidazione coatta amministrativa, per contrasto con l’art. 2 Cost., perché l’operatività degli organi della procedura di liquidazione coatta amministrativa anteriormente all’accertamento dell’insolvenza non costituisce lesione del diritto di essere giudicato per le proprie azioni, considerato che l’anzidetto accertamento deve essere riferito alla data del decreto di messa in liquidazione, con la conseguenza che esso è estraneo all’attività di gestione degli amministratori [C. I 11.10.1997, n. 9881, GC 1998, I, 57]. Nella liquidazione coatta amministrativa di società, l’art. 200 l. fall., il quale prevede la cessazione delle funzioni dell’assemblea e degli organi di amministrazione e controllo, non osta a che il legale rappresentante della società medesima, secondo lo statuto, resti legittimato all’esercizio del diritto di difesa, al fine di opporsi alla dichiarazione d’insolvenza della rappresentata e, quindi, sia il soggetto nei cui confronti deve essere osservato l’obbligo di convocazione nella fase camerale che precede detta dichiarazione [C. 10.5.1984, n. 2859, DF 1984, II, 731].
4 L’art. 200 l. fall., laddove estende alla liquidazione coatta amministrativa gli effetti previsti dall’art. 45 l. fall. con decorrenza dalla data del provvedimento amministrativo che la dispone, e non da quella della sua pubblicazione sulla G.U., non discrimina tra soggetti coinvolti nella procedura concorsuale e nel fallimento, atteso che il terzo può assumere, presso la competente amministrazione, ex artt. 22 e 25, l. 7.8.1990, n. 241, eventualmente anche in via di accesso informale ai sensi dell’art. 3, d.p.r. 27.6.1992, n. 352, le opportune informazioni circa l’esistenza ed il contenuto di un eventuale decreto di liquidazione dell’impresa, tanto più che, ove quest’ultimo sia successivo alla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, i terzi coinvolti nella procedura concorsuale possono avere una preventiva conoscenza della suddetta declaratoria [C. I 30.7.2014, n. 17290, GCM 2014; T. Roma 13.4.2017, n. 7417, DeJure 2017]. Gli atti compiuti dal debitore sono opponibili alla procedura di liquidazione coatta amministrativa se le formalità necessarie per la loro opponibilità ai terzi sono state compiute in data anteriore al decreto che ne dispone l’apertura, per cui è inefficace, ai sensi degli artt. 45 e 200 l. fall., la vendita immobiliare trascritta nello stesso giorno in cui è stato emesso tale provvedimento [C. I 12.3.2014, n. 5721, GCM 2014].
II. (Segue) A) gli effetti sulla capacità processuale
II.(Segue) A) gli effetti sulla capacità processuale1 La messa in liquidazione coatta amministrativa di una società configura l’evento della perdita della capacità di stare in giudizio, ai sensi dell’art. 299 c.p.c., atteso che, a norma dell’art. 200 l. fall., detto stato comporta (fra l’altro) la cessazione delle funzioni dell’assemblea e degli organi amministrativi e di controllo della società medesima e, comunque, l’attribuzione al commissario liquidatore - e non più, quindi, alla persona fisica che la rappresentava fin quando era in bonis - della capacità di stare in giudizio nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale [C. s.l. 4.5.2010, n. 10714; C. V 10.2.2004, n. 2527, I, 2004, 677; C. II 18.8.1989, n. 985, Fall 1989, 710; T. Milano 24.3.2021, n. 2474, DeJure; C. App. L’Aquila 3.11.2020, n. 1483, DeJure]. Al pari che nel fallimento, anche nella liquidazione coatta amministrativa, ancorché l’art. 200 l. fall. non richiami espressamente l’art. 43, la perdita di capacità processuale non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al commissario liquidatore - spetta di eccepirla, tranne che le controversie che hanno per oggetto quei beni o rapporti acquisiti alla massa dei quali gli organi della liquidazione abbiano mostrato di volersi interessare [C. III 1.3.1995, n. 2306, Fall 1995, 1113; C. I 7.3.1990, n. 1809, ivi 1990, 701; C. 27.2.1974, n. 562, FI 1974, I, 3089]. A seguito dell’apertura della liquidazione coatta amministrativa - ed analogamente a quanto accade nel fallimento - sussiste, in riferimento ai rapporti patrimoniali in essa compresi, una legittimazione processuale suppletiva dei soggetti sottoposti all’anzidetta procedura, e ciò in deroga alla legittimazione esclusiva spettante di regola agli organi di quest’ultima, ma soltanto nel caso di inattività e disinteresse di detti organi; là dove, invece, gli organi della procedura si siano al riguardo attivati, detta legittimazione non sussiste e la relativa carenza può essere rilevata d’ufficio [C. s.u. 24.12.2009, n. 27346, GI 2010, 108; C. App. Ancona 29.4.2021, n. 495, DeJure; C. App. Firenze 2.11.2018, n. 2538, DeJure].
2 La messa in liquidazione coatta amministrativa di una impresa non determina la nascita di un soggetto nuovo e diverso dall’impresa stessa, bensì solo un fenomeno di attribuzione agli organi della gestione liquidatoria e segnatamente al commissario liquidatore (o al collegio dei commissari) del potere di compiere gli atti di amministrazione e disposizione del patrimonio, nonché della legittimazione processuale a rappresentare l’impresa nei correlati giudizi pendenti ed in quelli nuovi iniziati secondo le regole della gestione liquidatoria (art. 200 l. fall.). Entro tali limiti si può parlare di una sostituzione degli organi della gestione liquidatoria a quelli della gestione normale ed in questo senso va intesa la cessazione delle funzioni di questi ultimi, espressamente disposta, nel caso di impresa sociale, dall’art. 200, c. 1, l. fall. Questi organi, peraltro, non cessano di esistere, ma vengono posti, relativamente alle funzioni assegnate agli organi della gestione liquidatoria, in una posizione di sospensione della possibilità di esercizio. Ne consegue che, nonostante l’art. 200 cit. non richiami l’art. 43 l. fall. e ne riproduca parzialmente il contenuto nel suo comma 2, sussiste la possibilità che gli organi della gestione ordinaria, in persona dei loro titolari, possano intervenire nei giudizi instaurati dal commissario per tutelare la posizione degli stessi in vista di eventuali responsabilità penali [C. III 3.10.2005, n. 19293, Fall 2006, 724; C. III 26.7.2012, n. 13190; C. App. Roma 26.9.2022, n. 3301, DeJure]. La cessazione delle funzioni dell’assemblea e degli organi amministrativi e di controllo della società messa in liquidazione coatta amministrativa, sancita dall’art. 200, c. 1, l. fall., consiste, in realtà, in una sospensione temporanea (per la durata della procedura concorsuale) degli organi sociali limitata al compimento dei soli atti di disposizione patrimoniale, sicché, dopo la cessazione della procedura, gli organi sociali originari tornano in funzione, nella pienezza dei loro poteri, senza soluzione di continuità [C. I 1.8.2014, n. 17525, GCM 2014].
3 La perdita della capacità di stare in giudizio a seguito dell’apertura della liquidazione non produce effetti interruttivi, qualora si sia verificata dopo la chiusura della discussione della causa [C. 16.1.1979, n. 314, BBTC 1979, II, 342]. La messa in liquidazione coatta amministrativa di una società, al pari del suo fallimento, non determina l’interruzione del giudizio di cassazione, che è governato dall’impulso d’ufficio: ne consegue che, per accertare la sussistenza della legittimazione all’impugnazione, occorre fa riferimento unicamente al momento dell’inizio della pendenza del procedimento di cassazione, senza che possa attribuirsi alcuna incidenza effettuale a fatti intervenuti successivamente a tale momento [C. 22.11.1979, n. 6083]. Le formalità per rendere opponibili al commissario della liquidazione coatta amministrativa le cessioni di credito non si esauriscono nella notificazione dell’atto di cessione a mezzo di ufficiale giudiziario, ma possono concretizzarsi nella spedizione di plico raccomandato o nella prova dell’accettazione da parte del debitore, o dell’avvenuto pagamento purché sia garantita la certezza della data anteriore all’apertura della procedura concorsuale [C. I 12.3.1998, n. 4774, FI 1998, I, 2114]. La cessazione dello stato di liquidazione coatta amministrativa di una impresa assicuratrice, in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale del d.m. di messa in liquidazione, determina il venir meno, con effetto ex nunc della capacità processuale del commissario liquidatore, con la conseguenza che i giudizi in cui questi sia parte devono essere dichiarati interrotti [C. III 26.6.2012, n. 13190, Fall 2013, 765]. La declaratoria giudiziale di inesistenza del decreto di apertura della liquidazione coatta amministrativa determina la cessazione, con decorrenza dal passaggio in giudicato, dei poteri rappresentativi e gestionali spettanti al commissario liquidatore, sicché la caducazione della legittimazione di quest’ultimo non provoca l’invalidità sopravvenuta del titolo esecutivo o degli atti del processo esecutivo già compiuti [C. I 1.8.2014, n. 17529, GCM 2014]. Ai sensi dell’art. 199 c.p.c., la messa in liquidazione coatta amministrativa di una società determina la perdita della sua capacità di stare in giudizio atteso che, a norma dell’art. 200, r.d. 16.3.1942, n. 267, detto stato comporta, tra l’altro, la cessazione delle funzioni dell’assemblea e degli organi amministrativi e di controllo della società medesima e, comunque, l’attribuzione al commissario liquidatore, e non più, quindi, alla persona fisica che la rappresentava fin quando era in bonis, della capacità di stare in giudizio nelle controversie anche in corso; conseguentemente, ai sensi degli artt. 299 e 300, c. 2, c.p.c., cui rinvia l’art. 79, c. 2, c.p.a., la perdita della capacità della parte dichiarata in udienza dal suo procuratore (o da essa notificata alle altre parti), comporta l’interruzione del processo, salvo che coloro ai quali spetta di proseguirlo, si costituiscano volontariamente, ovvero l’altra parte provveda a citarli in riassunzione [CdS V 24.3.2014, n. 1437, FAmm 2014].