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Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - Formulario commentato

323. Bancarotta semplice

[1] È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente:

a) ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica;

b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti;

c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale;

d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;

e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale.

[2] La stessa pena si applica all’imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.

[3] Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l’inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.

A) Inquadramento funzionale:

A)Inquadramento funzionale:

I. La bancarotta semplice patrimoniale - II. La bancarotta semplice documentale.

1. La bancarotta semplice patrimoniale

1.La bancarotta semplice patrimoniale

1 Anche per il meno grave reato di bancarotta semplice, il legislatore ha tenuto ferma la distinzione, già posta all’art. 216 per la bancarotta fraudolenta, tra condotte che incidono direttamente sul patrimonio dell’imprenditore e condotte che attengono alla documentazione dell’attività di impresa. Il reato di bancarotta semplice patrimoniale è sanzionato nelle sue diverse manifestazioni tipizzate, dalle lett. a) ad e) del comma 1 dell’art. 323:

- eccessive spese personali o per la famiglia: la sanzione penale colpisce la dissipazione del patrimonio per il soddisfacimento di fini personali del fallito o del suo nucleo familiare, estranei pertanto all’interesse dell’impresa; trattandosi di concetto relativo, l’eccessività o meno delle spese va individuata con riferimento alla capacità reddituale dell’imprenditore all’epoca della loro effettuazione e si differenzia dalla dissipazione punita a titolo di bancarotta fraudolenta (art. 216, lett. a, CCII) esclusivamente in relazione all’elemento psicologico caratterizzato per l’ipotesi semplice dalla mera imprudenza;

- sperperi in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti: la condotta acquisisce rilievo penale nel caso in cui ne derivi un’effettiva e rilevante consumazione del patrimonio; rientrano nella previsione tutte le operazioni il cui esito dipenda interamente dal caso, come giochi o scommesse, o la cui rischiosità, come nelle operazioni di borsa, risulti sproporzionata rispetto alle capacità patrimoniali dell’imprenditore;

- operazioni di grave imprudenza per ritardare la liquidazione giudiziale: la lett. c) dell’art. 323, conferisce rilievo penale a quegli espedienti cui l’imprenditore fa ricorso nell’emergenza del dissesto confidando in una sua reversibilità, quali ad esempio le vendite di magazzino sotto costo od anche a solo prezzo di costo, l’ottenimento di prestiti a tassi usurari, il differimento degli adempimenti previdenziali e tributari e gli altri palliativi diffusi nella realtà delle imprese in stato di decozione; operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico, le quali, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo di ritardare la liquidazione giudiziale;

- colpevole aggravamento del dissesto: la fattispecie, affine alla precedente, presuppone la oggettiva preesistenza di un effettivo stato di dissesto la cui entità economica dovrà risultare aggravata, in nesso di causalità, per effetto di una delle due distinte condotte di mancata richiesta della liquidazione giudiziale in proprio o di altra grave colpa prese in considerazione dalla norma; difettando tale presupposto, le condotte rientreranno nelle ipotesi di cui ai nn. 2 o 3 dell’art. 323; la differenza tra le due ipotesi di bancarotta semplice previste all’art. 323, c. 1, nn. 2 e 3, risiede nel fatto che la prima fattispecie riguarda operazioni «in genere», aventi ad oggetto il patrimonio dell’imprenditore, consumato, in notevole parte, in operazioni aleatorie od economicamente scriteriate, il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita proprio dal patrimonio del debitore, ai sensi dell’art. 2740 c.c.; la seconda ipotesi riguarda, invece, operazioni finalisticamente orientate a ritardare la liquidazione giudiziale, ma ad un tempo caratterizzate da grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell’ordinaria «imprudenza», che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell’imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative «coraggiose», da extrema ratio, ma ragionevolmente dotate di probabilità di successo, al fine di scongiurare la liquidazione giudiziale; inoltre, mentre la seconda ipotesi, per via dell’anzidetta finalizzazione che la connota, ha certamente carattere doloso, la prima è, invece, punibile a titolo di colpa;

- inadempimento di precedente concordato giudiziale: la previsione, che risente del retaggio di tradizioni storiche intese alla punizione dell’insolvenza in sé considerata, si riferisce al totale o parziale inadempimento del solo concordato preventivo o fallimentare (cui l’imprenditore sia stato ammesso con riferimento, si ritiene, ad altro stato di insolvenza diverso da quello in cui la condotta viene rilevata).

Le condotte punibili ai sensi dell’art. 323 vanno ora riviste alla luce delle esimenti di cui all’art. 217-bis al cui commento si rinvia.

II. La bancarotta semplice documentale

II.La bancarotta semplice documentale

1 L’ipotesi di bancarotta semplice documentale è disciplinata dal comma 2 dell’art. 323 che punisce l’omessa o irregolare tenuta della documentazione contabile nei tre anni precedenti la dichiarazione di liquidazione giudiziale o a partire dall’inizio dell’attività se di minor durata. La condotta ha per oggetto i soli libri obbligatori di cui all’art. 2214 c.c. e non anche quelli facoltativi che assumono invece rilievo nella corrispondente figura di bancarotta fraudolenta (cfr. commento sub art. 322) ed assorbe in sé la violazione dell’obbligo di deposito sanzionata dall’art. 327 CCII al cui commento si rinvia. Il delitto di bancarotta semplice non è escluso nel caso in cui il fallito abbia tenuto, in luogo delle scritture e dei libri contabili che obbligatoriamente debbono essere tenuti, altre scritture, pur se idonee a consentire la ricostruzione del patrimonio o della situazione debitoria. Pur essendo un reato di pericolo presunto, deve pur sempre valutarsi l’idoneità della condotta incriminata, anche omissiva, ad incidere in concreto sull’interesse protetto dalla norma penale; il che si verifica solo quando essa risulti effettivamente idonea ad ostacolare la ricostruzione della vita economica e patrimoniale dell’impresa.

2 La natura di reato di pericolo presunto, riconosciuta alla fattispecie, implica la punibilità per il solo fatto formale dell’omissione o della irregolarità dei libri contabili, a nulla rilevando la possibilità di ricostruire aliunde la consistenza del patrimonio e il movimento degli affari, ed anche nel caso di regolare tenuta della sola documentazione prescritta ai fini fiscali, non essendo questa sostitutiva dei libri obbligatori previsti dall’art. 2214 c.c.

3 Deve ritenersi possibile il concorso c.d. esterno tra la bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice, che costituiscono due fattispecie di reato fra loro completamente autonome, con conseguente ammissibilità della continuazione tra le due figure delittuose.

4 Ove la tenuta della contabilità sia stata delegata a terzi, l’imprenditore risponderà comunque, per culpa in eligendo o in vigilando, delle omissioni o delle irregolarità con la conseguente corresponsabilità del delegato quale extraneus concorrente nel reato.

5 Per ciò che concerne l’elemento psicologico nelle diverse ipotesi di bancarotta formulate dall’art. 323, la testuale distinzione operata dal legislatore tra fattispecie «fraudolenta» e «semplice» (e non tra «dolosa» e «colposa») induce a ritenere che la punibilità a titolo di bancarotta semplice, patrimoniale o documentale, presupponga una condotta caratterizzata quantomeno da colpa, non potendosi peraltro escludere nei fatti la dolosa volontarietà di talune azioni sanzionate dalla norma. Quanto alla pena accessoria prevista anche per il reato di bancarotta semplice, si rinvia al commento all’art. 322.

B) Giurisprudenza:

B)Giurisprudenza:

I. La bancarotta semplice patrimoniale - II. La bancarotta semplice documentale.

I. La bancarotta semplice patrimoniale

I.La bancarotta semplice patrimoniale

1 Le spese eccessive personali o per la famiglia compiute da un amministratore di una società di capitali possono integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e non quello di bancarotta semplice, in quanto la fattispecie di cui all’art. 323, c. 1, n. 1, l. fall. è da ritenersi applicabile al solo imprenditore individuale [C. pen. V 30.10.2019, n. 51242, CED Cass. pen. 2020].

2 Il reato di bancarotta fraudolenta per dissipazione si differenzia da quello di bancarotta semplice di cui all’art. 323, n. 2, l. fall., perché mentre nel primo caso si richiede un cosciente e volontario atto di dispersione del patrimonio, nel secondo è sufficiente una iniziativa imprudente ed avventata [C. pen. 23.11.1981, Alecce, Fall 1982, 1181]. Non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice integrata da operazioni gravemente imprudenti poste in essere dall’imprenditore, ma quella più grave della bancarotta fraudolenta nel caso di sistematica e preordinata vendita sotto costo, o comunque in perdita, di beni aziendali. Invero, anche le operazioni manifestamente imprudenti, di cui al n. 3 dell’art. 323 l. fall., devono presentare, in astratto, un elemento di razionalità nell’ottica delle esigenze dell’impresa, cosicché il risultato negativo sia frutto di un mero e riscontrabile errore di valutazione [C. pen. V 10.6.1998, n. 2876, CP 2000, 3449]. In tema di bancarotta semplice, le operazioni di grave imprudenza sono quelle caratterizzate da alto grado di rischio, prive di serie e ragionevoli prospettive di successo economico e che, avuto riguardo alla complessiva situazione dell’impresa, oramai votata al dissesto, hanno il solo scopo, che deve essere riscontrato in sede di accertamento giudiziale del dolo, di ritardare il fallimento. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato in parte la sentenza impugnata per difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali il giudice distrettuale ha ravvisato una grave imprudenza finalizzata a ritardare il fallimento nella mancata nomina dell’organo di controllo da parte dell’imputato) [C. pen. V 26.10.2021, n. 118, CP 2022, 2325; C. pen. V 20.3.2003, n. 24231, RP 2004, 678].

3 La disposizione dettata in materia di bancarotta semplice, prevede due distinte fattispecie, unite dal medesimo evento, rappresentato dall’aggravamento del dissesto, ossia un evento a forma vincolata, la cui condotta si sostanzia per l’appunto nell’omessa richiesta del proprio fallimento, ed una a forma libera, sia pure caratterizzata dallo specifico disvalore della grave colpa, che qualifica l’elemento soggettivo anche nel caso di ritardo nella richiesta di fallimento, e non può ritenersi presunta nella mera condotta omissiva [T. Terni 30.5.2018, n. 598, DeJure 2018]. In tema di reato di bancarotta, l’art. 323, c. 1, n. 4, l. fall. (in combinato disposto con l’art. 224 l. fall.) punisce a titolo di bancarotta semplice l’amministratore che ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento. L’aggravamento del dissesto può costituire il naturale esito del prolungamento dell’attività d’impresa, per l’accumularsi dei costi ordinari di gestione; il rapporto di progressione connesso con l’aggravamento influisce sul volume del dissesto anche solo a causa del trascorrere del tempo. Affinché ricorra la fattispecie in esame occorre, dunque, che vi sia, innanzitutto, uno stato di dissesto già in atto, posto che la norma parla di aggravamento, ove per dissesto deve intendersi non tanto una condizione di generico disordine dell’attività della società, quanto una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo ed ingravescente che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire l’attività, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno [T. Vicenza 25.5.2022, n. 239, DeJure 2022]. L’aggravamento del dissesto punito dall’art. 323, c. 1, n. 4, l. fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita. L’elemento psicologico della colpa grave può essere desunto non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma in concreto, attraverso la dimostrazione di una consapevole omissione. Il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, infatti, è dato troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa grave, dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato. Nella specie, la Corte ha annullato in parte qua la sentenza di condanna, ritenendo insufficiente la motivazione con la quale l’addebito era stato desunto semplicemente dalla mera “sottocapitalizzazione” dell’azienda risalente già a epoca precedente [C. pen. V 26.10.2021, n. 118, GD 2022]. La fattispecie della mancata tempestiva richiesta di fallimento prevista dall’art. 323, n. 4, l. fall. mira ad evitare che l’esercizio dell’impresa possa prolungare lo stato di perdita e pertanto, oggetto di punizione è il semplice ritardo nell’instaurare la concorsualità, a prescindere dalla rimproverabilità di comportamenti ulteriori che siano in qualche modo concorsi nell’aggravamento del dissesto. Per la sussistenza del reato, non è richiesto che l’imprenditore abbia colpevolmente determinato tale aggravamento anche in modo diverso, essendo sufficiente che lo stesso aggravamento costituisca il naturale esito del prolungamento dell’attività dell’impresa, di per sé considerato idoneo dalla norma incriminatrice a produrre tale esito anche solo, ad esempio, attraverso l’ulteriore accumulo dei costi ordinari di gestione [C. App. Ancona 9.10.2020, n. 1248, DeJure 2020]. In tema di bancarotta semplice, l’aggravamento del dissesto punito dagli artt. 323, c. 1, n. 4 e 224 l. fall. deve consistere nel deterioramento, provocato per colpa grave o per la mancata richiesta di fallimento, della complessiva situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita, non essendo sufficiente ad integrarlo l’aumento di alcune poste passive. (Nella specie, la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l’attenzione sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione) [C. pen. V 30.5.2019, n. 27634, CED Cass. pen. 2019]. In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono del reato di cui agli artt. 323, c. 1, n. 4, e 224 l. fall., per aver omesso di attivarsi per rimediare all’inerzia dell’amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravandone il dissesto, solo quando la situazione di insolvenza sia rilevabile dagli atti posti a loro disposizione, dovendo il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, si sarebbe comunque realizzato l’aggravamento del dissesto [C. pen. V 21.9.2020, n. 28848, Ilsocietario.it 2020]. Nei reati di bancarotta il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo del controllo sindacale che non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione [C. pen. V 22.3.2016, n. 14045, CP 2016, 3846]. In tema di bancarotta semplice, la convocazione dell’assemblea dei soci, ex art. 2482-bis c.c., in presenza di una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo per perdite, rientra tra gli “obblighi imposti dalla legge” la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 224, c. 1, n. 2, l. fall., quando costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento [C. pen. V 19.12.2019, n. 11311, CP 2020, 3851].

II. La bancarotta semplice documentale

II.La bancarotta semplice documentale

1 Il delitto di bancarotta semplice documentale è reato di pericolo presunto e mira ad evitare che vi siano ostacoli all’attività di ricostruzione del patrimonio e del movimento di affari della società da parte degli organi fallimentari, con possibile pregiudizio degli interessi dei creditori. La finalità ultima della norma è, quindi, quella di consentire ai creditori l’esatta conoscenza della consistenza del patrimonio del fallito sul quale potersi soddisfare. Il reato consiste nel mero inadempimento al precetto formale dell’art. 2214 c.c. ed è quindi un reato di pura condotta, che si realizza anche quando non vi sia un danno per i creditori [T. Terni 2.5.2018, n. 482, DeJure 2018]. L’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale è rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma 2 dell’art. 2214 c.c. [C. pen. V 25.11.2016, n. 5461, CP 2017, 3766]. In tema di bancarotta semplice documentale, poiché il richiamo ai libri previsti dalla legge, di cui all’art. 323 l. fall., si riferisce agli obblighi regolati dall’art. 2214 c.c. e non alle scritture contabili previste dalle leggi fiscali, la mancata tenuta del registro dei beni ammortizzabili, che è previsto dall’art. 16, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 - e non è, pertanto, scrittura obbligatoria ai sensi dell’art. 2214, c. 1, c.c. - può integrare gli estremi della bancarotta documentale solo se tale libro può considerarsi richiesto dalla “natura e dalle dimensioni dell’impresa”, ai sensi dell’art. 2214, c. 2, c.c. [C. pen. V 13.3.2007, n. 17426, Fall 2007, 1372; C. pen. V 27.6.1997, n. 7904, CP 1998, 3417]. La possibilità consentita dall’art. 2215-bis c.c. di tenere i libri, i repertori, le scritture e la documentazione con strumenti informatici non esime l’amministratore della società dall’adempimento degli obblighi di legge, relativi alla tenuta dei libri contabili e, quindi, dall’obbligo del puntuale aggiornamento dell’esercizio corrente, della veridicità delle singole attestazioni dei libri contabili nonché della loro conservazione, preordinata alla consultazione in qualunque momento degli stessi, come previsto dal comma 2 dell’articolo citato, rimanendo integrato altrimenti il reato di cui all’art. 323, c. 2, l. fall. È dunque compito dell’amministratore prevenire l’eventuale malfunzionamento del dispositivo nel quale vengono tenuti i libri contabili predisponendo anche modalità alternative o concorrenti di conservazione (stampa cartacea, backup su autonomo supporto, ecc.) e comunque reagire tempestivamente a tale malfunzionamento provvedendo, qualora possibile, al recupero dei dati (nella specie, la corte ha confermato la decisione dei giudici del merito circa la sussistenza del reato di bancarotta semplice documentale, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo, posto che l’imputato non aveva predisposto modalità surrogatorie di conservazione dei libri contabili, né aveva provveduto al recupero dei dati contabili, possibile nel caso di specie come sottolineato nello stesso ricorso, mettendoli a disposizione degli organi fallimentari) [C. pen. V 24.10.2022, n. 45044, D&G 2022; C. pen. V 12.12.2019, n. 12724, CP 2020, 4738]. Il delitto di bancarotta semplice non è escluso nel caso in cui il fallito abbia tenuto, in luogo delle scritture e dei libri contabili che obbligatoriamente debbono essere tenuti, altre scritture, pur se idonee a consentire la ricostruzione del patrimonio o della situazione debitoria [C. pen. V 21.2.2001, n. 17049, CP 2003, 1314]. In tema di bancarotta semplice documentale, pur essendo questo un reato di pericolo presunto, deve pur sempre valutarsi l’idoneità della condotta incriminata, anche omissiva, ad incidere in concreto sull’interesse protetto dalla norma penale; il che si verifica solo quando essa risulti effettivamente idonea ad ostacolare la ricostruzione della vita economica e patrimoniale dell’impresa [C. pen. V 19.5.2011, n. 20911, Fall 2012, 475; C. pen. V 11.2.2011, n. 15516, ibidem, 355; C. pen. 2.9.2004, n. 43548, RP 2005, 3000]. Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta semplice documentale non occorre, trattandosi di reato di mera condotta e di pericolo presunto, che si sia prodotto un effettivo pregiudizio economico per i creditori [C. pen. V 28.5.2018, n. 39009, RP 2018, 889; C. pen. V 29.1.2016, n. 20695, D&G 2016]. In tema di bancarotta semplice documentale, è punito il comportamento omissivo del fallito, ovvero dell’amministratore della società fallita, il quale non abbia tenuto le scritture contabili. Si tratta di un reato di pura condotta, punibile anche a titolo di colpa, che si realizza anche laddove non si verifichi un concreto danno nei confronti dei creditori [T. Roma 25.2.2016, n. 3002, DeJure 2016]. È possibile applicare la causa di non punibilità per lieve entità del fatto al reato di bancarotta semplice documentale se il comportamento omesso dall’imputato non ha inciso sul danno ai creditori che comunque era modesto [T. Terni 30.5.2018, n. 598, DeJure 2018]. In tema di bancarotta semplice ex art. 323, c. 1, n. 4, l. fall. la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore - anche di fatto - della società è punibile se dovuta a colpa grave, la quale può essere desunta non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, bensì in concreto da una provata e consapevole omissione [C. pen. V 26.3.2019, n. 21747, RDottComm 2019; C. pen. V 15.7.2010, n. 36613, CP 2011, 4, 3137; C. pen. V 13.3.2007, n. 17426, Fall 2007, 1372]. In tema di bancarotta documentale, qualora sia assente o insufficiente l’accertamento in ordine allo scopo eventualmente propostosi dall’agente e in ordine alla oggettiva finalizzazione di tale carenza, la mera mancanza dei libri e delle scritture contabili deve essere ricondotta alla ipotesi criminosa di bancarotta semplice. Difatti, la bancarotta fraudolenta documentale, prevista dall’art. 216, c. 1, n. 2, l. fall. è un delitto doloso, mentre la bancarotta semplice è punibile indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, per cui è superflua l’indagine sulla efficacia causale dell’omessa o irregolare tenuta dei predetti documenti, che è punita di per sé stessa, indipendentemente dalle conseguenze [C. App. Palermo 30.3.2021, n. 1240, GD 2021]. L’omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta - e non quello di bancarotta semplice - qualora si accerti che scopo dell’omissione sia quello di recare pregiudizio ai creditori [C. pen. V 11.4.2012, n. 25432; C. pen. V 11.6.2009, n. 32173, Fall 2010, 495]. L’oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell’impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l’oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie [C. pen. V 22.9.2021, n. 37459, CED Cass. pen. 2021]. La bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice r.d. n. 267/1942, ex art. 323, c. 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, c. 1, n. 2 l. fall., l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore [C. pen. V 21.9.2020, n. 27566, D&G 2020; C. pen. V 2.10.2018, n. 2900, CED Cass. pen. 2019; C. App. Napoli 19.4.2021, n. 846, GD 2021]. È configurabile il reato di bancarotta semplice e non quello di bancarotta fraudolenta in capo all’amministratore della società se le omissioni nelle scritture contabili riguardano periodi limitati e potrebbero essere solo il risultato di trascuratezza e non della volontà di rendere non ricostruibile il patrimonio e il movimento di affari [C. pen. V 22.2.2019, n. 26613, GD 2019].

2 La sussistenza del reato previsto dall’art. 323 l. fall. non è esclusa dal fatto che la situazione patrimoniale dell’imprenditore fallito possa essere ricostruita tramite altri elementi o registrazioni contabili [C. pen. 17.6.1983, Gabellini, Gpen 1984, II, 285]. Il reato di bancarotta semplice documentale è configurabile anche quando l’imprenditore abbia tenuto i libri IVA e non le altre scritture prescritte dal codice civile e pur se il registro IVA abbia consentito la ricostruzione del patrimonio dell’azienda, diverse essendo le finalità della normativa fiscale rispetto a quella prevista in materia dal codice civile e dalla legge fallimentare [C. pen. V 7.11.1997, n. 11918, CP 1999, 1960]. In tema di bancarotta semplice documentale, è estraneo al fatto tipico descritto dall’art. 323, c. 2, l. fall. il requisito dell’impedimento della ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito, che costituisce, invece, l’evento della ipotesi di bancarotta fraudolenta per irregolare tenuta delle scritture contabili di cui all’art. 216, c. 1, n. 2, l. fall. [C. pen. V 9.12.2020, n. 11390, CP 2021, 2535]. In tema di bancarotta semplice ex art. 323 l. fall., salvo diverse risultanze istruttorie, la redazione del bilancio da parte dell’amministratore della società, è indice utile per poter desumere che anche le altre scritture contabili, relative al medesimo periodo di riferimento, siano state regolarmente tenute da quest’ultimo [T. S. Maria Capua 17.5.2018, n. 2175, DeJure 2019]. Sussiste il reato di bancarotta semplice documentale anche quando la mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili non si protragga per l’intero triennio precedente alla dichiarazione di fallimento. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto configurabile il reato a carico dell’amministratore della società fallita che non aveva ricoperto la carica per l’intero triennio antecedente alla sentenza di fallimento) [C. pen. V 26.4.2017, n. 37910, CED Cass. pen. 2017; C. pen. V 20.12.2011, n. 8610; C. pen. V 20.6.2008, n. 38598, Fall 2008, 1353]. La cessazione dell’attività, individuabile con la cessazione dei rapporti di lavoro dipendente), non elimina l’obbligo di tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori, fino alla dichiarazione di fallimento. La mancata consegna dei libri e delle scritture contabili obbligatorie richieste dal Curatore, fa sì che sia plausibile la costante mancata tenuta dei libri predetti, e pertanto integrata la condotta di bancarotta semplice [T. Pescara 17.2.2021, n. 46, DeJure 2021]. In tema di bancarotta semplice documentale, l’obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno solo quando la cessazione della attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute trattandosi di reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie [C. pen. V 22.1.2019, n. 20514, CED Cass. pen. 2019; C. pen. V 11.2.2011, n. 15516, Fall 2012, 355]. Commette il delitto di bancarotta semplice il socio accomandatario e legale rappresentante di una società in accomandita semplice che, venuta meno la pluralità dei soci, non ricostituita nel termine di sei mesi, non tiene le scritture contabili o le tiene in modo irregolare, in quanto, nella situazione descritta, l’organizzazione sociale rimane in vita fino a quando non siano estinti i rapporti societari di debito e di credito verso i terzi, sopravvivendo di conseguenza ogni obbligo, compreso quello di curare la tenuta dei libri e delle scritture contabili [C. pen. V 19.9.2019, n. 3221, CED Cass. pen. 2020].

3 In tema di reati fallimentari, deve ritenersi possibile il concorso cosiddetto esterno tra bancarotta fraudolenta e la bancarotta semplice, che costituiscono due fattispecie di reato fra loro completamente autonome, con conseguente ammissibilità della continuazione tra le due figure delittuose [C. pen. V 10.11.2004, n. 48282, DPS 2005, 86]. Non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza, ex art. 521 c.p.p., la condanna per bancarotta documentale semplice dell’imputato di bancarotta documentale fraudolenta, non sussistendo tra il fatto originariamente contestato e quello ritenuto in sentenza un rapporto di radicale eterogeneità o incompatibilità né un vulnus al diritto di difesa, trattandosi di reato di minore gravità [C. pen. V 3.5.2017, n. 33878, CED Cass. pen. 2018]. Il reato di inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili di cui agli artt. 16, n. 3 e 220 l. fall. concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, c. 1, n. 2, l. fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 323, c. 2, l. fall., quando la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione o mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta delle stesse in modo irregolare o incompleto ovvero tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari [C. pen. V 16.11.2020, n. 3190, CP 2021, 2182].

4 L’obbligo di tenere i libri contabili ricorre sull’imprenditore e sua è la responsabilità di fronte ai terzi; è quindi configurabile il reato di bancarotta semplice - a titolo di colpa - quando l’imprenditore stesso abbia affidato l’incarico di tenere i libri contabili ad un terzo - pur se quest’ultimo sia un serio professionista - perché egli deve periodicamente controllarne l’attività [C. pen. V 9.7.2009, n. 38598, Fall 2010, 623; C. pen. 25.11.1986, Negro, RP 1987, 1131; C. pen. 20.6.1989, Bertelli]. I reati di bancarotta semplice per omessa e irregolare tenuta della contabilità e quello di inosservanza dell’obbligo di deposito dei libri e delle scritture contabili, di cui all’art. 323 l. fall., sono previsti anche a titolo di colpa e l’imprenditore fallito ne risponde anche quando li affida a terzi, essendo obbligato a controllare l’attività dei soggetti incaricati [C. pen. V 9.11.1995, n. 11081, Fall 1996, 777]. La bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 323 l. fall., è punita indifferentemente a titolo di dolo o di colpa. La colpa va intesa come violazione del dovere di diligenza, al quale è tenuto, per gli aspetti organizzativi di natura sia tecnica che amministrativa, colui che pretende di esercitare professionalmente attività di impresa di qualsiasi tipo e natura, che deve essere svolta secondo le regole più comuni di conduzione economica; l’obbligo dell’imprenditore si concreta, oltre che nella scelta della persona incaricata, anche nella vigilanza sulla puntuale esecuzione degli adempimenti prescritti e, per quanto modesto e di scarsa cultura, l’imprenditore deve possedere quel minimo di professionalità che non gli può assolutamente fare ignorare quale sia il contenuto effettivo e sostanziale dell’obbligo circa la tenuta dei libri e delle scritture contabili [C. App. Ancona 9.9.2021, n. 1270, DeJure 2021]. La mancata tenuta di libri e scritture contabili obbligatorie, per un periodo di circa cinque anni antecedenti al fallimento integra il reato di bancarotta semplice documentale, non avendo validità scriminante la condotta negligente del soggetto incaricato di tenere la contabilità esterno alla ditta, dal momento che il predetto reato è un reato di pericolo la cui responsabilità in capo al legale rappresentante della ditta cade anche a titolo di colpa [C. App. Ancona 30.10.2020, n. 1411, DeJure 2020].

5 Ai fini dell’esclusione della recidiva, poiché il reato di bancarotta semplice non ha natura esclusivamente colposa, ma può assumere natura dolosa o colposa a seconda delle circostanze di fatto, spetta all’imputato fornire la prova del carattere colposo del reato, quanto meno mediante l’esibizione della copia integrale della sentenza di condanna [C. pen. V 19.9.2019, n. 3221; C. pen. V 4.7.2012, n. 38436; C. pen. V 6.10.2011, n. 48523; C. pen. V 25.3.2010, n. 21872, Fall 2011, 246; C. pen. V 17.12.2008, n. 1137, ivi 2009, 1353]. In tema di bancarotta semplice documentale non è necessario provare il danno per i creditori trattandosi di reato di pericolo integrato dalla omessa o irregolare tenuta dei libri e delle scritture contabili [T. Terni 2.5.2018, n. 482, DeJure 2018]. L’assenza di prove inequivocabili circa l’intenzionalità dell’omessa o irregolare tenuta delle scritture contabili, finalizzata e sorretta dalla consapevolezza che avrebbe impedito la ricostruzione del patrimonio sociale con pregiudizio per i creditori, non consente di ricavare la sussistenza del dolo specifico e conseguentemente l’impossibilità dell’integrazione del reato di bancarotta fraudolenta, residuando il reato di bancarotta semplice documentale, integrata dalla omessa, irregolare ovvero incompleta tenuta delle scritture contabili per i tre anni precedenti la dichiarazione di fallimento [T. Rovigo 12.4.2021, n. 184, DeJure 2021].

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