[1] Si applicano le pene stabilite nell’articolo 322 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
[2] Si applica alle persone suddette la pena prevista dall’articolo 322, comma 1, se:
a) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 del codice civile.
b) hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il dissesto della società.
[3] Si applica altresì in ogni caso la disposizione dell’articolo 322, comma 4.
A) Inquadramento funzionale:
A)Inquadramento funzionale:I. La bancarotta impropria ed i soggetti di reato - II. La bancarotta fraudolenta impropria .
I. La bancarotta impropria ed i soggetti di reato
I.La bancarotta impropria ed i soggetti di reato1 Il Capo II del Titolo VI della legge fallimentare sanziona i reati commessi da persone diverse dal debitore comprendendosi tra i reati stessi i fatti di bancarotta, fraudolenta o semplice, connessi al fallimento di società commerciali. In applicazione del principio, per vero in larga parte tramontato (d.lgs. n. 231/2001), secondo il quale societas delinquere non potest, corollario dell’autonoma personalità giuridica che l’ordinamento riconosce alle società commerciali, la responsabilità degli illeciti correlati all’attività sociale andrà necessariamente riferita in capo a coloro che gestiscono o controllano l’amministrazione della società. Lo status proprio di debitore, che il codice della crisi riconnette alla figura dell’imprenditore commerciale, non si estende a quanti agiscano per conto od in funzione dell’ente, sicché gli eventuali fatti di bancarotta si connoteranno per la loro commissione da parte di soggetti diversi dall’imprenditore commerciale in liquidazione giudiziale e per l’incidenza dei fatti stessi su beni propri della società e non dell’agente. Soggetti attivi del reato di bancarotta c.d. impropria sono pertanto gli amministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liquidatori di società cui è espressamente attribuita la responsabilità penale per i fatti di cui agli artt. 329 e 330 CCII nonché l’institore la cui punibilità per reati fallimentari è disciplinata dall’art. 333 CCII (cfr. il relativo commento). Il rapporto organico di rappresentanza che li vincola alla società costituisce il titolo di responsabilità degli amministratori; rispondono peraltro penalmente non solo gli amministratori legittimamente designati dall’assemblea dei soci, ma anche gli amministratori di fatto intendendosi per tali coloro che, senza alcuna formale investitura, si siano effettivamente ingeriti nella gestione societaria esercitando fattualmente funzioni corrispondenti a quelle che le norme civilistiche demandano agli amministratori di diritto e che, pertanto, risponderanno del reato a titolo proprio quali diretti destinatari della norma penale. Ora, però, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 c.c. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, «significatività» e «continuità» non comportano necessariamente l’esercizio di «tutti» i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale.
2 La responsabilità dell’amministratore di fatto non esclude comunque quella concorrente dell’amministratore di diritto la cui formale investitura è a presidio dell’affidamento dei terzi e che, in virtù della carica, ha l’obbligo di impedire le illecite condotte dell’amministratore di fatto. È da ricomprendere nella categoria degli amministratori anche l’amministratore giudiziale designato nel procedimento di cui all’art. 2409 c.c. I direttori generali, a differenza degli amministratori, sono legati alla società da un rapporto privatistico di lavoro e risponderanno delle condotte poste in essere nell’esercizio dei propri poteri di direzione dell’impresa nel suo complesso; non si estende pertanto la responsabilità penale diretta ex artt. 329 e 330 CCII al semplice direttore di ufficio o reparto, il quale risponderà eventualmente quale extraneus a titolo di concorso ove ricorra il presupposto di un suo attivo contributo alla condotta dell’agente.
3 La responsabilità penale dei sindaci concorre di norma con quella degli amministratori, giacché le condotte ascrivibili all’organo di controllo consistono per lo più nella violazione dei doveri di vigilanza che comporta, sul piano civilistico, la responsabilità solidale ex art. 2407 c.c. dei sindaci con gli amministratori. La responsabilità penale dei sindaci ricorrerà in tal caso per l’omissione dell’attività di controllo, loro imputabile a titolo di dolo sia diretto che eventuale, cui sia ricollegabile come nesso causale la commissione di una delle fattispecie di bancarotta.
4 L’obbligo di vigilanza dei sindaci non si intende peraltro limitato al mero controllo contabile, ma si estende anche al contenuto degli atti di gestione degli amministratori, investendo in forma indiretta le scelte imprenditoriali attraverso il riscontro della loro realtà e della relativa rappresentazione.
5 I liquidatori di società rispondono penalmente in virtù dell’equiparazione, operata dall’art. 2276 c.c., delle loro funzioni a quelle degli amministratori; per liquidatori devono intendersi anche quelli nominati dal tribunale nel concordato preventivo per la liquidazione dei beni. Il principio secondo cui la responsabilità penale è personale comporta la punibilità di ciascun soggetto per i fatti realizzati durante la vigenza della sua carica.
II. La bancarotta fraudolenta impropria
II.La bancarotta fraudolenta impropria1 L’individuazione dei fatti di bancarotta fraudolenta impropria è effettuata dall’art. 329, c. 1, attraverso l’integrale rinvio alle previsioni di cui all’art. 322 CCII (cfr. il relativo commento). Per ciò che concerne le operazioni c.d. intragruppo, gli atti di disposizione eseguiti senza contropartita da un’impresa a favore di altra appartenente al «gruppo» realizzano comunque l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, giacché il fenomeno puramente economico del collegamento societario non incide in alcun modo sul principio della autonoma personalità giuridica di ciascuna società e pertanto sulla punibilità dei fatti.
2 Definite per rinvio all’art. 322 le condotte di reato, la norma introduce al comma 2 due ipotesi speciali di bancarotta fraudolenta alle quali estende l’applicazione della pena prevista dall’art. 322, c. 1. La prima di tali ipotesi, disciplinata alla lett. a) dell’art. 329, comporta, nel caso di dichiarazione di liquidazione giudiziale della società, la punibilità a titolo di bancarotta di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che abbiano commesso taluno dei reati societari previsti dalle norme civilistiche cui la norma in esame fa riferimento, considerate le modifiche di cui al d.lgs. n. 61/2002 apportate agli artt. 2621 ss. c.c. La nuova formulazione dell’art. 329, c. 2, lett. a) non ha comportato l’abolizione totale dei reati precedentemente previsti, ma ha determinato una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in relazione a quei fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 61/2002, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose. Tra l’originario art. 329 e quello novellato va riconosciuto un fenomeno di successione di norme con parziale effetto abrogativo, in quanto l’ulteriore dato postulato da tale disposizione - rappresentato dal nesso di causalità tra la condotta e la liquidazione giudiziale - si palesa quale elemento specializzante rispetto alla fattispecie precedente, nella quale la liquidazione giudiziale non doveva necessariamente porsi come conseguenza della condotta; analogo fenomeno sussiste tra l’originario art. 2621 c.c. ed i novellati artt. 2621 e 2622 c.c. nell’ambito del quale la nuova disciplina si pone in rapporto di specialità con quella precedente, risultando la fattispecie astratta originariamente delineata dal legislatore ricompresa in quella attuale che contiene elementi specializzanti in senso stretto (ossia specifici) e in senso lato (ossia per aggiunta). Ed ancora, tra la fattispecie di bancarotta impropria di cui al vecchio testo dell’art. 223, c. 2, n. 1, e la nuova fattispecie introdotta dal d.lgs. 11.4.2002, n. 61, sussiste un rapporto di «limitata continuità» normativa, limitatamente a quei fatti che presentano puntualmente gli elementi richiesti dalla nuova norma, in quanto da un lato esiste la continuità fra le vecchie e le nuove false comunicazioni sociali e dall’altro il collegamento causale, se non era richiesto, certo non era escluso. Nei casi di specie, trattandosi peraltro di condotte già di per sé punibili secondo le norme comuni, la dichiarazione di liquidazione giudiziale è condizione per la punibilità delle condotte stesse a titolo di autonomo reato di bancarotta fraudolenta con applicazione della più grave pena prevista dall’art. 322, c. 1, l. fall.
3 La seconda speciale ipotesi di bancarotta fraudolenta è introdotta dal n. 2 dell’art. 223 e consiste nella dolosa causazione della liquidazione giudiziale, intesa nel senso sostanziale di stato di dissesto, che si pone pertanto quale evento che l’agente ha direttamente voluto o indirettamente realizzato attraverso il compimento di operazioni dolose. Per la sussistenza di quest’ultima fattispecie è pertanto sufficiente l’esistenza di un nesso di causalità tra l’avverarsi dello stato di dissesto e la condotta dell’agente titolata da dolo specifico, quando la liquidazione giudiziale sia intenzionalmente voluta quale diretta conseguenza dell’azione, ovvero da semplice dolo generico, quando il dissesto consegua per effetto di altre operazioni dolose che, genericamente individuate dalla norma, possono consistere in qualsiasi comportamento di intenzionale violazione dei doveri derivanti dalla qualifica dell’agente, ivi comprese le condotte che integrino reati societari diversi da quelli espressamente presi in considerazione dal n. 1 della norma in esame. Per ciò che concerne la pena accessoria prevista dall’art. 329 CCII con richiamo all’art. 322 CCII, si fa rinvio al commento di quest’ultima norma.
B) Giurisprudenza:
B)Giurisprudenza:I. La bancarotta impropria ed i soggetti di reato - II. La bancarotta fraudolenta impropria.
I. La bancarotta impropria ed i soggetti di reato
I.La bancarotta impropria ed i soggetti di reato1 Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale (artt. 216 e 223, c. 1, l. fall.) e quello di bancarotta impropria di (art. 223, c. 2, n. 2), concernono ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari ovvero di occultamento, distruzione o tenuta di libri e scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione delle vicende societarie, atti tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo concerne, invece, condotte dolose che non costituiscono distrazione o dissipazione di attività né si risolvono in un pregiudizio per le verifiche concernenti il patrimonio sociale da operarsi tramite le scritture contabili, ma che devono porsi in nesso eziologico con il fallimento [C. pen. V 17.2.2010, n. 17978, CP 2011, 4, 697]. In tema di reati fallimentari, non è configurabile il concorso formale tra i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta impropria da operazioni dolose, per il diverso ambito delle due fattispecie, ma il solo concorso materiale qualora, oltre alle condotte ricomprese nello specifico schema della bancarotta ex art. 216 l. fall., siano stati realizzati differenti ed autonomi comportamenti di abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta ovvero atti intrinsecamente pericolosi per l’andamento economico finanziario della società, che siano stati causa del fallimento [C. pen. V 7.12.2021, n. 348, CP 2022, 1530; C. pen. V 17.2.2010, n. 17978, CP 2011, 4, 697]. È configurabile il concorso tra il delitto di omesso versamento dell’IVA di cui all’ art. 10-ter, d.lgs. 10.3.2000, n. 74 e quello di bancarotta impropria mediante operazioni dolose previsto dall’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., essendo diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, ovvero gli interessi del Fisco, da un lato, e quelli dei creditori, dall’altro, e non comportando, le parziali interferenze fattuali, la configurabilità di un concorso apparente di norme [C. pen. III 1.1.2021, n. 11064, CP 2022]. È configurabile il concorso tra il delitto di bancarotta impropria da operazioni dolose di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall. e quello di indebita compensazione di credito d’imposta, previsto dall’art. 10-quater, d.lgs. 10.3.2000, n. 74, non sussistendo tra le fattispecie un rapporto strutturale di specialità unilaterale ai sensi dell’art. 15 c.p. [C. pen. V 8.1.2021, n. 6350, CED Cass. pen. 2021]. Il delitto di bancarotta impropria ex art. 223, c. 2, n. 2, l. fall. può concorrere con quello di insolvenza fraudolenta ex art. 641 c.p. qualora la condotta di acquisizione di obbligazioni con il proposito di non adempierle si collochi storicamente solo come antefatto di una serie di più complesse operazioni fraudolente finalizzate a causare (od aggravare) il dissesto della società fallita [C. pen. V 29.1.2018, n. 18089, CED Cass. pen. 2018]. Il reato di malversazione a danno dello Stato, di cui all’art. 316-bis c.p., concorre con quello di bancarotta impropria distrattiva, di cui all’art. 223, c. 1, l. fall., in quanto l’autore dapprima si appropria delle risorse erariali immettendole nel patrimonio della società, e successivamente le sottrae alla garanzia generica dei creditori, destinando le somme a finalità diverse sia rispetto a quelle per le quali era stato concesso il contributo o il finanziamento, sia rispetto a quelle proprie dell’attività imprenditoriale della società. (In motivazione, la Corte ha individuato un rapporto di progressione criminosa tra le due fattispecie incriminatrici) [C. pen. V 17.7.2017, n. 49992, CED Cass. pen. 2018]. La circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità è applicabile, con interpretazione estensiva e sistemica, anche ai fatti di bancarotta impropria, considerato il rinvio operato dalla suddetta norma a tutte le fattispecie di bancarotta “propria” ed il richiamo integrale dell’art. 223, c. 2, l. fall. alle pene previste dall’art. 216 l. fall. [C. pen. V 24.2.2021, n. 24216, CP 2022, 285]. Fra i soggetti che, a norma dell’art. 223 l. fall. possono commettere bancarotta fraudolenta in caso di fallimento di società di capitali ci sono anche coloro che esercitino di fatto le funzioni di amministratore nella piena connivenza degli organi societari e ciò in quanto la ratio della norma è quella di tutelare l’obbligo di correttezza e lealtà nello svolgimento delle mansioni di amministratore, a prescindere dalla sussistenza di una formale investitura [C. pen. V 30.11.2011, n. 3708; C. pen. V 8.5.2002, n. 21535, RP 2002, 768; C. pen. V 22.4.1998, n. 9222, Gpen 1999, II, 722; C. pen. V 19.10.1999, n. 14103, DPS 2000, 86; T. Torino 25.6.2022, n. 1016, DeJure 2022]. In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta [C. pen. V 10.7.2020, n. 27264, CED Cass. pen. 2020; C. pen. V 17.6.2016, n. 41793, CED Cass. pen. 2017]. Integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell’attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi [C. pen. V 20.9.2021, n. 1754, CED Cass. pen. 2022; C. pen. V 12.4.2013, n. 28508; C. pen. V 11.1.2013, n. 17021; C. pen. V 2.3.2011, n. 15062, S 2011, 726]. Il reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecita abbia concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società [C. pen. V 9.5.2017, n. 29885, CED Cass. pen. 2017].
2 Il principio di effettività per cui si risponde di reato fallimentare in rapporto alla gestione di fatto dell’impresa, trova il suo fondamento sull’affidamento che i terzi ripongono negli organi, nelle scritture e nelle comunicazioni prescritte dalla legge. Se, pertanto, essa è costituita in s.r.l., e cioè quale soggetto autonomo rispetto a chi ne è socio, non ne può discendere alcuna esclusione o attenuazione di responsabilità, in ordine ai reati di bancarotta documentale di cui agli artt. 223 e 216 l. fall., dell’amministratore che, per suo tornaconto e in danno dei creditori, in effetti si serviva della veste societaria quale schermo di impresa individuale [C. pen. V 20.6.2012, n. 39535; C. pen. V 20.5.2011, n. 39593; C. pen. V 2.3.2011, n. 15065, S 2011, 725; C. pen. V 13.10.2009, n. 43036, Fall 2010, 679; C. pen. V 11.1.2008, n. 7203, ivi 2008, 846; C. pen. V 22.11.2007, n. 46962, ibidem, 2008, 845; C. pen. V 4.6.1998, n. 9392, Gpen 1999, II, 538; C. pen. V 27.4.2000, n. 5619, CP 2001, 1622]. In tema di reati fallimentari, la mancata estensione della dichiarazione di fallimento non preclude, di per sé, la responsabilità del socio accomandante che abbia violato il divieto di immissione nell’attività amministrativa, a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta ascritto all’accomandatario, essendo sufficiente ai fini della lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 216 l. fall. lo svolgimento di attività amministrativa, anche attraverso i contatti con i clienti dell’impresa, che implica inevitabilmente la gestione delle attività aziendali [C. pen. V 28.9.2011, n. 44103, Fall 2012, 1002; C. pen. V 13.10.2008, n. 43036, ivi 2010, 679].
3 La responsabilità in ordine al reato di bancarotta fraudolenta impropria è configurabile in capo ai sindaci, per violazione dei doveri di vigilanza e dei poteri ispettivi che competono loro, ma non anche, contemporaneamente, in capo ai sindaci supplenti, i quali subentrano ai titolari e rispondono del loro operato esclusivamente in caso di morte, rinunzia o decadenza da parte di questi [C. pen. V 27.4.2005, n. 49815]. In tema di bancarotta fraudolenta impropria, è configurabile in capo ai sindaci supplenti il concorso omissivo per violazione dei doveri di vigilanza e dei poteri ispettivi che competono ai componenti del collegio sindacale, solo in caso di morte, rinunzia o decadenza dei sindaci titolari e solo nella misura in cui l’omesso controllo abbia avuto effettiva incidenza di contributo causale nella commissione del reato da parte degli amministratori [C. pen. V 20.4.2022, n. 19540, CP 2022, 2936]. La dichiarazione di fallimento non costituisce l’evento dei reati di bancarotta, semplice o fraudolenta e, pertanto, i fatti di bancarotta previsti nella prima parte del n. 1, art. 216 l. fall. sono perseguibili in qualunque momento siano stati commessi, a prescindere da collegamenti eziologici e soggettivi col fallimento, collegamenti necessari solo tra la condotta e l’evento a norma degli artt. 40 e 43 c.p. [C. pen. 29.11.1990, Bordoni, CP 1991, 828]. In tema di bancarotta è configurabile il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società anche a titolo di omesso controllo sull’operato di quest’ultimo o di omessa attivazione dei poteri loro riconosciuti dalla legge [C. pen. V 1.7.2011, n. 31163, Fall 2012, 623; C. pen. V 4.11.2009, n. 10186, ivi 2010, 1464].
4 L’art. 236 l. fall. deve ritenersi applicabile anche al liquidatore di società in concordato preventivo con cessione di beni ai creditori, considerato che tale soggetto dispone, al pari del liquidatore di società in scioglimento, dei beni societari in vista della definizione dei rapporti giuridici facenti capo alla persona giuridica ed è titolare del potere di disposizione di detti beni, dovendo provvedere alla loro alienazione ed alla suddivisione del ricavato fra i creditori [C. pen. V 11.4.2003, n. 22956, I 2004, 163]. Il liquidatore nominato nel concordato preventivo con cessione dei beni non è soggetto attivo dei reati di bancarotta fraudolenta o semplice richiamati nell’art. 236, c. 2, n. 1, l. fall., in quanto non si identifica con alcuno dei soggetti espressamente indicati nella suddetta disposizione ed in particolar modo, tra questi, con i “liquidatori di società” [C. s.u. 30.9.2010, n. 43428, S 2011, 327].
II. La bancarotta fraudolenta impropria
II.La bancarotta fraudolenta impropria1 In tema di bancarotta fraudolenta, nel caso in cui più imprese siano economicamente collegate, l’amministratore risponde degli atti di distrazione del patrimonio di una società anche se essi siano avvenuti a vantaggio di una collegata, il cui fallimento - in ipotesi - influirebbe sulla stessa sopravvivenza della prima. Ciò in quanto ciascuna impresa, costituendo una entità giuridico-economica a sé stante, opera in un ambito di rapporti che le fanno direttamente ed esclusivamente capo e deve essere pertanto gestita con criteri funzionali esclusivamente al suo scopo specifico e senza pregiudizio sul suo patrimonio, sul quale i terzi fanno affidamento [C. pen. V 9.5.2012, n. 29036; C. pen. V 6.10.2011, n. 48518; C. pen. V 7.6.2011, n. 3730, CP 2012, 1846; C. pen. V 16.4.2009, n. 36595, S 2010, 886; C. pen. V 17.12.2008, n. 1137, Fall 2009, 1353; C. pen. V 25.9.2008, n. 41293, ibidem, 740; C. pen. V 4.12.2007, n. 4410, GComm 2008, II, 764; C. pen. V 8.4.1999, n. 4424, CP 2000, 3445; C. pen. V 6.10.1999, n. 12897, RP 2000, 153; C. pen. V 14.12.1999, n. 1070, CP 2001, 661]. Il delitto di bancarotta fraudolenta impropria ex art. art. 223, c. 2, n. 1, l. fall. è strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario; tuttavia, il momento consumativo del reato è da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il dies a quo da cui decorre la prescrizione [C. pen. V 22.4.2021, n. 30526, CP 2022, 750]. La bancarotta fraudolenta impropria si distingue dal falso in bilancio che è reato sussidiario punito a prescindere dall’evento fallimentare, sicché verificatosi il fallimento, il fatto di falso in bilancio resta assorbito nell’autonomo e diverso reato della bancarotta fraudolenta impropria. Invero, il legislatore non prende in considerazione il reato di falso in bilancio per punirlo, in caso di fallimento, con pena più elevata, ma considera la condotta consistente nella falsificazione del bilancio societario, per assoggettarla a sanzione penale a titolo di bancarotta fraudolenta, sulla base del principio, insito nella legge fallimentare, che la sopravvenienza del fallimento (o della amministrazione controllata) qualifica in modo autonomo quei fatti anteriori che, altrimenti, sarebbero inquadrabili in un diverso schema di reato [C. pen. V 22.4.2021, n. 30526, CP 2022, 750]. La cessione, anche fattuale, di un ramo di azienda che renda non più possibile l’utile perseguimento dell’oggetto sociale senza garantire contestualmente il ripiano della situazione debitoria della società integra il reato di bancarotta impropria fraudolenta patrimoniale; ne consegue che anche iniziative imprenditoriali, potenzialmente ed astrattamente legittime, possono assumere, per il modo in cui sono attuate, il carattere della illiceità, per i riflessi che hanno sugli interessi del ceto creditorio [T. Napoli 28.1.2022, n. 407, GD 2022]. In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale societaria, integra l’ipotesi di causazione dolosa del fallimento (art. 223, c. 2, n. 2, l. fall.) la prestazione di fideiussioni bancarie - pur formalmente ricompresa nell’oggetto sociale - in modo continuativo, per importi superiori al valore del proprio patrimonio e senza significativa contropartita, in favore di altra società in grave situazione di dissesto, amministrata dallo stesso legale rappresentante della società garante, con ciò determinando il fallimento di quest’ultima, trattandosi di attività non congruente e contraria agli interessi della fallita, oltre che dei soci e dei creditori della stessa, in quanto intrinsecamente pericolosa per la salute economico-finanziaria dell’impresa [C. pen. V 12.10.2018, n. 9843, CED Cass. pen. 2019].
2 Tra la previgente disciplina degli artt. 2621 c.c. e 223 l. fall., e quella degli odierni artt. 2621 e 2622 c.c., e 223 l. fall., così come novati dal d.lgs. n. 61/2002, si è verificato un fenomeno di successione di norme, nell’ambito del quale la nuova regolamentazione si pone in rapporto di specialità, e con parziale effetto abrogativo, rispetto alla precedente. Ciò comporta la possibilità di verificare se fatti commessi prima delle nuove disposizioni siano sussumibili nell’attuale fattispecie criminosa; a tal fine è tuttavia necessario che siano stati contestati in termini formali o anche solo sostanziali, comunque in modo da rendere possibile la difesa, tutti i dati che attualmente concorrono alla configurabilità del reato [C. pen. V 8.10.2002, n. 36859, GI 2003, II, 286]. Tra la fattispecie di bancarotta impropria di cui al vecchio testo dell’art. 223, c. 2, n. 1, l. fall., e la nuova fattispecie introdotta dal d.lgs. 11.4.2002, n. 61 sussiste un rapporto di limitata continuità normativa, limitatamente a quei fatti che (a differenza di quelli precedentemente commessi che non integrano le nuove false comunicazioni sociali o che non hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto, che non costituiscono più reato) presentano puntualmente gli elementi richiesti dalla nuova norma, in quanto da un lato esiste la continuità fra le vecchie e le nuove false comunicazioni sociali e dall’altro il collegamento causale, se non era richiesto, certo non era escluso [C. pen. s.u. 26.3.2003, n. 25887, FI 2003, II, 586]. In tema di bancarotta fraudolenta ex art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono sempre comportare un’indebita diminuzione dell’attivo, ossia un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa, mentre la valutazione degli abusi di gestione o dell’infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo concretizzanti tali operazioni non può essere assunta in via generale ed astratta, ma dipende dal rilievo dei peculiari doveri statutari, dalla tipologia dell’organismo societario e dalla situazione economico-patrimoniale in cui la condotta si compie [C. pen. V 29.2.2010, n. 17690, CP 2011, 5, 4422]. Le disposizioni contenute nell’ art. 329, d.lgs. 12.1.2019, n. 14, che entreranno in vigore il 15.8.2020, sono in perfetta continuità normativa con quelle contenute nell’ art. 223, r.d. 16.3.1942, n. 267; non è quindi ipotizzabile una abolitio criminis, non essendovi alcuna discontinuità del precetto penale né della risposta sanzionatoria [C. pen. V 10.12.2019, n. 4772, CP 2020, 1529].
3 In tema di bancarotta fraudolenta societaria, le operazioni dolose di cui all’art. 223, c. 2, n. 2 l. fall., possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali [C. pen. V 15.2.2021, n. 8960, GD 2022]. Il fallimento per effetto di operazioni dolose implica la commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero di atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della impresa e che postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo - distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione - bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato [C. pen. V 12.12.2019, n. 10995, D&G 2020]. La fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, c. 1, e 216, c. 1, n. 1, l. fall. - in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini di distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata [C. pen. V 25.2.2020, n. 12945, CP 2021]. Le operazioni dolose di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall. possono consistere anche in condotte omissive, ovvero nella sistematica elusione dei doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo, quando questa comporti il fallimento della società e un depauperamento del patrimonio non giustificato dall’interesse per l’impresa [C. pen. V 11.6.2019, n. 43562, CED Cass. pen. 2019]. Integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose previsto dall’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto e dei contributi previdenziali e assistenziali che abbia causato il dissesto della società, potendo il reato fallimentare concorrere con quello tributario e con quello previdenziale in ragione della diversità sia dei beni tutelati sia della struttura dei reati [C. pen. V 5.4.2019, n. 30735, CED Cass. pen. 2019]. In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., possono consistere anche nella compensazione dell’ingente esposizione debitoria della società nei confronti del fisco con crediti inesistenti, in quanto siffatta operazione, comportando l’azzeramento meramente formale dei debiti, consente alla società di operare e contribuisce, in modo prevedibile, ad aggravare il dissesto della stessa determinando il maturarsi di ulteriori debiti con il fisco [C. pen. V 15.2.2019, n. 22488, CP 2020, 316]. In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., diverse da quelle integranti una condotta distrattiva, possono consistere anche nell’aver omesso, in presenza di una riduzione del capitale sociale al di sotto della soglia di minimo legale, di convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al minimo, o la trasformazione della società secondo quanto imposto dall’art. 2447 c.c. La condotta dell’amministratore che non osserva i doveri imposti dalla legge e che abbia cagionato (o contribuito a cagionare) il fallimento ricade nella fattispecie della bancarotta fraudolenta per operazioni dolose. Al contrario è applicabile il più mite trattamento sanzionatorio di cui all’art. 224, n. 2, l. fall. qualora l’inosservanza dell’amministratore sia di natura colposa [C. pen. V 19.9.2018, n. 49506, RDottComm 2018, 766]. La condotta consistente nella vendita sottocosto di un cespite conferito nel capitale sociale, con acquisizione di liquidità per la società e contestuale vantaggio (anche solo indiretto) dell’amministratore di questa, può integrare infedeltà patrimoniale, ex art. 2634 c.c., ma perché tale condotta venga qualificata come bancarotta fraudolenta impropria, ex art. 223, c. 2, n. 1, l. fall., deve aver cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società [C. pen. V 24.3.2017, n. 17819, Ilsocietario.it 2017]. Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., costituiscono operazioni dolose alle quali far risalire la causazione del fallimento anche quelle che, pur senza essere direttamente ed immediatamente produttive di danno, siano però tali da creare i presupposti di un prevedibile dissesto, come, in particolare, può verificarsi nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, essendo ragionevolmente prospettabile che da una tale condotta derivi l’accertamento dell’illecito e la conseguente esposizione debitoria della società nei confronti del fisco [C. pen. V 7.12.2017, n. 11956, RP 2018, 582]. La presentazione per lo sconto presso diversi istituti bancari delle medesime fatture concreta quelle operazioni dolose che inevitabilmente, aumentando il passivo (ottenendo più anticipazioni a fronte del medesimo ed unico credito), conducono all’aggravamento dello stato di dissesto e, quindi, al fallimento. Una simile condotta integra gli elementi costitutivi della bancarotta impropria e non configura la diversa ipotesi del ricorso abusivo al credito, posto che tale fattispecie si concreta nel caso in cui si ottengano finanziamenti dissimulando il dissesto o lo stato di insolvenza, in assenza, quindi, degli ulteriori elementi che caratterizzano il delitto di cui all’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall., seconda ipotesi, e cioè il cagionare il fallimento attraverso operazioni dolose [C. pen. V 14.9.2017, n. 50081, D&G 2017].
4 L’art. 223, c. 2, n. 2, l. fall. comprende due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso, pertanto la prima fattispecie è a dolo specifico mentre la seconda è a dolo generico [C. pen. 10.8.2017, n. 52433, D&G 2017]. Non cade pertanto in contraddizione il giudice di merito che ritenga insussistente il dolo (specifico) diretto alla causazione del fallimento ed, al contempo, ravvisi il dolo (generico) in relazione a singole operazioni distrattive, che hanno determinato il fallimento [C. pen. V 24.11.2010, n. 2784; C. pen. V 22.9.1999, n. 11945]. In tema di bancarotta impropria da reato societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico [C. pen. V 29.3.2012, n. 23091]. Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta impropria da reato societario ex art. 2634 c.c. è necessario che gli atti di frode ai creditori siano espressione del potere di amministrazione, sia pure esercitato in una situazione di conflitto con l’interesse della società e con le finalità descritte dalla norma, mentre, invece, deve ritenersi sussistente il diverso reato di cui all’art. 223, c. 1, l. fall. quando siano realizzati atti di disposizione dei beni societari caratterizzati, secondo una valutazione ex ante, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata [C. pen. V 4.12.2020, n. 2517, CED Cass. pen. 2021]. In tema di bancarotta fraudolenta impropria di cui agli artt. 223, c. 1, l. fall. e 2621 c.c., il dolo ha natura specifica e consiste nella fraudolenta esposizione, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, di fatti non corrispondenti al vero sulle condizioni economiche della società, ovvero nell’occultamento, totale o parziale, di fatti concernenti le suddette condizioni, con la volontà di indurre in errore i soci o i terzi in ordine all’effettiva situazione patrimoniale della società, al fine di procurare ingiusto profitto a sé o agli altri. Non è dunque necessario - perché sia integrato l’elemento psicologico - il proposito di cagionare un danno, bastando la semplice previsione del suo verificarsi, quale correlativo all’ingiusto profitto perseguito [C. pen. V 18.2.1999, n. 854].
5 In tema di concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta impropria per operazioni dolose, il parere reso dal legale della società in seguito fallita costituisce contributo causalmente rilevante rispetto alla condotta tipica di bancarotta solo nel caso in cui sia risultato decisivo per l’assunzione della condotta da parte dell’intraneus. (Fattispecie in cui è stata esclusa la responsabilità del legale per avere lo stesso reso consigli di incerta valenza causale in merito ad un’operazione - di fatto aggravante il dissesto della società - di aumento fittizio del capitale sociale e di emissione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni) [C. pen. V 15.6.2022, n. 37101, CED Cass. pen. 2022].
6 In tema di divieto di bis in idem, il precedente giudizio per il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti non preclude quello successivo per bancarotta fraudolenta impropria, non sussistendo tra le due fattispecie criminose l’idem factum. (In motivazione, la Corte ha precisato che, mentre il primo è un reato di mera condotta e a dolo preterintenzionale, il secondo è un reato di danno - caratterizzato dall’aver cagionato o contribuito a cagionare il fallimento della società - e dolo specifico) [C. pen. V 13.1.2022, n. 15630, CED Cass. pen. 2022; C. pen. V 26.11.2021, n. 1835, CP 2022, 1918].