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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    1. Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono:

    a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;

    b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell'azienda nonché l'influenza dei fattori dell'ambiente e dell'organizzazione del lavoro;

    c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;

    d) il rispetto dei principi ergonomici nell'organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;

    e) la riduzione dei rischi alla fonte;

    f) la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;

    g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;

    h) l'utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro;

    i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;

    l) il controllo sanitario dei lavoratori;

    m) l'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio per motivi sanitari inerenti la sua persona e l'adibizione, ove possibile, ad altra mansione;

    n) l'informazione e formazione adeguate per i lavoratori;

    o) l'informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti;

    p) l'informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

    q) le istruzioni adeguate ai lavoratori;

    r) la partecipazione e consultazione dei lavoratori;

    s) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;

    t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi;

    u) le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato;

    v) l'uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;

    z) la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.

    2. Le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: Premessa: economia e salute - 1. Il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile - 2. Priorità della protezione collettiva e sospensione dell'attività lavorativa insicura - 3. Sicurezza prima e durante ogni fase di lavoro, nei momenti di pausa, riposo o sospensione dell'attività, e in caso di chiusura dell'azienda - 4. Infortunio fuori dell'orario di lavoro - 5. Breve durata dei lavori - 6. Mai prima un infortunio - 7. Attività pericolose consentite e rischi ineliminabili - 8. Organizzazione del lavoro e prevenzione tecnologica - 9. Responsabilità del datore di lavoro che espone a rischio anche se stesso .

    ``In azienda, si diceva che ogni fermo macchina sarebbe costato alla società 300 euro ed il riscontro a ciò fornito proprio dal capo turno, il quale, pur avendo negato che vi fossero precise disposizioni in tal senso, aveva ricordato che il fermo macchina costava all'azienda 600 euro ad ora più o meno, cosicché la direttiva generale era quella di fermare la linea di produzione il meno possibile. Ed il teste aveva aggiunto che l'arresto dell'impianto a lavorazione in corso produceva rotoli difettosi che sarebbero stati venduti come di seconda scelta''.

    ``Il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare tutte le misure idonee a prevenire i rischi insiti nell'ambiente di lavoro, atteso che la sicurezza del lavoratore è un bene di rilevanza costituzionale che gli impone di anteporlo al proprio profitto''.

    ``Nelle attività produttive le regole cautelari sono prevalentemente codificate in modo analitico, essendo previsti normativamente sia prescrizioni specifiche, che sistemi e moduli organizzativi delle lavorazioni tali da assicurare la tutela dei lavoratori coinvolti, la cui salute è considerata vero e proprio limite all'attività produttiva, alla sua utilità sociale, nonché alla produzione del relativo profitto. Ciò comporta che nelle attività pericolose consentite, laddove sia impossibile eliminare il pericolo, l'obbligo di evitare l'evento si rafforza perché la sua prevedibilità è intrinseca al tipo di attività svolta, con la conseguenza che la prudenza, la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee ad evitare (o diminuire) il rischio debbono essere maggiori e non possono eludere l'osservanza delle norme specificamente poste a tutela della sua evitabilità. Mentre questa andrà comunque valutata in concreto, avuto riguardo, dal punto di vista controfattuale, all'inevitabile prodursi dell'evento anche in presenza dell'osservanza scrupolosa delle regole di cautela destinate ad evitarlo''. (In senso conforme Cass. 1° agosto 2018, n. 37106).

    ``Il capitale umano e la salute dei lavoratori sono la prima e più importante risorsa di qualsiasi impresa commerciale e della società intera; con la conseguenza che qualsiasi attività lavorativa che non si possa svolgere senza porre in serio pericolo la vita dei lavoratori, semplicemente non deve essere svolta o deve essere svolta in modo radicalmente differente''.

    Al comma 2, l'art. 15, D.Lgs. n. 81/2008 prevede che ``le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori''. L'interpello n. 14 del 25 ottobre 2016 precisa che ``i costi relativi agli accertamenti sanitari non possono comportare oneri economici per il lavoratore (compresi i costi connessi con eventuali spostamenti che siano necessari) ed il tempo impiegato per sottoporsi alla sorveglianza sanitaria, compreso lo spostamento, deve essere considerato orario di lavoro''. V. anche l'interpello n. 18 del 6 ottobre 2014: ``i controlli sanitari debbano essere strutturati tenendo ben presente gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori'', e ``laddove, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi, il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall'ordinamento''.

    L'art. 15, comma 1, riprende e arricchisce il contenuto dell'art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 626/1994. E in particolare ribadisce il principio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile (v., in specie, lettere c), e), i)). Restano ferme, pertanto, le indicazioni fornite in merito dalla Corte Suprema:

    ``Il datore di lavoro e gli altri soggetti investiti della posizione di garanzia devono ispirare la loro condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza''.

    ``Qualora eventuali accorgimenti per la messa in sicurezza di un trapano non fossero stati possibili o non fossero bastati a scongiurare il rischio di infortuni del tipo di quello in concreto verificatosi, l'imputato avrebbe dovuto dismettere quell'attrezzatura, peraltro datata, e sostituirla con un macchinario improntato ad una diversa e più innovativa tecnica di foratura, più adeguata alle esigenze di tutela dei lavoratori, come ha poi immediatamente provveduto a fare dopo l'infortunio, in osservanza alle prescrizioni impartite dagli ispettori della ASL''.

    ``Qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile''.

    ``È preciso dovere dei soggetti che rivestano una posizione di garanzia, provvedere a munire il lavoratore dei più moderni strumenti che la tecnologia offre, per garantire la sicurezza sul lavoro. Sebbene tale principio non si traduca, per il datore di lavoro, in un obbligo di procedere alla immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, resta sempre fermo il dovere di assicurare che i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza''.

    ``Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura. L'art. 2087 c.c., infatti, nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche.

    Allorquando l'imprenditore disponga di più sistemi di prevenzione di eventi dannosi, è tenuto ad adottare (salvo il caso di impossibilità) quello più idoneo a garantire un maggior livello di sicurezza: trattasi, invero, di principio cui non è possibile derogare soprattutto nei casi in cui i beni da tutelare siano costituiti dalla vita e dalla integrità fisica delle persone. Costituisce ius receptum il principio che, allorquando l'imprenditore disponga di più sistemi di prevenzione di eventi dannosi, egli sia tenuto ad adottare (salvo il caso di impossibilità) quello più idoneo a garantire un maggior livello di sicurezza, principio cui non è possibile derogare soprattutto nei casi in cui i beni da tutelare siano costituiti dalla vita e dalla integrità fisica delle persone, laddove, viceversa, una valutazione comparativa tra costi e benefici sarebbe ammissibile solo nel caso in cui i beni da tutelare fossero esclusivamente di natura materiale. A proposito di `massima sicurezza tecnologica' esigibile dal datore di lavoro, tuttavia, se è vero che questa Corte ha anche affermato che, in materia di infortuni sul lavoro, è onere dell'imprenditore adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori, il principio de quo va letto alla luce di quello meglio precisato dalla sentenza n. 41944 del 19 ottobre 2006, secondo cui, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino alla individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l'imprenditore proceda ad un'immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti e innovative, dovendosi pur sempre procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell'innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza.

    In proposito, è da notare che la c.d. ``fattibilità tecnologica'' può essere alternativamente intesa come principio che esige soltanto il ricorso alla misure praticate nell'intero specifico settore industriale interessato, o che invece impone l'utilizzo della migliore tecnologia disponibile, pur se non presente nel particolare comparto produttivo coinvolto (la Best Available Technology), o che con rigore ancor maggiore richiede agli imprenditori addirittura la costante ricerca e realizzazione di tecniche prevenzionali sempre più progredite rispetto a quelle già esistenti sul mercato. Nella risalente sentenza n. 312 del 25 luglio 1996, attinente alla prevenzione contro il rischio rumore, inizialmente, la Corte Costituzionale sembra orientarsi verso la prima soluzione, visto che evoca ``applicazioni tecnologiche generalmente praticate'' e ``accorgimenti organizzativi e procedurali altrettanto generalmente acquisiti''. L'avverbio ``generalmente'' indurrebbe a pensare che l'estensore della sentenza n. 312/96 intenda riferirsi a misure generalmente praticate o acquisite. È un fatto, però, che siamo alle prese con una dizione equivoca a tal punto da sollevare interrogativi a non finire: quando una misura può considerarsi ``generalmente praticata'' o ``acquisita''? occorre riferirsi a misure praticate o acquisite in Italia, o anche solo all'estero? e occorre riferirsi a misure praticate o acquisite da tutte le aziende di un determinato settore, o dalla maggior parte di queste aziende, o da quale altra percentuale di tali aziende? Per giunta, la Corte Costituzionale usa purtroppo espressioni evasive quali ``standard di sicurezza'' o ``standard di produzione industriale''. Ma non basta. Supponiamo che, in un certo settore industriale, una specifica misura antirumore risulti praticata in una sola azienda o comunque in poche aziende. In questa ipotesi, a norma dell'art. 41, comma 1, scatta, o no, l'obbligo di realizzare siffatta misura nelle altre aziende del medesimo settore? È facile comprendere che, ove si desse all'interrogativo una risposta negativa, resterebbe soffocata l'esigenza di non bloccare la diffusione delle tecnologie prevenzionali già disponibili da singole aziende all'intero comparto produttivo coinvolto. Per altro verso, la stessa Corte Costituzionale, in un brano conclusivo della sua sentenza, esclude che l'art. 41, comma 1, assegni all'imprenditore ``il compito di realizzare innovazioni finalizzate alla sicurezza''; e in tal guisa sembra abbracciare la diversa soluzione che richiede all'imprenditore, non la ricerca di tecnologie ancor più avanzate rispetto a quelle disponibili sul mercato, bensì la realizzazione delle tecnologie già esistenti, pur se non attuate da tutte o dalla maggior parte delle aziende appartenenti al comparto industriale interessato. Una soluzione che si raccorda con quella accolta dalla Corte di Cassazione e che rende obbligatorie le misure fornite dalla ``migliore tecnologia disponibile'' ovvero dalle ``tecnologie esistenti''. (Sulla sentenza della Corte Cost. n. 312/1996 v., altresì, sub art. 71 in Premessa).

    Tra i principi fondamentali del nostro ordinamento in materia di sicurezza del lavoro fa spicco il principio - ribadito dall'art. 15, comma 1, lettera i), D.Lgs. n. 81/2008 - di «priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale».

    ``Il datore di lavoro aveva messo a disposizione dei lavoratori solo dispositivi di protezione che, invece, nel documento di valutazione dei rischi erano previsti in via del tutto residuale (ramponi monta - palo e cintura di sicurezza), ovvero allorquando, in ragione di peculiari situazioni (es. pali posizionati su terreni estremamente impervi), non fosse possibile avvalersi degli altri sistemi (in via gradata autopiattaforma e scale), da utilizzarsi prioritariamente. Nel caso di specie la pianeggiante conformazione dei luoghi avrebbe certamente consentito l'utilizzo dell'autopiattaforma, così scongiurando i rischi di caduta dall'alto correlati alla rottura del palo per effetto delle sollecitazioni derivanti dall'arrampicata del lavoratore, donde l'addebito a titolo di coipa di quanto verificatosi a causa del mancato utilizzo di un mezzo meccanico per portare in quota l'operaio''.

    ``Le `misure generali di tutela nei luoghi di lavoro', previste dall'art. 15 TUSL, mettono in chiaro (comma 1, lett. i) il dovere di assegnare priorità delle misure di protezione collettiva (DPC) rispetto le misure di protezione individuale (DPI)''.

    ``La relazione causale tra la violazione delle prescrizioni dirette a garantire la sicurezza degli ambienti di lavoro e gli infortuni che concretizzano i fattori di rischio avuti di mira dalle prescrizioni violate sussiste indipendentemente dall'attualità della prestazione lavorativa, e quindi anche nei momenti di pausa, riposo o sospensione dell'attività. Da ciò discende la irrilevanza della deduzione difensiva, a fronte della dimostrata esistenza del nesso causale tra la mancanza di misure di prevenzione relative al rischio di caduta dall'alto e l'incarico affidato al lavoratore, seppur addetto ad altra mansione e durante la pausa di sospensione dell'attività lavorativa''.

    ``Le misure di sicurezza devono essere predisposte e mantenute in ogni fase del processo lavorativo, ove sussistano situazioni di pericolo per i lavoratori''.

    ``Le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi ovvero quando presso tali luoghi le opere siano terminate o da terminare o momentaneamente sospese per dare corso ad altre fasi del processo produttivo. Le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di essa, ove siano residuate situazioni di pericolo per i lavoratori passati ad altre incombenze ma, comunque, sottoposti al rischio derivante dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa''.

    Un'ipotesi particolare è quella esaminata da:

    ``Al titolare di un'azienda agricola chiusa per cessata attività ove era in atto un tentativo di furto è stato contestato di avere cagionato lesioni gravi a due carabinieri ivi intervenuti per motivi di servizio, per avere omesso di effettuare le necessarie operazioni di manutenzione e controllo di sicurezza, funzionalità ed efficienza dei componenti di un pesante cancello scorrevole adiacente all'azienda e alla propria abitazione, manufatto che, siccome privo dei fermi di battuta in apertura e in chiusura, fuoriusciva dalla guida superiore posta sul lato destro e rovinava addosso ai due militari, i quali rimanevano schiacciati sotto di esso''. La Sez. IV annulla l'assoluzione dell'imputato, ``avuto riguardo alla funzione del bene pericolante e alla titolarità della posizione di garanzia assunta rispetto ai pericoli che le precarie condizioni di manutenzione del bene rappresentino per i terzi''.

    ``Non rileva, ai fini della configurabilità dell'abnormità/eccentricità della condotta del lavoratore, la circostanza che l'attività sia stata posta in essere al di fuori dell'orario di lavoro''.

    Quanto alla «dedotta indebita presenza del lavoratore vittima dell'infortunio, sul posto ove questo è avvenuto fuori dell'orario di lavoro», la Sez. IV ritiene «tale circostanza sarebbe comunque irrilevante in quanto il datore di lavoro, o comunque il responsabile della sicurezza risponde dell'infortunio del lavoratore anche se avvenuto fuori dell'orario di lavoro, in quanto le norme antinfortunistiche sono poste a tutela di tutti coloro che si trovano a contatto degli ambienti di lavoro, a prescindere dall'orario di servizio».

    ``La circostanza che i veri e propri lavori di ristrutturazione fossero stati completati e che fossero rimasti solo i lavori più semplici e di rifinitura non esclude né diminuisce la responsabilità del datore di lavoro in quanto l'obbligo, per il datore di lavoro che faccia eseguire lavori in quota, di approntare le misure di sicurezza oggi imposte dall'art. 122 del D.Lgs. n. 81/2008, al fine di eliminare i pericoli di caduta di persone o cose, deve trovare applicazione anche quando il lavoro richieda un impegno di breve durata temporale''.

    ``Il datore di lavoro, in ragione dei propri compiti all'interno dell'azienda, che gli imponevano di attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche (v., in particolare art. 18, lettere d) ed f), D.Lgs. n. 81/2008), e, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente viene allo stesso imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40, comma 2, c.p., e ciò anche quando l'attività richiesta sia di breve durata''.

    «Quanto alla circostanza che il lavoro richiesto al lavoratore infortunato fosse di breve durata tanto da non richiedere l'apprestamento di ponteggi ed impalcature è sufficiente il richiamo alla norma generale dell'art. 2087 c.c., che prevede per l'imprenditore l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, siano necessarie a tutelare l'integrità fisica e morale del lavoratore idonee, nella specie, a prevenire cadute dall'alto.

    ``L'assunto secondo cui la macchina aveva funzionato senza cagionare problemi per oltre 10 anni non esime da responsabilità il datore di lavoro, atteso che l'utilizzazione di un macchinario non conforme alle disposizioni a tutela della sicurezza, ancorchè protratta nel tempo senza incidenti, non esime da responsabilità il datore di lavoro o il soggetto cui è demandata nell'ambito dell'impresa ta cura della prevenzione degli infortuni sul lavoro in tema di sicurezza e dalla persistenza nel tempo delle condizioni di sicurezza del macchinario stesso''.

    ``La considerazione che, in precedenza, nonostante l'adozione delle medesime modalità operative, nessun evento del genere si fosse mai verificato, non è idonea a dimostrare di per sé, per il suo carattere meramente empirico, l'assenza di rischio alcuno insito in quelle modalità, né a renderne scusabile sul versante soggettivo la mancata previsione ex ante. Solo un preventivo studio tecnico-scientifico dei livelli di stabilità del piano di lavoro rappresentato dal pannello che si trattava di applicare alla sommità, ovviamente coinvolgente un'attenta considerazione delle sue caratteristiche strutturali e di resistenza fisica alle sollecitazioni, la considerazione delle modalità di ancoraggio e dei mezzi adoperati per il suo sollevamento, avrebbe potuto avvalorare una tale convinzione e legittimare pertanto la mancata previsione di alternativi sistemi di ritenuta. Di ciò peraltro avrebbe dovuto trovarsi espressa indicazione anche nel piano operativo di sicurezza. Non può giovare, nemmeno sul versante soggettivo della colpa, la considerazione che in precedenza, nonostante l'adozione delle medesime modalità operative, nessun evento del genere si fosse mai verificato, non essendo una tale constatazione idonea a renderne scusabile la mancata previsione ex ante. Questa del resto discende dalla stessa previsione normativa che, nell'imporre l'adozione della regola cautelare, per ciò stesso codifica e rende pertanto prevedibile, per effetto della stessa doverosa conoscenza e conoscibilità della norma, l'esistenza dei pericoli di caduta discendenti dall'esecuzione di lavori in altezza. Solo una ragionevole certezza dell'insussistenza in concreto di tale pericolo in ragione dell'idoneità della modalità operativa adottata a costituire essa stessa idoneo presidio collettivo di sicurezza, avrebbe potuto escludere la prevedibilità ex ante dell'evento. Una tale ragionevole certezza però nel caso di specie, sulla base delle emergenze acquisite, non trova alcuna valida base logica, questa certamente non potendo essere rappresentata dalla mera constatazione empirica della tragica novità dell'accadimento''.

    Si è notato al paragrafo 1 che il legislatore accoglie il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile. Occorre chiedersi in questo quadro quale sia la condotta esigibile dal datore di lavoro in caso di rischi ineliminabili peraltro non vietati (fermo restando che l'esercizio di un'attività pericolosa vietata risulta necessariamente proibita). Per cominciare, leggiamo:

    ``Se è vero che va attribuita alla disposizione di cui all'art. 2087 c.c. anche una `funzione dinamica' in quanto norma diretta a spingere l'imprenditore ad attuare, nell'organizzazione del lavoro, un'efficace attività di prevenzione attraverso la continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall'esperienza e dalla tecnica più aggiornata al fine di garantire, nel migliore dei modi possibili, la sicurezza dei luoghi di lavoro, tuttavia la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell'integrità psico-fisica dei dipendenti (e di correlativo pericolo). L'art. 2087 c.c. non configura infatti un'ipotesi di responsabilità oggettiva essendone elemento costitutivo la colpa, quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né invero può desumersi dall'indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a `rischio zero' quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un'attrezzatura non sia eliminabile; egualmente non può pretendersi l'adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili''.

    Questo l'orientamento generalmente accolto dalla Cassazione penale:

    ``Se il rischio è esistente, ne discende l'obbligo di adottare le misure necessarie a fronteggiarlo, eliminandolo o, se non possibile tecnicamente, riducendolo''.

    ``Devono essere approntati da parte del datore di lavoro e, più in generale, da parte di coloro che rivestono una posizione di garanzia, i rimedi di sicurezza che garantiscano la maggiore tutela possibile della salute del lavoratore; si deve fare luogo al rafforzamento delle misure di sicurezza in ogni momento ove l'attività evidenzi possibili pericoli''.

    ``La disposizione di cui all'art. 2087 c.c. rappresenta una norma di chiusura che pone in capo al datore di lavoro un obbligo generico di disposizione di tutte le misure necessarie per prevenire eventuali rischi, anche se non esplicitamente richiamate da norme particolari che prevedano reati autonomi; ciò non significa che il datore di lavoro debba creare un ambiente lavorativo a `rischio zero', disponendo misure atte a prevenire anche gli eventi rischiosi impensabili (circostanza che implicherebbe, incostituzionalmente, la condanna a titolo di responsabilità oggettiva), ma che debba predisporre tutte quelle misure che nel caso concreto e rispetto a quella specifica lavorazione risultino idonee a prevenire i rischi tecnici dell'attività posta in essere''.

    ``Con la integrazione del modello prevenzionistico incentrato sulla cd. prevenzione tecnologica (espresso dalla legislazione degli anni Cinquanta del secolo scorso) con il modello della organizzazione della prevenzione (D.Lgs. n. 626/1994 prima e D.Lgs. n. 81/2008, poi), il principale dovere del datore di lavoro è quello di valutare tutti i rischi connessi al processo produttivo, e tra questi anche quello intrinseco all'organizzazione della produzione. Il dovere di organizzare in funzione della prevenzione trova la sua espressione più acuta nella valutazione dei rischi, ma non si esaurisce in essa; come risulta con ogni evidenza sia dall'art. 15 D.Lgs. n. 81/2008, che non riconduce le diverse misure generali da adottare alla valutazione dei rischi pretendendone così la costante adozione, che dall'art. 18. Più in radice, è il potere dispositivo che, correlativamente al suo farsi azione, impegna contestualmente il datore di lavoro a decidere anche per le misure prevenzionistiche necessarie''. (Conforme Cass. 15 luglio 2022 n. 27583).

    ``Incombe sul datore di lavoro l'obbligo di accertarsi che gli incarichi affidati ai propri dipendenti siano funzionali a una corretta organizzazione del lavoro e che questo, soprattutto quando implichi elevati profili di pericolosità, si svolga in condizioni di sicurezza, in modo che i lavoratori dispongano della necessaria strumentazione, rientrando nel concetto più ampio di organizzazione del lavoro anche quello di allestimento dei mezzi necessari per svolgere le attività in sicurezza, in modo che l'avvio dell'attività non sia disposto prima che tali presidi siano disponibili in concreto''.

    ``Proprio l'organizzazione del lavoro che dipendeva dal direttore dello stabilimento di una s.p.a. rendeva prevedibile il verificarsi di situazioni di rischio per il mancato rispetto della procedura corretta relativa alla movimentazioni delle travi e aveva reso praticabile l'avvio di una prassi non conforme al documento di valutazione dei rischi non solo avallata ma incentivata dai preposti, in particolare dal capo-officina, che utilizzava un solo lavoratore per l'operazione di movimentazione e mostrava fastidio di fronte alle richieste di affiancamento che i dipendenti gli rivolgevano''.

    Il titolare di una s.r.l. ed esecutore effettivo dei lavori di riparazione dell'ascensore di un fabbricato insieme al dipendente apprendista è condannato per l'infortunio subito da costui: ``trovandosi sulla copertura della cabina dell'ascensore che fungeva da piano di lavoro, insieme al dipendente, ometteva di predisporre idonei dispositivi di sicurezza, in particolare non provvedeva ad ancorare l'impianto di sollevamento alla guida dello stesso ed a verificare l'efficienza del freno paracadute, talché l'ascensore cadeva al suolo da un'altezza di circa 5 metri''. A sua discolpa, osserva, in particolare, che ``l'intervento veniva posto in essere in prima persona dall'imputato, ponendo eventualmente in pericolo in primo luogo la propria incolumità''. La Sez. IV replica: ``per il dettato della normativa prevenzionistica e per la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, la circostanza che il datore di lavoro operi anche in prima persona e sottoponga anche se stesso al rischio derivante dall'omessa predisposizione di misure prevenzionali, non muta i suoi doveri nei confronti della sicurezza dei lavoratori da lui dipendenti''.

    ``Si riscontrano con frequenza casi di operai che intervengono abitualmente sui macchinari effettuando una manutenzione `fai da te', che riduce i presidi di sicurezza. Questa prassi, che peraltro potrebbe essere sintomatica non di mera omissione della sorveglianza da parte del datore di lavoro, bensì dell'avallo di siffatto modus operandi in funzione di una maggiore efficienza produttiva e soprattutto di un risparmio di spesa, difficilmente esonera datore di lavoro e preposto da una responsabilità in concorso''.

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