1. Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività:
a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28;
b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: Premessa: la programmazione dei rischi e i compiti non delegabili del datore di lavoro - 1. Il dramma del datore di lavoro tra indelegabilità della valutazione dei rischi e incompetenza tecnica - 2. Indelegabilità anche nell'ambito di grandi imprese - 3. La nomina del RSPP - 4. Il terzo obbligo indelegabile del datore di lavoro - 5. Delegabile l'elaborazione del D.V.R.? .
``La vigente tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori risente della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi''.
Più sono i documenti in cui si mette a punto la programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale. Ma soprattutto tre rivestono un ruolo fondamentale: il documento di valutazione dei rischi (DVR), il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI), il piano di sicurezza e di coordinamento (PSC).
Ancora nessuno ne parla. Eppure, a maggior ragione dopo le leggi nn. 215/2021 e 85/2023, non è più il caso di mantenere il silenzio sul dramma del datore di lavoro quale garante di sicurezza. L'art. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008 ci guida nell'individuazione del datore di lavoro. Ed è agevole desumerne un dato basilare, ma chissà perché generalmente trascurato: nelle aziende, nelle società per azioni così come nelle imprese pubbliche, il datore di lavoro si individua a prescindere dal possesso di competenze tecniche. Eppure, spetta proprio al datore di lavoro l'obbligo indelegabile di valutazione dei rischi, e, dunque, due obblighi: l'obbligo di analizzare i rischi e individuare le misure di prevenzione contro tali rischi alla luce della ``migliore evoluzione della scienza tecnica'', e ``l'obbligo di individuare le misure idonee a contenere i rischi al massimo livello tecnologicamente possibile''. Domanda: come fa il datore di lavoro, e, cioè, un soggetto che non è necessariamente dotato di competenza tecnica, a conoscere la ``migliore evoluzione della scienza tecnica'', e il massimo livello tecnologicamente possibile? Certo, l'art. 29, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 tenta di agevolare il datore di lavoro, e prevede che egli effettui la valutazione dei rischi ed elabori il relativo documento in collaborazione con l'RSPP, oltre che con il medico competente. Ma la Corte Suprema ci ricorda:
``Il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 D.Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori; il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata''.
``La responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il RSPP, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio''.
``La redazione del documento di valutazione dei rischi, anche nei casi nei quali sia stata effettuata, esige poi l'adozione delle relative misure di prevenzione e, in ogni caso, ciò non esclude la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione''. (Conforme Cass. 23 maggio 2022 n. 20037).
``Il RSPP, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. In tale contesto, però, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 D.Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori''.
``Con riferimento agli infortuni che siano da ricollegare alla mancata valutazione del rischio ovvero alla mancata adozione delle misure previste nel relativo documento'', la Sez. IV rileva che ``la responsabilità deve essere configurata in capo al datore di lavoro'', e che il RSPP ``può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione faccia seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione''. Con riguardo al caso di specie, prende atto che ``l'infortunio è stato ricondotto causalmente ad una carente valutazione del rischio collegato alle mansioni svolte dal lavoratore dipendente'', e afferma che ``la valutazione del rischio è funzione tipica del datore di lavoro, non delegabile neppure attraverso il conferimento di una delega di funzioni ad altro soggetto e le eventuali carenze nell'attività di collaborazione alla redazione del DVR da parte del RSPP possono, al più, comportare una responsabilità concorrente, ma non esclusiva, di quest'ultimo''. (Conforme Cass. 18 settembre 2023 n. 37991).
``La mancata segnalazione da parte del RSPP delle criticità non poteva avere rilievo ai fini dell'esonero della responsabilità del datore di lavoro, posto che tutte le violazioni cautelari addebitate all'imputato ineriscono alla tipica funzione datoriale e all'area di rischio governata dal datore di lavoro. La responsabilità, conseguente alla posizione di garanzia del datore di lavoro, sussiste indipendentemente da eventuali segnalazioni relative a criticità provenienti da soggetti terzi, in quanto l'obbligo di attivazione è connaturato alla funzione esercitata''.
Datore di lavoro e R.S.P.P. vengono condannati per l'infortunio accaduto in un'acciaieria committente al dipendente di una s.r.l. appaltatrice del lavoro di registrazione e tamponamento delle porte di chiusura dei forni fino a sette metri di altezza rispetto alla passerella dell'impianto con impiego di piattaforme di lavoro elevabili: ``Responsabilità del datore di lavoro che ``ai sensi degli artt. 17 e 28 D.Lgs. n. 81/2008'', ha ``l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneità originaria o sopravvenuta - siano pericolosi per l'incolumità del lavoratore che li manovra''. E responsabilità ``in concorso'' del R.S.P.P. per non aver ``raccomandato al datore di lavoro verifiche periodiche sull'integrità delle catene, non avendo vigilato perché tali verifiche fossero compiute e non avendo predisposto un piano di lavoro e di sicurezza contenente previsioni in tal senso''.
``Il datore di lavoro, anche quando si avvale della consulenza di un RSPP, rimane titolare della posizione di garanzia, anche con riferimento alla valutazione dei rischi e alla elaborazione del DVR (tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omesso la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento)''.
``L'obbligo di valutazione del rischio grava unicamente sul datore di lavoro, soggetto esclusivo cui spetta il dovere di verificare quali pericoli comporti l'attività che egli organizza e per il cui svolgimento si avvale dei lavoratori, tanto che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, non lo esonera dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia''.
``Il RSPP ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell'individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti. Il datore di lavoro è responsabile anche delle eventuali negligenze del RSPP.''.
Un dramma per il datore di lavoro, ma un dramma per gli stessi lavoratori che non risultano effettivamente garantiti da un tal datore di lavoro. È vero che la Suprema Corte non è sempre rimasta insensibile alle difficoltà incontrate dal datore di lavoro nel concreto esercizio del ruolo di garante della sicurezza affidatogli, ed anzi in alcune sentenze ha aperto uno spiraglio difensivo al datore di lavoro sprovvisto di competenze specifiche. Già la celebre Cass. pen. 21 dicembre 2012 n. 49821 prospettò il ``caso del SPP che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche'', e affermò che, ``in situazioni del genere, pare ragionevole pensare di attribuire, in presenza di tutti i presupposti di legge ed in particolare di una condotta colposa, la responsabilità dell'evento ai componenti del SPP'', sotto pena altrimenti ``di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica''. Per mano del medesimo estensore, nel caso ThyssenKrupp, le SS.UU. pen. 18 settembre 2014, n. 38343 evocarono la responsabilità del SPPR ``che manchi di informare il datore di lavoro di un rischio la cui conoscenza derivi da competenze specialistiche'', e sottolinearono che ``una diversa soluzione rischierebbe di far gravare sul datore di lavoro una responsabilità che esula dalla sfera della sua competenza tecnico-scientifica''. Successivamente, Cass. pen. 11 febbraio 2019 n. 6381 ritenne irrilevante ``la circostanza che la valutazione dei rischi venga eseguita con il concorso di un soggetto portatore di competenze specifiche (il R.S.P.P.), assenti nel datore di lavoro'', spiegò che ``la valutazione dei rischi è atto imputato dal legislatore al datore di lavoro ed egli ne porta la responsabilità'', e tuttavia ammise che il datore di lavoro ``dia dimostrazione di aver fatto tutto quanto imposto dalla diligenza, dalla prudenza e dalla perizia - secondo gli standard a lui riferibili - per la verifica della correttezza dell'operato del RSPP''. Ma si tratta di un'apertura verso il datore di lavoro che non appare agevole cogliere nella linea prevalente in giurisprudenza.
``Tra gli obblighi del datore di lavoro non delegabili ex art 17 D.Lgs. n. 81/2008 neanche nell'ambito di imprese di notevoli dimensioni, rientra la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, necessaria per la redazione del documento previsto dall'art. 28 D.Lgs. n. 81/2008''. (Conforme Cass. 19 ottobre 2018, n. 47793).
A proposito della nomina del RSPP da parte del datore di lavoro, segnaliamo (oltre alla sentenza Giordano sub art. 31, par. 1):
``È il datore di lavoro ad essere il primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., in quanto garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro; è sempre il datore di lavoro che è tenuto alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Si tratta di obblighi non delegabili''.
E preziosi rimangono gli insegnamenti impartiti da:
Condannato ``per avere designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione una persona priva dei requisiti richiesti dall'art. 32, D.Lgs. n. 81/2008'', un datore di lavoro lamenta che ``l'art. 55, D.Lgs. n. 81/2008 punisce la mancata individuazione del responsabile del servizio e non la individuazione di persona priva dei requisiti previsti dall'art. 32 della medesima legge''. Asserisce che ``l'art. 4, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 indicava fra gli obblighi del datore di lavoro la individuazione di un responsabile `secondo le regole di cui all'art. 8', e fissava così una regola soggetta a sanzione ex art. 89 in caso d'inosservanza'', e che ``tale impostazione, che veniva rafforzata dalla previsione dell'art. 8-bis, introdotto dal D.Lgs. n. 195/2003, è stata invece abbandonata dal D.Lgs. n. 81/2008, espressamente rinunciando a introdurre nell'art. 55 il richiamo all'art. 32, che fissa i requisiti del responsabile, e limitando il rinvio al solo art. 17''. La Sez. III non è d'accordo. Ammette che ``la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 81/2008, agli artt. 55 e 17, presenta una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel D.Lgs. n. 626/1994''. Ma sottolinea che ``l'esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso''. Prende le mosse ``dalla circostanza che il testo contenuto nell'art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 626/1994, prevedendo condizioni soggettive assolutamente generali, si poneva in contrasto con gli obblighi di specificità dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8 dell'art. 7 della direttiva 12 giugno 1989, n. 89/391/CEE'', in quanto ``tale norma invitava gli Stati membri a precisare le capacità e le attitudini della persona incaricata della sicurezza e fu seguita dalla decisione con cui la Corte di Giustizia CE (sentenza 15 novembre 2001, causa C-49/00) condannò lo Stato italiano per essere inadempiente'' e ``con il D.Lgs. n. 195/2003 venne introdotto nel D.Lgs. n. 626/1994 l'art.8-bis, che poneva rimedio al deficit normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia''. Precisa che, ``in continuità con tale sviluppo legislativo, l'art. 32 del D.Lgs. n. 81/2008 (la cui rubrica reca `Capacità e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni') fissa al comma 2 quali sono gli specifici requisiti necessari `per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1'''. Ne ricava che ``risulta così inequivoco quali siano le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come responsabile, condizioni che la legge ritiene necessarie `per lo svolgimento' delle funzioni oggetto dell'incarico'', e che ``l'assenza dei requisiti soggettivi necessari rende la designazione inefficace perché incapace di offrire la necessaria e richiesta tutela agli interessi protetti, interessi che coinvolgono il diritto del lavoratore alla salubrità e sicurezza del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla salute''. A questo punto, la Sez. III prende in esame la disciplina sanzionatoria dettata negli artt. 55 e seguenti del D.Lgs. n. 81/2008. Chiarisce che ``il mancato richiamo all'art. 32 nella previsione dell'art. 55, comma 1, lettera b), non lascia dubbi circa il significato complessivo della fattispecie''. Spiega che ``l'art. 55, comma 1, lettera b), sanziona l'ipotesi che il datore di lavoro non provveda ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera b)'', e che ``tale ultima disposizione prevede la non delegabilità dell'atto di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi''. Osserva che ``si tratta di obbligo il cui rispetto deve essere valutato in relazione alle definizioni contenute nell'art. 2, comma 1, lettera g) e lettera l) della medesima legge'': ``la lettera l) definisce il `servizio di prevenzione e protezione dai rischi' come `l'insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interno all'azienda finalizzati' alla tutela dei lavoratori dai rischi; la lettera e) chiarisce che l'addetto a tale servizio è `persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'art. 32'''. ``Dall'insieme di queste disposizioni'', deduce che ``l'unico modo per il datore di lavoro di rispettare l'obbligo ex art. 17, comma 1, lettera b), è quello di incaricare una persona in possesso dei requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima legge, con la conseguenza che la nomina di persona inidonea comporta in radice la violazione dell'obbligo e deve essere considerata inefficace'', e che, dunque, ``in tali termini la violazione assume rilevanza ai fini dell'applicazione dell'art. 55 sopra ricordato''. Aggiunge che ``solo l'interpretazione qui adottata si presenta rispettosa della disciplina contenuta nella direttiva citata e dell'interpretazione che del regime comunitario ha dato, con efficacia vincolante, la Corte di Giustizia nella sentenza citata'', ``il che impone di considerare l'art. 55, D.Lgs. n. 81/2008 in continuità con la previsione degli artt. 4 e 8-bis e dell'art. 89 del D.Lgs. n. 626/1994''. E precisa che ``la valutazione in ordine alla inadeguatezza dei requisiti della persona incaricata della sicurezza deve essere particolarmente attenta e non spingersi, in una materia complessa come quella della formazione e della professionalità dell'incaricato, fino ad adottare criteri valutativi opinabili che rendano incerta l'applicazione della legge da parte dei suoi destinatari''.
``Secondo la Corte d'Appello l'amministratore è pure venuto meno all'obbligo di nominare un responsabile del servizio di prevenzione e protezione competente, giacché il soggetto nominato si è dimostrato persona priva di adeguata ed aggiornata competenza. Costui formò un documento di valutazione del rischio completamente inadeguato rispetto al quale l'imputato non effettuò alcuni controllo. Tale valutazione è con tutta evidenza saldamente fondata in fatto e conforme ai principi enunciati''.
Ultimamente, a sorpresa, la Corte Suprema segnala un terzo obbligo non delegabile del datore di lavoro in aggiunta ai due previsti dall'art. 17, comma 1, lettere a) e b), D.Lgs. n. 81/2008:
``Fonte primaria degli obblighi di sicurezza che fanno capo al datore di lavoro è il D.Lgs. n. 81/2008, il cui art. 17 individua tassativamente gli obblighi non delegabili del datore di lavoro, individuandoli: `a) nella valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'art. 28; b) nella designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi'. Il terzo obbligo non delegabile, cioè quello di vigilanza, viene ricavato dall'articolo immediatamente precedente che al comma 3 espressamente prevede che `la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite', mutando, in questo caso, il contenuto della situazione d'obbligo del datore di lavoro: da obbligo di adempiere personalmente a obbligo di vigilanza sull'attività del delegato''.
``Il terzo obbligo non delegabile, cioè quello di vigilanza, viene ricavato dall'articolo immediatamente precedente che al comma 3 dell'art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 espressamente prevede che `la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite''', mutando, in questo caso, il contenuto della situazione d'obbligo del datore di lavoro da obbligo di adempiere personalmente a obbligo di vigilanza sull'attività del delegato.
``Il datore di lavoro aveva individuato i fattori di rischio in questione; il fatto che la Corte di appello sostenga che di essi sia stata fatta `mera indicazione informativa' va analizzato sul piano delle misure adottate per la gestione di tali fattori ma non può logicamente oscurare la circostanza di una loro considerazione. La trasmissione di informazioni ne presuppone il possesso; nel caso di specie ciò significa che il datore di lavoro aveva individuato i rischi e le relative contromisure. È quindi manifestamente illogica l'affermazione della Corte di appello di una omessa valutazione del (dei fattori di) rischio specifico. Un vizio motivazionale che in realtà trae origine da un'erronea interpretazione della legge, la quale distingue tra valutazione dei rischi come attività di analisi, di giudizio e di disposizione e la elaborazione del documento che la rende ostensibile (come è dimostrato dalla indelegabilità della prima ma non della seconda. Il fatto che il documento non sia stato aggiornato non significa necessariamente che la valutazione non sia stata eseguita''.
Non che manchino gli argomenti a favore dell'interpretazione della legge messa sotto accusa a sorpresa da questa sentenza della Corte Suprema:
- l'art. 16, comma 1, ammette la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ``ove non espressamente esclusa''
- l'art. 17, intitolato obblighi del datore di lavoro non delegabili, al comma 1, lettera a), stabilisce che il datore di lavoro non può delegare ``la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28''
- l'art. 28, comma 2, lettera a), dispone che ``il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), redatto a conclusione della valutazione, deve contenere una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa'', e che ``la scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione''
- l'art. 29, comma 1, prevede che ``il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente''
- l'art. 55, comma 1, lettera a), punisce esclusivamente il datore di lavoro per la violazione dell'articolo 29, comma 1
- l'art. 55, commi 3 e 4, sanziona esclusivamente il datore di lavoro che adotta il documento ``in assenza degli elementi di cui all'art. 28, comma 2, lettere b), c) o d)'', e il datore di lavoro che adotta il documento ``in assenza degli elementi di cui all'articolo 28, comma 2, lettere a), primo periodo, ed f)''. Certo, anche nel caso esaminato da Cass. n. 3313 del 23 gennaio 2017, gli imputati avevano eccepito il valore solo `formale' del documento di valutazione dei rischi, nel senso che la sua palese incompletezza sarebbe stata nella sostanza `sanata' per effetto dell'attività di formazione e informazione di cui i dipendenti erano stati comunque destinatari. Ma allora la Sez. IV replicò che, sebbene il concetto di valutazione dei rischi debba essere inteso in senso sostanziale e non formale, tuttavia non è condivisibile l'assunto che tende a svilire il rilievo del documento di valutazione dei rischi, a fronte di un quadro normativo inequivocabile, che impone l'adozione di uno specifico atto scritto, con contenuti precisi, allo scopo di evitare qualsiasi incertezza sul punto).