1. I componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, gli artigiani e i piccoli commercianti devono:84
a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al titolo III, nonché idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al titolo IV;85
b) munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III;
c) munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.
2. I soggetti di cui al comma 1, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico hanno facoltà di:
a) beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'articolo 41, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
b) partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all'articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: 1. Imprese familiari e artigiane - 2. Lavoratori autonomi - 3. Coltivatori diretti .
Nell'occuparsi di un infortunio sul lavoro accaduto in un cantiere a un componente di un'impresa familiare, la Sez. IV richiamata gli artt. 3, comma 12, 21, 60 e 96 D.Lgs. n. 81/2008, e osserva: ``Le norme che il D.Lgs. n. 81/2008 dedica all'impresa familiare rendono evidente che essa è divenuta destinataria di talune previsioni, ma anche che l'ambito delle norme prevenzionistiche ad essa applicabili non corrisponde a quello degli altri lavoratori, risultando limitato dall'art. 21, al quale fa riferimento l'art. 3, comma 12. Non vi è una tutela ad ampio spettro ma ve ne è una specifica e peculiare nei contenuti, emergente dalla modulazione di un ridotto numero di doveri (utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III; munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al titolo III; munirsi di apposita tessera di riconoscimento qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto) e di facoltà (in tema di sorveglianza sanitaria e di formazione)''. L'obbligo di redazione del piano operativo di sicurezza previsto dall'art. 96, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 81/2008 sussiste anche per l'impresa familiare, e ciò a prescindere dal fatto che tale impresa non abbia lavoratori subordinati: ``non sembra sostenibile che l'impresa familiare sia tenuta alla redazione del POS solo se si avvale di lavoratori subordinati, quindi di soggetti non componenti dell'impresa familiare''. L'obbligo del POS fa capo al datore di lavoro, da individuarsi nel soggetto che nell'ambito dell'impresa familiare esercita i poteri decisionali e di spesa: ``se è vero che il titolare dell'impresa familiare non è per ciò stesso datore di lavoro, ciò non significa che una simile figura non sia rintracciabile tra i componenti dell'impresa familiare (titolare o meno; i poteri decisionali e di spesa saranno la guida per l'accertamento)''. Rimane a carico di ciascun componente familiare a norma degli artt. 3, comma 12, e 21, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 l'obbligo di munirsi dei dispositivi individuali di protezione eventualmente indicati come misura di sicurezza nel piano operativo di sicurezza: ``mentre in generale la valutazione dei rischi e la dotazione del lavoratore dei DPI compete al datore, nel ristretto ambito (dell'impresa familiare) la valutazione del rischio è ancora del datore ma è ciascun componente familiare che è tenuto a dotarsi del DPI individuato come misura antinfortunistica nel POS''.
Il titolare di un'impresa artigiana fu condannato per il reato di omicidio colposo in danno del figlio assunto quale collaboratore familiare e caduto da una scala priva dei piedi antisdrucciolo nel corso di lavori eseguiti presso un caseificio sociale. La Sez. IV, nel confermare la condanna, critica il «tentativo di addebitare alla vittima oneri che gravavano sul padre e datore di lavoro», ed esclude «il ragionevole affidamento che poteva riporre l'imputato nell'accortezza e prudenza del figlio (benché giovanissimo e assunto come collaboratore familiare artigiano da neanche un mese), negligendo di rammentare l'indefettibilità degli obblighi che comunque incombono sul datore di lavoro e titolare della posizione di garanzia».
Il caso riguarda un infortunio accaduto all'interno di un laboratorio di panetteria al figlio del titolare che, per togliere un residuo della lavorazione, inserì una mano in una impastatrice: il rullo ruotante agganciò la mano che subì trauma da schiacciamento. L'addebito mosso al titolare fu quello di aver consentito l'uso del macchinario privo di apparato di segregazione delle parti in movimento, nonché di microinterruttore di sicurezza. A propria discolpa, l'imputato lamenta che la vittima non prestava attività lavorativa nel laboratorio: «si tratta in realtà del figlio dell'imputato, che si trovava occasionalmente nei locali del laboratorio paterno senza che tuttavia vi svolgesse attività lavorativa; e che altrettanto occasionalmente ebbe ad intervenire sulla macchina impastatrice». Nel respingere il ricorso proposto avverso la sentenza di condanna, la Sez. IV ne trae spunto per individuare i lavoratori tutelati dalle norme di sicurezza. Prende atto che «il giovane lavorava sia tenendo la contabilità, sia saltuariamente prestando aiuto nel laboratorio». Precisa che «la disciplina legale e particolarmente il D.Lgs. n. 626/1994 tutela la sicurezza di tutte le forme di lavoro anche quando non sussista un formale rapporto di lavoro; e quindi anche con riguardo a chi collabora saltuariamente in un'impresa familiare». Spiega che «l'art. 2, D.Lgs. n. 626/1994, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 262/1996, innovando rispetto alla formulazione originaria della norma, pone l'accento, ai fini dell'individuazione della figura del datore di lavoro, non tanto sulla titolarità del rapporto di lavoro, quanto sulla responsabilità dell'impresa, sull'esistenza di poteri decisionali», e «fa leva, quindi, precipuamente sulla situazione di fatto: alla titolarità dei poteri di organizzazione e gestione corrisponde simmetricamente il dovere di predisporre le necessarie misure di sicurezza». Nota che «tale ordine concettuale si rinviene implicitamente, nello stesso richiamato art. 2, per ciò che riguarda la definizione della figura del lavoratore, caratterizzata, nel suo nucleo essenziale, dalla condizione di dipendenza, di subordinazione rispetto ad altri che assume su di sé la gestione della prestazione», e che «tale relazione di fatto determina l'applicabilità della disciplina di cui si discute». Sostiene che «questa configurazione dei ruoli e delle responsabilità all'interno dell'organizzazione del lavoro si rinviene pure nel T.U. per la sicurezza che ha compiuto una più estesa opera definitoria, senza tuttavia modificare significativamente i tratti delle figure indicate».
(Per il caso di infortunio occorso nel terreno di proprietà del suocero in cui va la vittima effettuava la mietitura Cass. 12 luglio 2012, n. 27957, sub art. 3, paragrafo 11).
Circa i lavoratori autonomi v. i precedenti richiamati sub art. 26 e nel Capo I del Titolo IV, nonché:
Il titolare di un'azienda fu condannato per omicidio colposo in danno di un lavoratore autonomo incaricato dell'installazione di una tubatura per l'aria compressa e caduto da una scala non ancorata, né trattenuta al suolo da altra persona. Colpa consistente nella violazione degli artt. 21 e 26, D.Lgs. n. 81/2008: non ``aver svolto alcuna preventiva valutazione su cosa sarebbe occorso per eseguire in sicurezza la prestazione richiesta'', e, in particolare, non ``aver fornito al lavoratore uno strumento adeguato (trabattello) per proteggerlo dal rischio di caduta, fornendogli invece una scala palesemente inadeguata per la realizzazione di un lavoro in altezza''. La Sez. IV rileva: ``L'imputato era nelle condizioni di prevenire il rischio generico, non essendo in discussione che egli sapesse del lavoro da compiersi nella sua azienda, sicché, a prescindere dal giorno alquanto particolare (ultimo dell'anno) di inizio dei lavori, quale soggetto garante, avrebbe comunque dovuto valutare, in via preventiva, le modalità di esecuzione in sicurezza del lavoro, stabilendo che cosa sarebbe stato necessario per la sua attuazione (un trabattello), ed avvisando in tal senso l'appaltatore. La tutela delle condizioni di lavoro e la garanzia delle sue condizioni di sicurezza rappresentano un problema che concerne l'ambiente di lavoro, indipendentemente dal rapporto civilistico del lavoratore con il titolare dell'impresa nei cui locali si svolge l'attività lavorativa. L'approntamento di misure di sicurezza, e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche, esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro. Il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. L'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 Cost., 2087 c.c. e 1, comma 1, legge n. 833/1978, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro''.
``Se è indiscutibile che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, il quale si avvalga di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro. L'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma. Per configurare la responsabilità del datore di lavoro, non occorre neppure che sia integrata la violazione di specifiche norme per la prevenzione degli infortuni, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure e accorgimenti che tutelano l'integrità fisica del lavoratore. Né l'obbligo del datore di lavoro si esaurisce nella adozione di misure antinfortunistiche spettando a questi anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori''.
``Il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia e di controllo dell'integrità fisica anche dei lavoratori autonomi operanti nell'impresa, poiché ai sensi dell'art.7 D.Lgs. n.626/1994 (ora art. 26 D.Lgs. n. 81/2008) è tenuto, tra l'altro, a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro. Sul lavoratore autonomo gravano precisi obblighi, quali in particolare quello di utilizzare dispositivi di protezione individuale ed attrezzature di lavoro connessi all'attività da svolgere Tuttavia, l'imprenditore che si avvale della sua opera, quale operaio specializzato inserito nella propria organizzazione di cantiere, deve garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro in cui l'opera viene prestata, fornire idonee attrezzature ed informarlo dei rischi esistenti, ravvisandosi, in caso di inosservanza di tali obblighi, una responsabilità colposa a suo carico. Ne deriva - in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro - che qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto di appalto o di un contratto d'opera, non per questo viene meno la responsabilità del committente per gli infortuni subiti dal medesimo, atteso che il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell'appaltatore o del prestatore d'opera, ovvero con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni'', (Conforme Cass. 10 marzo 2017, n. 11711).
Condannato per il reato di cui all'art. 108 D.Lgs. n. 81/2008 ``per avere omesso di predisporre le opere opportune, quali parapetti o barriere protettive, per impedire la caduta nel vuoto di lavoratori addetti al suo cantiere'', un datore di lavoro lamenta che, ``rivestendo la sua impresa la forma della ditta individuale, senza lavoratori dipendenti oltre allo stesso titolare, egli, con riferimento alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 81/2008 è equiparato al lavoratore autonomo e, pertanto, è soggetto solamente al rispetto di quanto previsto dagli artt. 21 e 26 del medesimo decreto legislativo''. La Sez. III ammette che, ``ai sensi dell'art. 3, comma 11, D.Lgs. n. 81/200, nei confronti del lavoratore autonomo si applicano le disposizioni contenute negli artt. 21 e 26 del citato decreto legislativo''. Però, aggiunge che ``il principio di cui sopra vale limitatamente alla ipotesi in cui il predetto lavoratore presti la sua opera con la esclusiva applicazione delle proprie energie personali e non anche nel caso in cui il medesimo, sebbene non dotato di una articolata struttura imprenditoriale, adibisca alla prestazione lavorativa altri soggetti, a prescindere dal tipo di rapporto lavorativo in base al quale i medesimi siano stati investiti dei loro compiti''. Prende atto che, nel caso di specie, l'imputato, ``in qualità di datore di lavoro responsabile della sicurezza della propria ditta individuale, aveva omesso le opportune cautele per evitare il verificarsi di incidenti sul lavoro al personale ivi operante''. E considera irrilevante ``il fatto che l'impresa dell'imputato sia organizzata in forma di ditta individuale, posto che la sua incontestata qualificazione come datore di lavoro di terzi lo obbligava alla predisposizione delle opportune misure per la prevenzione degli infortuni causalmente connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa''.
``L'obbligo del datore di lavoro [ma anche del committente] di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma. Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro. È di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi''.
L'amministratore di una s.r.l. viene condannato per omicidio colposo in danno di un lavoratore autonomo che aveva fatto montare su un tetto in vista dell'affidamento di lavori di manutenzione senza munirlo di cintura di sicurezza ed esigere, comunque, che se ne munisse, e precipitato al suolo a seguito di un cedimento. Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva: ``In materia di normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma. Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro. È di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Tale obbligo è di così ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato, o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi''.
«In materia di normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia e di controllo della integrità fisica anche dei lavoratori dipendenti dell'appaltatore e dei lavoratori autonomi operanti nell'impresa poiché ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008] è tenuto tra l'altro a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro. Nel caso in esame, l'attività di trasporto posta in essere dall'infortunato doveva qualificarsi come contratto d'opera ai sensi dell'art. 2222 c.c. In ogni caso va precisato che la normativa di cui al D.Lgs. n. 626/1994 si applica indifferentemente `a tutti i settori di attività privati o pubblici' (art. 1, comma 1). In materia di normativa antinfortunistica, l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che, nell'impresa, hanno prestato la loro opera in via autonoma. Se è indiscutibile, infatti, che il lavoratore autonomo ha l'obbligo di munirsi dei presidi antinfortunistici connessi all'attività autonomamente prestata, è altrettanto indiscutibile che sono a carico del datore di lavoro, che si avvale di un lavoratore della prestazione autonoma, da un lato, l'obbligo di garantire le condizioni di sicurezza dell'ambiente di lavoro ove detta opera viene prestata, e, dall'altro, quello di fornire attrezzature adeguate e rispondenti alla vigente normativa di sicurezza nonché di informare il prestatore d'opera dei rischi specifici esistenti sul luogo di lavoro. È di decisivo rilievo, in particolare, il disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale, il datore di lavoro, anche al di là delle disposizioni specifiche, è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell'impresa, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2. Tale obbligo è di cosi ampia portata che non può distinguersi, al riguardo, che si tratti di un lavoratore subordinato, di un soggetto a questi equiparato, o, anche, di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza. Infatti, secondo assunto pacifico e condivisibile, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l'altro, dovendolo desumere dal D.Lgs. n. 626/1994, art. 4, comma 5, lettera n) [ora art. art. 18, comma 1, lettera q), D.Lgs. n. 81/2008], che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro `prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno', dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa».
Sui coltivatori diretti v. Cass. n. 15333 del 19 maggio 2020, sub art. 3, paragrafo 11.