1. Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
2. In caso di locazione finanziaria di beni assoggettati a procedure di attestazione alla conformità, gli stessi debbono essere accompagnati, a cura del concedente, dalla relativa documentazione.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: 1. Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori - 2. Venditore di pezzi di ricambio - 3. Locazione finanziaria - 4. L'affitto di azienda - 5. Cessione di macchina non sicura a scopo di riparazione per la messa a norma - 6. Non punibilità per falsa testimonianza del costruttore di macchina insicura - 7. Il curatore fallimentare - 8. Il produttore di aeromobili - 9. Il costruttore di manufatti destinati a civile abitazione - 10. Il costruttore di giostre - 11. Il comodante - 12. Mascherine e marcatura CE - 13. Individuazione dei soggetti penalmente responsabili - 14. Noleggio .
Contrariamente a quanto ritenuto da alcuni commentatori, l'art. 23, D.Lgs. n. 81/2008 non collima con l'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994: in primo luogo, perché vieta la fabbricazione, la vendita, il noleggio, la concessione in uso di «attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali, impianti» (non più «macchine, attrezzature di lavoro, impianti»); e in secondo luogo, perché stabilisce il divieto in caso di non rispondenza «alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro» (non più in caso di non rispondenza «alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza»).
``Qualora un infortunio sia dipeso dall'utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione, senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta, non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi. Il costruttore infatti, in quanto titolare di una posizione di garanzia, risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza e sempre che l'utilizzatore non ne abbia fatto un uso improprio, tale da poter essere considerato causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento, a meno, quindi, che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Né rilevando, di per sé, la distanza temporale della condotta colposa rispetto all'evento da essa causato''. (Nel caso di specie, si è ritenuta la responsabilità del costruttore di una tavola da ponteggio ``tanto in relazione alla sussistenza di nesso causale tra il deficit strutturale della tavola da ponteggio, la sua rottura improvvisa e la morte di un operaio precipitato al suolo dal ponteggio, quanto all'incidenza dell'usura della saldatura sul collasso della tavola'').
``Il concedente/fornitore/finanziatore del macchinario utilizzato dalla ditta del datore di lavoro dell'infortunato è comunque diversa da quella di tale datore di lavoro. Nel caso, egli aveva ottenuto una perizia stragiudiziale che attestava la regolarità del macchinario dal punto di vista della normativa prevenzionistica; sicché, almeno formalmente, egli aveva adempiuto agli obblighi previsti dall'art. 23 D.Lgs. n. 81/2008, avendo fornito un'attrezzatura di lavoro rispondente `alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro'''.
Il legale rappresentante di una s.r.l. - condannato per il reato di cui all'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 - lamenta che ``la norma penale si indirizzava solamente a fabbricanti e fornitori delle macchine'', e che ``egli non rientrava quanto ai contestati paranchi in dette categorie, mentre non era invece prevista sanzione penale per chi provvedeva a concederli in uso (né era possibile un'interpretazione in malam partem)''. La Sez. III replica in via generale che ``i destinatari delle norme di cui agli artt. 2087 c.c., 23 e 24, D.Lgs. n. 81/2008 sono, rispettivamente, il datore di lavoro, coloro ai quali può imputarsi la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale ed impianti, e gli installatori e i montatori di impianti/attrezzature di lavoro o altri mezzi tecnici''. Osserva che ``l'art. 23, comma 1, indica le condotte vietate, mentre l'art. 57, comma 2, determina la sanzione''. Precisa che, ``se la fabbricazione indica l'attività di creazione delle attrezzature, dei dispositivi e degli impianti, la fornitura genericamente intesa ricomprende l'attività di tutti coloro che si intromettono nella circolazione di tali beni'', ``tant'è che l'art. 23 si occupa di `vendita', `noleggio' e `concessione in uso', mentre la norma sanzionatoria si richiama genericamente al `fornitore', che all'evidenza è appunto colui che `vende', `noleggia' ovvero `concede in uso' il bene''. Rileva come l'imputato, ``nella qualità di legale rappresentante della s.r.l., si sia comunque quantomeno intromesso nella circolazione delle attrezzature''. Con riguardo al caso di specie, nota che ``la stessa imputazione ebbe a contestare la `concessione in uso' delle attrezzature, laddove in particolare era rilevata la presenza di sei paranchi elettrici a catena, che svolgevano la funzione di sostenere in quota una struttura in elementi metallici tralicciati in cui erano a sua volta installati proiettori luminosi/sonori, privi del marchio di conformità CE previsto dalla normativa vigente''. E aggiunge che ``l'attrezzatura complessa non era costituita solamente dai paranchi, ma essi, ancorché dotati di conformità, facevano parte di un più complesso impianto che, invece e per le modalità realizzative, avrebbe dovuto essere sottoposto alle verifiche di legge'', ``tant'è che, l'originario produttore dei paranchi ne aveva inibito la messa in funzione nello stato in cui essi si trovavano, proprio in quanto si trattava di prodotto di per sé non pronto all'uso''.
Per l'infortunio occorso su una macchina stiratrice e piegatrice, sono condannati gli amministratori della società produttrice. L'infortunata, ``avvedutasi che un capo di vestiario era rimasto incastrato tra le fasce dei rulli della parte inferiore della macchina, senza spegnerla, girava la piccola farfalla di chiusura ed alzata la griglia di protezione con la mano sinistra cercava di rimuovere il capo, rimanendo incastrata fra i rulli con la mano destra, che veniva esposta ad una temperatura di oltre cento gradi''. La Sez. IV ne trae spunto per fornire più chiarimenti. Anzitutto, a dire degli imputati, ``in assenza di provvedimento amministrativo di ritiro dal mercato o di divieto di immissioni, assunto ai sensi dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 17/2010, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, il giudice non potrebbe ritenere non conforme il macchinario''. La Sez. IV non è d'accordo. Ed efficacemente osserva che, ``sebbene la valutazione sulla sicurezza della macchina oggetto del controllo da parte dell'organo amministrativo possa ritenersi sovrapponibile a quella che il giudice deve formulare nel processo, nondimeno, si tratta di due giudizi distinti, aventi finalità differenti, il cui esito è autonomo e non vincolante, non essendo in alcun modo previsto dal legislatore che l'accertamento giudiziale - cui si deve pervenire nel contraddittorio processuale - sia condizionato a quello amministrativo, o viceversa''. Inoltre, a propria discolpa, gli imputati richiamano ``le disposizioni della Direttiva Macchine, come recepita dal D.Lgs. n. 17/2010, pretendendo di evincere dalle regole fissate sull'arresto di emergenza (punto 1.2.4.3. dell'Allegato I), sui ripari fissi (punto 1.4.2.1 dell'Allegato I) e sul contenuto del manuale d'uso (punto 1.7.4.2), non tanto la conformità del macchinario, quanto l'esenzione dagli obblighi fissati''. Spiegano che ``il macchinario era dotato di doppi comandi di arresto, correttamente posizionati, il che lo rendeva conforme alla previsione'', e che ``la disposizione sui ripari fissi che impone che i medesimi non restino al loro posto in mancanza dei mezzi di fissaggio, è condizionata dalla `possibilità', con la conseguenza che essa è rimessa al costruttore''. Neanche in proposito la Sez. IV è d'accordo. Rileva che ``la condotta ascritta riguarda non la presenza o l'assenza di comandi di arresto di facile utilizzo, ma la possibilità di raggiungere la parte rotante del meccanismo, semplicemente svitando un dado ad alette, senza che il sollevamento della griglia di accesso blocchi il movimento''. Addebita agli imputati ``una lettura parziale del testo normativo, il cui significato va colto nello spirito della legge, che non è affatto quello di rimettere al costruttore l'adempimento all'obbligo di cautela, ma quello di adattare le precauzioni alla conformazione dei diversi macchinari''. Aggiunge che ``in questo senso va interpretata la premessa `se possibile' di cui al terzo alinea del punto 1.4.2.1. dell'Allegato I''. Sottolinea che gli imputati ``neppure allegano l'impossibilità di rispettare il disposto normativo in relazione alla conformazione e funzionalità dell'apparecchiatura, né danno conto di un diverso sistema sostitutivo atto ad impedire l'apertura della griglia''. Considera ``avulsa dallo spirito legislativo la pretesa di attribuire al semplice divieto, contenuto nel manuale d'uso, esaustivo significato esplicativo dell'utilizzo di un macchinario, quando la dettagliata previsione del capo 1.7 al punto 1.7.4.2., chiarisce alla lett. q) che deve essere indicato `il metodo operativo da rispettare in caso di infortunio o avaria; se si può verificare un blocco, il metodo operativo da rispettare per permettere di sbloccare la macchina in condizioni di sicurezza', informazione questa pacificamente mancante''. Ultima notazione: ``la responsabilità colposa del costruttore, che deriva dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, cioè dalla mancata predisposizione dei sistemi di sicurezza previsti dalla normativa di settore e da quelli che, in relazione alla singola apparecchiatura, si rivelino idonei ad evitare che l'uso del macchinario costituisca pericolo per colui che lo utilizza, può essere esclusa solo quando si provi che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura e di entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, o quando il macchinario sia utilizzato in modo del tutto improprio, tale da poter essere considerato, a sua volta, causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l'evento''. Con l'avvertenza che ``ciò non accade mai quando il macchinario viene usato per lo scopo che gli è proprio e per il quale è stato prodotto, perché lo strumento, il mezzo o l'apparecchiatura debbono consentire l'utilizzo in sicurezza da parte dell'utente, attraverso l'adozione degli accorgimenti che la tecnologia offre al fine di evitare il prodursi di un evento avverso, derivante dal meccanismo di funzionamento, e ciò indipendentemente dal fatto che colui che lo usa erri nell'utilizzo, o manchi di adottare le cautele previste, o sinanco cerchi di aggirarle, salvo che per farlo non modifichi significativamente la sua struttura, in modo non preventivabile dal costruttore''.
Infortunio a un impianto di confezionamento di prodotti da forno non conforme ai requisiti di sicurezza prescritti. La Sez. IV conferma la condanna del costruttore:``Il costruttore risponde, in quanto titolare di una posizione di garanzia, per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio. L'intera normativa comunitaria in materia è, oggi, attuata nell'ordinamento italiano con il D.Lgs. 27 gennaio 2010 n. 17 e, dal raccordo del complesso di tale normativa con il sistema prevenzionistico già in vigore, si è da tempo desunta un'anticipazione della soglia di tutela antinfortunistica al momento della costruzione, vendita, noleggio e concessione in uso dei macchinari, che implica il coinvolgimento della responsabilità del fabbricante per la mancata rispondenza dei prodotti alle normative di sicurezza. Anche il lamentato uso improprio del macchinario non può dare luogo ad un esonero di responsabilità ove non si dimostri che tale uso improprio sia stato da solo causa sufficiente a determinare l'evento. Pochi mesi dopo l'infortunio in questione intervennero i tecnici dell'Asl e constatarono che la macchina confezionatrice (acquistata nel 2002) era stata sottoposta a modifica tecnica poco dopo l'incidente da parte della società costruttrice. Più in particolare la costruttrice aveva installato una valvola pneùmatica di scarico rapido dell'aria che si accumulava nell'impianto e che secondo i tecnici dell'Asl aveva causato l'improvvisa ripartenza del compattatore. Nello specifico l'aria compressa mantenuta anche dopo che l'infortunata aveva premuto il pulsante di emergenza, era stata la fonte di energia che aveva permesso al compattatore di ripartire dopo che la vittima aveva rimosso l'ostacolo costituito dalla schiacciatina incastrata. Quello che rileva nel caso in esame è che, pur fermata la macchina, il compattatore è scattato indietro lo stesso, spinto dall'aria compressa che si accumulava nell'impianto durante il suo funzionamento. Proprio per rimediare a tale inconveniente la ditta costruttrice dei macchinari, dopo l'infortunio in esame, ha effettuato un intervento sulle macchine confezionatrici, installando una valvola pneumatica di scarico rapido dell'aria che si accumulava nell'impianto e che aveva causato l'improvvisa ripartenza del compattatore e quindi l'infortunio. Inoltre, data la frequenza con cui le schiacciatine si incastravano nelle macchine confezionatrici che si inceppavano, non si trattava certo di un intervento di manutenzione o riparazione della macchina per cui si dovesse chiamare il tecnico manutentore. La successiva installazione di una valvola pneumatica di scarico rapido dell'aria che si accumulava nell'impianto corrisponde proprio all'esigenza di evitare che il lavoratore addetto alla macchina, e quindi non solo il manutentore, fidando nel blocco di tutti gli elementi della macchina, in quanto isolata dalle fonti di energia, anche semplicemente avvicinandosi per errore, per distrazione, per togliere velocemente dal macchinario qualcosa che ostacoli il corretto funzionamento e per riprendere più in fretta il lavoro o per altri motivi attinenti alle mansioni affidategli, subisca un danno alla persona per l'improvviso e imprevisto movimento di un elemento della macchina per effetto della spinta dell'aria compressa ancora presente ed immagazzinata nella macchina. È evidente che il pistone pneumatico a doppio effetto che comanda lo spintone ha mantenuto l'energia (aria compressa), nella camera di ritorno del pistone, anche dopo che era stato premuto il pulsante di emergenza, energia che ha permesso, appunto, il ritorno del pistone nella posizione di riposo dopo che era stato rimosso il vincolo costituito dalla schiacciatina incastrata. Perciò la macchina era comunque priva dei presidi tecnici (pur successivamente installati) atti a prevenire infortuni simili a quello in parola''.
Il socio amministratore legale rappresentante di una s.n.c. costruiva e immetteva sul mercato una spazzolatrice non conforme alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Con la conseguenza che, nell'utilizzo della macchina all'interno di un magazzino, il titolare di una s.n.c. s'infortunava mortalmente in quanto investito alla testa da una forma di grana precipitata dalla scaffalatura. La Sez. IV conferma la condanna del costruttore della macchina per colpa consistita nella ``violazione dell'art. 23 D.Lgs. n. 81/2008 e della direttiva macchine 2006/42/CE in materia di movimentazione, arresto di emergenza, sicurezza dei sistemi di comando''. Rileva come ``la circostanza che la persona offesa fosse anche il titolare dell'azienda al cui interno avvenne l'infortunio è del tutto ininfluente'': ``Il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione e fornitura di una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza indipendentemente dal soggetto che la utilizza, poiché il divieto di fabbricazione e vendita fissato dalla norma e di carattere generale è assoluto, in quanto collegato al divieto di utilizzo di un macchinario non a norma. L'imprenditore-costruttore che costruisca una macchina industriale priva dei dispositivi di sicurezza non può invocare il principio dell'affidamento qualora l'acquirente utilizzi la macchina ponendo in essere una condotta imprudente, in quanto tale condotta sarebbe stata innocua o, comunque, avrebbe avuto conseguenze di ben diverso spessore, qualora la macchina fosse stata dotata dei presidi antinfortunistici. Quella macchina era nuova ed era stata consegnata all'acquirente poco più di due settimane prima dell'infortunio e l'attività di istruzione e formazione del personale si era svolta nel corso di quattro giorni, dedicati però anche all'installazione della macchina e alle prove di funzionamento. La presenza di certificati di conformità o di marcatura CE sulla macchina non esclude la responsabilità del costruttore, in quanto il marchio CE ha natura autocertificatoria (tanto che la sua presenza non esonera da responsabilità nemmeno chi acquista e utilizza un macchinario marcato CE)''.
Per l'infortunio a un braccio subito da una lavoratrice addetta a una macchina stiratrice-piegatrice industriale, fu imputato - oltre al proprietario della macchina e al datore di lavoro - anche il presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l. che aveva messo in commercio la macchina senza dotarla del necessario sistema di sicurezza.
``Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi. Il costruttore non risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza, se l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (per esempio, nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina)''. Nel caso di specie, ``la macchina in questione presentava in origine dei vizi, che compromettevano la sicurezza dei lavoratori addetti alle attività di stiratura e piegatura, anche e soprattutto in ragione della valutazione espressa dalla Azienda Sanitaria. La provenienza da un ente pubblico deputato a valutare il rispetto da parte dei costruttori di macchinari e dei datori di lavoro della normativa sulla sicurezza sul lavoro rende tale valutazione sicuramente più attendibile e fondata rispetto al narrato di testimoni, tra l'altro, legati da rapporti di lavoro alla società produttrice della macchina''.
Nel caso di specie, il costruttore, condannato anche al risarcimento nei confronti della parte civile INAIL, deduce violazione di legge in relazione alla direttiva del consiglio europeo n. 374/85 CE, recepita dagli artt. 118, 125 e 126 del codice del consumo, e richiama ``le norme del codice del consumo relative al difetto imputabile al produttore ed alla prescrizione e decadenza del diritto al risarcimento del danno, evidenziando l'avvenuta prescrizione e decadenza del diritto al risarcimento essendo decorsi oltre dieci anni dalla vendita al momento dell'incidente''. La Sez. IV ribatte: ``Le norme del codice del consumo trovano applicazione in sede civile e non valgono certamente ad escludere la responsabilità derivante da reato. La normativa richiamata dall'imputato attiene, infatti, ad altra fattispecie (il danno cagionato al consumatore che abbia acquistato un determinato prodotto), mentre nel caso in esame, l'imputato sotto il profilo civilistico risponde del danno cagionato all'infortunata e, per essa all'INAIL nel frattempo subentrato, mediante una condotta di rilevanza penale. La fonte della responsabilità, quindi, non è la violazione delle disposizioni del c.d. codice del consumo, ma la commissione di un illecito di rilevanza penale. Non può, dunque, ritenersi maturato il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno''.
Una s.n.c. affida in appalto a due cooperative lavori di manutenzione ordinaria e di pulizia di un impianto di selezione rifiuti solidi costruito da una s.r.l. e concesso in uso dalla s.n.c. alle cooperative. Un socio lavoratore di una delle due cooperative - distaccato presso il capannone dell'altra cooperativa e intento ad effettuare i predetti lavori su quell'impianto - s'infortuna: ``il braccio sinistro dell'uomo rimaneva incastrato in prossimità dell'inizio del secondo nastro trasportatore (tra il nastro e il rullo meccanico)''. Ai titolari della s.n.c. si addebita la violazione dell'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 per aver concesso in uso ai lavoratori delle cooperative un impianto di cernita e vaglio dei rifiuti solidi urbani non rispondente ai requisiti di sicurezza sul lavoro per mancanza della chiave di sicurezza sul quadro elettrico, di carter di protezione sul nastro trasportatore, di dispositivi supplementari per l'arresto in emergenza e mancanza di attrezzature idonee ai lavori di pulizia e manutenzione dell'impianto''. La Sez. IV osserva: ``I macchinari e gli impianti in genere devono essere conformi, non solo alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari, ma anche ai requisiti generali di sicurezza di cui all'Allegato V del TUSL e alle più avanzate conoscenze tecniche e scientifiche nello specifico campo. Chi rivesta posizioni di garanzia, non deve unicamente affidarsi ai marchi CE ovvero a qualsivoglia certificazione relativi all'utilizzo dei macchinari, ma ha l'obbligo di verificare scrupolosamente che questi ultimi non possano cagionare danni alla salute e alla vita dei lavoratori. L'impianto in questione aveva difetti costruttivi di palmare evidenza che potevano e dovevano essere rilevati sia dalla s.n.c., proprietaria dello stesso, sia dalla utilizzatrice cooperativa: erano infatti assenti gli indispensabili dispositivi automatici in grado di determinare il blocco automatico in caso di contatto e trascinamento accidentale dell'operatore. Sui proprietari dell'impianto gravava l'obbligo di adeguarlo alla migliore tecnica esistente, in particolare installando il dispositivo di blocco in prossimità del nastro trasportatore ed evitando di incidere sul funzionamento dell'inverter che era stato disattivato proprio su incarico della società proprietaria pochi giorni prima dell'evento mortale. I proprietari dell'impianto rivestivano una posizione di garanzia nei confronti degli utilizzatori dello stesso, in forza della quale i primi dovevano consegnare ai secondi un macchinario munito dei necessari presidi antinfortunistici, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali. La fonte normativa che viene qui in rilievo è l'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008''.
Per infortunio occorso su una macchina fu condannato il legale rappresentante di una s.r.l., ``per aver fabbricato ed immesso in commercio tale macchina non idonea sotto il profilo della sicurezza''. La Sez. IV rileva che la s.r.l., ``dopo la segnalazione al Ministero del lavoro, aveva applicato alla barra di protezione, in luogo della cortina flessibile, delle bandelle rigide che rendevano impossibile o comunque estremamente difficoltoso l'accesso con le mani al di sotto della barra stessa, e tanto dimostra, in via logica, che l'originaria struttura della macchina operatrice era certamente inidonea alla salvaguardia della sicurezza dei lavoratori, non disponendo di efficienti sistemi di protezione''.
``In ipotesi di lesioni personali derivanti da infortunio sul lavoro per effetto dell'uso di un macchinario, sussiste la responsabilità colposa anche del venditore del macchinario medesimo, in ipotesi di infortunio riconducibile alla inadeguatezza dei congegni antinfortunistici, ritenendosi irrilevante, a discolpa del venditore stesso, la presenza di una formale certificazione attestante la rispondenza del macchinario alle prescritte misure di sicurezza''.
``La s.r.l., di cui l'imputato era legale rappresentante, non solo ha realizzato la macchina curvatrice idraulica per metalli, ma, nella qualità di produttrice-venditrice della macchina in questione, ha in ogni caso omesso il necessario e dovuto controllo, prima della consegna alla s.r.l. acquirente, della rispondenza alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi. Infatti, una volta stabilito che un infortunio è dipeso da una carenza della macchina o dell'impianto addebitabile al costruttore, non si vede come possa negarsi che sussista, a norma dell'art. 40 c.p., un rapporto di causalità tra la condotta del costruttore e l'evento''.
``Il libretto di istruzioni (da considerarsi parte integrante del macchinario) consegnato dalla ditta produttrice, era gravemente lacunoso, posto che esso non riportava alcuna indicazione in ordine alle corrette procedure di carico e scarico dei cassoni nonché in ordine alle modalità di sblocco dei meccanismi di sicurezza dei portelloni, tali da evitare la violenta apertura dei medesimi con `effetto molla'. Risponde del delitto di omicidio colposo in danno dell'utilizzatore il costruttore-venditore di una macchina priva dei presidi antinfortunistici previsti dalla legge (tra i quali il corretto libretto di istruzioni), pur se l'acquirente faccia uso della macchina ponendo in essere una condotta imprudente, condotta che, ove la macchina fosse stata munita dei presidi antinfortunistici richiesti dalla legge, sarebbe stata resa innocua o, quanto meno, non avrebbe avuto quelle date conseguenze, e, dunque, non può confidare che ogni consociato si comporti adottando le regole precauzionali che deve adottare chi, rispetto a quel consociato e alla imprudente inosservanza della regole da quest'ultimo posta in essere, non si comporta come gli imponevano le regole precauzionali normalmente riferibili al suo modello di agente. Ciò vale anche per il costruttore-venditore di una macchina che non abbia posto in essere le condotte di prudenza, comune o specifica, richieste dalla legge, come l'esatta informazione dei rischi connessi all'uso di quella macchina, pur se l'infortunio si verifichi per un comportamento imprevedibile, abnorme, eccezionale, dell'acquirente della macchina, fatto salvo peraltro il concorso di colpa dell'acquirente stesso. Quanto alle istruzioni orali fornite allo stesso infortunato allorché - proprio lui - si era recato a ritirare il mezzo presso la produttrice, è fuor di dubbio che le iniziali delucidazioni fornite a chi si reca a prelevare il mezzo al più si affianchino, ma giammai possano sostituire, il regolare libretto d'uso. Le prime indicazioni, infatti, sono certamente utili, ma possono essere dimenticate, o travisate, o ricordate solo parzialmente, e possono essere incomplete o lacunose, ed è proprio ad ovviare a tali lacune che serve il libretto d'uso, che come già detto costituisce parte integrante ed essenziale della macchina e con la stessa deve essere consegnato. Se il libretto è gravemente insufficiente, non v'è modo di verificare se quanto appreso solo oralmente, e magari in modo incompleto o financo inesatto, sia conforme all'uso corretto''.
``Non può assumere alcun rilievo esimente la certificazione di conformità della macchina alla normativa antinfortunistica, ovvero la dichiarazione dell'utilizzatore di corretta installazione e di buon funzionamento, nonché la garanzia della presenza di tutti i dispositivi antinfortunistici, atteso che la dotazione di marchi di conformità non è in grado di esonerare il costruttore della macchina dagli ordinari principi in materia di responsabilità penale per colpa, soprattutto allorquando, come nel caso in specie, sia risultato una obiettiva e macroscopica inidoneità del mezzo di protezione. Né un tale esonero di responsabilità penale può essere ricondotto alla presa in consegna del macchinario da parte dell'acquirente, semmai costituendosi, a seguito della presa in consegna, una ulteriore posizione di garanzia dell'acquirente, relativa alla manutenzione del dispositivo e alla periodica verifica di conformità e di adeguatezza del bene, posizione di garanzia che è stata esclusa nel caso in specie, atteso che l'infortunio risulta ricondotto dai tecnici della ASL a un vizio strutturale dello stesso dispositivo, sia in termini di solidità e di resistenza alle pressioni, sia in termini di altezza rispetto al piano lavoro''.
In uno stabilimento balneare, una bambina di quattro anni, entrata accidentalmente in contatto con la carcassa di un videogioco in tensione per il distacco volontario mediante recisione di un cavo interno di alimentazione dovuto a precedenti ed inadeguati interventi di manutenzione, veniva percorsa da una elevata corrente di guasto e rimaneva, quindi, folgorata, ``tanto per il mancato funzionamento dell'impianto di messa a terra - che non poteva operare in quanto il relativo cavo di collegamento all'interno del videogioco era stato precedentemente reciso per superare un difetto di funzionamento del videogioco - quanto per la mancanza di un adeguato interruttore differenziale capace di rilevare l'anomalia ed interrompere il circuito elettrico, mettendolo in sicurezza''. Per giunta, un uomo, nel tentativo di soccorrere la bambina, veniva percorso da una forte scarica elettrica, riportando parestesie da elettrocuzione a carico degli arti superiori ed inferiori. Per omicidio e lesione personale colposi commessi con più violazioni della normativa antinfortunistica, furono condannati sia la titolare dello stabilimento balneare utilizzatrice del videogioco, sia il titolare di una ditta esercente il noleggio di videogiochi proprietario e manutentore del videogioco in questione. Nel confermare la condanna, la Sez. IV rileva che gli imputati, ognuno per il proprio ambito, non hanno ``ottemperato all'obbligo di impedire che le macchine e i loro impianti elettrici costituissero una fonte di pericolo per gli utenti, così dando vita a cause colpose indipendenti il cui concorso ha provocato la folgorazione e la morte della piccola''. Osserva, in particolare, che il soggetto proprietario e manutentore del videogioco ``doveva non solo consegnare delle macchine esattamente funzionanti e sicure, ma doveva anche garantire che rimanessero tali''. Considera irrilevante che il comune avesse rilasciato il certificato di agibilità, che non riguarda gli impianti elettrici e non presuppone alcun controllo degli stessi. Insegna che ``l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti del lavoratore subordinato e dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area della loro operatività''. Spiega che ``la normativa antinfortunistica violata da entrambi gli imputati, proprio per la peculiarità dell'attività da loro prestata, deve intendersi diretta alla tutela sia dei lavoratori sia alle persone che, necessariamente, per il tipo di attività destinata all'utenza indiscriminata, vengono a contatto e con le macchine elettriche e con gli impianti elettrici'', e che ``tanto vale sia per l'attività del proprietario-manutentore, dovendosi pensare che la messa a terra tutela anche, ad esempio, il lavoratore che svuota la gettoniera, venendo a contatto con le parti metalliche, oltre che, ovviamente, l'utente che va a giocare con il videogioco, sia per l'attività della titolare del lido, il cui stabilimento e i cui impianti elettrici devono essere a norma di legge sia per tutelare i lavoratori impiegati nel lido e sia i clienti dello stesso''.
``Il costruttore di una macchina risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza (obbligo su di lui incombente per il disposto dell'articolo 23, comma 1, D.Lgs n. 81/2008). L'unica eccezione è quella dell'utilizzatore che risulti avere compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (per esempio, nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina). Se ciò non si verifica, si ha, quindi, una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso causale con l'evento, sempre che, ovviamente, quell'evento sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina In questa prospettiva, risulta evidente l'irrilevanza, per escludere la responsabilità del costruttore, di eventuali comportamenti colposi addebitabili al soggetto onerato del progetto del macchinario e dell'utilizzatore della macchina''. (Conforme, in rapporto all'ipotesi di trasformazione della macchina da parte dell'utilizzatore Cass. 30 maggio 2017, n. 22701).
La Sez. IV conferma la condanna del venditore di una macchina per l'infortunio subito dal dipendente della ditta acquirente: ``L'assenza di prescrizioni specifiche per la costruzione del carrello su cui era posta la pressetta non implica, di per sé l'assolvimento da ogni obbligo del costruttore se risulti che il suo uso costituisca un rischio per la sicurezza dei lavoratori. La ditta datrice di lavoro aveva commissionato alla s.r.l. dell'imputato non solo la pressetta ma anche la base di appoggio. Sebbene ne sia menzionata l'esistenza, non è fornita alcuna descrizione di essa, né illustrata la funzionalità: tutte le indicazioni del libretto sono infatti riferite alla macchina, in sé, alla sua corretta installazione, alle modalità di utilizzazione ed ai rischi connessi, e alle prescrizioni di sicurezza da adottare al riguardo. Un'ultima sezione, sempre riferita alla pressetta, è dedicata al `trasporto' di essa, e, si badi bene, non `spostamento', laddove si indica che la pressetta sia appoggiata su un pallet (mezzo del tutto diverso dal supporto di cui trattasi) a norma europea e fissata allo stesso tramite cinghie o regge. Il tecnico certificatore ha dichiarato di aver ricevuto l'incarico dall'imputato, dopo aver visionato la macchina, di certificare la pressetta, precisando che non gli era stato commissionato, e non era stato, quindi, effettuato, il controllo del supporto con ruote su cui la macchina era posta. A suo dire, l'imputato aveva confidato nella diligenza dell'amministratore della s.r.l., autorizzata ai sensi dell'art. 11 del D.Lgs. n. 17/2010 a svolgere l'attività di certificazione di corrispondenza delle macchine utensili ai parametri CE, e nessun profilo di negligenza può essere individuato nella condotta dell'imputato nella scelta dell'incaricato della certificazione della macchina. Il principio dell'affidamento, quale possibilità di esonero da responsabilità colposa, non può essere invocato nel caso di specie, tenuto conto che il contenuto del libretto di istruzioni e delle dichiarazioni del tecnico escusso, conducono ad escludere che la valutazione dei rischi e la idoneità del supporto siano stati oggetto di positiva considerazione da parte di esso certificatore. Era onere dell'imputato, una volta che aveva venduto la pressetta munita di supporto, avvisare il cliente che, oltre a fissarla al supporto, quest'ultimo non era idoneo per un trasporto della macchina in quanto munito di ruote piroettanti adatte solo a piccoli spostamenti. L'incidente non può ritenersi causato da un uso improprio della macchina che il fornitore non poteva prevedere, poiché la consegna di un supporto mobile, munito di ruote del tipo piroettante, non poteva avere altro senso se non quello di rendere mobile il complesso pressetta-supporto, a meno che, se tale non era la funzione del supporto con ruote, non avesse avvisato il fruitore dei rischi collegati ad un uso improprio del supporto''.
Ove si determini un infortunio, l'utilizzazione della macchina o dell'impianto non conforme alla normativa antinfortunistica da parte dell'imprenditore non fa venir meno il rapporto di causalità tra l'infortunio e la condotta di chi ha costruito, venduto o ceduto la macchina o realizzato l'impianto. Tutto ciò, ovviamente, si confronta con il principio secondo il quale l'obbligo giuridico di facere o di non facere presuppone la conoscenza o almeno la conoscibilità, con la diligenza richiesta all'agente modello, della situazione tipica che attiva ed attualizza l'obbligo medesimo. Il venditore deve essere stato nella condizione di poter riconoscere la non conformità della macchina; diversamente si porrebbero le basi per un addebito a titolo di responsabilità oggettiva. La conoscibilità della quale si sta parlando non può essere ritenuta preclusa dall'attestazione di conformità rilasciata dal produttore. L'apposizione del marchio di conformità ha natura certificativa e non esonera alcun ulteriore debitore di sicurezza dall'osservanza della normativa antinfortunistica. L'impianto normativo, con la previsione di una rete di posizioni di garanzia, nessuna delle quali ha valenza sottrattiva, prelude all'ipotesi di un concorso di condotte trasgressive, ove ciascuno dei garanti abbia omesso di compiere quanto gli è specificamente richiesto. Proprio perché il sistema di tutela è articolato sul principio dell'apporto, non vi può essere alcun affidamento sulla valenza risolutiva del comportamento del garante che è intervenuto in un tempo anteriore. Rimane quindi confermata l'esistenza del solo limite della conoscibilità della difformità prevenzionistica del macchinario».
«Il termine `impianto' ricomprende qualsiasi struttura che si renda necessaria allo svolgimento di qualsivoglia attività».
L'amministratore unico di una società costruttrice di un macchinario - condannato per l'infortunio subito da un lavoratore adibito a tale macchinario - sostiene a propria discolpa che «la responsabilità del `fabbricante' non poteva essere affermata nel caso in cui la costruzione del macchinario sia stata affidata ad un progettista, a sua volta titolare di autonoma posizione di garanzia». Nel confermare tale condanna, la Sez. IV considera «indubitabile la posizione di garanzia del costruttore della macchina, che non è esclusa di per sé da quella [in ipotesi concorrente] del progettista e dello stesso datore di lavoro che il macchinario impieghi». Spiega che «il costruttore di una macchina risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza».
Mentre effettua giri di prova per una gara alla guida del suo kart, il conducente, a causa della mancata risposta dell'impianto frenante del mezzo, nel momento in cui si trova ad affrontare una curva del percorso, perde il controllo del mezzo e urta violentemente contro una pila di gomme per poi ricadere sul lato opposto della pista. Per il delitto di lesione personale colposa viene condannato l'amministratore delegato della società fornitrice del ferodo, sul presupposto che l'incidente si era verificato per lo scollamento dall'impianto frenante del ferodo stesso in quanto difettoso. Nel richiamarsi all'abrogato art. 7, D.P.R. n. 547/1955 [v. ora art. 23, D.Lgs. n. 81/2008], la Sez. IV considera «pacifico che colui che vende un pezzo di ricambi è tenuto a garantirne la piena conformità alle norme di sicurezza e risponde degli incidenti che siano conseguenza di un loro difetto».
Per l'infortunio occorso a una macchina fustellatrice pneumatica concessa in locazione finanziaria da una s.r.l. a un'azienda e poi ceduta da questa azienda in comodato d'uso ad altra s.r.l. datrice di lavoro, furono condannati in cooperazione colposa i rispettivi rappresentanti legali per colpa consistita nella violazione dell'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. Pur annullando la condanna del concedente in locazione finanziaria per intervenuta prescrizione, ma rigettandone il ricorso agli effetti civili, la Sez. IV così conclude un'ampia analisi del caso: ``Nessun affidamento poteva riporre l'imputato, cui competeva la gestione del rischio sulla sicurezza del macchinario posto in commercio, né sulla precedente utilizzazione del medesimo da parte di altri operatori del settore, né sull'acquisizione del manuale di istruzioni, né sulla conformità attestata dalla perizia giurata del 1996, né sulla certificazione di un ingegnere, né infine, sulla mancata adozione di diverse misure di contenimento del pericolo da parte di produttori di apparecchiature similari. E ciò perché la disposizione di cui al punto 6.1 della parte I dell'Allegato V del D.Lgs. n. 81/2008 impone proprio al gestore del rischio - e quindi anche al rivenditore o al locatore finanziario ai sensi dell'art. 23 D.Lgs. n. 81/2008 - su cui incombe l'obbligo di acquisire le conoscenze necessarie, di adottare le misure idonee a prevenire il rischio derivante dal moto del macchinario''.
Il legale rappresentante di una s.p.a. fu dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 per aver «ceduto in locazione finanziaria a una s.r.l. una lucidatrice non conforme ai requisiti essenziali di sicurezza di cui all'allegato I del D.P.R. n. 459/1996, in quanto il dispositivo di interblocco consentiva l'apertura dal riparo mobile dei rulli quando gli stessi, per effetto della forza di inerzia, erano ancora in movimento e mancava un dispositivo di protezione dei rulli sulle zone laterali della macchina». E a propria discolpa rilevò che «la macchina era stata acquistata nell'aprile del 1997 previo rilascio dal parte della ditta venditrice dell'attestato di conformità della stessa alle disposizioni regolamentari vigenti all'epoca della costruzione (anno 1992)», e che, «quindi, nessun addebito gli poteva essere mosso anche perché, trattandosi di macchina prodotta nel 1992, era priva del marchio CE introdotto solo con il D.P.R. n. 459/1996», né «si poteva escludere che la macchina durante il lungo periodo in cui era rimasta presso l'azienda dell'utilizzatore potesse essere stata manomessa con l'eliminazione degli originari meccanismi di protezione». In proposito, la Sez. III chiarisce che «il reato in questione si consuma al momento della fabbricazione o della consegna all'utilizzatore»; e che «il reato contestato non è venuto meno a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008 perché la norma originariamente contestata (art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994, abrogato dall'articolo 304 del D.Lgs. n. 81/2008) è stata sostituita dall'art. 23 del predetto decreto legislativo». Precisa poi che «sia la norma abrogata che l'art. 23 del D.Lgs. n. 81/2008 prevedono una pluralità di garanti della sicurezza»: sicché «rimangono fermi anche sotto il vigore del D.Lgs. n. 81/2008 gli insegnamenti impartiti da questa Corte in tema di pluralità di garanti della sicurezza in base ai quali, se sono presenti più titolari della posizione di garanzia relativamente al rispetto della normativa antinfortunistica sui luoghi di lavoro, sia pure sotto diverse angolazioni, ciascuno deve ritenersi per intero destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento». La conclusione è che «il fornitore o l'installatore deve controllare che il fabbricante abbia effettivamente osservato le prescrizioni imposte».
Il legale rappresentante di una s.r.l. fu condannato per il «reato di cui all'art. 91 in relazione all'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [oggi previsto dagli artt. 57 e 23, D.Lgs. n. 81/2008] per avere concesso in noleggio ad altra s.r.l. macchinari non rispondenti ai requisiti di sicurezza previsti dalla legge», sul presupposto che «i macchinari noleggiati nel contesto di un contratto d'affitto d'azienda erano datati nel tempo, avevano caratteristiche non in linea con gli standard di sicurezza previsti dalla legge difettando di comandi di blocco o di doppi comandi oppure di strumenti di protezione rispetto al corpo dell'operatore», e sull'ulteriore presupposto che sussiste «continuità normativa tra le disposizioni contenute negli artt. 6, comma 2, e 91, D.Lgs. n. 626/1994 e quelle di cui agli artt. 23 e 57, D.Lgs. n. 81/2008».
A sua discolpa, l'imputato deduce che «la condotta tenuta non è consistita nel noleggio di macchinari, ma nell'affitto dell'intera azienda».
Nell'annullare la sentenza di condanna perché il fatto non sussiste, la Sez. III prende le mosse dalla lettura delle disposizioni in materia: «l'art. 6, D.Lgs. n. 626/1994 poneva l'obbligo di rispettare i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute ai progettisti, ai fabbricanti, ai fornitori e agli installatori al momento delle scelte progettuali e tecniche di dispositivi di protezione rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nella legislazione vigente, e vietava (al comma 2) la vendita, il noleggio, la concessione in uso e la locazione finanziaria di macchine, attrezzature di lavoro e d'impianti non rispondenti alla legislazione vigente»; «l'art. 23, D.Lgs. n. 81/2008, che si pone in rapporto di continuità normativa con la suddetta disposizione, avente titolo `Obblighi dei fabbricanti e dei fornitori', vieta la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature e impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e di sicurezza sul lavoro, mentre l'art. 57 del più recente decreto sanziona le violazioni dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori». Prende atto che, «nella specie, è stata contestata la concessione in noleggio di macchinari non rispondenti ai requisiti di sicurezza, ma, all'evidenza, l'ipotesi criminosa non si attaglia alla condotta descritta nell'imputazione stante che l'imputato non rientra nel novero dei soggetti indicati nelle suddette norme». E spiega che «si è trattato della concessione in affitto di un'intera azienda, e, quindi, non sussiste l'ipotizzato noleggio di singoli attrezzi (un trapano, una pressa, una foratrice e una fresa)». (V., sub art. 2, paragrafo 20, Cass. n. 4622 del 31 gennaio 2018).
``L'unica ipotesi in cui il divieto di vendita di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e sicurezza sul lavoro non opera è quello in cui detta vendita sia effettuata per un esclusivo fine riparatorio in vista di una successiva utilizzazione degli stessi, una volta ripristinati e messi a norma''.
Il rappresentante legale di una s.a.s. vende a una s.r.l. una fresatrice non corrispondente alle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. Condannato per la violazione dell'art. 23, D.Lgs. n. 81/2008, sostiene a sua discolpa che «il macchinario ceduto era, in realtà, destinato ad altra società con la specifica - ed unica - finalità di essere assoggettato a riparazione da quella società onde poi essere messo in commercio in condizioni di sicurezza». Ma il giudice di merito non è d'accordo, in quanto considera «la tesi difensiva non aderente al dettato normativo che postula una tutela anticipata del bene-sicurezza al momento della costruzione e/o vendita, noleggio, concessione in uso del macchinario», e, quindi, «il momento consumativo del reato si perfeziona all'atto di una di dette circostanze (costruzione, vendita, etc.)». La Sez. III premette che «trattasi di una norma non di certo nuova, posto che già in passato esisteva apposita previsione normativa (art. 7, comma 1, D.P.R. n. 547/1955, intitolato `Produzione, vendita e noleggio per il mercato interno'), secondo la quale `sono vietate dalla data di entrata in vigore del presente decreto [D.P.R. n. 547/1955] la costruzione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di parti di macchine, di attrezzature, di utensili e di apparecchi in genere, destinati al mercato interno, nonché la installazione di impianti, che non siano rispondenti alle norme del decreto stesso'». Ricorda che «il successivo art. 6, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 626/1994 (intitolato `Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori') ha, a sua volta, previsto nel comma 2 che «sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di macchine, di attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza'». Afferma che, «già sotto il vigore del D.Lgs. n. 626/1994 si era posto il problema dei rapporti tra l'art. 7 del menzionato D.P.R. n. 547/1955 e l'art. 6, comma 2, del detto D.Lgs. n. 626/1994: problema che la giurisprudenza di questa Corte aveva risolto nel senso di ritenere la disposizione di cui all'art. 7 speciale rispetto all'art. 6 del D.Lgs. n. 626/1994, che aveva una portata più generale intendendo assicurare il rispetto di tutte le norme di legge e regolamentari, mentre la norma di cui al citato D.P.R. prescriveva esclusivamente l'obbligo per il fabbricante o venditore o concedente in uso di rispettare il D.P.R. n. 547/1955», donde «la ritenuta specialità della disposizione di cui all'art. 7 citato, nient'affatto abrogata dalla nuova disciplina del 1994, ma pienamente applicabile». Ciò premesso, la Sez. III afferma che «il raffronto tra il testo dell'art. 7, D.P.R. n. 547/1955 e l'art. 23 del D.Lgs. n. 81/2008 consente di pervenire agevolmente alla conclusione della continuità normativa, stante l'identità del contenuto precettivo, fermo restando il diverso regime sanzionatorio aumentato nel tempo, ma senza alcuna abrogazione implicita della precedente normativa». Si chiede poi «se il concetto di vendita come esplicitato nell'art. 23 più volte citato debba interpretarsi in modo assoluto, come divieto di messa in commercio o in circolazione di macchina non a norma, ovvero possa subire un qualche temperamento in chiave derogatoria laddove la vendita venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione, una volta ripristinata e messa a norma». E fornisce una risposta positiva, «a condizione, però, che si accerti in concreto quali siano le condizioni di vendita; i soggetti parte dell'atto e gli obblighi gravanti sia sul venditore che sul diretto destinatario, nonché il ruolo da questi esercitato (se, cioè, autorizzato a mettere a sua volta in circolazione il macchinario una volta riparato, ovvero a riconsegnarlo al venditore che potrà poi venderlo a terzi per un utilizzo sul mercato)». Asserisce che, «se la cessione del macchinario non a norma è effettuata unicamente con il proposito di non metterlo in circolazione ma di affidarlo ad un soggetto (il cessionario) per la riparazione, la previsione normativa non potrà più trovare applicazione». Considera «un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale, quello che sta alla base della norma, nel senso che, fermo restando che è vietato l'impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell'impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell'ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (l'utilizzo), laddove quest'ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinarlo presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all'origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione». E nell'annullare con rinvio la sentenza di condanna, affida al nuovo giudice il compito di «verificare in concreto quali fossero le modalità della vendita e se in effetti la ditta cessionaria svolgesse o meno attività di riparazione e riposizionamento a norma di macchinari non in regola secondo le prescrizioni antinfortunistiche del mercato interno».
Proprio da questa sentenza trae spunto l'Interpello n. 1 del 20 dicembre 2017 della Commissione Interpelli per affermare che ``gli artt. 23 e 72 del D.Lgs. n. 81/2008 e successive modificazioni, nel vietare la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuale o impianti non conformi alla normativa tecnica, intendono perseguire la finalità di anticipare la tutela della salute e dell'integrità fisica dei lavoratori, garantendo l'utilizzo unicamente di quei beni conformi ab origine ovvero di quelli preventivamente adeguati alla normativa'', e che ``la circolazione di attrezzature di lavoro, di dispositivi di protezione individuale ovvero di impianti non conformi, senza alcuna previsione di utilizzazione, ma con esclusivo e documentato fine demolitorio ovvero riparatorio per la messa a norma, così come la mera esposizione al pubblico, non ricadono nell'ambito di applicazione delle disposizioni normative citate, in considerazione della relativa ratio legis''.
L'imputato viene condannato per falsa testimonianza resa nell'ambito di un procedimento penale avente ad oggetto un infortunio occorso su una macchina da lui stesso costruita per conto dell'azienda datrice di lavoro dell'infortunato. E a propria discolpa deduce che «la condotta del teste era ampiamente giustificata dal timore di rivelare di avere lavorato in nero».
La Sez. accoglie il ricorso. Osserva che «l'imputato è la persona che per conto della s.r.l. aveva costruito e montato il carter, non conforme alle prescrizioni, la cui installazione aveva poi dato luogo all'infortunio». Ne desume che l'imputato «non poteva essere assunto come teste nel processo avente ad oggetto l'accertamento dell'infortunio, giacché la sua deposizione avrebbe potuto comportare il suo coinvolgimento nel reato». Spiega che, «in base al principio `nemo tenetur se detegere', costui non avrebbe potuto rendere una deposizione diversa da quella resa nel giudizio relativo all'infortunio, onde nei suoi confronti è applicabile l'esimente di cui all'art. 384, comma 1, c.p.».
Tutto da esplorare è il tema relativo alla responsabilità penale del curatore del fallimento in caso di vendita ovvero in caso di affitto nel quadro normativo segnato dal D.Lgs. n. 81/2008 (in particolare, agli artt. 23, 57, 72, 87).
Durante una manovra acrobatica detta «tonneau», un aliante precipitò, e le due persone a bordo persero la vita. Di omicidio colposo fu accusato il presidente del consiglio di amministrazione della società produttrice, in quanto dai calcoli e dalle indagini svolte era emerso un difetto di progettazione e costruzione dell'aliante imputabile al costruttore, per non aver tenuto conto della necessità di adeguare la resistenza della fusoliera ai maggiori carichi derivanti dalla idoneità dell'aliante al volo acrobatico. Nel respingere il ricorso dell'imputato, la Sez. IV osserva: «L'omologazione non è che un titolo abilitativo, una certificazione di conformità di un ente pubblico che di per se stessa non può valere ad esonerare il costruttore inosservante alle norme cautelari esistenti e conosciute all'epoca della progettazione. Il mero rispetto di norme tecniche non è sufficiente per escludere la colpa ogni qual volta l'evento sia ascrivibile ad inosservanza di altre norme non codificate ma pure riconosciute nella comunità di cui l'agente fa parte e che avrebbero potuto e dovuto assicurare una maggior sicurezza e prevenire eventi che il mero attenersi alle norme codificate non sarebbe stato in grado di evitare. Il rispetto di norme finalizzate ad ottenere autorizzazioni, omologazioni, certificazioni pubbliche non garantisce di per sé il costruttore dal riconoscimento di una sua inadeguatezza professionale e dal rischio che un dato evento possa essere ascritto ad inosservanza di altre norme di cautela o anche al solo mancato costante aggiornamento del prodotto alla evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecniche, soprattutto in un campo ad altissimo rischio quale quello delle costruzioni aeronautiche. L'argomento statistico sul rilievo dell'elevato numero di alianti dello stesso modello prodotti e venduti dall'azienda dell'imputato, senza che si fossero verificati incidenti, è inconferente in relazione alle accertate carenze della progettazione e della costruzione rilevanti in particolare nelle situazioni limite di sovraccarico, situazioni rare che effettivamente si collocano nel range marginale della frequenza statistica, ma di cui comunque doveva tenersi conto, dovendo il velivolo resistere al 100% anche alle condizioni di volo più dure, anche eventualmente aggravate da fattori occasionali ed imprevedibili alle quali la struttura avrebbe dovuto essere in grado di resistere fino a concorrenza di un fattore di aggravamento del peso di 1,5 (c.d. coefficiente di sicurezza o carico di robustezza, fissato dall'esperienza della ingegneria aeronautica quale elemento convenzionale). Intorno al tema della `delega delle funzioni' ed alla circostanza che la progettazione dell'aliante sarebbe stata interamente demandata ad altri, va premesso che il tema della `delega delle funzioni' sviluppato dalla giurisprudenza in materia soprattutto di infortuni sul lavoro, è inconferente rispetto alla imputazione in concreto mossa all'imputato la cui responsabilità è stata riconosciuta quale costruttore dell'aliante. È indubitabile la posizione di garanzia del costruttore, che non è esclusa di per sé da quella (in ipotesi concorrente) del progettista e dello stesso utilizzatore. Infatti, il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione del prodotto ove risulti privo dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza. L'unica eccezione è quella dell'utilizzatore (nella specie il pilota) che risulti avere effettuato un uso improprio, tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento. Se ciò non si verifica, si ha, quindi, una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso causale con l'evento, sempre che, ovviamente, quell'evento sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele nella progettazione e fabbricazione. Comunque l'idea originaria di convertire il progetto dell'aliante nell'aliante acrobatico fu proprio dell'imputato e lo sviluppo del modello era avvenuto d'intesa fra quest'ultimo ed il delegato. L'imputato infatti era persona dotata di elevate competenze tecniche nel settore di riferimento (ingegnere meccanico e fisico); era informato regolarmente dal progettista dell'andamento dei lavori. Pertanto allo stesso - anche sotto il profilo dell'omesso controllo dell'operato del delegato- sono certamente addebitabili le riscontrate carenze attinenti la capacità di resistenza dell'aliante dovute alla implementazioni delle prestazioni ed alla operata modifica dell'ala, senza la dovuta attenzione alla adeguatezza della fusoliera, progettata per l'impiego normale, a reggere i carichi ben maggiori derivanti dall'uso nel volo acrobatico. In questa prospettiva, risulta evidente l'irrilevanza, per escludere la responsabilità del costruttore, di eventuali comportamenti colposi addebitabili al soggetto onerato del progetto del macchinario (soggetto, peraltro, operante all'interno della società costruttrice). È profilo di (possibile) responsabilità concorrente che qui non interessa, non essendo stato esaminato in sede di merito e non risultando tale da elidere il nesso eziologico tra il fatto dell'imputato e l'evento dannoso».
I costruttori di una scala in legno a chiocciola furono imputati di omicidio colposo, ``per aver cagionato, per colpa, la morte di una minore, deceduta a seguito della caduta dalla predetta scala mentre era in braccio alla nonna'', trattandosi di ``scala costruita con omissioni di progettazione e di calcoli strutturali e con inosservanza di norme di prevenzione per gli incidenti sul lavoro, anche in relazione all'ancoraggio dell'accessorio parapetto''. A propria discolpa, criticano il richiamo alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni sul lavoro [attualmente dettate nell'Allegato IV, punto 1.7.2., D.Lgs. n. 81/2008], con riguardo ad un manufatto destinato a civile abitazione, in quanto ``la scala a chiocciola ed il parapetto sono stati realizzati non in un luogo di lavoro, bensì all'interno di una privata abitazione quale scala secondaria e di conseguenza non può ritenersi applicabile la suddetta normativa, in applicazione del principio che vieta l'applicazione analogica di norme in malam partem''. La Sez. IV osserva: ``Non è stata affatto riconosciuta una colpa specifica per la violazione di norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tant'è che non è oggetto di contestazione l'aggravante del cui al comma 2 dell'art. 589 c.p., ma il riferimento a tale normativa è stato fatto solo per evidenziare in che modo le carenze strutturali riscontrate nella scala a chiocciola de qua corrispondano alla mancata osservanza di quelle regole di costruzione atte a garantire analoghe esigenze di sicurezza, che devono persistere anche in riferimento ad un manufatto destinato ad abitazione familiare. E solo in tal senso la colpa è stata qualificata specifica, avuto riguardo alle tecniche di costruzione cui avrebbero dovuto uniformarsi i costruttori della scala per renderla sicura dai futuri utilizzatori''.
``La ragione per la quale la vittima è stata sbalzata dalla giostra, è dipesa dal fatto che vi era un originario difetto nel sistema di ritenzione della seduta, suscettibile di esporre a rischio coloro che partecipavano al gioco, a prescindere dalle dimensioni della persona (rischio destinato comunque ad accrescersi nel caso di persona corpulenta). Ciò che provocò la morte della vittima fu quindi l'imperfetto sistema di ritenuta, unito alle condizioni fisiche della donna che impedivano alla chiusura a cremagliera di raggiungere l'ultimo scatto consentendo maggiore adesione del corpo allo schienale. Tali fattori sono ricondotti, in termini di responsabilità, sia ai costruttori, i quali erano tenuti a garantire la massima sicurezza dei passeggeri, sia al gestore della giostra, il quale non avrebbe dovuto consentire l'accesso della vittima ad essa, come previsto dal manuale d'uso dell'attrazione''.
Una s.r.l. concesse in comodato a una cooperativa una pressa e nastro trasportatore non rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L'amministratore della s.r.l., condannato per l'infortunio occorso a un dipendente della cooperativa adibito alla pressa, a sua discolpa, deduce che ``il contratto di comodato esonerava la s.r.l. da ogni responsabilità in merito al funzionamento ed alle modalità di utilizzo dei macchinari''. La Sez. IV ribatte: ``L'imputato ha concesso in uso al datore di lavoro dell'infortunato un macchinario non rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in violazione dell'art. 23, comma 1, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La sua responsabilità penale non è fondata sulla previsione dell'art. 113 c.p., ma sulla contestata violazione degli artt. 41, 590, commi 1,2, e 3,583, comma 2, n. 3 c.p. in relazione all'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. Tale norma individua un particolare divieto a carico di colui che concede in uso macchinari ed attrezzature di lavoro non conformi alle prescrizioni antinfortunistiche, dalla cui violazione derivano conseguenze di rilievo penale che non possono essere eluse con una clausola di esonero da responsabilità contenuta in un contratto, che comporta effetti civili oltretutto limitati alle parti dell'accordo, secondo il principio generale dettato dall'art. 1372 c.c.''.
(Per un riferimento al comodante v. Cass. n. 15333 del 19 maggio 2020, sub art. 23, paragrafo 11).
Ecco sei sentenze di particolare interesse in un'epoca in cui all'ordine del giorno contro un rischio come il coronavirus sono i mezzi personali di protezione, e, segnatamente, le mascherine.
A) Nel caso esaminato dalla n. 33091/2020, l'amministratore unico di una s.p.a. ricorre avverso il sequestro probatorio e il successivo sequestro preventivo di ``1102 mascherine facciali del tipo FFP2, in quanto recanti il marchio CE, ma sprovviste di idonea documentazione certificante la corretta marcatura''. Si era accertato che l'indagato ``aveva acquistato dalla Cina mascherine FF P2 recanti il marchio CE, irregolarmente apposto in quanto risultavano prive della necessaria certificazione, e le aveva già in parte cedute a terzi''. Nel disattendere le doglianze formulate dall'indagato avverso il sequestro preventivo, la Sez. II osserva: ``Se il marchio è apposto da ente non autorizzato, ricorre un'ipotesi di contraffazione. La funzione della marcatura CE è la tutela degli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatori dei prodotti mediante la attestazione della rispondenza alle disposizioni comunitarie che ne prevedono l'utilizzo. Se l'interesse tutelato dalla disposizione in esame è quello dello Stato e del consumatore al leale esercizio del commercio ed il reato in essa previsto è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato, la consegna di merce recante una marcatura contraffatta, attestante la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senz'altro quella divergenza qualitativa che si ritiene necessaria per configurare l'illecito penale''. (Per un resoconto della giurisprudenza sull'art. 517 c.p., anche con riguardo alla ``decettività della marcatura CE indicativa di China Export'' v. Guariniello, Codice della sicurezza degli alimenti commentato con la giurisprudenza, edizione seconda, Wolters Kluwer, Milano, 2016, 160 s.).
B) In altra ipotesi esaminata dalla n. 29578/2020, la Sez. III annulla con rinvio il sequestro preventivo di 25.900 mascherine in quanto ``non corredate da una corretta certificazione recante il marchio CE'' disposto per il reato di cui all'art. 515 c.p. in assenza di elementi atti a far ritenere che gli indagati avessero ``preventivamente dichiarato che le mascherine costituissero presidi medici ai fini della prevenzione del contagio da Covid-19''.
C) Invece, la n. 35183/2020 dichiara inammissibile il ricorso avverso ``il sequestro preventivo di 13.360 di mascherine facciali per il reato di frode in commercio, ``presentando la merce, destinata alla vendita, all'esterno della confezione un foglietto illustrativo con la dicitura `mascherina facciale filtrante delle vie respiratorie ad uso dispositivo di protezione individuale, antigoccia, riutilizzabile con elastici', foglietto che invece sul retro, visibile solo dopo l'apertura della confezione, precisava che la mascherina non fosse provvista di marchio C.E., che era ad uso generico, che non era un dispositivo di protezione individuale e che non era un presidio medico''.
D) La n. 36929/2020 considera un caso in cui una s.r.l. produttrice di mascherine ``le aveva immesse sul mercato, utilizzando una piattaforma, con un ricarico pari al 350%'', e nei confronti del titolare della s.r.l. era stato ipotizzato dalla pubblica accusa il reato di manovre speculative su merci di cui all'art. 501-bis c.p. Di qui il sequestro probatorio ``avente ad oggetto una serie di documenti contabili rinvenuti presso la sede della s.r.l., un rotolo di tessuto in cotone e una matrice utilizzata dalla medesima società per la produzione di mascherine filtranti protettive generiche'', peraltro confermato dal tribunale del riesame limitatamente alle sole scritture contabili. La Sez. III annulla con rinvio il sequestro. Considera indubbia la circostanza che le mascherine filtranti, ``il cui uso è, per effetto delle molteplici normative, di diversa fonte e rango, di carattere emergenziale legate alle manovre di contenimento della diffusione del contagio da Covid-19, necessario per lo svolgimento di taluni atti elementari della vita di relazione, siano ascrivibili alla categoria dei prodotti di prima necessità, cioè di quei prodotti che sono necessari per lo svolgimento degli atti elementari della vita'', ed evoca ``lo svolgimento delle attività lavorative al di fuori di ambienti frequentati dal solo soggetto lavoratore, che, in casi non marginati, non possono essere compiute senza avere indossato la mascherina''. Osserva, però, che ``la modestia della struttura imprenditoriale a disposizione dell'indagato, dimostrata dalla esiguità delle scorte presso di lui sequestrate e dalla unicità del macchinario da lui utilizzato nella catena produttiva, rende del tutto improbabile la possibilità che, attraverso la sua condotta, fosse consentito incidere sul mercato in maniera tale da determinare un generale rincaro dei prezzi della mascherine protettive''. (Su un'ipotesi di sequestro probatorio di settantasette flaconi da litro di igienizzante mani in relazione al reato di cui all'art. 501-bis c.p. nel quadro dell'emergenza sanitaria v. Cass. 16 marzo 2021, n. 10124; per l'annullamento del sequestro probatorio di 1.650 confezioni di gel igienizzante per le mani Cass. 8 gennaio 2021, n. 424).
E) La n. 10129/2021, con riguardo al sequestro di 100.000 mascherine generiche, operato dall'Agenzia delle Dogane nei confronti di una s.r.l. che le aveva importate dalla Cina, osserva: ``Nel caso di specie, la volontà di consegnare agli acquirenti un bene diverso da quello pattuito è stata ragionevolmente esclusa, atteso che la reale natura delle mascherine è emersa `alla luce del sole', nel senso che in alcun modo è stata nascosta la mancanza della qualità di dispositivi medici della merce; i beni che stavano per essere consegnati agli acquirenti erano infatti palesemente difformi da quelli pattuiti, venendo quindi in rilievo non una condotta potenzialmente decettiva, ma al più una mera violazione contrattuale. Né appare decisiva l'obiezione secondo cui uno degli acquirenti, titolare di una farmacia, di fatto vendeva le mascherine a tre veli come dispositivi medici di protezione, non potendosi affermare che questo grave comportamento, ascrivibile a un soggetto diverso dall'indagato, valga a proiettare la sua natura senz'altro illecita anche alle condotte prodromiche, di per sé non contraddistinte da rilievo penale, in quanto prive del requisito dell'idoneità e univocità degli atti''.
F) Infine, la n. 9927/2021 conferma ``il sequestro probatorio eseguito dalla Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle Dogane su migliaia di dispostivi individuali di protezione (mascherine) importati in Italia da una s.r.l., in relazione ai quali era stata ipotizzata la contraffazione stante la certificazione di conformità CE non proveniente dal soggetto autorizzato ad apporla''. E anche la n. 5607/2021, conferma il ``sequestro probatorio avente ad oggetto 24 confezioni contenenti 50 dispositivi per complessivi 1220 pezzi, eseguito dalla Guardia di Finanza nei confronti di indagato del delitto di cui all'art. 515 c.p, per aver importato per la vendita 4.800 mascherine filtranti provenienti da una ditta cinese con il marchio `CE' contraffatto, in quanto attestante falsamente i requisiti di sicurezza stabiliti dal regolamento UE n. 425 del 2016''. Ed ha escluso la buona fede dell'imputato, ``atteso che Mosca, quando ha fornito le mascherine vendendole come se fossero di tipo FFP2, aveva già investito l'Inail della richiesta di accertare la conformità dei dispositivi alla normativa emergenziale, evidentemente senza attendere la risposta dell'Inail, che infatti fu negativa''. Peraltro, ``il rilievo dei giudici sulla non commerciabilità del prodotto non appare pertinente, perché i dispositivi in questione, anche se non aventi le caratteristiche delle mascherine FFP2, possono essere comunque posti in commercio, se venduti come dispositivi generici di protezione, ciò anche in base alla legislazione emergenziale di cui al D.L. n. 15/2020, convertito dalla legge n. 27/2020''.
Il presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una s.p.a. proprietaria di una macchina assemblatrice prodotta da una s.r.l. e concessa in comodato d'uso gratuito ad altra s.r.l. fu riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose in danno di un dipendente della s.r.l. comodataria infortunatosi a tale macchina non conforme alla normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto azionabile anche con un comando a pedale. A propria discolpa, l'imputato deduce ``il conferimento con atto notarile della delega quale responsabile per la sicurezza ex art. 16 D.Lgs. n. 81/2008 al un procuratore speciale'', e sottolinea che ``il macchinario sul quale è intervenuto l'infortunio proveniva da uno degli stabilimenti della s.p.a. rispetto ai quali era stato trasferito in capo al delegato anche il dovere di verifica delle apparecchiature''. La Sez. IV ribatte: ``L'infortunio avvenne presso il comodatario, al quale l'assemblatrice era stata ceduta a seguito della decisione aziendale della s.p.a. di non produrre più direttamente certi modelli di ventole, per acquistarli dalla s.r.l. comodataria. La responsabilità ex art. 23 D.Lgs. n. 81/2008 nel momento in cui si vende, noleggia o si concede comunque in uso un macchinario non conforme alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro ricade su tutti coloro che pongono in essere dette attività (vendita, noleggio e concessione in uso), che debbono assicurare il necessario controllo di regolarità prima che l'apparecchiatura esca dalla sua sfera di disponibilità. Si tratta di una forma di responsabilità direttamente connessa con l'atto negoziale, indipendente dagli obblighi riguardanti l'eventuale precedente utilizzazione, con cui viene assicurata, in modo anticipato, la tutela antinfortunistica rispetto all'utilizzatore che acquista il bene o a cui viene ceduto in qualsiasi forma, ancorché gratuitamente. Nella sua qualità di amministratore delegato, l'imputato concluse il contratto di comodato, ma non si occupò di mettere a norma, prima della consegna al comodatario, o quantomeno al momento dell'installazione, l'apparecchiatura ceduta. Colui che cura l'aspetto commerciale della cessione de(ve) verificare, quando non ne abbia le competenze tecniche, la conformità delle apparecchiature alla normativa, assicurandosi di trasferire un macchinario in piena efficienza e sicuro, affidando l'incarico di un simile controllo a chi quelle competenze le possiede professionalmente, non essendo sufficiente né che la strumentazione fosse in uso presso un proprio stabilimento sotto la responsabilità di un delegato per la sicurezza, né la mera formale certificazione della conformità alle prescritte misure di sicurezza. Queste considerazioni valgono ad escludere la rilevanza dell'orientamento relativo all'individuazione della responsabilità per l'inosservanza delle normative sulla sicurezza in aziende di grandi dimensioni, posto che la responsabilità di cui all'art. 23 D.Lgs. n. 81/2008 è correlata (oltre che alla fabbricazione) all'aspetto commerciale, sicché laddove sia l'organo di vertice che cura siffatto aspetto, sottoscrivendo i relativi contratti, è su quello che grava la posizione di garanzia. Il compito, peraltro, in un organigramma aziendale complesso può essere specificamente delegato ad altri soggetti, ma in questo caso non lo è stato, avendo l'imputato provveduto direttamente''.
In passato, significative furono:
Per un infortunio occorso a un lavoratore addetto a una pressa, fu condannato anche il presidente e legale rappresentante della s.r.l. venditrice, con l'addebito di ``avere fabbricato e di seguito venduto la suddetta pressa''. A sua discolpa, l'imputato sostiene che egli ``non aveva curato la gestione dell'affare nelle varie fasi, dal ricevi- mento dell'ordine commissione alla consegna del macchinario e del libretto di istruzioni'', e che la s.r.l. per statuto è amministrata da un consiglio di amministrazione composto da tre membri, per prassi consolidata l'ordinaria amministrazione era stata svolta sempre dai singoli consiglieri e del ricevimento e della trattazione del macchinario in argomento si era occupato altro amministratore''. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna: ``Specifiche testimonianze indicavano altro componente del consiglio di amministrazione, come l'interlocutore per l'azienda nell'acquisto del macchinario. Costui avrebbe curato la gestione dell'affare, a partire dall'ordine-commissione fino alla consegna, dal suo ufficio personale, in sede diversa da quella ove operava l'imputato. Inoltre, ciascuno degli amministratori della s.r.l. seguiva personalmente un suo pacchetto clienti, talché l'imputato nulla sapeva dell'esistenza dell'operazione commerciale''.
Accusata di aver venduto a un lavoratore artigiano un mini-escavatore privo di cinture di sicurezza, l'imputata ``lamenta che non è stata dimostrata alcuna condotta commissiva in ordine alla vendita dell'escavatore e che è stata condannata nella veste di legale rappresentante della società fornitrice del mezzo, cioè di presidente del consiglio di amministrazione'', pur se ``la gestione era completamente affidata a un consigliere di amministrazione, mentre l'imputata svolgeva di fatto solo mansioni di segreteria e contabilità''.
La Sez. IV ribatte: ``L'accusa riguarda `la commercializzazione e la vendita' dell'escavatore irregolare. Commercializzare e vendere sono due verbi che all'evidenza descrivono comportamenti positivi. Nel caso in esame, non trovano alcun ingresso problematiche afferenti alla responsabilità omissiva. In particolare, la commercializzazione sul piano semantico precede la vendita: essa attiene alla scelta aziendale di mettere in vendita, di porre sul mercato quella categoria di veicolo priva delle necessarie cinture di sicurezza. Il ruolo rivestito nell'azienda attribuiva all'imputata la responsabilità in ordine alle fondamentali scelte aziendali afferenti alla commercializzazione dei prodotti''.
Oltre i precedenti richiamati sub artt. 26, al paragrafo 19, e 72, al paragrafo 1:
Duplice è la veste del condannato per l'infortunio occorso su un macchinario privo dei requisiti di sicurezza in quanto modificato (un bobcat, e, cioè, un mini-escavatore multifunzione): legale rappresentante della s.r.l. datrice di lavoro dell'infortunato e legale rappresentante dell'impresa individuale proprietaria del macchinario noleggiato a freddo alla s.r.l. datrice di lavoro in violazione dell'art. 23, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. La Sez. IV conferma la condanna: ``Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine od impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell'imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi. La responsabilità del costruttore, nel caso in cui l'evento dannoso sia provocato dall'inosservanza delle cautele infortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la responsabilità del datore di lavoro, sul quale grava l'obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori dipendenti che debbano utilizzare tale macchina e di adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. A detta regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio di progettazione, che non consentano di apprezzarne la sussistenza con l'ordinaria diligenza, per esempio, allorquando il vizio riguardi una parte non visibile e non raggiungibile della macchina. Per contro, il costruttore non risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza, se l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, per esempio, nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina''.
Per un’ipotesi di noleggio di un “furgone rimasto coinvolto in un sinistro stradale, causato dall'improvviso cedimento dello penumatico posteriore sinistro, sul quale non erano stati eseguiti gli opportuni controlli di manutenzione” Cass. 16 maggio 2022 n. 19139.