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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo:91

    a) verifica, con le modalità previste dal decreto di cui all'articolo 6, comma 8, lettera g), l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori, ai servizi e alle forniture da affidare in appalto o mediante contratto d'opera o di somministrazione. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al periodo che precede, la verifica è eseguita attraverso le seguenti modalità:92

    1) acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato;

    2) acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale, ai sensi dell'art. 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445;

    b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività.

    2. Nell'ipotesi di cui al comma 1, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori:

    a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto;

    b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva.

    3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze ovvero individuando, limitatamente ai settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali di cui all'articolo 29, comma 6-ter, con riferimento sia all'attività del datore di lavoro committente sia alle attività dell'impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, un proprio incaricato, in possesso di formazione, esperienza e competenza professionali, adeguate e specifiche in relazione all'incarico conferito, nonché di periodico aggiornamento e di conoscenza diretta dell'ambiente di lavoro, per sovrintendere a tali cooperazione e coordinamento. In caso di redazione del documento esso è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture. A tali dati accedono il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Dell'individuazione dell'incaricato di cui al primo periodo o della sua sostituzione deve essere data immediata evidenza nel contratto di appalto o di opera. Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Nell'ambito di applicazione del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, tale documento è redatto, ai fini dell'affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto.93

    3-bis. Ferme restando le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, l'obbligo di cui al comma 3 non si applica ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno, sempre che essi non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato, ai sensi del decreto del Ministro dell'interno 10 marzo 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 64 alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati, di cui al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177, o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI del presente decreto. Ai fini del presente comma, per uomini-giorno si intende l'entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all'effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all'arco temporale di un anno dall'inizio dei lavori.94

    3-ter. Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all'articolo 3, comma 34, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall'esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell'inizio dell'esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l'appalto; l'integrazione, sottoscritta per accettazione dall'esecutore, integra gli atti contrattuali.95

    4. Ferme restando le disposizioni di legge vigenti in materia di responsabilità solidale per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, l'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di Previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.

    5. Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile, i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. I costi di cui al primo periodo non sono soggetti a ribasso. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale.96

    6. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell'anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

    7. Per quanto non diversamente disposto dal decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, come da ultimo modificate dall'articolo 8, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, trovano applicazione in materia di appalti pubblici le disposizione del presente decreto.

    8. Nell'ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, il personale occupato dall'impresa appaltatrice o subappaltatrice deve essere munito di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l'indicazione del datore di lavoro.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: Premessa. L’indebito utilizzo del concetto di ingerenza - 1. Il campo di applicazione - 2. Idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice e informazioni sui rischi e sulle misure - 3. Cooperazione-coordinamento e DUVRI in caso d'interferenza tra più imprese - 4. Nesso causale tra carenza del DUVRI e infortunio - 5. Lavori di breve durata e DUVRI - 6. L'obbligo di vigilanza del datore di lavoro committente sulla sicurezza dei lavori appaltati - 7. Il concetto di ``rischi specifici'' dell'appaltatore - 8. I soggetti obbligati - 9. Il concetto di datore di lavoro committente - 10. Gli obblighi del consiglio di amministrazione della s.p.a. committente di lavori intra-aziendali - 11. La delegabilità dell'obbligo del DUVRI - 12. Gli obblighi dell'appaltatore - 13. Responsabilità del preposto della società committente e della società appaltatrice - 14. I compiti del SPPR dell'impresa committente a tutela dei lavoratori dell'impresa appaltatrice - 15. Consorzio di imprese appaltatore e impresa subappaltatrice non consorziata - 16. Il datore di lavoro committente come responsabile civile - 17. Responsabilità in solido - 18. Il comando o distacco di lavoratori - 19. Nolo a caldo, nolo a freddo, appalto - 20. Subappalto di manodopera - 21. Il permesso di lavoro - 22. Impianto comunale di depurazione e appalto - 23. Industria estrattiva .

    In un momento in cui l'attenzione generale è puntata sulla sicurezza nel mondo degli appalti e subappalti, è più che mai pressante scongiurare gli equivoci prosperati a proposito di una norma fondamentale come l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. A partire dall'indebito utilizzo di concetti e principi estranei come quello di ``ingerenza'', con il risultato di pervenire ad esiti ermeneutici non facilmente conciliabili con il D.Lgs. n. 81/2008:

    Il componente del consiglio di amministrazione di una società con delega in materia di sicurezza del lavoro viene condannato per lesioni personali colpose in danno di un settantasettenne che con la società aveva stipulato un contratto di compartecipazione agraria stagionale per la raccolta di olive e che nel salire su una scala fornitagli dall'azienda cadeva a terra da circa 3 metri. Addebito di colpa: ``aver adibito il lavoratore a mansioni non adeguate alla sua età senza sottoporlo a previa visita medica e averlo dotato di una scala sprovvista di sistemi di trattenuta o altri sistemi idonei che ne assicurassero la stabilità''. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna: ``Non è condivisibile l'affermazione di un'indistinta responsabilità a fini antinfortunistici dell'imputato indipendentemente dal tipo di rapporto sottostante, non potendosi parlare di una sovrapponibilità degli obblighi di garanzia del datore di lavoro nei riguardi del lavoratore subordinato rispetto a quelli gravanti sull'imprenditore-committente rispetto al prestatore d'opera, specie nell'ambito di un rapporto affatto peculiare come quello intercorso tra la società e la persona offesa. Nel caso di rapporto di prestazione d'opera, è ben vero che secondo l'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro, anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo; ma è altrettanto vero che tale principio non può essere applicato automaticamente, non potendo esigersi dal committente stesso un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, considerando la specificità dei lavori da eseguire; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera; l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d'opera; la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo. Nella specie, poi, occorreva analizzare accuratamente a quale tipologia appartenesse il rapporto di lavoro che legava l'infortunato alla società e quale fosse la situazione di fatto sottostante, onde stabilire quali fossero gli obblighi e i poteri/doveri di vigilanza concretamente esigibili in materia prevenzionistica gravanti sui soggetti responsabili dell'azienda. Tanto più ciò è vero ove si consideri che la tipologia di prestazione alla quale l'infortunato era assegnato (la raccolta di olive, con andamento affatto saltuario) non presupponeva un'ingerenza significativa da parte della società di cui l'odierno ricorrente era amministratore.

    Al riguardo, inoltre, non può trascurarsi che l'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008 prevede che, `ferme restando le disposizioni di cui al titolo I [Disposizioni generali], si intendono per luoghi di lavoro, unicamente ai fini della applicazione del presente titolo, i luoghi destinati a ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro'; e, soprattutto, che le disposizioni in materia di luoghi di lavoro non si applicano, fra gli altri, `ai campi, ai boschi e agli altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale' (art. 62, comma 2, lett. d-bis, D.Lgs. n. 81/2008). Nel caso di specie, del resto, è affatto discussa la natura giuridica del rapporto di lavoro derivante da contratto di compartecipazione stagionale in quote di prodotto; tale tipologia di rapporti, generalmente qualificati come contratti agrari atipici, presenta infatti elementi che ne assimilano in parte i contenuti a quello proprio del lavoro subordinato, in parte a quello proprio del lavoro autonomo, ma con connotazioni affatto singolari, che imponevano un'accurata analisi delle clausole contrattuali, della volontà delle parti contraenti e dei reciproci obblighi che ne derivano. Ora, è nota anche alla giurisprudenza lavoristica la difficoltà di operare, su scala generale, una distinzione - nei casi dubbi - tra rapporto di lavoro subordinato e prestazione d'opera qualificabile come lavoro autonomo. Tradizionalmente l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale; vi sono poi altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, ai quali si attribuisce natura sussidiaria, di per sé non decisiva; in ambito agricolo, ad esempio, si è evocata in talune pronunzie la valenza di alcuni elementi sintomatici della subordinazione, come il rispetto di orari precisi, l'inserimento delle prestazioni in una struttura organizzativa aziendale, cui possono (e in taluni casi devono, come nel caso di attività lavorativa agricola prestata a favore di parenti ed affini) aggiungersi altri elementi idonei a dimostrare almeno un nesso di corrispettività tra la prestazione lavorativa e quella retributiva, entrambe caratterizzate dalla obbligatorietà, e l'esistenza di quel tanto di direttive e controlli in merito alla prestazione lavorativa che valgano a differenziare il rapporto dal lavoro autonomo. Epperò, neppure deve trascurarsi che il richiamo alla giurisprudenza lavoristica vale qui ai limitati fini generali della connotazione del rapporto, altre e diverse essendo le finalità e le esigenze probatorie che caratterizzano il giudizio penale e la disciplina prevenzionistica che ne costituisce, nel caso di che trattasi, il principale riferimento. Qui ciò che assume rilievo è essenzialmente il governo del rischio da parte del soggetto indicato come responsabile: un fattore, questo, che, assumendo connotazioni ben diverse a seconda del tipo di rapporto sottostante, dei controlli previsti e possibili, delle caratteristiche delle prestazioni, non poteva essere pretermesso, ma doveva al contrario essere adeguatamente scrutinato nella valutazione delle responsabilità dell'imputato, avuto riguardo al fatto che, da un lato, la società si era limitata a fornire all'infortunato una scala, ossia un attrezzo di impiego affatto semplice e non particolarmente rischioso da parte di soggetto che veniva adibito da molto tempo a mansioni analoghe; dall'altro, che la raccolta delle olive da parte dell'infortunato, che si svolgeva solo per pochi giorni all'anno, non risulta fosse legata a particolari scansioni temporali, con ciò che ne consegue in termini di oggettiva possibilità di controllo da parte della società a fini di prevenzione degli infortuni circa le modalità esecutive della raccolta''. (V. anche, ad es., Cass. 2 luglio 2019, n. 28770).

    Il procuratore speciale e direttore di stabilimento di una società, committente del servizio di pulizia degli ambienti di lavoro interni ed esterni viene condannato per lesioni personali colpose in danno di un dipendente della s.r.l. appaltatrice ustionato dalla soda caustica usata per lavare il piazzale esterno da macchie di olio e di grasso. La Sez. IV annulla la condanna perché l'imputato non ha commesso il fatto sul presupposto della ``mancanza di concreta ingerenza da parte del committente'': ``È pur vero che, in tema di infortuni sul lavoro, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, in quanto, in tal caso, rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, compreso quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere, principio cui occorre dare continuità, ma occorre osservare che risulta assente nel caso di specie l'assunzione da parte dell'imputato di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera. Non può essere definita ingerenza la mera richiesta di esecuzione di quanto previsto dal contratto di pulizia (essendo peraltro al contratto materialmente allegata la scheda della soda caustica, contrattualmente fornita, alla pari degli altri solventi e detersivi, dalla società committente, scheda in cui si precisava che la soda caustica provoca gravi ustioni e che, in caso di contatto con la pelle, occorre togliere gli indumenti contaminati, fare la doccia, chiamare il medico e lavare separatamente gli indumenti contaminati prima di riutilizzarli. Inoltre, non avere fornito concrete prescrizioni di protezione circa il corretto uso degli stivali di protezione, con particolare riferimento ai pantaloni da indossare sopra, e non già sotto, gli stivaloni di gomma, da un lato, non può ricondursi ad una pretesa `ingerenza', sinonimo nella lingua italiana di intromissione o di partecipazione, che postula un comportamento necessariamente attivo. La responsabilità va esclusa allorché, come nel caso di specie, le attività (di pulizia) siano appaltate ad altri (cui la ditta abbia - sì - contrattualmente fornito i prodotti chimici di pulizia ma anche le relative schede, che illustravano le caratteristiche, i rischi e le avvertenze per ciascuna sostanza), sì che deve escludersi in capo alla ditta che aveva affidato i lavori la sussistenza dell'obbligo giuridico di impedire l'evento. La posizione di garanzia implica sempre che la posizione di garante coincida con quella del soggetto che gestisce in concreto i rischi connessi all'attività da lui assunta, gestione che nel caso di specie è stata peraltro già attribuita, con sentenza irrevocabile, al coimputato amministratore unico della ditta che aveva in appalto il servizio di pulizia degli ambienti di lavoro, esterni ed interni, della società appaltante e datore di lavoro dell'operaio ustionato dalla soda caustica. Tale conclusione appare in linea con gli approdi della giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato che in tema di infortuni sul lavoro il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera - certamente - anche in relazione al committente, dal quale non può, tuttavia, esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori: proprio la non esigibilità di un controllo minuzioso e pressante esclude che nel caso di specie possa pretendersi che il committente si assicuri previamente che il datore di lavoro appaltatore abbia puntualmente spiegato al dipendente la necessità di cambiare un indumento che è stato contaminato dalla soda caustica, anziché continuare ad indossare lo stesso indumento, a diretto contatto della cute, per più giorni''.

    Quel che a ben vedere sembra sfuggire alle pronunce qui segnalate è che, nel quadro dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, l'ingerenza del datore di lavoro committente, lungi dal profilarsi come una condotta da evitare per non incorrere in responsabilità, appare al contrario doverosa, beninteso con le modalità e nelle forme specificamente imposte dai primi tre commi dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, e, dunque, non atta a indurre l'inosservanza delle norme di sicurezza. Persuasive sono, sotto questo riguardo:

    ``Si riteneva in passato che sul committente l'obbligo di sicurezza potesse gravare sostanzialmente in due ipotesi: la prima, ove il committente non avesse scelto come appaltatore un soggetto dotato delle necessarie competenze tecniche (in questo caso, secondo la giurisprudenza, il committente poteva rispondere dell'infortunio sul lavoro a titolo di culpa in eligendo); la seconda, nell'ipotesi in cui il committente si fosse `ingerito' nei lavori svolti dall'appaltatore, non consentendo così a quest'ultimo la necessaria autonomia per lo svolgimento del proprio incarico. Il principio di un tendenziale esonero di responsabilità a carico del committente è stato successivamente superato nella giurisprudenza di legittimità, che ha progressivamente indicato anche il committente quale garante per la sicurezza, con specifica attenzione all'obbligo di destinare all'appaltatore un ambiente di lavoro sicuro ed all'obbligo di informazione circa i rischi esistenti nell'ambiente di lavoro. Anticipate dalla giurisprudenza, tali regole vennero poi trasfuse nell'art. 7 D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 (in vigore fino al 14 maggio 2008), che, limitatamente ai cantieri interni, contemplava cinque obblighi a carico del datore di lavoro-committente: 1) l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici; 2) l'obbligo di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui erano destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; 3) l'obbligo di cooperare con gli appaltatori all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro; 4) l'obbligo di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i lavoratori; 5) l'obbligo di informazione per prevenire i rischi interferenziali''. Di qui poi l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. titolato `obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione'.

    ``L'imputato non era titolare di alcuna posizione di garanzia nei confronti del lavoratore autonomo, trattandosi di un privato, mero committente di opera edile, sprovvisto delle specifiche competenze tecniche relative alla realizzazione di un'armatura a consolidamento del terreno, mediante l'apposizione di pannelli con dei murali. L'imputato, di professione insegnante, non ha attuato, nelle attività proprie dell'impresa appaltatrice, quella `ingerenza' espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, tale da renderlo, per questa ragione, destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, tra questi quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere. Invero, l'ingerenza, quale fattore idoneo a coinvolgere il committente nella responsabilità per eventi lesivi occorsi agli addetti, deve portare in sé le stimmate della causazione dell'evento di danno, dovendo consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui, tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi''.

    La Sez. IV considera, anzitutto, erroneo attribuire alla disciplina degli appalti intra-aziendali ``la funzione di estendere al committente il contenuto degli obblighi cautelari posti ex lege a carico del datore di lavoro a beneficio delle maestranze'', e, inoltre, improprio richiamare la giurisprudenza in materia di ingerenza del committente nel segmento delle lavorazioni compreso nel contratto di appalto (o di subappalto).

    ``Per quanto riguarda il caso di infortuni sul lavoro verificatisi in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati''.

    L'art. 26, commi 1-3, D.Lgs. n. 81/2008 è chiaro nel contemplare gli obblighi imposti limitatamente all'ipotesi in cui il datore di lavoro affidi lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi ``all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''. Eppure, sotto diversi profili, l'analisi della giurisprudenza in materia porta alla luce dissonanze ed ambiguità.

    a) I rapporti tra l'art. 26 e il Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008

    Un primo chiarimento s'impone a proposito dei rapporti tra le discipline rispettivamente dettate dall'art. 26 e dal Titolo IV Capo I del D.Lgs. n. 81/2008:

    Nel corso di lavori di manutenzione e verniciatura della struttura metallica di sostegno del tetto del capannone dello stabilimento di una s.r.l. affidati a una impresa e da questa in parte subappaltati ad altra impresa, un lavoratore neoassunto con contratto di lavoro individuale a tempo determinato dalla ditta subappaltatrice subì un infortunio mortale per effetto della precipitazione dalle capriate costituenti il sostegno del tetto del capannone. L'amministratore con delega per gli aspetti di igiene e di sicurezza del lavoro dell'impresa affidataria ed esecutrice dei lavori patteggiò. Furono condannati sia l'amministratrice unica della ditta subappaltatrice, sia l'amministratore con delega per gli aspetti di igiene e sicurezza sul lavoro dell'impresa committente ``per avere omesso di nominare un coordinatore per l'esecuzione dei lavori e per avere, così, trascurato di porre le premesse per l'adozione e l'attuazione delle misure finalizzate a tutelare la salute e la sicurezza dei lavori impegnati nel cantiere, tra cui l'adozione di un piano di sicurezza e di coordinamento'', in quanto ``gestì in concreto l'appalto, sotto il profilo della sicurezza del lavoro, redigendo il documento unico di valutazione del rischio (D.U.V.R.I.) previsto dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, integrato con i piani operativi di sicurezza (P.O.S.) delle imprese esecutrici''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV ritiene, invece, applicabile la disciplina posta sui cantieri temporanei o mobili dal titolo IV, capo I, D.Lgs. n. 81/2008, e non la disciplina dettata dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. In linea con i magistrati di merito, ``valorizza la natura dell'attività di verniciatura quale attività manutentiva (per ciò rientrante nell'elenco di cui all'allegato X richiamato dall'art. 89 D.Lgs. n. 81/2008, stimando irrilevante il luogo in cui la stessa venga svolta, potendo, come nel caso di specie, essere anche intra-aziendale''. Prende atto che si era ``realizzato un cantiere temporaneo di manutenzione di strutture metalliche di copertura del capannone, e, data la contemporanea presenza sul cantiere di due imprese esecutrici dei lavori (cioè l'impresa appaltatrice e l'impresa subappaltatrice), oltre che di un dipendente dell'impresa committente incaricato di movimentare il carro-ponte che fungeva da base per l'impalcatura realizzata in quota, si sarebbe dovuto nominare un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, con funzione anche di coordinatore per la progettazione, che avrebbe dovuto redigere il piano di sicurezza e di coordinamento (P.S.C.), specialmente necessario in ragione della effettuazione di lavori a notevole altezza, circa dodici metri, e che a tale P.S.C. avrebbero, poi, dovuto fare riferimento i P.O.S. delle imprese esecutrici, integrandolo nel dettaglio''. Non senza contare che ``il (non nominato) coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione avrebbe avuto - tra l'altro - i compiti di segnalare al committente l'inosservanza nella disposizione di cui all'art. 95 del D.Lgs. n. 81/2008 e anche di sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni''. Condivide, altresì, quanto affermato dai magistrati di merito, e, cioè, che ``la nomina del coordinatore sarebbe stata necessaria sin da prima dell'affidamento dei lavori alla impresa subappaltatrice, e, una volta proceduto al subappalto, si sarebbero dovute aggiornare le valutazioni già svolte per valutare la esistenza o meno di rischi interferenziali ed aggiuntivi'', e ciò perché il committente ``già ben prima dell'inizio dei lavori, avrebbe dovuto porsi il problema della nomina di un coordinatore per l'esecuzione dei lavori, che nel caso di specie appariva necessario non solo per le interferenza tra l'impresa appaltatrice e la ditta subappaltatrice ma anche per le interferenze con il personale della stessa impresa committente''. Rileva come ``la circostanza che il subappalto si è estrinsecato esclusivamente nella fornitura di un operaio che affiancava i dipendenti dell'impresa appaltatrice è una considerazione che può effettuarsi ex post, dopo avere verificato quanto realmente avvenuto ma ciò non esimeva il committente, al momento in cui sapeva che già due imprese avrebbero lavorato per i lavori da lui appaltati, dal porre in essere tutti gli obblighi su di lui gravanti''.

    ``Allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all'interno del processo produttivo di un'impresa, il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto: a) nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008; b) nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, a nominare il coordinatore per la progettazione, il quale, ai sensi dell'art. 91 del citato D.Lgs., deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale''.

    ``Il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 17, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, è tenuto, nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi; nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, egli è tenuto a nominare il coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, il quale, ai sensi degli artt. 91 e 92 del D.Lgs. n. 81, deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale. Nel caso di specie non vi è dubbio che presso il cantiere lavorassero una pluralità di imprese, anche con contratti in subappalto. Pertanto era doveroso prevedere nel piano di coordinamento i rischi connessi alle interferenze, come ad esempio l'uso comune di strumenti di lavoro''.

    La Sez. IV premette che, ``nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili, la gestione della sicurezza del lavoro è suscettibile di concretizzarsi in più documenti programmatici, la cui adozione non è posta indistintamente in capo a tutti gli attori del processo produttivo; all'inverso, la legislazione distingue i diversi adempimenti ed i relativi obbligati'', e che ``il quadro è ulteriormente articolato ove i cantieri temporanei o mobili vengano in essere in esecuzione di un c.d. appalto endoaziendale, poiché quest'ultimo conosce una peculiare disciplina, che oggi s`i rinviene nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008'', in quanto ``anche tale disposizione prevede la redazione di particolari documenti valutativi''. Considera ``assolutamente essenziale identificare correttamente la situazione venutasi a determinare, in modo da riferire ad essa la disciplina che le compete''. Chiarisce che, ``qualora i lavori da eseguirsi siano costituiti da quei lavori edili o di ingegneria civile che rappresentano il campo di applicazione della disciplina prevenzionistica in tema di cantieri temporanei o mobili, la valutazione del rischio è atto sia dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e viene adempiuto da questi attraverso l'accettazione del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'art. 12 e la redazione del piano operativo di sicurezza (ora art. 96, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008); sia del coordinatore per la progettazione, il quale è tenuto a redigere il menzionato piano di sicurezza e di coordinamento (ora art. 91, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 81/2008)''. Afferma che ``iI convivere dei diversi assetti disciplinari, aventi ambiti di applicazione apparentemente di chiara autonomia, pone in realtà questioni di non semplice soluzione'': ``il committente di lavori edili non elabora un documento di valutazione: di tale compito è gravato il coordinatore per la progettazione; non così il datore di lavoro-committente, cioè l'imprenditore committente, in caso di appalto cd. interno''. Avverte, pertanto, l'esigenza di ricostruire ``il quadro giuridico cui fare riferimento in caso di lavori dati in appalto, riconducibili ad una o più categorie tra quelle previste oggi dall'art. 89, D.Lgs. n. 81/2008, da eseguire all'interno dell'azienda del datore di lavoro committente''. E insegna che, ``allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all'interno del processo produttivo di un'impresa'', ``oltre alla valutazione dei rischi di cui (oggi) all'art. 17, D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro committente è tenuto: nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o a un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, il quale ha ad oggetto specificamente i rischi da interferenza; nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, è tenuto alla nomina del coordinatore per la progettazione, il quale deve redigere il PSC che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale''.

    Possono, quindi, sorprendere in argomento:

    Dopo aver sottolineato che ``sulla datrice di lavoro dell'impresa affidataria incombeva il ruolo di garante cui consegue l'estensione di tutti gli obblighi in materia di sicurezza e vigilanza dei luoghi di lavoro che gravano sul committente/datore ex art. 97 T.U. del 2008'', la Sez. IV afferma che, ``ai sensi dell'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, coordinano gli interventi di protezione e prevenzionale dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'opera complessiva'', e poi torna ad affermare che ``il subappaltatore (datore di lavoro dell'infortunato), nonostante le indicazioni contenute nel PSC, ha omesso di valutare il rischio derivante dall'interferenza, in cantiere, di diverse imprese e non ha fornito informazioni e formazione specifica al lavoratore al riguardo''.

    ``Il complesso sistema di gestione della sicurezza applicato dalla s.p.a. prevedeva l'interazione tra diverse procedure e compendiate principalmente in tre documenti: il DUVRI; il PSC e il Permesso di Lavoro (PDL). Mediante il DUVRI, la s.p.a. avrebbe dovuto evidenziare e fornire alle ditte esecutrici le informazioni relative ai pericoli esistenti all'interno della azienda: con il PSC avrebbe dovuto particolareggiare tali informazioni con riferimento allo svolgimento delle singole attività da svolgersi e attraverso il PDL avrebbe dovuto dare atto delle precauzioni da adottarsi ed effettivamente adottate per tutelare i lavoratori durante dette singole lavorazioni''.

    ``Nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili, la gestione della sicurezza del lavoro è suscettibile di concretizzarsi in più documenti programmatici, la cui adozione non è posta indistintamente in capo a tutti gli attori del processo produttivo; all'inverso, la legislazione distingue i diversi adempimenti ed i relativi obbligati. Questa Corte ha affermato il principio, che si ritiene di condividere, secondo cui, allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all'interno del processo produttivo di un'impresa, il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 17 D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto: a) nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma terzo, D.Lgs. n. 81 del 2008; b) nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, a nominare il coordinatore per la progettazione, il quale, ai sensi dell'art. 91 del citato D.Lgs., deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale; c) a nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 D.Lgs. n. 81/2008, deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi. Ciò posto sui principi giurisprudenziali in materia, va sottolineato che le normative di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 e la disciplina del titolo IV D.Lgs. n. 81/2008, quando sorge un problema di rischio interferenziale, si integrano tra loro e si applicano congiuntamente, riguardando ambiti parzialmente diversi''.

    Una s.r.l. affida la pitturazione del proprio capannone a un lavoratore autonomo che a causa dell'utilizzo di un trabattello non a norma cade mortalmente da un'altezza di circa sei metri. Invece di collocare questa ipotesi nella cornice dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, la Sez. IV applica il Titolo IV, Capo I. Premette che ``l'art. 89 D.Lgs. n. 81/2008 definisce il committente come colui `per conto' del quale l'opera viene realizzata''. Osserva che ``l'espressione `per conto' ha plurimi significati, potendo valere ad indicare colui `per incarico' del quale viene realizzata l'opera o, anche, colui `a favore del quale' l'opera viene realizzata'', e che ``si tratta di un soggetto che ha interesse alla realizzazione dell'opera o perché è colui che stipula il contratto o perché si avvantaggia della sua realizzazione oppure, ancora, come nel presente caso, perché è stato delegato ad occuparsene''. Con riguardo alla fattispecie, rileva che l'imputato - figlio dell'amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. committente - ha scelto in totale autonomia il lavoratore autonomo incaricato dei lavori di pitturazione e si è comportato da committente delle opere. Precisa che ``al tempo stesso egli risulta essere stato delegato dall'amministratore della società al compimento di atti propri del committente dei lavori (come risulta dalla delega rilasciatagli dall'amministratore della società e come ha ammesso lo stesso imputato)''. Sottolinea che, ``in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto''. Sostiene che ``il principio di effettività può essere esteso anche al caso in esame, a prescindere dalla circostanza che il contratto di appalto fosse stato firmato dall'amministratore della società, essendo stato il ricorrente investito di pieni poteri in ordine alla scelta del prestatore d'opera e di conferimento dell'incarico''. Che, poi, ``l'imputato non avesse il potere di impegnare l'azienda nella stipula del contratto, è circostanza superata dall'evidenza dei fatti, perché il contratto è stato concluso e i lavori sono stati affidati dallo stesso imputato''. Ne desume che ``competeva al delegato, il quale ha effettivamente scelto la ditta appaltatrice ed ha conferito l'incarico, l'obbligo di verificare le competenze e la professionalità della ditta opzionata, con tutto ciò che ne consegue in termini di responsabilità ai sensi dell'art. 90, comma 9, D.Lgs. n. 81/2008''. (Dove a ben vedere entra in gioco l'art. 26, dal momento che si tratta di un'ipotesi in cui i lavori risultano affidati a un lavoratore autonomo all'interno dell'azienda committente. E dove giustappunto il ``datore di lavoro committente'' esegue la verifica dell'idoneità tecnico-professionale del lavoratore autonomo in linea con l'art. 26, comma 1, lettera a).

    Una s.p.a. - appaltatrice di opere nell'ambito di un cantiere ed esercente di fatto la gestione di tale cantiere - subappalta tali opere ad altra società che a sua volta subappalta i lavori di carpenteria ad una ditta che utilizza strumenti di lavoro, impalcature, assi, tavole e cavalletti posti a disposizione dalla impresa affidataria. Per l'infortunio mortale subito da un lavoratore dell'impresa subappaltatrice dei lavori di carpenteria, fu condannato il legale rappresentante della s.p.a. appaltatrice, per non aver promosso la cooperazione con la ditta subappaltatrice, ``omettendo di collaborare con essa nella individuazione e valutazione dei rischi e nell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione, omettendo di verificare che la ditta subappaltatrice, nella esecuzione dei lavori di `oliatura del cassero', installasse ed utilizzasse adeguate opere provvisionali, quali trabattelli e cavalletti, idonee a prevenire la caduta dall'alto ed eseguire tali lavori in sicurezza''. Nell'ambito del medesimo procedimento, venne imputato, altresì, il coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori per ``un difetto di coordinamento tra imprese impregnate nelle opere di realizzazione del manufatto e un difetto nella verifica del rispetto del PSC da parte delle maestranze della impresa subappaltatrice in relazione al rischio interferenziale'', ma separatamente sottoposto a giudizio ed assolto. Nel confermare la condanna dell'appaltatore, la Sez. IV fa riferimento alla disciplina dettata dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 (e in precedenza dall'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994), senza porsi il problema attinente alla paternità in capo al committente (e non all'appaltatore) degli obblighi ivi previsti. Eppure, esplicitamente, osserva: ``Il datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori all'interno della azienda, ovvero della unità produttiva a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Trattasi invero di regola generale diretta a porre l'appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono introdotte nell'azienda ovvero nello stabilimento, a conoscenza di tutti i rischi connessi alle lavorazioni in tali ambienti, regola questa che certamente non può essere derogata dal contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze. Soprattutto è l'azienda committente a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento, e, conseguentemente, ad elaborare un DUVRI''. D'altra parte, la Sez. IV non esita ad applicare contemporaneamente la disciplina concernente i cantieri temporanei o mobili. Invero, rileva che al coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione è stato contestato ``un difetto di coordinamento tra imprese impregnate nelle opere di realizzazione del manufatto e un difetto nella verifica del rispetto del PSC da parte delle maestranze della impresa subappaltatrice in relazione al rischio interferenziale, laddove i doveri di cooperazione, coordinamento ed informazione tra imprese committente ed appaltatrice di cui era onerato l'imputato attengono al diverso piano della collaborazione tra imprese che operano nello stesso cantiere e agli obblighi di informazione e di condivisione correnti in capo alla ditta affidataria delle opere, con particolare riferimento all'obbligo di rappresentare i rischi, ad essa noti, derivanti dalle lavorazioni oggetto di appalto''.

    Da segnalare, altresì:

    Il legale rappresentante di una s.r.l. affida a una ditta individuale l'impermeabilizzazione del capannone, delle travi e dei canali di gronda, e al pari del titolare della ditta individuale viene condannato per omicidio colposo in danno di un lavoratore in nero della ditta individuale precipitato al suolo per il cedimento di una lastra in policarbonato. Addebito mosso al committente quello di ``aver omesso di valutare, pur avendone l'obbligo, ai sensi dell'art. 90, comma 9, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, l'idoneità tecnico professionale dell'impresa affidataria''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva che ``non può esimere il committente dalla responsabilità in ordine alla scelta dell'impresa appaltatrice il fatto che le previsioni dell'allegato XVII del D.Lgs. n. 81/2008, richiamato dall'art. 90, relativo alla verifica della idoneità tecnico professionale, richiede, nei cantieri di entità presunta minore di 200 uomini giorno, soltanto la verifica della iscrizione alla Camera di commercio, eseguita da parte del committente'', e spiega che, ``in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, poiché l'obbligo di verifica di cui all'art. 90, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008 non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo'', e che ``detto controllo formale non può esonerare il committente dalla verifica della concreta capacità della impresa prescelta ad eseguire la tipologia delle lavorazioni appaltate, specie nella ipotesi di attività intrinsecamente pericolose quali i lavori in quota''. (Ove entrerebbe in gioco l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 nel caso in cui il committente ``imprenditore'' rivestisse anche la qualità di datore di lavoro nel capannone di sua proprietà).

    Auspicabile sarebbe circoscrivere i rispettivi campi di applicazione dell'art. 26 e del Titolo IV, Capo I del D.Lgs. n. 81/2008. Così come sarebbe auspicabile, nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili, il distinguo tra gli obblighi e le responsabilità del committente (o responsabile dei lavori) e gli obblighi e le responsabilità del datore di lavoro dell'impresa affidataria (circa il ruolo dell'impresa affidataria nei cantieri v. sub 97, paragrafo 1).

    ``Il committente, nei cantieri temporanei o mobili in cui sia prevista la presenza (anche non contemporanea) di più imprese esecutrici, ha l'obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell'opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 D.Lgs. n. 81/2008 (CSP), deputato a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f) e 92 D.Lgs. n. 81/2008 (CSE), deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi''.

    Nel corso di lavori eseguiti presso un cantiere edile da due imprese, il dipendente di una di tali imprese fu colpito al capo da un trapano non adeguatamente assicurato dal dipendente dell'altra impresa. Per il delitto di lesione personale colposa furono imputati i titolari delle due imprese, nonché il coordinatore per l'esecuzione dei lavori. L'analisi sviluppata al riguardo dalla Sez. IV sorprende, in quanto applica congiuntamente due normative dettate dal D.Lgs. n. 81/2008: vuoi l'art. 26, relativo agli appalti intra-aziendali, vuoi il Titolo IV, Capo I, dedicato ai cantieri temporanei o mobili. Che ambedue le normative possano potenzialmente entrare in giuoco nell'ipotesi in cui lavori edili o d'ingegneria civili di cui all'Allegato X, D.Lgs. n. 81/2008 vengano svolti all'interno dell'azienda del datore di lavoro committente, è indubbio, così come è indubbio che in tale ipotesi si applica o l'una o l'altra: ``allorquando un cantiere temporaneo o mobile viene in essere all'interno del processo produttivo di un'impresa, il datore di lavoro committente, oltre che alla valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 17, D.Lgs. n. 81/2008, è tenuto: a) nel caso di appalto interno conferito ad una sola impresa o ad un singolo lavoratore autonomo, a redigere il documento di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2008; b) nel caso in cui i lavori contemplino l'opera di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, a nominare il coordinatore per la progettazione, il quale, ai sensi dell'art. 91 del citato D.Lgs., deve redigere il piano di sicurezza e di coordinamento, che ha valore di documento di valutazione del rischio interferenziale'' (così, ad es., del medesimo estensore, supra, Cass. 17 marzo 2016). Solo che nel caso di specie non sembra riscontrarsi il presupposto, e, cioè, l'esecuzione dei lavori edili o d'ingegneria civile nell'ambito dell'azienda del datore di lavoro committente. Sicché appare applicabile esclusivamente il titolo IV, capo I.

    (Per una analisi dei rapporti tra l’art. 26 e il Titolo IV; capo I, D.Lgs. n. 81/2008 v. Guariniello, DVR, DUVRI, PSC: i rapporti, in Dir.prat.lav., 2023, 16, 977).

    b) Lavori in appalto non disciplinati

    Il D.Lgs. n. 81/2008, all'art. 26 e nel capo I del Titolo IV, disciplina la sicurezza nei lavori appaltati (come già in precedenza l'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 e il D.Lgs. n. 494/1996). È un fatto, però, che la regolamentazione ivi dettata non copre l'intera gamma dei lavori appaltati. Sicché - ove non ricorrano i presupposti di applicabilità delle norme contenute nel D.Lgs. n. 81/2008 - si pone un interrogativo: sulla base di quali principi si individuano eventuali responsabilità in caso d'infortunio sul lavoro o malattia professionale? È un interrogativo che si pose:

    ``Occorre rifarsi ai principi che disciplinavano questa materia prima della modifica normativa e che continuano a disciplinarla in aggiunta alla normativa specifica quando non siano da questa derogati''. La Sez. IV spiega al riguardo che ``l'appaltante è il destinatario delle disposizioni antinfortunistiche qualora l'evento si ricolleghi causalmente anche alla sua condotta colposa che può ravvisarsi nell'aver consentito l'inizio dei lavori in presenza di situazioni di fatto pericolose ovvero quando la mancata adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile ovvero nel caso di mancato controllo delle medesime'', che ``il committente risponde inoltre degli eventi dannosi cagionati dall'appaltatore e riconducibili alla sua carenza di idoneità tecnico professionale nella tutela della salute dei lavoratori'', e che ``il committente risponde della violazione delle regole di prevenzione quando si sia comunque ingerito nell'organizzazione di lavoro dell'appaltatore''.

    (Illuminante l’evoluzione della normativa in materia descritta da Cass. 9 agosto 2022 n. 30799, retro, in Premessa).

    c) All'interno dell'azienda committente o di una sua unità produttiva

    L'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994, in origine, contemplò obblighi a carico del datore di lavoro committente ``in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi''. Successivamente, fu modificato dall'art. 1, comma 910, legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007). A seguito di tale modifica, stabili quegli obblighi ``in caso di affidamento dei lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima'', e, pertanto, ampliò il proprio campo di applicazione dagli appalti interni agli appalti extra-aziendali. L'originario art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, nell'ereditare l'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994, mantenne fermo questo campo di applicazione. Solo che il D.Lgs. 3 agosto 2009 n. 106 rimodificò l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008: nel senso che conservò, si, l'espressione ``nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima'', ma ne restrinse poi la portata mediante l'aggiunta ``sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''. E in tal guisa recepì un'indicazione interpretativa data dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 24 del 14 novembre 2007 (ma a quell'epoca palesemente contrastante con la lettera della norma allora vigente).

    Dunque, anzitutto, ``all'interno della propria azienda committente o di una singola unità produttiva''. Non sono mancati anche in proposito i dubbi.

    Un infortunio si verificò all'interno del magazzino-deposito di proprietà di una s.p.a. che ne aveva appaltato la gestione ad altra s.p.a. che a sua volta l'aveva subappaltata a una s.r.l., magazzino-deposito collocato a circa 2 km dallo stabilimento della s.p.a. committente. In questo magazzino-deposito, l'autista di un autocarro lavoratore autonomo, sceso dal mezzo per aprire la saracinesca e consentire le operazioni di scarico di bottiglie vuote, fu mortalmente investito da un carrello elevatore guidato da un dipendente della s.r.l. subappaltatrice che aveva la visuale impedita dalla pila di casse trasportate sul carrello. Oltre al conducente del carrello elevatore, furono condannati sia il direttore dello stabilimento della s.p.a. committente, delegato in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sia i rispettivi amministratori della società appaltatrice e della società subappaltatrice. L'accusa fu che ``il piano di sicurezza consegnato dalla s.p.a. committente alla s.p.a. appaltatrice era in astratto adeguato, però in concreto non erano stati realizzati recinti pedonali, segnaletica orizzontale o verticale, distinzione tra le aree destinate al parcheggio e quelle utilizzate dai carrelli per scaricare la merce'', e che ``nella zona non vi era regolamentazione alcuna del lavoro, a ciò provvedendo a volte i singoli operatori, mentre gli autisti dei mezzi intenti a scaricare in genere circolavano liberamente''. A propria discolpa il direttore di stabilimento sostiene che la norma attualmente dettata dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 ``prevede obblighi per il caso di affidamento di lavori all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva'', e che ``non sarebbe pertanto al caso di specie, atteso che il magazzino-deposito in cui si è verificato l'incidente era del tutto separato ed autonomo rispetto allo stabilimento di cui egli era direttore, tanto è vero che il contratto stipulato dalla s.p.a. committente con la s.p.a. appaltatrice era firmato, per la prima, non da lui, ma da un altro soggetto''. E aggiunge che ``si trattava di rischi specifici propri dell'impresa subappaltatrice, specializzata in movimentazione facchinaggio, carico e scarico merci, cui era stato subappaltato il lavoro e che dovevano pertanto essere riconosciuti e valutati da tale impresa e non dalla committente''. Nel respingere queste argomentazioni difensive, la Sez. IV premette che l'imputato ``sovrappone due profili, che devono invece essere tenuti distinti, e cioè, da un lato, la pretesa estraneità rispetto all'incidente come sarebbe dimostrato dal fatto che il contratto di appalto tra la s.p.a. committente e la s.p.a. appaltatrice era stato firmato, per la committente, da un soggetto diverso dall'imputato, e, dall'altro, la autonomia dell'attività svolta dall'impresa subappaltatrice, e di conseguenza la problematica del rischio specifico di quest'ultima''. Al primo riguardo, la Sez. IV rileva come ``la circostanza che il contratto di appalto è stato sottoscritto da un soggetto diverso dall'imputato, probabilmente collegata ad una ripartizione di compiti interni all'azienda, non toglie che l'appalto sia stato regolarmente conferito dalla s.p.a. committente con conseguente assunzione da parte della medesima degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro facenti carico proprio all'imputato, nella sua qualità di direttore dello stabilimento munito di delega in materia di prevenzione infortuni''. Per quanto riguarda la pretesa autonomia e indipendenza delle attività svolte, la Sez. IV sottolinea, anzitutto, ``la stretta relazione funzionale che esisteva tra la attività dello stabilimento e il deposito, destinato a ricevere bottiglie vuote da soggetti terzi e a rifornire di tali vuoti lo stabilimento e fino a poco tempo prima gestito direttamente dalla committente, di modo che appare singolare invocare una totale autonomia di gestione''. Aggiunge che ``i camion che portavano le bottiglie vuote al deposito dovevano necessariamente prima transitare per le formalità amministrative presso la portineria dello stabilimento, dove venivano autorizzati a recarsi al deposito e dove ricevevano gli avvertimenti sulla sicurezza da parte dell'addetto alla portineria (irrilevante la loro inadeguatezza)'', che nel magazzino accedevano, con frequenza ravvicinata e con precedenza assoluta, le navette della committente che prelevavano le bottiglie vuote da trasferire nel vicino stabilimento, e che ``personale della committente si recava nel deposito per controllare e per fare l'inventario''. Esclude, pertanto, che ``il magazzino-deposito avesse una propria individualità tale da assumere la fisionomia di unità produttiva autonoma e separata, ritenendosi invece che rientrasse all'interno dell'unità produttiva della s.p.a. committente, con la conseguente applicabilità degli obblighi [attualmente previsti dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008], obblighi peraltro riconosciuti anche a livello contrattuale''. Né si considera rilevante ``la circostanza che i mezzi che prelevavano le bottiglie vuote necessarie alla attività del vicino stabilimento fossero guidati da personale di un'altra ditta a cui il servizio era stato appaltato, e dunque non da dipendenti della committente'', poiché tale circostanza ``non fa venire meno gli obblighi di cooperazione il cui obiettivo è proprio quello di assicurare, al di là dei rapporti giuridici esistenti tra i vari soggetti interessanti (appalto, lavoro subordinato, prestazione d'opera) una cooperazione effettiva in caso di contemporanea presenza su un luogo di lavoro di più soggetti, al fine di rendere concreta la prevenzione degli infortuni e assicurare la massima protezione possibile di chi in tale ambiente opera''.

    Il datore di lavoro committente di lavori di lavori all'interno di un capannone industriale fu riconosciuto colpevole del delitto di lesioni personali colpose in danno di due lavoratori di un'impresa subappaltatrice. La colpa addebitata all'imputato fu quella di aver ``omesso di cooperare al fine dell'attuazione delle misure di sicurezza'', e, in particolare, di aver lasciato che ``l'attività fosse svolta nonostante la presenza sul pavimento di cinque ampie buche''. A sua discolpa, l'imputato deduce che ``i lavori non si svolgevano in una ambiente `comune' a tutte le aziende presenti nel capannone, ma in un settore separato costituito dai lati del capannone'', e, quindi, che non gli spettava alcun obbligo di cooperazione. La Sez. IV respinge il ricorso: ``Per `ambiente di lavoro' deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l'attività lavorativa si sviluppa ed in cui coloro che siano autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni connesse all'attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione dei lavori. Non vi è dubbio, pertanto, che Il capannone, nella sua interezza, fosse un luogo di lavoro, non essendo possibile delimitare l'ambito del concetto al solo sito di materiale operatività dell'attività, se per raggiungere detto luogo ed operare il movimento di materiali ed apparecchiature sia necessario passare attraverso altre zone di cantiere. Nel caso di appalto di lavori all'interno dell'azienda, il datore di lavoro committente deve promuovere la cooperazione ed il coordinamento della pluralità delle imprese al fine della attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; nonché per evitare il concretizzarsi dei rischi cui sono esposti i lavoratori e dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva. Nel caso di specie, la realizzazione del capannone, ove si trovavano la pluralità di buche era l'opera che stava costruendo la società dell'imputato: la circostanza che all'interno del capannone si dovesse muovere una ponte mobile, per l'istallazione, da parte di subappaltatori, dell'impianto elettrico e di rete, imponeva la adozione del coordinamento ai fini di sicurezza tra le imprese, per evitare i pericoli a tale attività''.

    d) Nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda, in luoghi di cui il datore di lavoro committente abbia la disponibilità giuridica

    Altra ipotesi è quella che emerge dalla frase ``nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda, in luoghi di cui il datore di lavoro committente abbia la disponibilità giuridica''. In linea con la dizione della norma appare Cass. pen. 29 ottobre 2018 n. 49373 , allorché osserva che ``solo la disponibilità effettiva, nel senso di disponibilità giuridico/operativa, dei luoghi in cui si svolgono i lavori consente al datore di lavoro/committente di avere (o comunque di essere tenuto ad avere) compiuta conoscenza delle specifiche caratteristiche degli stessi e quindi dei rischi ad essi connessi''. E già Cass. pen. 17 aprile 2014 n. 17010 afferma che il datore di lavoro ``non può rispondere per la mancata adozione di misure atte a prevenire il rischio di infortuni nei luoghi di lavoro ove la condotta non sia esigibile per non rientrare il luogo dell'infortunio nei luoghi di lavoro su cui egli esercita il proprio controllo, difettando anzitutto la materialità del fatto, ma anche qualsiasi addebitabilità colposa al datore di lavoro''.

    Certo è, però, che ben più penetrante era l'intento perseguito dall'art. 1, comma 910, Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007), allorché coinvolse il datore di lavoro committente in caso di affidamento dei lavori all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi ``nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima'', e, cioè, l'intento di non esonerare grandi aziende da responsabilità per lavori rientranti nel loro ciclo produttivo ed esportati in piccole imprese più facilmente destinate a sfuggire ai controlli ispettivi. E del pari palese risulta l'opposto intento del D.Lgs. n. 106/2009 di raccogliere le doglianze formulate dalle aziende a fronte della formula introdotta dalla Finanziaria 2007, e, quindi, di limitarne la responsabilità ai soli casi in cui il datore di lavoro committente abbia la disponibilità giuridica dei luoghi.

    Pur in questo quadro, si è comunque fatta strada in giurisprudenza la non agevole ricerca di una soluzione che comunque coinvolga il datore di lavoro committente di lavori riconducibili nel suo ciclo produttivo, pur se eseguiti in luoghi non rientranti nella sua disponibilità giuridica. Così Cass. pen. 4 aprile 2019 n. 14921 sostiene che ``l'imprenditore, quand'anche frazioni il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali finalizzati ad alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, non perde la sua posizione di garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del suo programma lavorativo e produttivo''. E alla medesima soluzione giunge, per mano del medesimo estensore, con riguardo al drammatico caso dei cinque morti di Molfetta, Cass. pen. 25 marzo 2019 (u.p. 8 febbraio 2019) n. 12876. Una cisterna contenente zolfo fuso, dopo lo scarico, venne riconsegnata vuota e non ripulita. Un operaio della ditta incaricata del lavaggio avvertì il cattivo odore proveniente dal container, scese con la scaletta, senza alcun dispositivo di protezione individuale, per verificare e rimuovere manualmente con raschietto, scopa e paletta i residui di zolfo prima di procedere al lavaggio automatico con lancia idraulica a testine rotanti, respirò, quindi, le esalazioni di acido solfidrico liberate dallo zolfo fuso al momento dell'immagazzinamento e comunque rimaste anche dopo lo scarico, perse la vita. In successione, entrarono poi nella cisterna, nel tentativo di soccorrere i colleghi, due operai, un autista, e infine il titolare della ditta datrice di lavoro, nel frattempo avvisato e sopraggiunto. Tutti deceduti a causa dell'intossicazione acuta da acido solfidrico. Solo un operaio si salvò, riportando lesioni personali gravi, perché ``rimasto sulla scala esterna ad osservare dal boccaporto, inebetito per le inalazioni del gas che, sia pure in minor misura, fuoriusciva dalla cisterna''. Quattro le società coinvolte: la s.p.a. che affidò a una seconda s.p.a. le operazioni di trasporto e bonifica delle cisterne contenenti zolfo (nelle persone del presidente del C.d.A., dell'amministratore delegato, del direttore tecnico consigliere di amministrazione e del RSPP); la seconda s.p.a. che a sua volta appaltò a una s.n.c. le predette operazioni (nelle persone del rappresentante legale e del responsabile di unità organizzativa); la s.n.c. (nella persona del legale rappresentante) che subappaltò la bonifica delle cisterne a una s.a.s. (nella persona del rappresentante legale ed RSPP, deceduto nell'infortunio). Nell'annullare con rinvio i proscioglimenti pronunciati dalla Corte d'Appello in contrasto con il tribunale sia nei confronti delle persone fisiche, sia nei confronti delle società imputate (fatta eccezione per la ditta incaricata del lavaggio), la Sez. IV rimprovera alla Corte d'Appello di non ``aver fatto corretta applicazione dei principi giuridici'' in materia. E in particolare afferma che, ``secondo un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l'imprenditore, quand'anche frazioni il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali finalizzati ad alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, non perde la sua posizione di garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del suo programma lavorativo e produttivo''.

    A proprio supporto, sia la n. 14921/2019 , sia la n. 12876/2019 , richiamano Cass. pen. 12 ottobre 2007 n. 37588 . Solo che si tratta di una sentenza che concerne un infortunio accaduto il 21 marzo 1996, data in cui vigeva l'art. 7 D.Lgs. n. 626/1994 nel testo non ancora modificato dalla Legge Finanziaria n. 296/2006, e che ciò malgrado applica l'art. 7 nel testo meno favorevole all'imputato introdotto dalla Legge Finanziaria. Per giunta, la n. 12876/2019 , pronunciata all'udienza dell'8 febbraio 2019, si appoggia alla sentenza del 2007, malgrado consideri infortuni accaduti il 3 marzo 2008, ed applica a siffatti infortuni l'art. 26 nel testo meno favorevole agli imputati introdotto dalla Legge Finanziaria, e non nel testo più favorevole agli imputati stabilito dal D.Lgs. n. 106/2009.

    Mi spiego allora perché la n. 12876/2019 ritenga comunque necessario notare che, nel caso di specie, ``l'ambiente di lavoro era rappresentato dalla cisterna, luogo nella disponibilità giuridica dei principali committenti, ai quali comunque competeva, essendone peraltro pienamente consapevoli, la valutazione del rischio inerente al trattamento della cisterna vuota e non ripulita, contenente residui pericolosi di zolfo e acido solfidrico; così come obblighi di coordinamento e cooperazione connessi al rischio interferenziale dettati dall'art. 7 D.Lgs. 626/1994 si estendevano a carico di tutti i datori di lavoro ai quali erano riconducibili le plurime attività coinvolte nel processo causale che ha dato origine all'infortunio''.

    In argomento, v.:

    ``Con l'entrata in vigore dell'art. 26, comma 1, D.Lgs. n.81/2008, deve intendersi per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo. Ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro -contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte. Occorre comunque verificare che il destinatario degli obblighi di coordinamento e cooperazione abbia la disponibilità giuridica dei luoghi nei quali si svolgeva l'attività''.

    e) Il caso del datore di lavoro non coincidente con il committente

    Nel disciplinare la sicurezza del lavoro negli appalti intra-aziendali, l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, ai primi tre commi, contempla cinque obblighi a carico del datore di lavoro committente. Peraltro, nel successivo comma 3-ter, stabilisce che, ``in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall'esecuzione del contratto'', che ``il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell'inizio dell'esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l'appalto'', e che ``l'integrazione, sottoscritta per accettazione dall'esecutore, integra gli atti contrattuali''. Di questa norma si occupa per la prima volta:

    Per un infortunio sul lavoro furono condannati il presidente del consiglio di amministrazione delegato in materia antinfortunistica di una s.p.a. committente dei lavori di fornitura e posa in opera della copertura di un capannone, il delegato in materia antinfortunistica della s.r.l. appaltatrice a sua volta subappaltante dei lavori di posa dei lucernari affidati a una s.n.c., i soci amministratori della s.n.c. subappaltatrice dei lavori di posa dei lucernari e sub-committente dei lavori di sostituzione dei lucernari in plexiglass affidati a un'impresa individuale, il titolare di tale impresa individuale datore di lavoro di fatto del lavoratore irregolare infortunatosi. A sua discolpa, il committente esclude la contestata violazione dell'art. 26, commi 1, 2 e 3, D.Lgs. n. 81/2008, in considerazione della ``mancata disponibilità giuridica e di fatto dell'ambiente dove dovevano essere effettuate le lavorazioni anche per aver già trasferito il rapporto giuridico e le conseguenti responsabilità in capo all'impresa subappaltatrice''. La Sez. IV replica che ``fra gli imputati sussisteva una catena di appalti e subappalti, anche se non compiutamente formalizzata'', e che ``l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 che disciplina la fattispecie è norma, che palesa la volontà del legislatore di tutelare tutti i soggetti che, a vario titolo, concorrono a raggiungere la finalità dell'intero ciclo produttivo attuato dall'imprenditore-datore di lavoro''. E rileva che, ``nei casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto ha l'obbligo, per quanto disposto dall'art. 26, comma 3 ter, D.Lgs. 81/2008, di redigere il documento di valutazione dei rischi inerenti alla tipologia delle prestazioni che potrebbero derivare dal contratto''.

    Non sembrano tener conto di quanto disposto dall'art. 26, comma 3-ter:

    Caduta dall'alto del dipendente di una s.n.c. appaltatrice durante lavori di sostituzione del manto di copertura in eternit di un capannone di proprietà del committente, ma non rientrante nella sua disponibilità giuridica in quanto detenuto da persona che lo utilizzava come deposito. La Sez. IV annulla la condanna del committente: ``Il profilo soggettivo, che è quello che viene qui in rilievo, è stato nel tempo oggetto di diverse interpretazioni giurisprudenziali in relazione alla questione se gli obblighi contemplati dall'art. 26 fossero applicabili anche al committente che non sia imprenditore. L'interpretazione cui è giunta la giurisprudenza é nel senso di ritenere che il committente ex art. 26 sia un vero e proprio datore di lavoro, e non un soggetto privato. Ne deriva che la disciplina di cui all'art. 26 ha come ambito di applicazione l'azienda, il ciclo produttivo, sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi ove si svolge l'appalto. Nel caso dedotto in giudizio, il contratto di appalto stipulato tra la s.n.c. e la s.r.l. aveva ad oggetto i lavori di sostituzione delle travi di copertura di un capannone industriale di proprietà della seconda e detenuto da persona che lo utilizzava come deposito di talché l'immobile non era neanche nella disponibilità giuridica della società committente. Nella realizzazione dei lavori non erano coinvolte altre imprese essendo stati presenti in loco i soli prestatori di lavoro alle dipendenze della s.n.c. cosicché non era neanche configurabile un rischio di tipo interferenziale. Pertanto il richiamo all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto disciplina una fattispecie diversa, si rivela incongruo. Inoltre, non si evince neppure che l'imputato abbia attuato quella `ingerenza' espressiva di una partecipazione attiva nella conduzione e realizzazione dell'opera, tale da renderlo, per questa ragione, destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, tra questi quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere. Invero, l'`ingerenza', quale fattore idoneo a coinvolgere il committente nella responsabilità per eventi lesivi occorsi agli addetti, deve consistere in una attività di concreta interferenza sul lavoro altrui, tale da modificarne le modalità di svolgimento e da stabilire comunque con gli addetti ai lavori un rapporto idoneo ad influire sull'esecuzione degli stessi. Pertanto, una volta che la s.r.l. aveva provveduto ad individuare un soggetto dotato dei previsti requisiti tecnico-organizzativi per la realizzazione dei lavori e rilevato peraltro che con riguardo al luogo in cui l'opus andava realizzato non può parlarsi di cantiere, il rischio specifico relativo allo smaltimento delle lastre di amianto incombeva unicamente sulla s.n.c.''.

    ``Il committente è da ritenersi responsabile allorquando assuma una partecipazione attiva nella conduzione dell'attività da compiersi; in tal caso, invero, egli rimane destinatario degli obblighi assunti dall'appaltatore, e, dunque, anche di quello di controllare direttamente le condizioni di sicurezza in cui si svolgono le attività da compiersi''. Nel caso di specie, l'amministratore di una s.r.l. aveva incaricato altra s.r.l. di rivestire taluni banchi frigo; e concluse le lavorazioni, aveva commissionato a una ditta di autostrasporti di prelevare i banchi frigo dallo stabilimento della s.r.l., appaltatrice e di trasportali presso una fiera, incaricando la s.r.l. appaltatrice di mettere a disposizione un suo dipendente, con un muletto, per il carico dei frigoriferi sull'autocarro. Durante la movimentazione, un voluminoso frigorifero cadeva sulla gamba dell'autista. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna del committente.

    f) Il caso del committente che non riveste la qualifica di datore di lavoro

    S'intende, a questo punto, quanto sia azzardato applicare l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 nell'ipotesi in cui il committente non rivesta la qualità di datore. Resta aperta, invece, ove ne sussistano i presupposti, l'applicabilità della disciplina dettata dal Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 (v. sub artt. 89, paragrafo 11, e 90, paragrafo 5), ovvero dei principi generali evocati in questo paragrafo al punto b. Con l'avvertenza data in rapporto al caso in cui il proprietario non coincida con l'effettivo committente da:

    ``Un lavoratore autonomo stava eseguendo dei lavori di ampliamento di un fabbricato rurale - ed in particolare la copertura di parte dell'immobile mediante la posa di armatura metallica e getto di calcestruzzo - utilizzando un mezzo d'opera sul quale era montato un braccio meccanico di sollevamento, quando questo veniva accidentalmente a contatto con i conduttori di corrente elettrica in media tensione che attraversavano l'area sovrastante, cagionando la sua folgorazione. L'evento veniva attribuito all'effettivo committente dei lavori, ancorché la proprietaria dell'immobile fosse la moglie, e quindi come soggetto che aveva la piena disponibilità del fondo sul quale sorgevano le opere edili; in tale qualità non si era attivato per il previo distacco dell'energia elettrica''. La Sez. IV conferma la condanna: ``L'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 Cost., 2087 c.c. e 1, comma 1, legge n. 833/1978, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro, sicché il committente che affida lavori edili in economia ad un lavoratore autonomo di non verificata professionalità è titolare di una posizione di garanzia nei confronti di questo. La qualità di committente dell'imputato ed anzi di committente concretamente ingeritosi nell'esecuzione dei lavori, perché da lui stesso coordinati e gestiti, si desume dal diretto coordinamento del cantiere svolto dall'imputato. Costui reitera l'indicazione della moglie quale proprietaria dell'immobile. Così dimenticando che in tema di violazioni prevenzionistiche vige il principio di effettività, oggi assurto a dignità di norma del diritto positivo con l'art. 299, D.Lgs. n. 81/2008; principio in forza del quale una determinata qualità di rilievo prevenzionistico va affermata non solo sulla base del dato formale ma anche sulla scorta del ruolo concretamente assunto dal soggetto. L'addebito che si è mosso all'imputato è quello di non aver `bonificato' l'area dei lavori, pur essendo a conoscenza della esecuzione di un'attività che comportava l'utilizzo di una gru, con pericoloso avvicinamento ai casi elettrici soprastanti. Il relativo obbligo si pone a prescindere dalla qualifica dei soggetti che si trovano ad eseguire i lavori nell'area in parola: lavoratori autonomi, lavoratori subordinati, fornitori, ecc. Infatti, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine; mentre non può andare esente da responsabilità ove abbia omesso di attivarsi per prevenire il rischio non specifico. Com'è quello del rischio di contatto con linee elettriche soprastanti l'area di lavoro''.

    Di contrario avviso parrebbe Cass. 31 maggio 2017, sub paragrafo 1, g, ove si sostiene che, prima dell'affidamento dell'appalto, ``l'imputato potrebbe rispondere quale proprietario dell'immobile'', poiché, ``essendo a conoscenza delle condizioni del tetto, avrebbe dovuto informare delle stesse l'infortunato, impedendone l'accesso in condizioni di mancata o insufficiente sicurezza''. Quanto all'affidamento di lavori in economia v. pure:

    ``Il contratto concluso tra le parti è un contratto avente ad oggetto la esecuzione di lavori edili in economia, assimilabile, sul piano della disciplina, al contratto di appalto, e per il quale trova applicazione il D.Lgs. n. 81/2008. La posizione che l'imputato ha assunto nei confronti del soggetto incaricato è quella di committente ai sensi dell'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008''. (Conforme Cass. 13 luglio 2018, n. 32228).

    Non convincente circa l'applicabilità dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 - oltre a Cass. 9 agosto 2022 n. 30803, sub art. 89, paragrafo 11:

    La committente di lavori di rifacimento dell'intonaco e della tinteggiatura di un fabbricato di sua proprietà fu imputata di omicidio colposo in danno di persona caduta dall'altezza di 4 metri, per ``averle affidato i lavori senza alcun controllo sulla mancata adozione delle necessarie misure di sicurezza''. Pur prendendo atto della prescrizione del reato, la Sez. IV osserva: ``Gli obblighi di sicurezza previsti dall'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 gravano esclusivamente sul committente, da intendersi come colui che ha stipulato il contratto d'opera o di appalto, anche se non proprietario del bene che si avvantaggia delle opere affidate, mentre nessuna responsabilità è configurabile a carico del proprietario non committente che non si sia ingerito nell'esecuzione delle opere, pur in assenza di una delega di funzioni''. E ritiene che si sia ``correttamente desunto la qualità di committente dell'imputata da una serie di indizi gravi precisi e concordanti, consistenti nella titolarità esclusiva dell'immobile oggetto dei lavori, nella sua presenza sul cantiere e nella sua ingerenza nei lavori''.

    Condivisibile, invece:

    ``Il privato, il quale ha affidato l'esecuzione di alcune opere ad un lavoratore, non può essere ritenuto datore di lavoro, come definito dall'art. 2 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto mancano i presupposti dell'attività e della sua organizzazione (indubbio essendo che, in un'abitazione privata, non si producono beni né si erogano servizi) e dei connessi poteri decisionali. Ne consegue, quindi, che, con riguardo a detta figura, non trova applicazione l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008''.

    g) Non necessario un contratto d'appalto in forma scritta

    ``Ai fini della configurabilità di una responsabilità del committente per `culpa in eligendo' nella verifica dell'idoneità tecnico-professionale dell'impresa affidataria di lavori, non è necessario il perfezionamento di un contratto di appalto scritto, essendo sufficiente che nella fase di progettazione dell'opera, intervengano accordi per una mera prestazione d'opera, atteso il carattere negoziale degli stessi''.

    ``Ai fini della configurabilità di una responsabilità del committente per culpa in eligendo nella verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa affidataria di lavori, non si ritiene neppure necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, essendo sufficiente un accordo per una mera prestazione d'opera''.

    Nel corso dei lavori di rifacimento della copertura di un capannone affidati dalla s.r.l. proprietaria del capannone ad altra s.r.l. e da questa subappaltati a un'impresa individuale, un dipendente dell'impresa individuale e un lavoratore autonomo intenti a transitare sul piano di copertura sfondavano tre lastre, precipitando da un'altezza di circa dieci metri in assenza di dispositivi di protezione. Per omicidio colposo plurimo furono condannate tre persone: l'amministratore unico della s.r.l. committente per aver omesso di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, l'amministratore unico della s.r.l. affidataria per aver omesso di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori subappaltati all'impresa individuale e al lavoratore autonomo, il titolare dell'impresa individuale datrice di lavoro del dipendente infortunato per non aver predisposto ``idonee misure di protezione individuale e collettiva quali sottopalchi da montare al di sotto della copertura, ad una distanza della stessa non superiore ai metri due, assicurandosi del contemporaneo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta da parte del medesimo lavoratore''. Nel confermare le condanne, la Sez. IV considera l'argomentazione difensiva alla stregua della quale ``al momento dell'incidente, i lavori da eseguirsi ad opera della ditta individuale non fossero ancora stati subappaltati e gli operai deceduti si trovassero in cantiere solo per un sopralluogo''. E oltre a replicare in fatto che ``i lavori erano iniziati, tanto è vero che era già stata apposta una scossalina ed altre erano pronte per l'apposizione'', sottolinea comunque che ``la sicurezza nel cantiere deve essere garantita anche per i semplici sopralluoghi, svolti anche da ditte esterne cui devono poi subappaltarsi dei lavori''.

    La Sez. IV, nell'affrontare ``la questione relativa alla dedotta mancanza di un valido contratto di appalto'', prende atto che ``in termini fattuali il contratto di appalto era stato in concreto posto in esecuzione, come attestano anche i plurimi incontri tra i vari rappresentanti delle ditte coinvolte, nonostante non fosse stato ancora confezionato il relativo documento scritto''. E ritiene comunque ``non necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d'opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste''. (Conforme Cass. 13 luglio 2018, n. 32228).

    Nello stesso senso, con riferimento ai cantieri temporanei o mobili:

    ``Le misure generali di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, che implicano a norma dell'art. 15 D.Lgs. n. 81/2008 la valutazione preventiva e l'eliminazione dei rischi in relazione ai lavori da eseguire, pongono carico del committente, sin dalla fase di progettazione dell'opera e delle conseguenti scelte tecniche, specifiche cautele prescritte dall'art. 90, comma 9 del medesimo decreto, fra cui la verifica nell'ipotesi di cantieri temporanei dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa affidataria, la quale implica l'iscrizione di quest'ultima alla camera di commercio e l'autocertificazione in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore. Non è affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, sia perché trattasi di adempimenti preliminari alla successiva fase della stipula, sia perché la norma in esame non contempla tale figura contrattuale - come si desume dal tenore letterale dello stesso art. 90 che parla di ``affidamento dei lavori'' e che nella lettera c) del comma 9, contemplante a sua volta gli adempimenti di cui alle precedenti lettere a) e b), esclude espressamente la necessità del ricorso all'appalto, ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d'opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste''.

    Isolate risultano:

    Il presidente del consiglio di amministrazione delegato in materia antinfortunistica di una s.r.l. affidò ad altra società la ``verifica della possibilità di installazione di pannelli fotovoltaici sulla copertura di un capannone di proprietà della s.r.l., e venne condannato per l'infortunio occorso all'amministratore della società incaricata per caduta al suolo dalla copertura a causa del cedimento di un lucernario, in particolare per violazione degli obblighi previsti a carico del datore di lavoro committente dall'art. 26, commi 1, lettera b), 2, e 3, D.Lgs. n. 81/2008. A sorpresa, la Sez. IV annulla con rinvio la condanna. Esclude, infatti, l'applicabilità nel caso di specie dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. Spiega che ``presupposto per l'applicabilità della norma in esame è che l'imputato fosse stato il committente (delle operazioni di verifica della possibilità) dell'installazione di pannelli fotovoltaici, mentre risulta che egli, al momento del sopralluogo, non aveva affidato all'infortunato nessun lavoro (e in particolare nessun appalto)'', e che ``l'assenza di tale conferimento (e quindi della veste di committente), richiesto dalla fattispecie integratrice per la stessa sussistenza del reato, non avrebbe potuto essere colmato attraverso una interpretazione che ha finito con l'estendere analogicamente (e, dunque, illegittimamente) la normativa in esame, oltre il dettato normativo, a fattispecie diversa''. Sostiene che, ``nel caso di specie, il richiamo all'art. 26 non si palesa pertinente, in quanto detta disposizione richiama il rischio interferenziale, che, circa lavori di rimozione di eternit e di installazione di pannelli fotovoltaici, trova la sua disciplina peculiare negli artt. 90 e ss., in tema di cantieri mobili e temporanei'', e che, tuttavia, ``per l'applicazione di detta normativa, è necessaria la figura di un committente, mentre nel caso in esame, per quanto è dato desumere da entrambe le sentenze di merito, non era intervenuto nessun appalto (e neppure uno degli altri rapporti contrattuali - somministrazione e contratto d'opera - per i quali il citato art. 26 impone obblighi prevenzionali)''. Ne desume che ``la fattispecie esula dalla sfera del diritto penale del lavoro (e, conseguentemente, dall'applicabilità della normativa antifortunistica) ed è stata erroneamente ritenuta l'aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, aggravante che viene qui esclusa''. Conclude che, ``esclusa la suddetta circostanza aggravante, essendo contestata la colpa generica, residua l'ipotesi del reato di lesioni colpose, per il quale l'imputato potrebbe rispondere quale proprietario dell'immobile'', poiché, ``essendo a conoscenza delle condizioni del tetto, avrebbe dovuto informare delle stesse l'infortunato, impedendone l'accesso in condizioni di mancata o insufficiente sicurezza''.

    ``L'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, nell'indicare gli obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione, prevede che il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività `. L'obbligo di fornire le dettagliate informazioni ai lavoratori sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e di emergenza presuppone l'esistenza di un rapporto contrattuale d'appalto o d'opera o di somministrazione. Nel caso di specie, era stato semplicemente inviato dall'appaltatore un preventivo, qualificabile come bozza, per di più non ancora accettato dall'imputata. È, dunque, evidente che non vi fosse ancora stato un `affidamento' dei lavori di fornitura e posa in opera del sistema antifurto, dunque non poteva ritenersi ancora configurabile quel rapporto giuridico da cui scaturiscono gli obblighi imposti dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008. Né varrebbe obiettare che il contratto di appalto, in quanto contratto che non ti chiede la forma scritta (salvi casi espressamente previsti dalla legge come, ad esempio, nei contratti di appalto in cui è parte la Pubblica Amministrazione), possa ritenersi concluso anche per facta concludentia. Ed invero, pur essendo il contratto di appalto, in linea di principio, un contratto a forma libera, non essendo soggetto ad alcun vincolo di forma, esistono tre ipotesi in cui, di contro, anche l'appalto deve necessariamente avere forma scritta. Si ha, infatti, la necessità della forma scritta, per espressa previsione di legge (artt. 237, 238 e 852 cod. nav.) per l'appalto relativo alla costruzione di navi o aeromobili, così come è prevista la forma scritta ad substantiam per gli appalti pubblici (come per tutti i contratti in cui sia parte al P.A.). Parimenti è necessaria la forma scritta ad substantiam per gli appalti tra privati in cui l'operazione complessiva voluta dalle parti contempli anche il trasferimento della titolarità di diritti reali su beni immobili (art. 1325 c.c.). L'appalto può quindi concludersi anche oralmente o, addirittura, per facta concludentia. Tuttavia, possiamo dire che le condizioni richieste dal D.Lgs. n. 81/2008 (art. 26, comma 3, nel regime applicabile ante D.L. n. 69/2013: in caso di redazione del documento esso è allegato al contratto di appalto o di opera e deve essere adeguato in funzione dell'evoluzione dei lavori, servizi e forniture; art. 26, comma 5: nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli artt. 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati a pena di nullità ai sensi dell'articolo 1418 del codice civile i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni. I costi di cui al primo periodo non sono soggetti a ribasso. Con riferimento ai contratti di cui al precedente periodo stipulati prima del 25 agosto 2007 i costi della sicurezza del lavoro devono essere indicati entro il 31 dicembre 2008, qualora gli stessi contratti siano ancora in corso a tale data. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e gli organismi locali delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale), è necessaria la forma scritta ad substatiam e ad probationem. Pertanto deve escludersi la conclusione di un contratto d'appalto ex art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 per facta concludentia ossia mediante inizio, dell'esecuzione (della prestazione), secondo il modello di cui all'art. 1327 c.c.''.

    È da notare a questo proposito che la violazione dell'art. 26, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008 può sussistere a prescindere dalla sussistenza di un rischio interferenziale (secondo quanto insegna Cass. 27 marzo 2017, riportata sub paragrafo 2, A). D'altra parte, in casi in cui un lavoro, un servizio, una fornitura siano effettuati da un'unica impresa o da un unico lavoratore autonomo, si applica semmai l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, e non la disciplina dettata dal Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 (v. i precedenti richiamati nel paragrafo 1, A). Resta da dire che, nel caso di specie, un datore di lavoro affidò ad altra società perlomeno la verifica della possibilità dl installazione di pannelli fotovoltaici sulla copertura di un capannone di sua proprietà. Con l'avvertenza che ``ciò che rileva ai fini della normativa (di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008), non è la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte'': v, i precedenti richiamati nel paragrafo 3.

    Utile è anche sottolineare che ``le condizioni richieste dall'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008'' mirano a intensificare la tutela della sicurezza nei lavori, servizi e forniture affidati in appalto, e non già a diventare un comodo strumento per non adempiere agli obblighi previsti dall'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008. S'intende che, nel quadro della soluzione affiorante dalla sentenza n. 17010 del 17 aprile 2014, basterebbe al datore di lavoro committente non osservare tali condizioni, e comunque concludere un appalto non in forma scritta, per sottrarsi agli obblighi stabiliti dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008.

    Per un riferimento a Cass. 31 maggio 2017 n. 27306 v. Cassazione penale n. 1777 del 16 gennaio 2019, ampiamente riportata al paragrafo 3. A sua volta, Cass. 9 aprile 2019 n. 15335 (sopra richiamata in questo stesso paragrafo, sub a ) osserva che la sentenza n. 17010 del 17 aprile 2014 è ``una decisione ad oggi rimasta isolata''.

    h) Fase prodromica all'esecuzione dei lavori

    ``Al committente è stato correttamente addebitato non soltanto il mancato adeguamento del silos, sprovvisto di sistemi di svuotamento automatici, ma anche e soprattutto di aver omesso di coordinarsi con l'azienda appaltatrice e di non aver redatto il D.U.V.R.I., tenuto conto del rischio interferenziale comunque sussistente in relazione alla struttura in questione. Infatti, la nozione di interferenza tra impresa appaltante e impresa appaltatrice non può ridursi, ai fini dell'individuazione di responsabilità colpose, al riferimento alle sole circostanze che riguardino `contatti rischiosi tra il personale delle diverse imprese, ma deve necessariamente ricomprendere anche tutte quelle attività preventive poste in essere nella fase antecedente ai contatti rischiosi. Gli obblighi di sicurezza devono, infatti, essere adempiuti anche nella fase prodromica all'esecuzione dei lavori, allorché il dovere di coordinamento obbliga il responsabile ad esigere l'allestimento delle protezioni. In sostanza, il personale della ditta appaltatrice, ancorché operi autonomamente nell'ambito del luogo di lavoro dell'appaltante, deve essere, a cura di quest'ultimo, posto in condizioni di conoscere preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro. Gli obblighi di informazione di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 si estendono, infatti, alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti alle lavorazioni conferite in appalto, ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali esistenti e delle mansioni da svolgere, devono essere poste a conoscenza dell'appaltatore, affinché questi possa regolarsi di conseguenza Dunque, a norma dell'art. 26, comma 2, l'appaltatore e il subappaltatore sono tenuti a richiedere aI committente il documento di valutazione dei rischi interferenziali e qualora ricevano risposta negativa, a sopperire personalmente all'individuazione del rischio, collaborando con il committente''.

    ``Gli obblighi di sicurezza devono essere adempiuti anche nella fase prodromica all'esecuzione dei lavori e il dovere di` coordinamento impegna i responsabili ad esigere l'allestimento delle protezioni''.

    i) I servizi di natura intellettuale

    ``Non esiste attività economico produttiva che sia esente da rischi anche minimi nel suo svolgimento (anche le attività meramente intellettuali presentano sia pur modesti margini di rischio); e infatti l'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 (ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008) non fa alcun riferimento a questa caratteristica delle attività appaltate''.

    È da notare, in margine a questa sentenza della Suprema Corte, che il nuovo art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008 [introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009] esclude l'obbligo del DUVRI di cui al precedente comma 3 con riguardo, in particolare, ``ai servizi di natura intellettuale'', ``sempre che essi non comportino rischi derivanti dalla presenza di agenti cancerogeni, biologici, atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all'allegato XI''; e con ciò stesso stabilisce l'applicabilità anche a tali servizi dei quattro obblighi contemplati dai primi due commi dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008.

    l) Lavori interni di trasporto

    Il socio membro del consiglio di amministrazione datore di lavoro di una s.r.l. incaricata del trasporto di un quadro elettrico da parte di una s.p.a., alla guida di un mezzo, giunge nella zona di carico/scarico del magazzino della s.p.a., e dopo che un lavoratore dipendente della s.p.a. aveva iniziato lo scarico del bene sollevandolo con un carroponte per portarlo verso il reparto, inizia la manovra di spostamento del camion prima della fine dello scarico della merce e della conferma di tale ultimazione da parte del lavoratore, così urtando il quadro elettrico che a sua volta colpisce lo stesso lavoratore. Nel confermare la sua condanna per lesione personale colposa, la Sez. IV rileva l'addebito di colpa: ``violazione delle procedure di consegna e ritiro della s.r.l., nonché di quelle di carico e scarico merci della s.p.a., procedure che, unitamente al documento di valutazione dei rischi interferenziali elaborato dalla s.p.a., erano state da questa fornite in ottemperanza all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 alla s.r.l.''.

    In una ditta, alla guida di un carrello elevatore, un dipendente investe da tergo un trasportatore autonomo intento a scaricare materiale dal proprio automezzo su incarico del titolare della ditta. Condannati per lesione personale colposa il titolare e il dipendente.

    ``L'autista di una società di trasporti si recava, alla guida di un camion, presso lo stabilimento di una società per effettuare un carico. In uno dei piazzali adibiti alle operazioni di carico dei camion, attendeva a bordo del mezzo che fossero completate le operazioni di carico, fin quando il carrellista lo invitava a procedere alle operazioni di fissaggio del carico nella parte anteriore del camion. Fissati i materiali nella parte anteriore, l'autista si era spostato verso la parte posteriore del mezzo per verificare la corretta sistemazione del carico. Mentre si trovava sul lato destro, a pochi metri dal semirimorchio, veniva travolto da un muletto guidato da un dipendente della società ospitante, che stava transitando in quel momento nella zona del carico e che non si era accorto della presenza dell'autista''. La Sez. IV osserva: ``ll documento di valutazione dei rischi interferenziali (DUVRI) prevedeva che l'autista potesse scendere dal proprio veicolo, avendo il compito di controllare il corretto posizionamento del carico, ma ne doveva restare nelle vicinanze, proprio al fine di evitare situazioni di rischio come quella in concreto verificatasi. Tale rischio, dunque, era stato preso in considerazione nel DUVRI, ma è emerso che non era stata data concreta e adeguata attuazione alle previsioni di sicurezza, per cui anche la disposizione di recarsi nella strada privata - al di fuori della zona di carico - per controllare il posizionamento del camion non era stata codificata. Di qui l'addebito di responsabilità colposa nei confronti del prevenuto, stante la mancata previsione cautelare di procedure per evitare il rischio di investimento degli autisti (di altra ditta) durante il carico sugli automezzi''. Il reato di lesione colposa, peraltro prescritto, fatta salva la condanna agli effetti civili, fu addebitato al direttore dell'ufficio tecnico e dello stabilimento della ditta ospitante con funzioni organizzative e dispositive in materia di prevenzione antinfortunistica e igiene del lavoro.

    Il titolare di un'impresa di autotrasporti fu incaricato con insistenza di effettuare la consegna di materiale presso l'azienda dell'imputato nonostante le avverse condizioni atmosferiche a causa di una discreta nevicata. Lasciato il proprio mezzo di trasporto fuori del perimetro aziendale, si accinse alla consegna di una cassa piuttosto pesante attraverso una rampa di scale. Un dipendente dell'imputato gli diede una scopa con cui togliere la neve dalla scala, ma il manico in alluminio della scala si ruppe e gli tagliò un tendine. La Sez. IV ritiene l'imputato responsabile: ``L'imputato, avendo preteso dall'infortunato, la specifica prestazione lavorativa, cumulava la qualità di datore di lavoro, ex art. 2, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, n quanto responsabile dell'organizzazione all'interno della quale si è verificato l'incidente e di committente del servizio di trasporto, ex art. 26 medesimo D.Lgs., ed era pertanto responsabile della sicurezza della consegna ordinata; ben consapevole delle particolari condizioni del tempo e della presenza della neve, avrebbe dovuto in primo luogo assicurare, dando le opportune disposizioni, che le vie di accesso alla propria azienda fossero pienamente agibili, che i vialetti e le scale fossero puliti in modo da poter essere utilizzate in piena sicurezza e senza rischio di scivolamento, essendo tali obblighi specificati nell'allegato IV al D.Lgs. n. 81/2008, richiamato dall'art. 63, alla cui osservanza il datore di lavoro è obbligato in base all'art. 64. L'osservanza di tali cautele era evidentemente dovuta in primo luogo a tutela dei propri dipendenti, ma l'obbligo si estendeva alla persona dell'infortunato, una volta che questi, su esplicita e consapevole richiesta dell'imputato, che in relazione ad essa ha assunto la figura di datore di lavoro committente, era stato messo nella condizione di pericolo nella quale si è verificato l'incidente. Si è trattato di un tipico rischio interferenziale in quanto derivante dall'interferenza tra la prestazione richiesta al trasportatore e uno specifico rischio esistente nel luogo in cui la prestazione stessa doveva essere adempiuta. Il rischio non era meramente accidentale. La presenza della neve sul percorso di accesso all'azienda dell'imputato era situazione contingente, particolare e specifica che necessitava di idonea tutela. Sostiene l'imputato che era possibile una via alternativa, ma trattasi di obiezione che non è idonea a elidere la responsabilità dell'imputato dal momento che il medesimo non aveva dato disposizione alcuna per rendere possibile che la prestazione venisse effettuata in sicurezza, ad es. indicando il percorso da seguire, assicurandone la pulizia o precisando le alternative modalità della consegna rispetto alla prassi ordinaria, ma aveva invece lasciato ogni decisione alla improvvisazione del momento tanto che all'infortunato venne data una scopa e venne consentito di provvedere personalmente alla rimozione della neve, operazione nel corso della quale si procurò le lesioni di cui è causa''.

    Il legale rappresentante di una s.p.a. esercente attività di trasporto e logistica e il legale rappresentante di una cooperativa per azioni incaricata dalla s.p.a. di svolgere i servizi di magazzino furono condannati per il delitto di lesioni colpose aggravate in danno di un autista dipendente di altra azienda di trasporto recatosi presso il magazzino della s.p.a. per prelevare un carico e intento a percorrere a piedi il magazzino senza rispettare il tracciato pedonale segnato in terra, travolto alle spalle da un muletto che stava effettuando una retromarcia e che era privo di segnalatori acustici di manovra (c.d. cicalino) condotto da dipendente di una s.r.l. affiliata dalla cooperativa per il diretto svolgimento dell'attività di magazzino, quindi di carico e scarico con muletti. La Sez. IV conferma la condanna: ``È sul datore di lavoro committente che grava il principale onere di promuovere la cooperazione, sebbene tale onere non si estenda ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici. Nel caso che ci occupa il rischio da prevenire non era specifico dell'appaltatore, ma proprio anche del committente, trattandosi della contemporanea presenza di più lavoratori all'interno dell'azienda, appartenenti a diverse imprese, impegnati nelle opere di carico, scarico e stoccaggio delle merci, attività queste proprie della s.p.a. committente e da quest'ultima in parte appaltate a terzi. Non può pertanto lamentarsi che la condanna è ancorata al mancato esercizio di un non dovuto, ruolo di supplenza degli obblighi dell'appaltatore. Infatti ciò che è posto a carico del committente è il mancato efficiente coordinamento tra imprese. Sul punto si richiama la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza, con riguardo ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente. Tale principio non può applicarsi automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Nel caso di specie, ferma restando la sicura affidabilità dell'azienda a cui il lavoro era stato affidato in appalto, il rischio interferenziale dovuto alla contemporanea presenza di automezzi, muletti e pedoni in circolazione nel piazzale ed alcuni nel magazzino era palese e costituiva non un rischio specifico, ma proprio di tutti i datori operanti, primo fra tutti il legale rappresentante della s.p.a. committente. A fronte della presenza di tale rischio e della connessa posizione di garanzia, l'imputato non ha attivato alcuna efficiente iniziativa di cooperazione e coordinamento. La condotta omissiva addebitata all'imputato è quella di non avere previsto specifiche procedure di accesso in sicurezza al magazzino e le regole di comportamento; nonché di avere omesso di disciplinare l'accesso in detti luoghi di persone estranee alle aziende impegnate nei servizi. Inoltre nessuna valutazione dei rischi specifici era stata effettuata, come pure la previsione di un controllo di efficienza dei muletti e carrelli e sulla formazione del relativo personale''. Quanto alla cooperativa appaltatrice subappaltante, la Sez. IV rileva che il rappresentante legale ``era titolare di una posizione di garanzia, non solo quale appaltatore e sub committente, ma anche in ragione di obblighi assunti contrattualmente'', poiché ``nel conferire l'appalto alla cooperativa, la s.p.a. committente aveva negozialmente previsto che detta cooperativa era esclusiva responsabile della sicurezza dei lavoratori e di terzi presenti nell'area di lavoro, con obbligo di adottare tutte le iniziative idonee a garantire la sicurezza''. E osserva: ``Tutti gli oneri di coordinamento e controllo gravanti sul committente a maggior ragione gravavano sull'appaltatore che, per la specifica attività da svolgere in magazzino, era più prossimo al rischio infortuni da prevenire. Analogamente al committente, anche l'appaltatore aveva avuto una condotta omissiva, non attuando, né promovendo alcun coordinamento tra le imprese, né adeguatamente controllando l'efficienza dei mezzi del subappaltatore''.

    ``Un autotrasportatore incaricato della consegna di merci presso lo stabilimento di una s.p.a. era stato investito dal carrello elevatore condotto dal dipendente di una cooperativa la quale aveva stipulato un contratto di appalto relativo alla movimentazione delle merci della committente s.p.a. Il dipendente della cooperativa stava procedendo con le forche alzate di circa 15 cm trasportando delle ceste e, quindi, con visuale a corto raggio ridotta e coperta dalla presenza di materiale stoccato sul piazzale. Il direttore generale della s.p.a. era ritenuto responsabile, in quanto aveva omesso di predisporre e di far rispettare le regole di circolazione per le attrezzature semoventi nei piazzali esterni ai capannoni aziendali e di adottare misure organizzative tali da evitare che i lavoratori potessero subire danni alla persona. L'amministratore unico della cooperativa aveva omesso di coordinarsi con la s.p.a. per l'attuazione degli interventi di prevenzione e protezione dai rischi derivanti dalla circolazione promiscua di attrezzature semoventi e di pedoni sui piazzali esterni della s.p.a. Quanto al divieto cui facevano riferimento gli imputati, si trattava dell'interdizione alla circolazione nei reparti e non nel piazzale con riferimento non ai pedoni ma alle biciclette. Inoltre non vi era un'idonea prassi per il ritiro di pacchi, specie se piccoli e da portare a mano. Infine non erano previsti percorsi per i visitatori né parcheggi decentrati tali da consentire di uscire dai mezzi e recarsi in ufficio con sicurezza. Dunque il direttore generale della s.p.a. non aveva predisposto né coordinato in modo esaustivo ed efficace il traffico promiscuo nel piazzale né vi era una reale e concreta documentazione circa l'effettiva valutazione del rischio e la sua eliminazione o riduzione. Inoltre il fatto di aver concesso in appalto la movimentazione di carichi non eliminava la responsabilità legata alla mancanza di regole nell'azienda circa il traffico nel piazzale in quanto tale negligenza non era strettamente connessa con il contratto d'appalto, tenuto conto che rimaneva a suo carico l'attività di coordinamento per evitare rischi interferenziali anche per i visitatori. Il datore di lavoro, invero, era garante della sicurezza di tutti coloro che a vario titolo entravano nella struttura e la cooperativa, a tal proposito, non aveva nessun potere organizzativo. Quanto all'amministratore della cooperativa, ella aveva il compito di organizzare e coordinare il lavoro dei dipendenti e non avrebbe dovuto appiattirsi sulla prassi consentita dal datore di lavoro che aveva concesso in appalto il servizio. Inoltre aveva il compito di evitare rischi interferenziali nonché di chiedere ai propri dipendenti la massima attenzione anche attraverso idonee istruzioni''. La Sez. IV conferma la condanna degli imputati.

    Qualora si sia rivolto ad un'impresa di trasporti qualificata, il datore di lavoro committente ha pur sempre l'obbligo: ``1) di assicurare, in via generale, all'interno dell'azienda, le migliori e più sicure condizioni di lavoro per chiunque vi si fosse trovato ad operare; 2) di incaricare, per un'operazione tanto rischiosa, un'impresa che non fosse solo in possesso della formale specializzazione ad eseguire trasporti speciali, ma anche che, da un lato, disponesse dei mezzi e del personale adeguato allo scopo, dall'altro, che di tali personale e mezzi essa realmente si servisse nell'esecuzione dell'incarico affidatole, laddove ne era emersa l'assoluta insufficienza in occasione di precedenti analoghe prestazioni commissionate alla stessa ditta; 3) di curare, ove fosse stato necessario l'intervento anche dei suoi operai, sia la specifica formazione professionale degli stessi, sia il coordinamento con il personale della ditta appaltatrice''.

    V., altresì, sub paragrafo 3, Cass. 6 giugno 2017 n. 27994.

    m) Mere forniture di materiali o attrezzature

    In base all'art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008, l'obbligo del DUVRI non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori, sempre che essi non comportino rischi particolarmente gravi espressamente indicati. Circa siffatte attività (un particolare rilievo ha assunto la fornitura di calcestruzzo) v. i riferimenti sub art. 96, paragrafo 4.

    n) La tutela dei terzi

    ``Gli obblighi che gravano sul datore di lavoro sono strumentali alla tutela non soltanto dei suoi dipendenti, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro o che siano coinvolti nel suo ciclo produttivo, indipendentemente dall'esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa, di talché, ove in tali luoghi o nel corso di tale ciclo produttivo si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio colposi, è ravvisabile la colpa per violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, purché sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale e la norma violata miri a prevenire l'incidente verificatosi, e sempre che la presenza di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, nel luogo e nel momento dell'infortunio, non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico. Da ciò consegue che sul datore di lavoro che riceva la consegna di un bene incombe una posizione di garanzia nei confronti dei soggetti che materialmente eseguono tale servizio durante tutto il lasso temporale in cui il bene è nella propria sfera di controllo''.

    ``Appartiene al gestore del rischio connesso all'esistenza di un cantiere anche la prevenzione degli infortuni di soggetti a questo estranei, ancorché gli stessi tengano condotte imprudenti, purché non esorbitanti il tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata. Difatti, il soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori, sicché dell'infortunio che sia occorso all'extraneus risponde il garante della sicurezza, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo''. (V. anche Cass. 14 marzo 2022 n. 8468).

    Nel prendere in considerazione ``la disciplina dei contratti di appalto, come quella dei contratti di opera e di subappalto'' in tema di sicurezza sul lavoro, la Sez. IV ne trae spunto per insegnare che siffatta disciplina, e, segnatamente, ``ora, l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, ribadendo principi già affermati nella normativa di settore, è molto rigorosa, dimostrando con chiarezza l'intendimento del legislatore di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente `estensione' dei soggetti onerati della relativa `posizione di garanzia' nella materia prevenzionale''. Precisa che ``tale normativa costituisce, del resto coerente sviluppo del principio di cui al generalissimo disposto dell'art. 2087 c.c., comportante l'obbligo a carico del datore di lavoro di garantire le migliori condizioni di sicurezza nell'ambente di lavoro, in forza del quale il destinatario degli obblighi di prevenzione è costituito garante non solo dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro ma anche di persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale tra l'infortunio e la violazione della disciplina sugli obblighi di sicurezza''. E in questo rinnovato contesto conferma che ``le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi'', e che ``le disposizioni prevenzionali sono quindi da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa''. Di qui la conseguenza che, ``in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle nonne stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p.: in tale evenienza, dovrà ravvisarsi l'aggravante di cui agli artt. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p., nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex art. 590, ultimo comma, c.p., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi''.

    o) Il DUVRI del venditore di un macchinario

    Una s.r.l. vende a una s.p.a. un macchinario privo di idonei sistemi di sicurezza, e nel proprio capannone ne consente l'impiego ai dipendenti della s.p.a. e della propria azienda. Le due società costituivano di fatto un'unica realtà imprenditoriale operante all'interno del medesimo stabilimento, poiché la s.r.l. era controllata al 100% dalla s.p.a. La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore delegato della s.r.l. per l'infortunio subito da un dipendente della s.p.a. adibito all'uso del macchinario. Anzitutto, per ``la violazione dell'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, in relazione all'art. 23 della stessa legge, per avere venduto e messo a disposizione della s.p.a., e conseguentemente del suo dipendente, un macchinario inidoneo, non rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro''. E in secondo luogo, per la ''violazione dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, per l'evidente rischio interferenziale, non adeguatamente valutato dall'imputato, che aveva consentito l'installazione di un macchinario inidoneo nei propri locali''. A questo secondo riguardo, osserva: ``Il contratto intercorrente fra le due società per la collocazione del macchinario nei locali della s.r.l. costituiva una fictio, posto che il macchinario era pienamente utilizzato dai dipendenti della s.p.a. (e da quelli della s.r.l., sia pure a titolo di supporto informativo) per il proprio ciclo produttivo. Il DUVRI predisposto presentava forti criticità, in quanto nulla diceva in ordine alla prevenzione dei rischi connessi all'uso del macchinario, derivanti dalla presenza di lavoratori di imprese diverse che dovevano coesistere e cooperare sul medesimo luogo di lavoro. La s.r.l. avrebbe dovuto, a monte, predisporre e, a valle, vigilare sull'esistenza e l'utilizzo dei sistemi di sicurezza del macchinario utilizzato nel proprio capannone sia dai propri dipendenti, sia dai dipendenti della s.p.a.''.

    p) Il manovratore di una gru

    Può far discutere:

    Nel piazzale di una s.r.l., proprietaria di una gru, il titolare di una ditta chiamata ad espletare lavori nel capannone affida il compito di spostare materiale ingombrante mediante la gru a persona dipendente di altra società incaricata di raccogliere materiale della propria azienda, ma spesso utilizzata per svolgere attività per conto della s.r.l. Tale persona si pone alla guida della gru, ``omettendo di assicurarsi che il mezzo fosse idoneo at sottevamento di un carico det peso di 2000 kg., formato da 66 lamiere zincate, senza alcuna abilitazione alla conduzione del mezzo'', e investe mortalmente un operaio per effetto del ribaltamento del mezzo durante la fase di manovra. Condanna del manovratore della gru che, ``ponendosi alla guida del mezzo, ha assunto di fatto una posizione di garanzia, accettando di gestire il rischio collegato all'attività di cui si tratta'', ma assoluzione del titolare della ditta che lo aveva incaricato. La Sez. IV osserva: ``L'assunzione di fatto di determinate mansioni e lo svolgimento di determinate attività in un ambiente di lavoro, sia pure in mancanza di una formale investitura, è causa di responsabilità delle conseguenze dannose ad essa collegata. La configurabilità della circostanza aggravante della violazione di norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato propriamente detto, atteso che il rispetto di tali norme è imposto anche quando l'attività lavorativa venga prestata a titolo di amicizia o riconoscenza, purché detta prestazione sia stata posta in essere in un ambiente che possa definirsi di lavoro''. I profili di colpa specifica individuati sono riconducibili alle norme che impongono di verificare l'idoneità e la stabilità del mezzo di sollevamento in relazione alla natura, alla forma e al volume dei carichi. Il rispetto di tali norme grava sul manovratore''.

    (Dove - ferma restando la responsabilità del manovratore - rimane aperto il quesito relativo alla posizione di garanzia del soggetto che lo ha incaricato senza verificarne l'idoneità tecnico-professionale, così come del datore di lavoro committente della s.r.l. Circa il manovratore di gru v. anche Cass n. 109 del 9 gennaio 2012, al paragrafo 19).

    a) A prescindere dal rischio interferenziale

    ``L'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, già solo per l'esistenza dell'affidamento a terzi di lavori nell'ambito dell'azienda (e non ha rilevanza la forma giuridica che il rapporto assume), pone in capo al committente l'obbligo di verificare l'idoneità professionale delle ditte affidatarie (lett. a), e quello di fornire ai datori di lavori esecutori dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (lett. b). Ben si comprende l'obiettivo perseguito dal legislatore; si tratta di rendere edotti i soggetti estranei all'organizzazione del committente dei rischi dell'ambiente in cui si troveranno ad operare. Rischi, quindi, che provengono dalla sfera del committente, esistenti prima e a prescindere dall'intervento dell'impresa affidataria. Specifici dell'organizzazione produttiva facente capo al datore di lavoro-committente. Non siamo ancora, quindi, in presenza del rischio interferenziale - ovvero di quel rischio `che nasce proprio per il coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi' - né si tratta del rischio specifico dell'attività dell'impresa affidataria''. ``Gli obblighi previsti dalla legge - e tra questi, l'obbligo di informazione - sussistono perché le lavorazioni della committente presentano un determinato rischio e non perché tale rischio non è `trattato' e risolto dal committente. L'opera informativa, come la valutazione dei rischi, attiene ai rischi insiti nelle attività; non ai rischi che permangono nonostante la loro valutazione e l'adozione delle connesse misure. La condizione - alla quale i committenti si rifanno quando affermano che non esisteva rischio specifico del quale si sarebbe dovuto informare le affidatarie - non rappresenta un presupposto che legittimi la mancata informazione; la quale prescinde dalla contingenza e fa riferimento ai rischi strutturalmente insiti''.

    ``Il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro'', e deve ``adeguare la sua condotta a fondamentali regole di diligenza e prudenza nello scegliere il soggetto al quale affidare l'incarico, accertandosi che tale soggetto sia non soltanto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa''.

    b) Verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice o del lavoratore autonomo

    ``Al datore di lavoro committente è stata ascritta una responsabilità per violazione dell'art. 26, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, in ragione dell'inadeguata scelta operata della società appaltatrice, per non aver verificato l'idoneità tecnico-professionale della ditta a svolgere l'attività commissionatagli di smontaggio, movimentazione, carico e trasporto di lastre di vetro e di lastre specchiate. Tale culpa in eligendo sussiste laddove il committente, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, ometta di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati, in quanto l'obbligo di verifica di cui all'art. 90, comma 9, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008 non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo. Per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Di tale profilo colposo è stato ritenuto responsabile l'imputato, nella comprovata qualifica di committente di fatto dei lavori, in particolar modo perché, al fine di provvedere al trasporto delle lastre di vetro, aveva dato incarico all'appaltatore senza verificare che costui fosse dotato di attrezzatura omologata e di operai in grado, sia per numero che per competenza, di svolgere quel tipo di attività''. (Dove in ambito disciplinato dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 si opera un riferimento alla disciplina dettata per il distinto settore dei cantieri temporanei o mobili).

    Un lavoratore autonomo incaricato dal proprietario di un capannone industriale di installare telecamere a circuito chiuso, issatosi sul tetto, calpesta onduline che non reggono il suo peso, e cade da sette metri di altezza: ``La vittima era un semplice installatore e manutentore di computer, del tutto privo di qualsiasi qualifica idonea alla realizzazione dell'impianto del sistema di videosorveglianza presso il capannone della ditta. Sarebbe stato, inoltre, precipuo compito dell'imputato fornire al lavoratore dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui era destinato ad operare e, in aggiunta, predisporre le opportune misure di protezione e prevenzione dei rischi cui lo stesso sarebbe stato esposto in ragione dell'attività da svolgere''.

    Un lavoratore autonomo incaricato di provvedere alla manutenzione della copertura in cemento amianto di un capannone industriale cade dal tetto e s'infortuna. Colpa addebitata al titolare della s.r.l. committente ``l'inadeguata valutazione delle capacità tecnico-professionali della persona offesa, con particolare riguardo allo specifico addestramento richiesto per i lavori in quota, risultando insufficiente la verifica formale in ordine alla titolarità da parte dell'infortunato di una ditta iscritta alla Camera di commercio''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV rileva che, ``in caso di lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, sussiste la responsabilità del committente che, pur non ingerendosi nella esecuzione dei lavori, abbia omesso di verificare l'idoneità tecnico-professionale del lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavoro affidati, poiché l'obbligo di verifica non può risolversi nel solo controllo dell'iscrizione dell'appaltatore nel registro delle imprese, che integra un adempimento di carattere amministrativo''.

    ``Il committente, per risolvere il problema delle infiltrazioni dal tetto, non si avvalse di una ditta provvista di idoneità tecnico-professionale. Il soggetto incaricato, infatti, non è iscritto alla CCIIAA, non è titolare di alcuna ditta abilitata ed è un semplice barista, non disponeva di attrezzatura idonea per i lavori in corso di esecuzione. È titolare di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore il committente che affida lavori edili in economia ad un lavoratore autonomo di non verificata professionalità''.

    ``Per quanto riguarda il caso di infortuni sul lavoro verificatisi in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione di opera, il committente rimane obbligato a verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, dovendosi, peraltro, escludere che la non idoneità possa essere ritenuta per il solo fatto dell'avvenuto infortunio, in quanto il difetto di diligenza nella scelta dell'impresa esecutrice deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice''. ``Il committente di lavori dati in appalto deve scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa''.

    ``Anche se l'inidoneità dell'impresa non può farsi discendere dal solo fatto dell'avvenuto infortunio, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, pur essendosi precisato, con riferimento alla verifica di una culpa in eligendo, pur essendosi precisato, con riferimento alla verifica di una culpa in eligendo, che essa deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice''. (Conforme Cass. 13 luglio 2018, n. 32228).

    ``L'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, già solo per l'esistenza dell'affidamento a terzi di lavori nell'ambito dell'azienda (e non ha rilevanza la forma giuridica che il rapporto assume), pone in capo al committente l'obbligo di verificare l'idoneità professionale delle ditte affidatarie (lett. a), e quello di fornire ai datori di lavori esecutori dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (lett. b). Ben si comprende l'obiettivo perseguito dal legislatore; si tratta di rendere edotti i soggetti estranei all'organizzazione del committente dei rischi dell'ambiente in cui si troveranno ad operare. Rischi, quindi, che provengono dalla sfera del committente, esistenti prima e a prescindere dall'intervento dell'impresa affidataria. Specifici dell'organizzazione produttiva facente capo al datore di lavoro-committente. Non siamo ancora, quindi, in presenza del rischio interferenziale - ovvero di quel rischio `che nasce proprio per il coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi' - né si tratta del rischio specifico dell'attività dell'impresa affidataria''.

    ``È da escludersi che l'inidoneità dell'impresa possa essere ritenuta per il solo fatto dell'avvenuto infortunio. A tal riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha statuito che il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato ma non esclusivamente in tal modo''.

    (Sul punto v. già Cass. 27 febbraio 2008, n. 8589: ``In materia di responsabilità colposa, il committente di lavori dati in appalto deve scegliere l'appaltatore e più in genere il soggetto al quale affida l'incarico, accertando che la persona, alla quale si rivolge, sia non soltanto munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, ma anche della capacità tecnica e professionale, proporzionata al tipo astratto di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa. È dovere del committente verificare l'idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato. Non risultando tale iscrizione, l'imputato avrebbe dovuto accertare l'idoneità del lavoratore autonomo ad assicurare che l'opera, ritenuta pericolosa, perché da svolgere ad una altezza di 4-6 metri dal suolo, fosse realizzata con il rispetto della normativa antinfortunistica, trattandosi peraltro di un anziano muratore in pensione, che non offriva, per la modesta struttura imprenditoriale, garanzie adeguate sul punto. Siccome nessuna indagine è stata effettuata, la corte d'appello ha ritenuto la responsabilità omissiva del committente in relazione alla violazione della norma di cui all'art. 3, comma 8, lett. a), D.Lgs. n. 528/1999'').

    In un cantiere, ``un'impresa croata sta eseguendo lavori di carpenteria di allestimento con saldatura relativi alla costruzione di una nave, che le erano stati appaltati da una s.p.a.''. Per l'infortunio occorso a un operaio specializzato, carpentiere, dipendente dell'impresa croata, viene condannato, oltre al datore di lavoro dell'infortunato, il responsabile delegato alla sicurezza della s.p.a. committente, con l'addebito di ``non avere compiutamente verificato l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice in relazione ai lavori affidati in appalto''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV sviluppa una analisi della norma attualmente dettata dall'art. 26, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008. Prende atto che, a dire dell'imputato, l'obbligo di verifica dell'idoneità tecnico-professionale dell'impresa appaltatrice ``non si estenderebbe ai profili concernenti la sicurezza dei lavoratori, sia perché la stessa norma prevede uno specifico obbligo di informazione gravante sul committente in materia di sicurezza, sia perché il richiamo all'iscrizione alla Camera di Commercio riguarda documenti che nulla hanno a che vedere con la sicurezza''. Rileva, altresì, come nel caso di specie ``l'organizzazione della società croata fosse approssimativa, lo stesso imputato fosse a conoscenza delle modalità con le quali `si lavora in Croazia', che la società croata non solo non aveva nominato il responsabile del servizio di prevenzione né elaborato un adeguato documento di valutazione dei rischi, ma aveva un piano di sicurezza definito fatiscente dall'ispettore del lavoro''. Nota come, ``a fronte di questa situazione, l'imputato avesse omesso di esaminare la documentazione relativa alla sicurezza del lavoro dell'impresa appaltatrice e non avesse esercitato controlli e verifiche, nonostante le maestranze utilizzassero macchine e attrezzature dell'azienda appaltante, omettendo altresì di verificare il grado di formazione e informazione dei dipendenti della impresa croata, dopo aver scelto come contraente una società che aveva enormi falle nel sistema di sicurezza''. Chiarisce che ``la lettura del testo della norma, nel suo complesso e nell'ambito del sistema prevenzionistico introdotto in attuazione di Direttive europee non consente di condividere la tesi interpretativa proposta dall'imputato''. Spiega che il legislatore ``individua due distinti obblighi gravanti sul datore di lavoro quando intenda avvalersi di un'impresa appaltatrice per svolgere particolari lavori all'interno dell'azienda: un obbligo di verifica dell'idoneità tecnico-professionale dell'impresa in relazione al lavoro che deve esserle affidato, dal quale si desume la posizione di garanzia del datore di lavoro in merito alla scelta dell'impresa, e un obbligo di informazione in merito ai rischi specifici che l'impresa appaltatrice verrà ad incontrare nell'ambiente di lavoro del committente''. Osserva che ``la norma è posta tra le disposizioni generali'', e che ``tale collocazione non lascia margini di dubbio in merito alla finalità della norma di garantire la sicurezza del lavoro nella particolare situazione in cui determinate attività vengano affidate in appalto ma si svolgano nei locali dell'impresa committente, dovendosi conseguentemente ritenere che la posizione di garanzia del datore di lavoro in merito alla scelta dell'impresa appaltatrice trovi la sua ragion d'essere nella finalità di evitare che, attraverso la stipula di un contratto di appalto, vengano affidate all'appaltatore lavorazioni o mansioni che il singolo lavoratore non sia in grado di svolgere, con incremento del rischio per la sua sicurezza''. Ne desume ``una precisa regola di diligenza e prudenza che il committente dei lavori dati in appalto è tenuto a seguire e, in particolare, l'obbligo di accertarsi che la persona alla quale affida l'incarico sia, non solo munita dei titoli di idoneità prescritti dalla legge, come si evince dal riferimento, comunque non esclusivo, al certificato della Camera di Commercio, ma anche della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività che deve esserle commissionata e alle concrete modalità di espletamento della stessa'': ``in altre parole, tale norma svolge funzione integrativa del precetto penale che sanziona il reato di lesioni colpose ponendo a carico del committente l'obbligo di garantire che anche l'impresa appaltatrice che svolge attività nella sua azienda si attenga a misure di prevenzione della cui inosservanza Io stesso committente sarà chiamato a rispondere, ove fosse in grado di percepirne l'inadeguatezza''. Richiama ``i comportamenti omissivi nei quali si sarebbe sostanziata la condotta colposa del committente'': ``l'impresa appaltatrice non aveva le carte in regola quanto alla valutazione, organizzazione e attuazione delle misure di prevenzione antinfortunistiche e il piano per l'organizzazione della sicurezza nel cantiere redatto dalla impresa appaltatrice, in relazione al contratto di appalto da eseguire all'interno del cantiere navale della s.p.a., risultava del tutto inadeguato; l'imputato si sarebbe potuto rendere conto di tali carenze se avesse esaminato i documenti redatti dall'impresa appaltatrice, ed avrebbe potuto verificare che l'impresa appaltatrice non aveva nominato un responsabile del servizio di prevenzione e protezione né aveva elaborato un adeguato documento di valutazione dei rischi, così come avrebbe agevolmente potuto verificare la carenza della formazione e informazione fatta dalla impresa appaltatrice ai propri dipendenti, specie in ordine all'utilizzo delle macchine, peraltro fornite dal committente''. Insegna che ``il dovere di diligenza del committente non si esaurisce nella scelta di un'impresa che sia tecnicamente in grado di eseguire il lavoro da commissionare, estendendosi alla verifica dell'idoneità dell'impresa appaltatrice a svolgere determinate lavorazioni in condizioni di sicurezza per i lavoratori, configurandosi quindi la responsabilità del committente qualora sia verificato in concreto che fosse da lui agevolmente percepibile il rischio derivante dall'inadeguatezza dell'organizzazione dell'impresa appaltatrice sotto il profilo prevenzionistico''. Questo il principio di diritto fissato: ``Nella materia della sicurezza del lavoro e della prevenzione infortuni, la norma ora dettata dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 ha la funzione di individuare l'ipotesi in cui il committente si debba ritenere corresponsabile con l'appaltatore per la violazione di norme antinfortunistiche, nel l'ottica di rafforzare la tutela dei beni giuridici della vita e della salute del lavoratore, non potendosi ritenere corretta l'interpretazione secondo la quale la verifica in merito all'idoneità tecnico-professionale debba intendersi limitata alle competenze tecniche dell'impresa appaltatrice''.

    Un dirigente comunale venne condannato per la violazione dell'art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, ``perché, in relazione alla gestione di un'isola ecologica, non provvedeva, nell'affidamento di lavori di bonifica e smaltimento di materiali contenenti amianto, a verificare i requisiti tecnico-professionali delle ditte affidatarie''. Nel respingere il ricorso proposto dall'imputato, la Sez. III osserva: ``Le ditte affidatarie dei lavori di raccolta, trasporto smaltimento dei materiali contenenti amianto erano prive dell'autorizzazione ad effettuare i lavori di bonifica per detti materiali, in quanto non iscritte alla categoria 10 dell'albo nazionale smaltitori. Ciò che conta, ai fini dell'applicazione dell'art. 26, comma 1, dello stesso decreto legislativo è che il datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori, servizi e di forniture all'impresa appaltatrice, è tenuto a verificare l'idoneità tecnico professionale dell'impresa appaltatrice stessa, attraverso l'acquisizione della necessaria documentazione, sempre che l'amministrazione abbia la disponibilità giuridica di luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''.

    ``Nel caso di specie, la costruzione era del tutto abusiva e, quindi la committente, non curandosi di ottemperare ad alcuna norma preposta alla correttezza tecnico-amministrativa dell'edificazione (effettuata in assenza di permesso per costruire, in assenza dei calcoli in c.a. e degli atti progettuali), fattivamente dimostrò al contempo un totale disinteresse anche per le modalità costruttive adottate e per la tutela dei lavoratori sul cantiere culminata nella determinazione di affidare i lavori a persone non tecniche, né specializzate in calcoli strutturali, e ciò in piena violazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 (cui è subentrato l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008), con la conseguente ed ineludibile assunzione di responsabilità circa le conseguenze dannose della cattiva esecuzione degli stessi''.

    ``In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza è riferibile oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente. Ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera''.

    Circa la mala electio dell'impresa appaltatrice v. pure Cass. 19 gennaio 2018, n. 2332; Cass. 16 maggio 2013, n. 21056.

    c) Informazioni sui rischi e sulle misure

    In argomento, oltre a Cass. n. 12876 del 25 marzo 2019, retro, sub Premessa, e a Cass. n. 16498 del 16 aprile 2019 riportata sub art. 37, paragrafo 1, v.:

    ``Il datore di lavoro committente è stato ritenuto responsabile della violazione dell'art. 26, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, per non aver provveduto a fornire alia ditta appaltatrice dettagliate informazioni in ordine ai rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui era tenuta ad operare, in particolar modo derivanti dalia presenza di una rampa scalettata di notevole pendenza, palesemente inidonea a consentire il parcheggio di un autocarro in fase di carico. Per i giudici di merito, la mancata adeguata rappresentazione dell'indicato aspetto avrebbe colposamente determinato il ribaltamento dell'autocarro da cui erano fuoriuscite le lastre che, colpendo il lavoratore, avevano causato il decesso di quest'ultimo. La Corte d'Appello non ha provveduto ad indicare quale sarebbe stato il contenuto del c.d. comportamento alternativo lecito, non avendo, in modo chiaro, esplicato quali specifiche misure avrebbe dovuto adottare l'imputato in concreto per impedire che sulla rampa scalettata si potesse effettuare il parcheggio di un autocarro in fase di carico. Lo stato dei luoghi era immediatamente percepibile e visibile, qualsiasi soggetto di normale capacità intellettiva poteva essere nelle condizioni di comprendere quanto pericoloso fosse posizionare un camion dl grosse dimensioni sulla suddetta rampa, apparendo intuitivo il rischio del suo possibile ribaltamento. Non è stato compiutamente esplicato, pertanto, quale specifico e ulteriore onere informativo gravasse, di fatto, sull'imputato per scongiurare l'indicato pericolo''. (In argomento v. pure, in termini peraltro destinati a sollevare perplessità, Cass. 30 marzo 2023 n. 13291, più avanti nel paragrafo 18).

    ``L'art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008 esclude espressamente l'applicazione, alla mera fornitura di materiale del solo comma 3 (comma che prevede l'elaborazione di un documento di valutazione dei rischi riferito a quelli interferenziali), mentre, invece, conferma sempre in modo esplicito l'applicazione dei commi 1 e 2 (e, quindi, degli obblighi di cooperazione e coordinamento tra datori di lavoro, strumentali all'eliminazione dei rischi interferenziali)''.

    Per l'infortunio mortale occorso al dipendente di un'impresa appaltatrice per caduta dalla coperura del capannone della s.r.l. committente, la Sez. IV conferma la condanna del titolare della s.r.l., per ``non aver fornito al lavoratore della ditta appaltatrice dettagliate informazioni sui rischi presenti sul luogo di lavoro e in particolare sui rischi di caduta dall'alto, nonché per mancata cooperazione con l'appaltatore nell'attuazione delle misure di protezione e prevenzione ai sensi dell'art. 26, comma 2, lett.a) e b), D.Lgs. 81/2008''. In particolare, ``gli veniva addebitato di avere autorizzato il lavoratore all'uso di piattaforma aerea senza avere egli verificato il livello di formazione e di informazione del lavoratore sull'impiego di tale strumento, nonché di non avere vigilato che il lavoratore indossasse i dispositivi di protezione individuale quali cinture di sicurezza per potere eseguire le operazioni commesse, nonché per non avere redatto, unitamente all'appaltatore, un documento unico di valutazione dei rischi onde coordinare gli interventi di protezione e prevenzione in una prospettiva di salvaguardia dal rischio interferenziale in ragione della presenza di lavoratori della impresa committente intenti alla prestazione lavorativa all'interno del capannone''. Osserva la Sez. IV che siffatta regola ``certamente non può essere derogata nel contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze''. Sottolinea ``l'assenza di informazione sui rischi connessi alla prestazione lavorativa, che pure il committente avrebbe dovuto fornire alla impresa appaltatrice e alle maestranze da questa impegnate soprattutto allorquando, come nella specie, la prestazione veniva realizzata su di una struttura che costituiva sede di lavoro degli operai dell'azienda affidataria dei lavori e committente le opere, e sotto questo profilo con piena interferenza tra lavorazioni coesistenti e concomitanti''.

    ``Il committente risponde per violazione dell'obbligo di fornire dettagliate informazioni all'appaltatore e ai lavoratori autonomi chiamati a operare all'interno dell'azienda, in ordine ai rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e alle misure di prevenzione adottate per scongiurarli. Infatti, il personale della ditta appaltatrice deve essere, a cura dell'appaltante, posto in condizioni di conoscere preventivamente i rischi cui può andare incontro in quel luogo di lavoro, onde gli obblighi di informazione si estendono alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti alle lavorazioni conferite in appalto ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali e delle apparecchiature esistenti e delle mansioni da svolgere, devono essere poste a conoscenza dell'appaltatore, affinché questi possa regolarsi di conseguenza''.

    Nell'occuparsi dell'obbligo del datore di lavoro committente previsto dall'art. 26, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008, la Sez. IV osserva: ``Trattasi di regola generale diretta a porre l'appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono introdotte nell'azienda ovvero nello stabilimento, a conoscenza di tutti i rischi connessi alle lavorazioni in tali ambienti, regola questa che certamente non può essere derogata dal contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze''.

    Spetta al datore di lavoro committente ``l'obbligo di cui alla lett. b) dell'art. 26 di fornire ai soggetti terzi (operanti nei propri `spazi' di lavoro) `dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività'''.

    ``Per stabilire se il subappaltante abbia obblighi informativi nei confronti dell'impresa subappaltatrice in ordine ai rischi connessi all'ambiente di lavoro, occorre previamente accertare se questi abbia la effettiva disponibilità dei luoghi in cui deve svolgersi l'appalto, poiché altrimenti non troverebbe applicazione nei suoi confronti la citata disposizione di cui all'art. 26, comma 1, lett. b). Nel caso in disamina, l'istituto di credito committente aveva appaltato la riparazione del gruppo frigo alla ditta appaltatrice, la quale lo aveva a sua volta subappaltato ad altra ditta, il cui dipendente aveva subito l'infortunio. Nel caso di specie è stato accertato che la ditta subappaltante non aveva (né poteva avere) alcuna conoscenza dell'ambiente di lavoro oggetto di appalto, trattandosi di un piccolo locale costituito da un circoscritto vano accessorio di pertinenza esclusiva della banca committente. È certamente vero che la committente aveva un preciso obbligo informativo nei confronti della ditta appaltatrice ai sensi dell'art. 26 cit., trattandosi di appalto che doveva essere eseguito all'interno di locali nell'ambito dei quali si svolgeva la propria attività. Non altrettanto può dirsi nei confronti della ditta subappaltante, che non aveva alcuna disponibilità giuridico/operativa del vano accessorio in questione, all'interno del quale non aveva mai operato né era tenuta ad operare, avendo totalmente subappaltato il lavoro ad altra ditta, dotata dei necessari requisiti tecnici per effettuare il richiesto intervento. È indubbio, insomma, che il governo del rischio costituito dalla presenza delle lastre di plexiglass non calpestabili, causa dell'infortunio, spettasse in via esclusiva alla banca committente, trattandosi di ambiente di esclusiva pertinenza della stessa, e soltanto da essa conosciuto o comunque conoscibile''. ``La disciplina di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 è notoriamente destinata a regolamentare la gestione della prevenzione dei rischi c.d. interferenziali, vale a dire dei rischi che si verificano in conseguenza di un contatto potenzialmente pericoloso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o comunque tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. La ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro; ciò in funzione dell'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte. È noto che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l'appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi; la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta dalla norma in disamina soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti. Inoltre, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori. Tale interferenza deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi. Se questo è il significato e lo scopo della norma di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, da cui dipendono le condizioni per la sua applicabilità anche in relazione agli obblighi da essa imposti, appare evidente che nel caso che occupa non si è mai posto un problema di rischio interferenziale tra i lavoratori della ditta subappaltante e quelli della ditta subappaltatrice, atteso che il contratto di subappalto non ha mai previsto l'intervento operativo di personale della ditta subappaltante, ma esclusivamente quello di personale della ditta subappaltatrice all'interno dei locali di pertinenza della banca committente. Una problematica di rischio interferenziale poteva, semmai, porsi fra il personale della ditta subappaltatrice e quello della banca, non certo con il personale della ditta subappaltante, date le caratteristiche ed i contenuti del contratto di subappalto stipulato fra le predette aziende. Ne deriva che l'obbligo di informativa dettagliata del rischio esistente nell'ambiente di lavoro - di cui all'art. 26, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008- nel caso incombeva esclusivamente sull'istituto di credito committente, mentre la ditta appaltatrice subappaltante non aveva alcun onere di verificare autonomamente la sicurezza dei locali, non essendo intervenuta con personale sul posto prima o contestualmente al personale della ditta subappaltatrice. È evidente che se la banca committente avesse informato la ditta appaltatrice del rischio in questione, tale informazione avrebbe dovuto essere doverosamente comunicata da quest'ultima al subappaltatore, ma in difetto di tale presupposto non si può porre a carico dell'odierno imputato un obbligo informativo relativamente ad un rischio da lui non conosciuto a causa del comportamento negligente del datore di lavoro/committente, né conoscibile in assenza di concreto intervento sul luogo di lavoro di personale tecnico della propria azienda''.

    ``L'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, già solo per l'esistenza dell'affidamento a terzi di lavori nell'ambito dell'azienda (e non ha rilevanza la forma giuridica che il rapporto assume), pone in capo al committente l'obbligo di verificare l'idoneità professionale delle ditte affidatarie (lett. a), e quello di fornire ai datori di lavori esecutori dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività (lett. b). Ben si comprende l'obiettivo perseguito dal legislatore; si tratta di rendere edotti i soggetti estranei all'organizzazione del committente dei rischi dell'ambiente in cui si troveranno ad operare. Rischi, quindi, che provengono dalla sfera del committente, esistenti prima e a prescindere dall'intervento dell'impresa affidataria. Specifici dell'organizzazione produttiva facente capo al datore di lavoro-committente. Non siamo ancora, quindi, in presenza del rischio interferenziale - ovvero di quel rischio `che nasce proprio per il coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi' - né si tratta del rischio specifico dell'attività dell'impresa affidataria''.

    Con riferimento al caso dell'Umbria Oli, la Sez. IV sottolinea ``l'impegno del datore di lavoro committente di adempiere al generale obbligo di sicurezza sullo stesso incombente in ordine all'analisi dei rischi indotti dalle lavorazioni affidate in appalto e alla relativa gestione, nella specie consistente nella previsione (e nella cooperazione alla successiva attuazione) delle misure idonee ad eliminarli o a prevenirli''. Nota che ``la responsabilità del committente chiede d'essere commisurata all'esatto adempimento degli obblighi d'informazione (da garantire all'appaltatore) riguardanti i rischi propri dell'ambiente di lavoro e di cooperazione all'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione, con la conseguenza che l'eventuale responsabilità ascrivibile all'appaltatore non esclude quella del committente, chiamato in ogni caso a rispondere dell'evento lesivo qualora questo sia causalmente ricollegabile a una sua omissione colposa''. Prende atto del ``plateale inadempimento, da parte dell'imputato (quale responsabile della società committente), degli obblighi di valutazione e di analisi degli specifici rischi indotti dalla giacenza di olio di sansa grezza nei serbatoi aziendali, non essendo stato reperito alcun documento dal quale potesse desumersi l'avvenuta valutazione dell'eventuale presenza di esano nell'olio di sansa grezza, ovvero l'avvenuta adozione delle misure di prevenzione necessarie al fine di scongiurare il rischio della formazione e della deflagrazione di miscele esplosive nei serbatoi contenenti olio di sansa. Proprio l'imprudente omessa valutazione dei rischi a monte del processo produttivo ha comportato la successiva palese omissione dell'obbligo informativo nei confronti della ditta appaltatrice, a nulla valendo l'eventuale generica consapevolezza, da parte del titolare di tale ditta, della pericolosità dell'uso di fiamme libere all'interno dell'area aziendale (vietate mediante l'apposizione di cartelloni), ovvero della pericolosità del ricorso alla tecnica della saldatura sui serbatoi aziendali, dovendo l'obbligo informativo del committente estendersi alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti le lavorazioni conferite in appalto, ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali esistenti, devono essere poste a conoscenza dell'appaltatore affinché questi possa regolarsi di conseguenza. Il committente non avrebbe mai potuto disgiungere le proprie responsabilità da quelli gravanti sull'appaltatore, trattandosi nella specie di rischi immanenti al deposito di olio di sansa grezza, comportante pericoli incombenti, non solo sui lavoratori della ditta appaltatrice, ma più in generale su tutte le persone presenti nell'area aziendale e nelle sue immediate vicinanze, stanti le intuibili conseguenze (tutte purtroppo verificatesi) di un'esplosione del serbatoio e di un conseguente incendio. Alla grave omissione concernente la trasmissione, nei confronti dell'appaltatore, delle informazioni concernenti i rischi propri dell'ambiente di lavoro, si è associata l'omissione riguardante la collaborazione nell'apprestamento delle misure di protezione e di prevenzione a tal fine necessari''. (Su questo caso v. Cass. 9 luglio 2019, n. 29968, riguardante peraltro solo la determinazione della pena, nonché Cass. 23 luglio 2021, n. 28724, relativa a istanza di revisione dichiarata inammissibile).

    ``L'imputato, quale rappresentante dell'impresa committente, avrebbe dovuto segnalare il rischio specifico alla ditta appaltatrice ed in particolare al lavoratore dipendente di tale azienda''.

    ``Nei confronti del lavoratore infortunato non vi era stata alcuna formazione ed informazione in relazione al lavoro che avrebbe dovuto svolgere, peraltro diverso da quello che rientrava nelle sue abituali mansioni, e che l'imputato (capo reparto preposto alla sicurezza dei lavoratori presso lo stabilimento di una s.p.a.) non aveva avuto cura di assicurarsi che il lavoratore, in relazione alle peculiarità del lavoro da svolgere in quota ed alla oggettiva pericolosità dello stesso, utilizzasse un adeguato attrezzo, e cioè una scala idonea, e non il muletto con forche - che il lavoratore era solito utilizzare per le diverse incombenze che rientravano nelle suo ordinarie mansioni - che non poteva garantire la necessaria sicurezza in relazione al lavoro affidatogli dall'imputato stesso. A tale ultimo riguardo mette conto sottolineare che, volendo dare per scontata la presenza di idonea scala nel capannone aziendale (e non in quello in cui si trovava la struttura oggetto dell'attività lavorativa dell'infortunato, capannone che infatti era chiuso), risulta ancor più evidente la colpa dell'imputato per non avere raccomandato - anzi, imposto - al lavoratore, il quale per il suo lavoro ordinario usava invece il muletto, di non adoperare quest'ultimo ma esclusivamente la scala: a maggior ragione, ove si consideri che il muletto sarebbe stato adoperato come scala improvvisata anche in precedenti occasioni. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la `forma mentis' del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre lo specifico onere di informazione e di assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell'impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possono riservare insidie non note''. (Conforme Cass. 13 gennaio 2015, n. 1289; v. anche Cass. 10 luglio 2014, n. 30483).

    ``Un lavoratore dipendente di una impresa appaltatrice, mentre si trovava in piedi sul bordo di un cestone al fine di effettuare un'operazione manuale di svuotamento della valvola di una bombola di acetilene vuota, veniva investito dalla fiammata provocata dall'esplosione del gas residuo contenuto all'interno della bombola, con la conseguente provocazione di lesioni da ustione''. Fu condannato ``il direttore in materia di sicurezza sul lavoro della s.p.a. committente, per colpa consistita nell'aver omesso di valutare il rischio di esplosione nella zona di deposito bombole da bonificare e di effettuare una corretta formazione del lavoratore, senza neppure provvedere ad impartire istruzioni scritte''. La Sez. IV conferma la condanna: ``La responsabilità penale dell'imputato ha trovato pieno riscontro nel rilievo della mancata previa realizzazione, da parte dell'imputato di un'approfondita e analitica valutazione dei rischi connessi alla fase produttiva corrispondente al segmento che ha interessato il prestatore di lavoro infortunato; nella trascurata formalizzazione (per iscritto) delle procedure funzionali all'ottimale gestione del rischio professionale specifico e, infine, nell'omessa puntuale diffusione, presso tutti i lavoratori interessati, della conoscenza di tali procedure formalizzate, unitamente alla connessa predisposizione di adeguate forme di controllo in ordine alla relativa osservanza. Il principale profilo di colpa riscontrato, a carico dell'imputato, doveva identificarsi nella mancata predisposizione, all'interno dell'azienda, di un apposito documento informativo che prescrivesse in modo dettagliato la corretta procedura concernente il controllo e lo sfiato delle bombole; ossia, in particolare (in coerenza con le analitiche prescrizioni dettate dalla normativa europea UNI EN 12863), una rigorosa procedura relativa, tanto alla depressurizzazione delle bombole (appositamente effettuata previo controllo della pressione), quanto alla rimozione della valvola, da eseguirsi non prima di aver constatato che la bombola fosse stata completamente depressurizzata, eventualmente anche mediante pesatura. La fiammata ch'ebbe a provocare l'evento lesivo era stata propriamente determinata da un errato controllo del contenuto delle bombole, frutto di approssimative modalità di verifica non conformi alla disciplina europea, che il lavoratore infortunato seguiva in difetto, tanto di alcuna specifica formazione professionale, quanto di apposita procedura standardizzata adeguatamente formalizzata; oltre che in difetto di alcuna apposita previsione di valutazione del rischio nel corrispondente documento redatto ai sensi del D.Lgs. n. 233/2003. La responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dalla circostanza di aver appaltato l'esecuzione di un'opera ad altra ditta, atteso che in caso di lavori affidati in appalto la ditta appaltante è comunque tenuta a fornire le informazioni necessarie in ordine ai rischi specifici e alle misure da essa stessa adottate in relazione all'attività da svolgere, ed entrambe le ditte (appaltante e appaltatrice) debbono cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all'esecuzione dell'opera appaltata; così che in presenza di tale obbligo generale di collaborazione antinfortunistica è esclusa la possibilità che il solo affidamento a terzi della esecuzione dei lavori liberi l'appaltante dalla propria responsabilità prevenzionale''.

    Il direttore di stabilimento e il responsabile della manutenzione dei macchinari di una società committente vengono imputati del delitto di omicidio colposo per l'infortunio mortale subito dal dipendente di una cooperativa appaltatrice dell'attività di manutenzione e pulizia. L'addebito mosso fu quello di aver omesso di svolgere attività informativa in ordine ai rischi connessi alla manutenzione del macchinario coinvolto nell'infortunio, e ciò in violazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 626/1004 [ora trasfuso nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008], ``che impone anche al committente di `cooperare' alla attuazione delle misure di prevenzione e protezione, anche fornendo dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro''. A propria discolpa, gli imputati osservano che ``la dirigenza della cooperativa era stata messa al corrente dei pericoli specifici inerenti l'attività lavorativa oggetto dell'appalto stipulato'', e che, pertanto, ``la committente aveva adempiuto al suo obbligo di sicurezza facendo prendere cognizione all'appaltatore dei rischi dell'attività'', né ``la committente poteva operare in supplenza del datore di lavoro dell'infortunato''. Nel disattendere queste doglianze, la Sez. IV osserva: ``l'art. 7 del D.Lgs. n. 626/1004, vigente all'epoca dei fatti (ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008), dispone che il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, tra gli altri obblighi su di lui gravanti, ha quello di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. Nel caso di specie, il rischio connesso alla manutenzione del macchinario era `specifico' in quanto relativo esclusivamente alle modalità di messa in sicurezza del macchinario; era un rischio `comune' del committente e dell'appaltatore, in quanto le squadre di manutenzione vedevano la presenza di dipendenti di entrambe le aziende, e l'attività di informazione e formazione su detti rischi era stata inesistente nei confronti dei dipendenti della cooperativa. Il documento di valutazione dei rischi aziendali non era stato aggiornato successivamente all'acquisto della macchina in questione. L'attività di informazione e formazione sarebbe stata necessaria, tenuto conto che le modalità di messa in sicurezza del macchinario per la manutenzione erano articolate e laboriose. Correttamente si sono individuati negli imputati i soggetti che avrebbero dovuto cooperare ad evitare che l'evento si verificasse, fornendo la dovuta ed adeguata informazione sui rischi connessi alla manutenzione del macchinario e la conseguente formazione in ordine alle corrette operazioni da svolgere, e, inoltre, cooperando nel controllo del rispetto delle norme di sicurezza''.

    ``La posizione di garanzia a carico del legale rappresentante della società committente concerneva l'organizzazione del piazzale dove avveniva la movimentazione dei mezzi operativi della società, la movimentazione dei carichi con il carroponte, dove venivano accatastati i manufatti, intervenivano i dipendenti di aziende esterne, a bordo di camion, i quali spesso dovevano aspettare il proprio turno per caricare e scaricare il materiale. L'individuazione e prevenzione dei relativi rischi non risultano in alcun modo né previste né predisposte. Parimenti, non risulta che l'imputato abbia adempiuto agli obblighi di informazione pure a lui spettanti, nei confronti dei dipendenti delle altre ditte che operavano nel cantiere (art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 [e ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008]), circa i rischi esistenti nell'ambiente oggetto delle operazioni''.

    L'amministratore delegato della società committente e l'amministratore unico della società appaltatrice furono condannati per un infortunio sul lavoro subito presso lo stabilimento della società committente da tre lavoratori ustionati, con l'addebito di aver omesso di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui erano esposti i dipendenti dell'appaltatore, non informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori del committente che dovevano comunque attivare l'impianto nonostante i lavori in corso, e quelli dell'appaltatore che dovevano realizzare l'ampliamento di un deposito con l'ausilio di una ditta individuale. A propria discolpa, il committente deduce che ``la normativa prevenzionale non comporta una duplicazione integrale degli oneri e dei compiti dell'appaltatore in capo al committente - appaltante'', e che ``i doveri di informazione, comunicazione e coordinamento fra tali due soggetti sono stati assolti in maniera rigorosa dall'imputato''. Secondo il ricorrente la Corte di appello avrebbe male interpretato i doveri del committente e la sua responsabilità fino ``a ricomprendervi qualunque comportamento del medesimo che, con la sua presenza quotidiana sul luogo del lavoro affidato in appalto e in sostituzione dell'appaltatore, dovrebbe intervenire ogni qualvolta questi ometta di adottare, come nel caso di specie, le misure di prevenzione prescritte a tutela dei lavoratori''. La Sez. IV respinge questa argomentazione. Afferma che il legislatore, ``nel prevedere l'obbligo del datore di lavoro di fornire alle imprese appaltatrici e ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici, e nel prevedere altresì l'obbligo per i datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori dai rischi di incidenti connessi all'attività oggetto dell'appalto, determina a carico del datore di lavoro medesimo una posizione di garanzia e di controllo dell'integrità fisica anche del lavoratore dipendente dall'appaltatore che la responsabilità dell'appaltatore non esclude quella del committente, che è corresponsabile qualora l'evento si ricolleghi causalmente ad una sua omissione colposa''. Ricorda che ``l'appaltante, che abbia affidato i lavori ad imprese subappaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda del committente o di un'unità produttiva della stessa, ha una serie di obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione e coordinamento, sicché è responsabile per fatto proprio per gli eventi lesivi eventualmente derivati dalla loro inosservanza''. Prende atto che ``il contratto di appalto aveva dato prova che il committente sottolineò alla società appaltatrice la natura dei rischi nascenti dall'operare sulle tubature sotto pressione'', ma che egli ``non forni al suo appaltatore, e dunque alle maestranze che per lui avrebbero lavorato, tutte le informazioni utili per individuare concretamente tali rischi; omettendo in particolare la formale informazione circa la diversa natura delle valvole che interessavano i vari tratti di tubatura e non allegando al contratto lo schema di tali tubature'', il che ``comportò all'evidenza quell'equivoco di comunicazioni in cui caddero'' i lavoratori: ``vi fu una serie di equivoci reciproci fra tutte le maestranze chiamate ad operare nello stabilimento in condizioni di elevata pericolosità, visto lo speciale materiale trattato; equivoci nascenti proprio dalla carenza informativa e di vigilanza direttamente addebitabile al committente che non forni all'appaltatore precise indicazioni sulle caratteristiche dell'impianto su cui era chiamato ad operare, non informò i propri dipendenti sui possibili rischi nascenti da manovre del tutto routinarie come quelle di riattivazione della corrente, in uno stabilimento che continuava ad operare normalmente sul piano commerciale''. In sintonia con i giudici di merito, addebita al committente ``di non aver informato l'appaltatore dei rischi nascenti dal tipo di opera commissionata cosi che egli a sua volta ne potesse informare le proprie maestranze e i collaboratori esterni'' e nel ``non aver vigilato perché nel suo stabilimento venissero davvero adottate quelle precauzioni, seppur generiche, stabilite nel capitolato d'appalto''.

    Il legale rappresentante di una ditta fu dichiarato colpevole (e condannato alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili) per un infortunio mortale occorso a una lavoratrice assunta lo stesso giorno dell'infortunio da una cooperativa, per ``colpa consistita nell'affidare alla cooperativa lavori di pulizia di un locale aziendale ove vi era una botola delimitata solo da tre lati, e con un lato completamente privo di stabile protezione o parapetto che evitasse la caduta nella botola medesima, nonché nel non aver informato la cooperativa dei rischi esistenti nell'ambiente ove avrebbe operato. La conseguenza fu che, mentre la lavoratrice puliva i muri con un attrezzo normalmente denominato `deragnatore', non avvedendosi della botola, vi precipitava dentro e cadeva al piano sottostante, ove batteva la testa sul pavimento riportando trauma cranico commotivo, e decedeva''. A propria discolpa, l'imputato lamenta che ``erroneamente la Corte d'Appello avrebbe ritenuto l'irrilevanza del segnale di pericolo regolarmente apposto'', che ``destinatario delle informazioni di cui all'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008] sarebbe solo l'appaltatore e non i singoli dipendenti del medesimo'', e che ``comunque la norma sarebbe inapplicabile alla fattispecie in quanto l'appalto consisteva nell'attività di pulizia che doveva svolgersi per un tempo assai limitato, e senza alcuna ingerenza nell'attività produttiva dell'impresa appaltante''. La Sez. IV replica che ``l'obbligo di informativa previsto dall'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008] si riferisce a qualsiasi lavoratore che operi all'interno di un posto di lavoro, essendo evidentemente irrilevante la durata della sua presenza e, a maggior ragione, la diretta partecipazione al ciclo produttivo dell'impresa appaltante, essendo evidentemente la norma dettata a preservare qualunque lavoratore operi all'interno di un posto di lavoro a qualsiasi titolo e qualunque sia la sua funzione''.

    Si tratta di un'interpretazione che la Cassazione Civile accoglie in termini ancor più netti:

    La Sez.Lav. rende atto che il dipendente dell'impresa appaltatrice infortunatosi svolgeva le mansioni di saldatore nel cantiere del committente, e che, pertanto, ancor più era dovuta nei suoi riguardi un'adeguata formazione e informazione sulle modalità di manovra e sui rischi connessi all'uso d'un carroponte, macchinario normalmente estraneo alle mansioni proprie d'un saldatore. E conclude: ``il committente nella cui disponibilità permanga l'ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, misure che, in particolare, consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio''.

    Di segno opposto l'interpretazione accolta da Cass. 31 maggio 2017. n. 27296, retro, sub Premessa. V. anche:

    ``La sfera di controllo dell'imputato subappaltante-committente non può estendersi fino alla sostituzione del subappaltatore-datore di lavoro nell'attività di formazione-informazione dei dipendenti di quest'ultimo. Non esigibile è un controllo pressante, continuo e capillare dell'imputato sull'organizzazione e l'andamento dei lavori, fino al punto di verificare in proprio la professionalità e la competenza in materia di sicurezza di ciascun dipendente della ditta subappaltatrice''.

    Fu per prima Cass. 9 novembre 2015 (in Dir.prat.lav., 2015, 47-48, 2711) a sviluppare una analisi avvincente del concetto di ``interferenza'' nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008. Dopo aver, infatti, osservato che gli obblighi di cui all'art. 26 presuppongono un rapporto di appalto o d'opera o di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche, insegnò che, ``tuttavia, non possono esaurirsi in essi i rapporti a cui fa riferimento l'intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro''. E spiegò che, ``se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini della normativa di cui all'art. 26, non è la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per entrambi i lavoratori delle imprese coinvolte''. Si tratta di una linea interpretativa tuttora consolidata:

    ``Ai fini dell'operatività degli obblighi di cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, previsti dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte''. (Conformi Cass. 6 giugno 2023 n. 24165; Cass. 13 dicembre 2022 n. 46077; Cass. 12 ottobre 2022 n. 38357; per una analisi del concetto di ``interferenza'' v. Cass. 4 agosto 2023 n. 34340, sub art. 109, paragrafo 2).

    ``Che gli obblighi in capo al committente non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l'appaltatore lo si desume dal testo del comma 2 dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, che impone ai datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, nonché di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nella esecuzione dell'opera complessiva. Disposizione che rende evidente come l'attività di consultazione, di cooperazione e di coordinamento tra le diverse figure di garanzia che operano nel luogo di lavoro debba proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di durata (appalto o somministrazione) e, anche qualora non accompagnata da un documento ufficiale, debba valere a enucleare i rischi interferenziali e ad elaborare strategie comuni per la loro prevenzione''.

    ``L'art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008 esclude espressamente l'applicazione, alla mera fornitura di materiale del solo comma 3 (comma che prevede l'elaborazione di un documento di valutazione dei rischi riferito a quelli interferenziali), mentre, invece, conferma sempre in modo esplicito l'applicazione dei commi 1 e 2 (e, quindi, degli obblighi di cooperazione e coordinamento tra datori di lavoro, strumentali all'eliminazione dei rischi interferenziali). Ai fini dell'operatività degli obblighi di cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, previsti attualmente dall'art. 26, occorre aver riguardo alle caratteristiche del fatto, essendo del tutto irrilevante la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro''.

    ``Ai fini della attività di valutazione di coordinamento e cooperazione connessa al rischio interferenziale, secondo quanto previsto dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre avere riguardo, non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto di appalto, d'opera o di somministrazione -, ma all'effetto che da tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza e coesistenza - nella specie operazioni di scarico e stoccaggio della soda caustica di più organizzazioni, che genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni''.

    ``Ai fini dell'operatività degli obblighi di cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, previsti attualmente dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre aver riguardo alle caratteristiche del fatto, essendo del tutto irrilevante la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro. Da tali premesse consegue che, a prescindere dall'inclusione della fase dell'ancoraggio (operazione diretta ad assicurare la stabilità del bene oggetto di trasporto sul veicolo, nonostante le sollecitazioni del moto) nelle manovre di carico del macchinario, sul datore di lavoro che commissiona ad un terzo un trasporto, pur sempre inserito nel proprio ciclo produttivo (tenuto conto, nel caso di specie, sia del luogo ove è avvenuto il carico del bene, di pertinenza della s.p.a. committente, sia del successivo obbligo di installazione del macchinario, da parte della s.p.a., presso il venditore), incombe una posizione di garanzia nei confronti dei soggetti che materialmente eseguono tale servizio durante tutto il lasso temporale in cui il bene è ancora nella propria sfera di controllo''. Ciò malgrado, la Sez. IV annulla con rinvio la condanna del legale rappresentante della s.p.a. committente: ``La sentenza impugnata non individua quale l'esatto comportamento che l'imputato, in adempimento dei suoi obblighi di cooperazione, avrebbe dovuto tenere per evitare l'evento, senza, tuttavia, ingerirsi nella prestazione di competenza del vettore (nel caso di specie, sub-appaltatore). In particolare, non ha chiarito se il crollo di uno degli armadi sull'autista è stata la conseguenza di un errore esecutivo nella manovra di ancoraggio collegato alle specificità del bene da trasportate o del luogo di lavoro in cui è stata eseguita l'operazione, che, quindi, il committente, in adempimento del suo obbligo di cooperazione, avrebbe dovuto prevenire ed evitare con specifiche istruzioni e/o assistenza, oppure, al contrario, di un errore esecutivo nella manovra di ancoraggio che prescinda da tali profili e sia, invece, collegato alle specificità del mezzo di trasporto e delle sue dotazioni o semplicemente all'essenza stessa dell'ancoraggio, rientrante nelle competenze specifiche del vettore. I giudjcj di merito si sono, difatti, limitati ad affermare in modo generico che `se fosse stato presente, durante le operazioni di ancoraggio del carico sul bilico, una figura designata dal committente per sovrintendere alle operazioni di ancoraggio sarebbe stato possibile evitare (con opportuni interventi di istruzione, raccomandazione, dissuasione) che costui ponesse in essere gli errori esecutivi causa del collasso degli armadi' e dell'evento letale''.

    ``Il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale, e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse''.

    ``Il concetto di interferenza, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione previsti dall'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 è dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, e non alla mera qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - in quanto la ratio della norma è quella di obbligare il datore di lavoro ad organizzare la prevenzione dei rischi interferenziali attivando percorsi condivisi di informazione e cooperazione nonché soluzioni comuni di problematiche complesse, ritenendo giuridicamente rilevante la previsione normativa di cui all'art. 26, solo quando in concreto si sia in presenza di `rischi interferenziali'''. (Nella fattispecie si è escluso che i rischi interferenziali ricorressero, operando l'impresa che aveva ricevuto la commessa per la costruzione ed il montaggio di una macchina presso un'altra impresa in zona diversa da quella ove operavano i dipendenti di quest'ultima). (Conformi Cass. 5 giugno 2019, n. 24926, Cass. 17 aprile 2019, n. 16606, Cass. 4 aprile 2019, n. 14921; Cass. 23 luglio 2018, n. 34788).

    ``Il presupposto dell'obbligo di neutralizzare i rischi interferenziali in caso di appalto cosiddetto endoaziendale riguarda tutte le attività che si svolgono all'interno di una singola unità produttiva, indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro ovvero i lavoratori dipendenti del committente. Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare i titolari della posizione di garanzia in relazione ai rischi da interferenze in coloro che hanno una posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nell'unità produttiva di più imprese. Correlato alle suesposte previsioni normative è l'obbligo del giudice di merito di chiarire, preliminarmente, se una determinata attività abbia dato luogo ad un rischio interferenziale. Si tratta, in altre parole, di analizzare se sussista il rischio derivante dalla convergenza di articolazioni di aziende diverse verso il compimento di un'opera unitaria. Il tema rileva nel contesto spaziale e lavorativo in cui si è verificato l'evento in occasione della convergenza delle attività di lavoratori dipendenti dal committente e dalle imprese subappaltatrici, coordinate dall'appaltatore. L'interpretazione del concetto di ``interferenza', da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione, come ricavabili dall'art. 26, commi 1, lett. a) e b), e 3, D.Lgs. n. 81/2008, con riferimento alla posizione del committente, e comma 2, lett. a) e b), stesso decreto, con riferimento alla posizione dell'appaltatore e del subappaltatore), non viene definita dal testo normativo, ma una sua definizione normativa la si può rinvenire nella Determinazione n. 3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come `circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti'. Gli obblighi presuppongono un rapporto di appalto ovvero di somministrazione, secondo le definizioni di tali tipologie contrattuali che si ricavano dalle norme civilistiche. Tuttavia, non possono esaurirsi in essi i beneficiari della tutela che deriva dai rapporti ai quali fa riferimento l'intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. In particolare, la ratio della norma è quella di far sì che il datore di lavoro organizzi la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti dalla contemporanea presenza di più imprese che operano sul medesimo luogo di lavoro, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione, soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla circostanza dovuta alla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa. Se questa è la ratio, ciò che rileva ai fini della normativa non è solo la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, ma soprattutto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte e per i terzi estranei ai suddetti rapporti che si trovino ad operare nel cantiere. Quindi, anche se si accetta l'interpretazione del concetto di interferenza offertaci dalla richiamata Determinazione n. 3/2008, al fine di individuare i confini della stessa occorre far riferimento alla suindicata ratio per comprendere quando l'interferenza sia rilevante anche ai fini della qualificazione giuridica del fatto. Non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni; l'elemento rilevante è, in tal caso, il potere di interferenza dell'appaltatore. Gli obblighi di cooperazione e coordinamento gravanti sui datori di lavoro così individuati rappresentano la cifra della loro posizione di garanzia e sono rilevanti anche per delimitare l'ambito della loro' responsabilità. L'assolvimento di tali obblighi risponde, infatti, all'esigenza, avvertita come primaria dal legislatore comunitario, al quale si ispira l'attuale normativa antinfortunistica, di gestire preventivamente tale categoria di rischio''.

    Di una possibile obiezione (formulata dalla difesa del rappresentante legale di una società cooperativa condannato per l'infortunio mortale occorso all'autista di una s.a.s. operante all'interno della società cooperativa in forza di un asserito contratto di trasporto) si fa carico:

    A dire dell'imputato, ``tra la società cooperativa e la s.a.s. non sarebbe stato stipulato alcun contratto di appalto, condizione necessaria perché l'imputato potesse assumere una posizione di garanzia nei confronti del dipendente della s.a.s., vittima dell'infortunio. I giudici del merito avrebbero operato una interpretazione analogica della norma di riferimento, includendo il tipo contrattuale effettivamente ricorrente nel novero di quelli per i quali il legislatore ha previsto gli obblighi a carico del committente, con ciò incorrendo nella violazione dell'art. 14 delle preleggi [`le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati']''. Proprio ``al fine di rispondere al rilievo difensivo secondo cui l'interpretazione offerta si sarebbe tradotta sostanzialmente in una inammissibile, in campo penale, interpretazione analogica'', la Sez. IV premette che ``il concetto di `interferenza' rilevante ai fini che occupano non riceve una declinazione normativa, ma una definizione può rinvenirsi nella Determinazione n. 3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come `circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti''. Precisa che gli obblighi di cui all'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 ``presuppongono sì un rapporto di appalto o (o d'opera) o di somministrazione, secondo le definizioni civilistiche di tali tipologie contrattuali, ma essi non esauriscono i rapporti ai quali fa riferimento l'intero art. 26, posto che la ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative nel medesimo luogo di lavoro e far sì che il datore di lavoro committente organizzi la prevenzione dei rischi interferenziali, derivanti da tale compresenza, attivando e promuovendo percorsi condivisi di informazione e cooperazione e soluzioni comuni di problematiche complesse, rese tali dalla sostanziale estraneità dei dipendenti delle imprese appaltatrici all'ambiente di lavoro dove prestano la loro attività lavorativa'', e che, ``se questa è la ratio della norma, ciò che rileva per ravvisarne l'operatività, non è dunque la qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra imprese che cooperano tra loro, quanto l'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte''. Aggiunge che ``non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni'', e che ``l'interferenza rilevante va intesa in senso funzionale, come interferenza non di soli lavoratori, ma derivante dalla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi''. Esclude, pertanto, la violazione dell'art. 14 delle preleggi, avendo la corte d'appello operato una interpretazione della norma del tutto coerente con la ratio dell'istituto''.

    Queste le ulteriori analisi svolte da:

    Per l'infortunio mortale occorso al dipendente di un'impresa appaltatrice per caduta dalla coperura del capannone della s.r.l. committente, la Sez. IV conferma la condanna del titolare della s.r.l., non solo per ``non aver fornito al lavoratore della ditta appaltatrice dettagliate informazioni sui rischi presenti sul luogo di lavoro e in particolare sui rischi di caduta dall'alto'', ma anche per ``mancata cooperazione con l'appaltatore nell'attuazione delle misure di protezione e prevenzione ai sensi dell'art. 26, comma 2, lett.a) e b), D.Lgs. n. 81/2008''. In particolare, ``gli veniva addebitato di avere di non avere vigilato che il lavoratore indossasse i dispositivi di protezione individuale quali cinture di sicurezza per potere eseguire le operazioni commesse, nonché non avere redatto, unitamente all'appaltatore, un documento unico di valutazione dei rischi onde coordinare gli interventi di protezione e prevenzione in una prospettiva di salvaguardia dal rischio interferenziale in ragione della presenza di lavoratori della impresa committente intenti alla prestazione lavorativa all'interno del capannone''. La Sez. IV rileva: ``Il rischio cui era stato esposto il lavoratore non costituiva specifico ambito dell'appaltatore, ma era esteso anche alla gestione del committente, che si era ingerito nella lavorazione e ne aveva sostanzialmente controllato tutti gli aspetti operativi consapevole peraltro, quale titolare e gestore del luogo di lavoro, proprietario dell'edificio e fornitore del mezzo meccanico di accesso alla copertura, della situazione di degrado della stessa e della esposizione a pericolo del lavoratore impegnato in una lavorazione priva di adeguati presidi di sicurezza. L'art. 26, comma 1, è regola generale che vale a rendere edotto l'appaltatore o il lavoratore autonomo, le cui professionalità vengono introdotte nell'azienda ovvero nello stabilimento, di tutti i rischi connessi alle lavorazioni aziendali, regola che certamente non può essere derogata nel contratto di appalto con la previsione di una inversione degli obblighi prevenzionistici in capo all'appaltatore, ovvero attraverso il mero travaso di informazioni, che si assume la ditta appaltatrice sia tenuta a partecipare alle proprie maestranze. Che gli obblighi in capo al committente non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l'appaltatore lo si desume dal testo del comma 2 dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008. Disposizione che rende evidente come l'attività di consultazione, di cooperazione e di coordinamento tra le diverse figure di garanzia che operano nel luogo di lavoro debba proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di durata (appalto o somministrazione) e, anche qualora non accompagnata da un documento ufficiale, deve valere a enucleare i rischi interferenziali e ad elaborare strategie comuni per la loro prevenzione. Soprattutto è il committente a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento di cui al comma 2 con esclusione dei rischi specifici dell'opera della ditta appaltatrice e, conseguentemente ad elaborare un DUVRI che tenga conto di tali criticità e procedere ad una coerente promozione di sinergiche attività preventive. Per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Nella specie, a prescindere dalla previsione nel contratto di appalto della specifica tavorazione demandata all'appaltatore, risulta la piena ingerenza nella prestazione del lavoratore da parte del committente che ne aveva richiesto la esecuzione e ne aveva accompagnato e coordinato le operazioni, cooperando nella preliminare attività di ispezione della copertura, aveva fornito al lavoratore la scala elevatrice per accedere alla sommità e aveva tollerato che il lavoratore si avventurasse sopra di essa, benché costituita da onduline dalla incerta tenuta e caratterizzata da numerose fessure, per procedere ad interventi di manutenzione mediante rattoppo nella palese pretermissione di ogni garanzia prevenzionistica, in mancanza di punti di sicuri punti di appoggio e di via di fuga, di appigli, di agganci e di funi di trattenuta. Il rischio cui era stato esposto il lavoratore non costituiva specifico ambito dell'appaltatore, ma era esteso anche alla gestione del committente, che si era ingerito nella lavorazione e ne aveva sostanzialmente controllato tutti gli aspetti operativi consapevole peraltro, quale titolare e gestore del luogo di lavoro, proprietario dell'edificio e fornitore del mezzo meccanico di accesso alla copertura, della situazione di degrado della stessa e della esposizione a pericolo del lavoratore impegnato in una lavorazione priva di adeguati presidi di sicurezza''.

    ``Gli obblighi in capo al committente non si esauriscono negli accordi contrattuali assunti con l'appaltatore. L'attività dj consultazione, di cooperazione e di coordinamento tra datori di lavoro deve proseguire anche in corso di esecuzione del contratto di durata (appalto o somministrazione) e deve valere a enucleare i rischi interferenziali e ad elaborare strategie comuni per la loro prevenzione. Soprattutto è l'azienda committente a dovere promuovere la cooperazione e il coordinamento e, conseguentemente ad elaborare un DUVRI che tenga conto di tali criticità''. Nel caso di specie, si sottolinea ``il deficit di coordinamento con l'impresa appaltatrice laddove, a seguito della trasformazione dell'ambiente di lavoro, le maestranze della impresa appaltatrice (e del subappaltatore) erano chiamate a intervenire nuovamente pur non essendo state adeguatamente informate sulla grave e insidiosa nuova fonte di rischio, ma, soprattutto in assenza di adeguata programmazione comune e coordinamento tra committente ed appaltatore sulle strategie prevenzionistiche e sulla migliore tecnica lavorativa atta a prevenire il rischio di interferenza''.

    Nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 ``non solo si impone al committente di predisporre il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, ma si individuano, al comma 2, in capo a tutti i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, specifici oneri di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e di coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, con la previsione della reciproca informazione, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva''. Siffatti oneri sussistono anche quando le attività delle diverse imprese siano ``interferenti anche solo marginalmente'' ed anche quando ``il lavoratore di un'impresa si trovi nell'area in cui opera una diversa impresa'' e ``collabori a qualsiasi titolo, anche occasionalmente ed indebitamente''. (Da notare che, nel caso di specie, grazie a un'adeguata elaborazione del D.U.V.R.I., il datore di lavoro committente si salvò dalla responsabilità penale. Infatti, il D.U.V.R.I. ``indicava fra gli obblighi dell'impresa appaltatrice quello di impiegare personale avente capacità professionali adeguate al lavoro da svolgere, opportunamente formato ed informato, nonché addestrato anche sul corretto impiego delle macchine ed attrezzature utilizzate, nonché sulle misure di prevenzione e protezione''. Invece, l'appaltatore ``mise alla guida di un muletto un lavoratore non adeguatamente formato sulle modalità di utilizzo sicuro del mezzo'', per giunta omettendo d'informare ``la committenza circa l'utilizzo di manodopera straniera, senza conoscenza della lingua italiana'').

    ``Ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale dettati dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte. Il titolare dell'impresa non datrice di lavoro dell'infortunato doveva farsi carico dei rischi connessi alla presenza, sul luogo di lavoro, di altre ditte e di lavoratori da queste dipendenti, come appunto l'infortunato, e, in particolare, osservare l'obbligo di adottare misure tese a impedire che i lavoratori sostino sotto i carichi sospesi e che i carichi vengano fatti passare al di sopra di luoghi di lavoro non protetti''.

    Nel corso di lavori di pulizia industriale appaltati da una s.r.l. ad altra s.r.l. ed eseguiti all'interno dell'azienda committente, s'infortuna un dipendente dell'impresa appaltatrice, caposquadra addetto alla sicurezza. Vengono condannati per lesione personale colposa sia il direttore dello stabilimento della s.r.l. committente (esercente la termovalorizzazione di rifiuti), sia il datore di lavoro di una terza s.r.l. appaltatrice (esercente il trasporto di rifiuti, tramite mezzi dotati di un piano mobile installato nel cassone posteriore, su incarico di terzi, titolari, a loro volta, di un accordo di conferimento con la s.r.l committente). La Sez. IV ne trae spunto per impartire alcuni insegnamenti:

    A) ``Il datore di lavoro committente, in occasione di lavori interni, ha l'obbligo: di assicurare all'interno dell'azienda le migliori e più sicure condizioni di lavoro per chiunque vi si trovi ad operare; di avvalersi di un'impresa che disponga dei mezzi e del personale adeguato allo scopo, e che di tali personale e mezzi essa realmente si serva nell'esercizio delle attività; di curare, se necessario, anche l'intervento dei suoi operai adeguatamente formati, nonché il coordinamento con il personale della ditta appaltatrice''.

    B) ``Il committente non poteva esimersi da responsabilità deducendo che i lavori di scarico erano di competenza della s.r.l. alle cui dipendenze lavorava la persona offesa, in quanto, anche a prescindere dal fatto che il contratto di appalto aveva ad oggetto le `pulizie industriali', le attività contestate si svolgevano all'interno di spazi della committente, che era interessata alle stesse e che le controllava, con l'intervento di personale comune, in un contesto di lavoro in cui vi era quindi ingerenza della committente e che non rientrava, quanto alle modalità di esecuzione, nella esclusiva specifica attività discrezionale dell'impresa appaltatrice dei lavori di pulizia industriale''.

    C) ``Proprio perché l'impresa era (non già mera proprietaria del capannone, ma) committente dei lavori, il titolare della stessa era responsabile di aver omesso l'adozione di quelle misure organizzative e di coordinamento con le imprese appaltatrici dirette alla prevenzione degli infortuni; dette misure competevano unicamente allo stesso titolare dell'impresa committente, nei cui locali e nel cui interesse si svolgevano le lavorazioni. Costui, nell'ambito della sua posizione di vertice nella piramide gerarchica aziendale, doveva garantire la sicurezza di tutti i lavoratori adibiti alle relative mansioni (nonché ovviamente dei terzi eventualmente esposti a rischio), compresi quelli aventi posizione intermedia e comunque subordinata nella scala gerarchica (quali i capi squadra). Per tale ragione non poteva affatto ravvisarsi: né un esonero di responsabilità del datore di lavoro committente nella qualifica (di capo squadra) rivestita dalla persona offesa e neppure una colpa concorrente di quest'ultima, trattandosi della omessa adozione di misure organizzative prevenzionistiche che competevano, `a monte', al committente per l'appunto''.

    Il titolare di un deposito affidatario delle opere di logistica e di scarico, e la legale rappresentante di una s.p.a. esercente l'autotrasporto furono condannati per l'infortunio mortale a un dipendente della s.p.a., per aver ``omesso di cooperare alla attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei rischi cui sono esposti i lavoratori e in particolare gli autisti che operavano nel deposito, tanto che si era realizzata una interferenza sul luogo di lavoro tra il conducente di un carrello elevatore incaricato dello scarico del mezzo di trasporto e l'infortunato, conducente dell'autoarticolato da scaricare e sceso a terra per agevolare l'attività di scarico rimuovendo il telone del rimorchio''. La Sez. IV conferma la condanna: Si verte in ambito di infortunio realizzatosi sul luogo di lavoro ove il coinvolgimento integrato di più soggetti non solo era imposto dalla legge (art. 26 e 90 ss. D.Lgs. n. 81/2008), ma anche da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio e alla presenza in cantiere, ovvero nel legittimo affidamento da parte delle maestranze chiamate ad operare in cantiere, di una opera di cooperazione e di coordinamento della gestione del rischio interferenziale. Del tutto palese risulta la veste di garanzia della datrice di lavoro del dipendente infortunato, nonché quale necessaria coordinatrice, ai sensi dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, di un rischio interferenziale sul luogo di lavoro, rischio rappresentato dalla non evitabile sovrapposizione di sfere di intervento tra i `carrellisti' incaricati dalla s.p.a., e per essa dal consorzio appaltatore del servizio, delle operazioni di scarico, trasporto e stivaggio della merce, con i `conducenti' dei mezzi di trasporto (autotrasporti gestiti dalla s.p.a., una volta che gli stessi fossero scesi dal mezzo, attendendo e coadiuvando il completamento delle suddette operazioni).

    ``Il legislatore ha mostrato particolare consapevolezza dei rischi derivanti dall'azione congiunta di diverse organizzazioni e ne ha disciplinato la prevenzione, imponendo un penetrante reciproco obbligo di tutti i soggetti coinvolti di coordinarsi e di interagire con gli altri in modo attento e consapevole, affinché risulti sempre garantita la sicurezza delle lavorazioni. In tale quadro normativo trova razionale giustificazione il principio, ripetutamente enunciato da questa Corte, secondo cui, in caso di subappalto, il subappaltante è esonerato dagli obblighi di sicurezza solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia sicché non possa darsi alcuna ingerenza di un soggetto rispetto all'altro rispetto all'altra. Tale situazione di radicale separazione in effetti, isola, almeno tendenzialmente, le diverse attività e le connesse sfere di responsabilità dei soggetti che ad esse presiedono''.

    Singolare è la soluzione adottata da:

    Una s.r.l. appalta a una soc. coop. lavori di picking all'interno di un magazzino, e, cioè, la preparazione dei pancali composti da merce mista. Per un'emergenza lavorativa, un dipendente della soc. coop. esce dall'area riservata al picking e si dirige nel piazzale verso uno dei campion in sosta, ma in quel momento un carrellista della soc. coop., procedendo col carrello a marcia indietro, lo investiva, sebbene alcune strisce a terra indicassero percorsi pedonali sicuri. La Corte d'Appello addebita ai datori di lavoro della società committente e della società appaltatrice ``la mancanza di un DUVRI, che regolamentasse il rischio interferenziale intercorrente in caso di necessità dei lavoratori della soc. coop., operante nel magazzino, di andare a verificare la merce caricata nel piazzale, dove operavano i dipendenti della s.r.l.''. Ma la Sez. IV annulla con rinvio la condanna, sul presupposto che ``entrambe le società avevano degli autonomi DVR''. Pur se nel contempo, ricorda che, ``ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi all'esistenza di un rischio interferenziale, dettati dall'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - contratto d'appalto, d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni che operano sul medesimo luogo di lavoro e che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori delle imprese coinvolte''.

    Sussiste ``il nesso di causalità tra la omessa previsione del rischio in esame nel DUVRI e l'infortunio, perché, se fossero state adottate le necessarie misure di sicurezza e ne fosse stato imposto adeguatamente il rispetto, certamente l'infortunio non si sarebbe verificato''.

    L'art. 26, comma 3-bis, D.Lgs. n. 81, che, nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009, escludeva l'obbligo del DUVRI con riguardo ``ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature nonché ai lavori o servizi la cui durata non sia superiore ai due giorni'', là dove, nel testo modificato dalla legge n. 98/2013 ed attualmente in vigore, esclude l'obbligo del DUVRI con riguardo ``ai servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno'': nell'una come nell'altra versione ``sempre che essi non comportino rischi'' di particolare gravità esplicitamente elencati. Inoltre, ``per uomini-giorno'', l'attuale comma 3-bis intende ``l'entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all'effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all'arco temporale di un anno dall'inizio dei lavori''.

    ``Nel caso di committente autotrasportatore il comma 3-bis dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 esonera il datore di lavoro dalla redazione del DUVRI quando, come nel caso di specie, la durata del lavoro non è superiore a cinque uomini-giorno. Tale coinvolgimento, funzionale nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude poi la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non risultino inefficaci o dannose ai fini della sicurezza dell'ambiente di lavoro''.

    Nel caso di specie, accaduto sotto il vigore della norma originaria, il committente e l'appaltatore del montaggio in opera di tre torri metalliche anemometriche furono condannati per l'infortunio mortale subito dal subappaltatore di alcuni interventi collegati al funzionamento della torre, per colpa consistita anche nel non aver elaborato il DUVRI. A sua discolpa, il committente lamenta che il lavoro di montaggio di una singola torre anenometrica era di durata inferiore a quella atta ad imporre l'elaborazione del DUVRI, ``risultando del tutto irrilevante che il contratto di appalto si riferisse ad una prestazione più complessa (montaggio di tre torri anenometriche) laddove tutta la disciplina prevenzional-lavoristica è diretta a tutelare la sicurezza del lavoro nell'ambito del singolo cantiere e con riferimento alla prestazione lavorativa che ivi si svolge e non è condizionata dal contenuto e dalla proiezione al futuro del programma contrattuale, che può avere come oggetto prestazioni cumulative o periodiche''. D'accordo con i magistrati di merito, la Sez. IV ribatte: ``Le prestazioni oggetto del contratto di appalto, anche in ragione della complessità organizzativa e della articolazione sul territorio, necessita(va)no della cooperazione e del coordinamento tra ditta committente e la ditta appaltatrice e comporta(va)no un impegno esecutivo ben superiore al termine minimo per escludere la predisposizione del documento di valutazione dei rischi''.

    Tra i profili più innovativi della giurisprudenza della Suprema Corte a proposito degli obblighi del datore di lavoro committente nel quadro dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, fa spicco quello attinente alla vigilanza sulla sicurezza dei lavori appaltati:

    L'amministratore unico di una s.r.l. appalta ad altra s.r.l. l'assemblaggio di carpenteria in ferro da eseguirsi presso il proprio stabilimento. Un dipendente della s.r.l. appaltatrice utilizza un carroponte della committente per la movimentazione di un traliccio senza essere stato a ciò formato, e rimane schiacciato tra il traliccio sospeso e alcuni cavalletti di ferro posti alle sue spalle. La Sez. IV conferma la condanna del committente: ``Ci si trova in una tipica situazione di rischio interferenziale dato dal contatto rischioso tra il personale di imprese diverse operanti nello stesso contesto aziendale che può fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori, che fa scattare l'operatività degli obblighi di coordinamento cooperazione previsti dall'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, compendiati nel cd. DUVRI. In base al DUVRI, regolarmente redatto dalla impresa committente, i lavoratori di ditte appaltatrici non potevano utilizzare i macchinari della committente. Era emersa l'esistenza di una prassi irregolare all'interno della s.r.l. committente in cui, a parte saltuari richiami verbali, era di fatto consentito al personale esterno l'utilizzo delle attrezzature pericolose della committente. L'imputato era stato informato di detta irregolarità, e a tal fine non era certo rilevante se l'informazione concernesse; e uno o più episodi; così come era del tutto insufficiente, ai fini dell'effettivo controllo del rispetto dell'obbligo di osservare le prescrizioni del DUVRI, l'affidarsi a meri richiami verbali effettuati di volta in volta. L'obbligo del datore di lavoro di vigilare sull'esatta osservanza, da parte dei lavoratori, delle prescrizioni volte alla tutela della loro sicurezza, può ritenersi assolto soltanto in caso di predisposizione e attuazione di un sistema di controllo effettivo, adeguato al caso concreto, che tenga conto delle prassi elusive seguite dai lavoratori di cui il datore di lavoro sia a conoscenza''. (Non risulta, invece, mosso l'addebito di omicidio colposo anche all'appaltatore datore di lavoro dell'infortunato).

    ``Per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. Nella specie, a prescindere dalla previsione nel contratto di appalto della specifica lavorazione demandata all'appaltatore, risulta la piena ingerenza nella prestazione del lavoratore da parte del committente che ne aveva richiesto la esecuzione e ne aveva accompagnato e coordinato le operazioni, cooperando nella preliminare attività di ispezione della copertura, aveva fornito al lavoratore la scala elevatrice per accedere alla sommità e aveva tollerato che il lavoratore si avventurasse sopra di essa, benché costituita da onduline dalla incerta tenuta e caratterizzata da numerose fessure, per procedere ad interventi di manutenzione mediante rattoppo nella palese pretermissione di ogni garanzia prevenzionistica, in mancanza di punti di sicuri punti di appoggio e di via di fuga, di appigli, di agganci e di funi di trattenuta''. (Più ampiamente la sentenza è riportatata al paragrafo 3. In argomento v. anche Cass. 7 ottobre 2022 n. 38033, sub art. 2, paragrafo 21).

    ``Il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori; ne consegue che, ai fini della configurazione della responsabilità del committente, occorre verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo. L'obbligo di verifica riconducibile al committente non si è tradotto, nel caso di specie, in un inammissibile dovere di controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, che la legge non individua, né in un rimprovero per la violazione di obblighi che fanno capo ad altra figura di garante legale. Esso è stato delimitato e calibrato in base alla capacità di governo della fonte di pericolo da parte del soggetto portatore dell'interesse primario alla realizzazione dell'opera, che ha messo cioè in moto l'attività in cui si è concretizzata l'esposizione a rischio della vittima''. (Conf. Cass. 17 novembre 2016, n. 48826; Cass. 24 giugno 2016, n. 26490).

    La responsabilità dell'appaltatore non esclude, in caso di infortunio, la configurabilità della responsabilità anche del committente. Questi, infatti, in termini generali, è corresponsabile qualora l'evento si colleghi casualmente anche alla sua colposa omissione e ciò avviene, ad esempio, quando i lavori si svolgano in presenza di situazioni di fatto pericolose, come nel caso in esame, in cui i lucernari erano privi di solide coperture, né erano dotati di opere atte a scongiurare gli infortuni. Inoltre, il committente può essere chiamato a rispondere dell'infortunio qualora l'omessa adozione delle misure di prevenzione prescritte sia immediatamente percepibile cosicché il committente medesimo sia in grado di accorgersi dell'inadeguatezza delle stesse senza particolari indagini; mentre, in questa evenienza, ad escludere la responsabilità del committente, non sarebbe sufficiente che questi abbia impartito le direttive da seguire a tale scopo, essendo comunque necessario che ne abbia controllato, con prudente e continua diligenza, la puntuale osservanza. Il datore di lavoro è tra l'altro tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione ed a fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro. Può anzi ben dirsi che tali obblighi comportamentali determinano a carico del datore di lavoro una posizione di garanzia e di controllo dell'integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell'appaltatore e, a fortiori, del lavoratore autonomo operante nell'impresa. Si tratta di una normativa molto rigorosa, che dimostra con chiarezza l'intendimento di assicurare al massimo livello un ambiente di lavoro sicuro, con conseguente `estensione' dei soggetti onerati della relativa posizione di garanzia nella materia prevenzionale allorquando l'omessa adozione delle misure antinfortunistiche prescritte risulti la conseguenza del rilevato omesso coordinamento''. (Conforme Cass. 13 luglio 2015, n. 29906).

    ``In tema di prevenzione, il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini''.

    ``Il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quantunque l'obbligo di cooperazione tra committente e appaltatore (o tra appaltatore e subappaltatore) ai fini della prevenzione antinfortunistica con informazione reciproca, non esiga che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando costui, per qualunque ragione, ometta di adottare le misure di prevenzione prescritte, deve tuttavia ritenersi che, quando tale omissione sia immediatamente percepibile (consistendo essa nella palese violazione delle norme antinfortunistiche), il committente, che è in grado di accorgersi senza particolari indagini dell'inadeguatezza delle misure di sicurezza, risponde anch'egli delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi''.

    L'art. 26, comma 3, ultimo periodo, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che l'obbligo del datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione e il coordinamento con le imprese appaltatrici o con i singoli lavoratori autonomi ``non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi''. Questa l'interpretazione invalsa nella giurisprudenza della Corte Suprema (v. anche Cass. 20 aprile 2017, n. 19036; Cass. 10 marzo 2017, n. 11694; Cass. 17 novembre 2016, n. 48826; Cass. 24 giugno 2016, n. 26490; Cass. 13 febbraio 2015, n. 6394) e isolatamente contrastata da Cass. 29 gennaio 2017, n. 3288, riportata sub art. 92, al paragrafo 1:

    ``È il committente a dover promuovere la cooperazione e il coordinamento, con esclusione dei rischi specifici dell'opera della ditta appaltatrice e, conseguentemente ad elaborare un DUVRI che tenga conto di tali criticità e procedere ad una coerente promozione di sinergiche attività preventive''.

    ``Qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine''.

    ``Non si trattava di rischio specifico proprio delle ditte appaltatrici, essendo il pericolo derivante dalla mancata protezione dell'ambiente di lavoro (nella fattispecie durante l'esecuzione delle rischiose attività di scarico delle balle) riconoscibile da chiunque, senza necessità di alcuna specifica competenza tecnica settoriale''.

    ``L'esclusione è prevista dall'art. 26, comma 3, quinto periodo, D.Lgs. n. 81/2008 non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine''.

    ``Il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica esclusivamente con riguardo ai rischi specifici delle attività proprie dell'appaltatore o del prestatore d'opera, ovvero con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni''.

    ``In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine; mentre non può andare esente da responsabilità ove abbia omesso di attivarsi per prevenire il rischio non specifico. Com'è quello del rischio di contatto con linee elettriche soprastanti l'area di lavoro''.

    ``Qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine. Nel caso di specie, l'attività di manutenzione dei forni, con rimozione e ricostruzione del refrattario, era il principale oggetto dell'attività appaltata. Che quest'ultima abbia poi subappaltato parte della attività ad altra impresa, non autorizza a ritenere che i rischi connessi alla manutenzione dei forni fossero rischi specifici ed esclusivi del subappaltatore, tenuto conto che la ditta appaltatrice era stata scelta dalla società committente proprio per la riconosciuta capacità tecnica a svolgere tale tipo di attività''.

    ``Incombe sul datore di lavoro committente promuovere la cooperazione e il coordinamento e tale obbligo deve ritenersi escluso soltanto nel caso dei `rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi'. L'esclusione, dunque, è prevista non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine. Evidentemente, come più volte sottolineato da questa Corte di legittimità in casi analoghi, non può considerarsi rischio specifico quello derivante dalla generica necessità di impedire cadute da parte di chi operi in altezza essendo, questo pericolo, riconoscibile da chiunque indipendentemente dalle sue specifiche competenze''.

    Malgrado la limpida dizione dell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, non sempre sono evitati i malintesi. Puntuali appaiono in proposito:

    La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore delegato di una s.p.a. di elevate dimensioni per l'infortunio mortale occorso a un dipendente della s.r.l. subappaltatrice dei lavori di manutenzione investito dal vapore ustionante ad alta pressione fuoriuscito da una valvola non messa in sicurezza dell'impianto del vapore. Rileva che ``la gestione della sicurezza dei lavori di manutenzione appaltati era regolata dal DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi di Interferenze) e dal PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) elaborati dalla committente, e dal POS (Piano Operativo Sicurezza) elaborato dalla ditta esterna''. Pone in risalto ``la carenza del DUVRI e l'esigenza che questo contemplasse anche la procedura di sicurezza'', e la necessità di ``verificarne effettivamente l'efficacia dovendo lo stesso considerare anche un rischio remoto di un incidente del tipo di quello verificatosi''. Invero, ``l'indicazione della fonte di pericolo costituita dalla possibile emissione del vapore bollente avrebbe consentito di allertare maggiormente i lavoratori e prevenire possibili infortuni derivanti dal mancato uso di DPI''. (Dove, peraltro, non convince l'abbinamento a carico del committente sia dell DUVRI, sia del PSC, come si è sottolineato retro, al paragrafo 1).

    ``La contravvenzione di omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi da interferenze di cui all'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, un reato proprio del committente, cioè di colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge I'appalto o la prestazione di lavoro autonomo, e, pertanto, non può essere imputata anche al datore di lavoro dell'impresa appaltatrice, fermi restando gli obblighi di cooperazione e di coordinamento e fatto salvo l'obbligo di valutazione dei rischi. Da un lato, gli artt. 17, comma 1, lett. a), e 28 D.Lgs. n. 81/2008 pongono a carico di `tutti' i datori di lavoro l'obbligo di redigere un documento contenente la `valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa'. Dall'altro, l'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008 pone a carico del `datore di lavoro committente' l'elaborazione di `un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze'. Da quanto indicato, discende che deve ritenersi doveroso distinguere tra l'obbligo di redazione di un documento contenente la `valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa', quale è il D.V.R., che è posto a carico di `ciascuno' dei datori di lavoro coinvolti, anche se subappaltatori, e l'obbligo di redazione di un documento contenente in particolare la valutazione dei rischi da interferenze, D.U.V.R.I., che grava, invece, esclusivamente sul solo datore di lavoro committente''. ``I datori di lavoro diversi dal committente, pur non dovendo redigere it D.U.V.R.I., sono comunque obbligati ad attuare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, anche al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva''. ``Le disposizioni di cui all'art. 26, comma 2, lett. a) e b), prevedono anche per i subappaltatori l'obbligo di compiere interventi di protezione e prevenzione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto, quantunque dovuti alle interferenze, pure in caso di concorrente presenza di altre imprese, e, quindi, pur se tra queste vi sia quella del datore di lavoro committente''.

    ``Altro é commissionare (ossia affidare) una determinata opera al prestatore, secondo lo schema di cui all'art. 2222 c.c., assumendo le correlate facoltà e i correlati obblighi (tra cui quello di effettuare una scelta ponderata dell'affidatario dell'opera); ed altro é autorizzare taluno a eseguire un'opera di esclusivo interesse di quest'ultimo, o addirittura limitarsi a tollerare che essa venga realizzata. Solo nel primo caso, infatti, ci si muove all'interno di una fattispecie nella quale il committente, su cui gravano gli obblighi di sicurezza nell'esecuzione del contratto d'opera o d'appalto, è il soggetto che ha affidato i lavori, anche se diverso dal proprietario del bene che si avvantaggia delle apere affidate e anche in assenza di un mandato a contrarre o di una delega di funzioni ed in mancanza di un potere di spesa''.

    Per l'infortunio occorso al dipendente di un'impresa appaltatrice che ``percorrendo un grigliato poggiava i piedi su un coperchio non fissato posto su un'apertura di cm. 80 e vi cadeva all'interno'', viene condannato il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice. Malgrado le doglianze dell'imputato, non risulta presa in esame una posizione di garanzia della s.p.a. committente.

    Nell'ambito dei lavori di carico/scarico, movimentazione e stoccaggio merci svolti nello stabilimento di una s.r.l. e appaltati a una cooperativa, un magazziniere dipendente della cooperativa, mentre si trovava tra la ribalta di carico di un camion ed il pianale, cadde di schiena nel vuoto a causa della messa in moto del mezzo da parte di un autista di altra società addetta al trasporto. I magistrati di merito prendono atto che ``la procedura operativa allegata al DUVRI non contemplava l'interferenza di due ditte separate, tanto che in essa si parlava genericamente di `operatore del magazzino' e di `operatore addetto' senza specificare tuttavia se si trattasse di operatore della committente o detta cooperativa'', e che ``dunque non era stato valutato il rischio da compresenza''. Solo che viene condannato l'amministratore della cooperativa, ma non il datore di lavoro committente, per aver ``omesso di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi interferenziali tra i lavori delle diverse imprese coinvolte'' in violazione dell'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008. La Sez. IV conferma la condanna, ma avverte che, ad avviso della Corte d'Appello, ``possono ravvisarsi altre posizioni di garanzia (di qui la trasmissione degli atti all'ufficio di procura)''. (Significativo anche sotto questo profilo il coinvolgimento del solo datore di lavoro appaltatore in Cass. 18 dicembre 2018, n. 56952 e in Cass. 26 ottobre 2020 n. 29610).

    Più che mai da leggere:

    ``In caso di affidamento di lavori in appalto o a lavoratori autonomi, l'obbligo di redazione del documento di valutazione dei rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono in successione o contemporaneamente grava sul datore di lavoro committente, cioè su colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''.

    Infortunio occorso a dipendente di una s.a.s. subappaltatrice intento ad eseguire interventi di montaggio e saldatura di pareti all'interno di locale filtri di una nave in costruzione presso un cantiere navale e caduto in una condotta di areazione. Furono condannati anche cinque soggetti facenti capo alla s.p.a. committente esercente il cantiere: il direttore dello stabilimento, il responsabile di piattaforma e il capo centro dell'area bordo delegati alla sicurezza, il capo officina allestimento apparato motore e il delegato per il coordinamento in materia di sicurezza con la s.r.l. appaltatrice nell'ambito di tale officina. In particolare, si è ``riconosciuto in capo al direttore dello stabilimento un addebito di responsabilità per colpa, non già riconducibile a profili di difetto di coordinamento e promozione della cooperazione con l'appaltatore ovvero di inadeguata vigilanza sui capi area deputati al controllo sulla esecuzione degli interventi, evidenziando sul punto la ricorrenza di deleghe prepositurali complete ed effettive, ma un più specifico difetto gestionale che si era tradotto in una omessa previsione nel DVR del rischio specifico di infortunio a causa degli innumerevoli varchi e condotti presenti nella nave, ovvero nella omessa predisposizione di prescrizioni generali rivolte a preservare la integrità fisica di tutti i lavoratori, impegnati per conto delle centinaia di ditte che concorrevano alla realizzazione della nave, dai rischi connessi alla presenza di tutti i numerosissimi varchi strutturali presenti sulla nave, attesa la interferenza tra le diverse lavorazioni svolte prevalentemente da imprese esterne. Si verte pertanto in ipotesi di mancato esercizio di un atto di indirizzo generale, non delegabile in quanto afferente alla fase della valutazione dei rischi generali concernenti la segregazione di varchi e aperture pericolose per i lavoratori sebbene nel periodo antecedente l'infortunio fosse stato segnalato da parte sindacale alla dirigenza ed al responsabile della sicurezza il problema delle numerosissime aperture, varchi, condotte presenti sul cantiere non adeguatamente protette o non segnalate da non idonea cartellonistica. Purtroppo tale istanza ha avuto risposta solo in seguito al tragico infortunio''.

    Grava sul datore di lavoro, committente, l'obbligo di predisporre il documento di valutazione dei rischi derivanti dalle possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono in successione o contestualmente all'interno di un'area. Grava specularmente sugli stessi datori di lavoro, ai quali sono stati appaltati segmenti dell'opera complessa, l'obbligo di collaborare all'attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione del rischio specifico della singola attività in ordine alla quale la posizione di garanzia rimane a carico del singolo datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività rispetto a cui la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale che ha dato origine all'infortunio. Fermo restando l'obbligo della valutazione dei rischi e fermi restando gli obblighi di cooperazione e di coordinamento previsti dall'art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice non può più essere ritenuto responsabile dell'omessa redazione del DUVRI, gravando tale obbligo sul datore di lavoro committente, e, cioè, su colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''. (Nella fattispecie, relativa a infortunio subito da dipendente di impresa appaltatrice subappaltante, fu ritenuta, in particolare, la responsabilità di tre soggetti: il ``responsabile per la sicurezza e per l'esecuzione per i lavori appaltati'', il ``responsabile della sicurezza e protezione'' dell'impresa appaltatrice, il rappresentante legale dell'impresa subappaltatrice).

    Alla stregua dell'art. 26, comma 2, ``l'eventuale inadempimento, da parte del committente e del coordinatore (figura assente nel cantiere) non esime da responsabilità penale né i legali rappresentanti dell'associazione temporanea di imprese appaltatrici, né il capo cantiere per tale associazione'' per l'infortunio occorso al dipendente dell'azienda ospedaliera committente.

    ``Solo a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 26 D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, l'omessa valutazione del rischio interferenziale è divenuto reato proprio del committente e non può pertanto più essere imputata anche al datore di lavoro appaltatore'' (Conforme Cass. 21 settembre 2017, n. 43457).

    ``L'imputato V., al quale compete la qualifica di dirigente, ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 81/2008, esercitò in concreto i poteri correlati al ruolo. L'art. 26 del D.Lgs. n. 81/2008 fa riferimento unicamente al datore di lavoro-committente; l'art. 18 del medesimo testo fa sì riferimento a questi ed al dirigente, ma richiama gli obblighi dell'art. 26 limitatamente a quello previsto dal comma 3: deve `elaborare il documento di cui all'articolo 26, comma 3 anche su supporto informatico come previsto dall'articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento è consultato esclusivamente in azienda'' (lett. p). Tuttavia, l'art. 55, al comma 5, punisce tanto il datore di lavoro che il dirigente per la violazione dell'art. 26, comma 1, lettere a) e b), con ciò elevando tanto il primo che il secondo a soggetti tenuti all'osservanza dell'obbligo di verifica della professionalità delle affidatarie e di informazione delle medesime''.

    L'obbligo di elaborare il DUVRI in caso di appalti intraziendali di cui all'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 è posto a carico del datore di lavoro committente, ``indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro e non anche i lavoratori dipendenti del committente''. ``Si tratta di una regola finalizzata ad individuare con certezza il titolare primario della posizione di garanzia relativa alla valutazione dei rischi da interferenze in colui che ha la posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nella sua unità produttiva di più imprese''. ``Fatto salvo l'obbligo di valutazione dei rischi e fermi restando gli obblighi di cooperazione e di coordinamento, il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice non può essere ritenuto responsabile dell'omessa redazione del DUVRI''.

    (V., altresì, l'ampia analisi svolta da Cass. 16 gennaio 2013, n. 2285).

    A proposito del concetto di ``datore di lavoro committente'' nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, di grande interesse sono:

    Per l'infortunio occorso al dipendente di una ditta appaltatrice fu condannato il datore di lavoro committente di fatto di una s.r.l. in relazione ai lavori di trasferimento di arredi dalla vecchia alla nuova sede della s.r.l.: ``Il committente dei lavori era l'imputato, e non già il rappresentante legale della s.r.l. che aveva cessato ogni attività, rispetto alla quale era subentrata una s.a.s., di cui, per l'appunto, l'imputato aveva rivestito, dapprima in fatto e poi in modo formale, il ruolo di socio accomandatario. Era stato, quindi, l'imputato a stipulare un contratto verbale con l'appaltatore''.

    ``L'interferenza rilevante, non può essere circoscritta alle mere ipotesi di contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, perché ciò condurrebbe ad escludere in capo a quei `committenti', che forniscono il mero luogo di lavoro, qualunque posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori che, pur essendo alle dipendenze di altre imprese, operano nel medesimo luogo di lavoro''.

    ``È stato posto espressamente a carico del datore di lavoro committente l'obbligo di stilare il DUVRI (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze), con riferimento alle attività che si svolgono all'interno della sua azienda, indipendentemente dal fatto che vi siano taluni rischi da interferenze che possano riguardare esclusivamente i dipendenti dell'appaltatore ovvero i lavoratori autonomi presenti nell'ambiente di lavoro e non anche i lavoratori dipendenti del committente. Si tratta di una regola evidentemente finalizzata ad individuare con certezza il titolare primario della posizione di garanzia relativa alla valutazione dei rischi da interferenze in colui che ha la posizione di dominio del rischio correlato alla compresenza nella sua unità produttiva di più imprese. Tale obbligo deve intendersi chiarito con l'entrata in vigore dell'art. 26, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, in base al quale si intende per datore di lavoro committente colui che ha la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo''.

    (V. anche Cass. 13 febbraio 2015, n. 6394).

    L'amministratore di un condominio fu condannato per la violazione degli artt. 26, commi 1, lettere a) e b), e 2, lettere a) e b), D.Lgs. n. 81/2008: anzitutto, ``per avere affidato i lavori di abbattimento di una pianta di rilevanti dimensioni, ubicata all'interno del giardino condominiale, senza verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice ed, in particolare, per non avere verificato detta idoneità, anche mediante l'acquisizione di autocertificazione, in relazione alla pregressa esperienza lavorativa acquisita ed in relazione alla disponibilità dei dipendenti e di idonee attrezzature da lavoro e per non aver fornito ai soggetti incaricati dell'esecuzione dell'intervento dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui erano chiamati ad operare e sulle misure di prevenzione ed emergenza adottate dal condominio''; e, inoltre, ``per avere, in collaborazione con i datori di lavoro delle ditte e con i lavoratori autonomi presenti nel giardino condominiale, omesso di provvedere a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e a coordinare, attraverso la reciproca informazione, gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera''. A propria discolpa, l'imputato rileva ``di non aver mai preso parte all'esecuzione delle opere, né di essersi in alcun modo ingerito nell'organizzazione, nella direzione e nell'esecuzione delle stesse, agendo dunque quale mero committente, concedendo l'appalto alla società che poi aveva materialmente provveduto, avvalendosi di terzi, all'abbattimento della pianta e senza pertanto assumere la posizione di `datore di lavoro' erroneamente attribuitagli''. E aggiunge che ``il ruolo da lui svolto non coincide con la definizione di `datore di lavoro' di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008, che non poteva neppure aver assunto per il fatto che dal condominio da lui amministrato dipende un portiere il quale, attraverso una mera presunzione, il giudice del merito ha ritenuto un partecipante attivo all'intervento appaltato''. La Sez. III premette che ``l'art. 26, comma 1, lettere a) e b), D.Lgs. n. 81/2008 prevede specifici obblighi connessi ai contratti di appalto e, segnatamente, per quel che qui rileva, l'obbligo di verifica dell'idoneità tecnico professionale dell'impresa appaltatrice in relazione ai lavori da affidare (da effettuarsi, fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'art. 6, comma 8, lettera g), mediante acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato e acquisizione dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice del possesso dei requisiti di idoneità tecnico professionale), nonché quello di fornire agli incaricati dell'esecuzione dei lavori le informazioni sugli specifici rischi esistenti nell'ambiente di lavoro e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività''. Rileva ancora che, ``in tali ipotesi, il comma 2 della richiamata disposizione stabilisce ulteriormente, nelle lettere a) e b), che i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva''. Si domanda se l'imputato ``possa o meno considerarsi quale titolare di una posizione di garanzia che gli impone di assicurare la sicurezza del lavoro''. Osserva, a tale proposito, che ``la ratio delle disposizioni richiamate è quella di garantire una rafforzata tutela della sicurezza sul lavoro, coinvolgendo anche il committente attraverso la previsione di specifici obblighi sullo stesso gravanti'', in quanto, ``nell'affidare i lavori all'appaltatore, il committente non è automaticamente esonerato dall'osservare le norme di sicurezza che avrebbe necessariamente dovuto applicare in caso di diretta esecuzione dell'intervento, continuando a gravare anche sulla sua persona, seppure entro certi limiti, il debito di sicurezza verso i lavoratori impegnati nell'esecuzione delle opere appaltate''. Riconosce ``la responsabilità del committente per l'inosservanza degli specifici obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione)'', ``pur specificando che detta responsabilità non è di automatica applicazione, non potendosi esigere al committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, mentre è necessario verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo''. A questo punto, considera irrilevante la circostanza dall'imputato della non ingerenza nell'esecuzione dei lavori, ``poiché l'oggetto dell'imputazione riguarda l'inosservanza di doveri che esulano dalle concrete modalità di esecuzione dell'intervento, riguardando, invece, doveri di informazione e cooperazione propri di colui che affida i lavori in appalto''. Quanto poi alla posizione di ``datore di lavoro'', afferma che ``trattasi di concetto che, ai fini della disciplina in esame, deve essere inteso in senso ampio con riferimento alla posizione assunta in concreto, come peraltro chiaramente s'intende dal tenore complessivo della disciplina di settore e dalla lettura degli artt. 2, comma 1, lettera b), e 299 D.Lgs. n. 81/2008''. Ritiene di prescindere dall'assunto del giudice di primo grado che ``l'imputato sarebbe stato comunque datore di lavoro del portiere dello stabile presso il quale venivano eseguiti i lavori poiché, anche nel caso in cui restasse non accertata una fattiva partecipazione dello stesso all'esecuzione dei lavori, non verrebbero comunque meno gli specifici obblighi del committente di cui si è detto in precedenza''. Insegna che, ``in base alla richiamata disciplina, l'amministratore di un condominio assume la posizione di garanzia propria del datore di lavoro nel caso in cui proceda direttamente all'organizzazione e direzione di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio stesso ma, in caso di affidamento in appalto di dette opere, tale evenienza non lo esonera completamente da qualsivoglia obbligo, ben potendo egli assumere, in determinate circostanze, la posizione di committente ed essere, come tale, tenuto quanto meno all'osservanza di ciò che è stabilito dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008''. Con riguardo al caso di specie, prende atto che, ``nell'affidamento dei lavori di abbattimento della pianta, l'amministratore non avrebbe provveduto ad accertare l'idoneità tecnico-professionale della ditta appaltatrice con le modalità previste dal più volte richiamato art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, risultando peraltro detta idoneità di fatto insussistente, tanto che i lavori vennero subappaltati ad altri'', e che ``non avrebbe adempiuto agli obblighi di informazione, collaborazione e cooperazione pure imposti dalla medesima disposizione''. Precisa che, ``nell'attribuire tale posizione di garanzia all'imputato, il giudice del merito avrebbe dovuto considerare che lo stesso ha agito nella peculiare qualità di amministratore di un condominio'', e che ``l'appalto dei lavori era stato deciso ed assegnato mediante delibera dell'assemblea condominiale alla quale l'amministratore, ad essa vincolato, era tenuto a dare concreta attuazione''. Reputa tale circostanza ``di decisivo rilievo ai fini dell'affermazione di penale responsabilità, non potendosi prescindere dal ruolo effettivamente svolto dall'amministratore nella stipulazione del contratto e nella sua successiva attuazione, considerando anche l'ambito di autonomia di azione di cui egli eventualmente disponeva ed i poteri decisionali concretamente attribuiti'', e chiarisce che ``sulla base di tale necessaria verifica fattuale il Tribunale avrebbe dovuto, poi, accertare la effettiva riconducibilità dell'attività espletata alle fattispecie contemplate dalle disposizioni precedentemente richiamate''. Di qui l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. (Circa l'amministratore di condominio v., sub art. 89, paragrafo 11, in motivazione, Cass. 7 marzo 2019 n. 10039, nonché l'ebook Guariniello, Sicurezza nel condominio: profili di responsabilità penale, Wolters Kluwer, 2018, 24).

    Non collimante appare l'analisi sviluppata da:

    ``L'appaltatore, subappaltando non perde automaticamente la sua qualifica di datore di lavoro con i correlati obblighi antinfortunistici, ma a condizione che continui a esercitare una concreta ingerenza nell'effettuazione dell'opera, cosi non integralmente subappaltata: dalla responsabilità prevenzionale che da tali obblighi discende, invero, il sub-committente è sollevato soltanto ove i lavori siano subappaltati per intero, cosicché non possa più esservi alcuna ingerenza da parte dello stesso nei confronti del subappaltatore'. Nel caso di specie, è indiscusso che l'oggetto del subappalto è stato formalmente totale, e il giudice riconosce che l'imputato non si è avvalso dei propri dipendenti per lo svolgimento dell'incarico. Proprio da questo, tuttavia, il giudice trae l'esercizio dei poteri decisionali di ingerenza che costituiscono la qualità di datore di lavoro, con una interpretazione quindi non corretta, che identifica la qualità di datore di lavoro nel potere subappaltare integralmente. Occorre invece che sia accertata la concreta sussistenza di una permanente ingerenza dell'imputato nell'esecuzione dei lavori, cosi che gli siano correttamente attribuibili i poteri decisionali del datore di lavoro, e la conseguente responsabilità per i reati a lui ascritti''.

    Due le osservazioni da svolgere al riguardo. La prima è che gli obblighi previsti dall'art. 26, commi 1-3, D.Lgs. n. 81/2008 fanno capo al datore di lavoro committente anche in rapporto ai subappaltatori (v. sul punto, retro, il paragrafo 8). La seconda è che i predetti obblighi sorgono a carico del datore di lavoro committente per il solo fatto di affidare lavori, servizi, forniture a imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi nel proprio ambito aziendale, e, dunque, a prescindere dalla circostanza che il datore di lavoro committente s'ingerisca nell'effettuazione dell'opera.

    ``Anche se l'inidoneità dell'impresa non può farsi discendere dal solo fatto dell'avvenuto infortunio, il committente, anche quando non si ingerisce nella loro esecuzione, rimane comunque obbligato a verificare l'idoneità tecnico - professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione ai lavori affidati, pur essendosi precisato, con riferimento alla verifica di una culpa in eligendo, pur essendosi precisato, con riferimento alla verifica di una culpa in eligendo, che essa deve formare oggetto di specifica motivazione da parte del giudice''.

    Il presidente del consiglio di amministrazione e i consiglieri delegati di una s.p.a. committente di lavori di pulizia - condannati per l'infortunio mortale subito da un dipendente della s.r.l. appaltatrice - negano l'applicabilità dell'``art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 (oggi art. 26, D.Lgs. n. 81/2008)'' in quanto ``i lavori di manutenzione straordinaria appaltati si svolsero in un periodo di fermo produttivo senza interferenze tra lavori dell'appaltante e lavori dell'appaltatore'', era da escludere ``la possibilità di ingerenze reciproche tra più imprese'', e i lavori appaltati erano estranei ``al ciclo produttivo specifico dell'impresa appaltante e alle competenze organizzative caratteristiche di tale tipo di impresa'', nel senso che ``la specificità del rischio assunto dalla s.r.l. appaltatrice escluderebbe ogni potere di ingerenza della s.p.a. appaltante e ogni responsabilità dei suoi rappresentanti per le attività affidate connotate da una specifica tecnica di settore estranea a quelle proprie della s.p.a. appaltante'', il che ``escluderebbe che l'appaltante debba informare l'appaltatore dei rischi della specifica lavorazione appaltata''. Nel respingere il ricorso proposto dagli imputati, la Sez. IV sottolinea che ``il capo di imputazione addebita proprio ai responsabili della s.p.a. committente specifiche omissioni per tali rilevabili rispetto alle obbligazioni di garanzia della salute e della sicurezza dei lavoratori che investono secondo la legge il datore di lavoro al vertice della catena di comando della impresa e per obbligazioni specifiche del suo ruolo''. Prende atto che gli imputati non avevano ``cooperato all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sulla attività lavorativa oggetto di appalto, né coordinato gli interventi di protezione dai rischi cui erano esposti i lavoratori impegnati in gruppi misti di dipendenti dell'impresa appaltante e dell'impresa appaltatrice in lavori comportanti, tra l'altro, la movimentazione manuale delle c.d. soffierie (parti di asciugatoi industriali) del peso ciascuna di circa 75 kg e posizionate all'altezza di circa cm 175 dal piano di calpestio (art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994); ne avevano promosso la cooperazione all'attuazione delle misure di protezione e prevenzione contro i rischi sul lavoro, nonché il coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione contro i rischi incidenti sulla attività lavorativa oggetto dell'appalto (art. 7, comma 3, D.Lgs. n. 626/1994)''. Rileva ``la partecipazione, nelle attività appaltate, di maestranze della società appaltante e della società appaltatrice, il ruolo di responsabilità apicale rivestito dai tre imputati nei confronti dei loro dipendenti e degli altri lavoratori impiegati per l'operazione di montaggio e smontaggio appaltata'', ``lo svolgimento in comune di una attività unitaria e il richiamo della richiesta dei due operai della ditta appaltatrice di un rinforzo di persone e mezzi (una struttura in ferro atta a sostenere le soffierie durante lo smontaggio) per onere della società appaltante, rinforzo che gli incaricati della ditta appaltante avevano rifiutato''. Osserva che, ``a considerare i soggetti onerati da obbligazioni di garanzia (nello specifico l'obbligazione di coordinamento prevista dall'art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 oggi trasfuso con continuità regolativa nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008), bene furono chiamati a rispondere gli imputati, titolari effettivi dei poteri decisionali, debitamente provvisti di poteri e di facoltà di spesa in materia di sicurezza (il presidente del consiglio di amministrazione e i due consiglieri con delega per la ordinaria e la straordinaria amministrazione)''. Afferma che ``la responsabilità fu bene affermata in forza del generalissimo principio secondo il quale possono essere appaltati (ove consentito su diversi piani di diritto) i lavori, ma non può essere appaltata la responsabilità penale, e in forza delle specifiche condotte esigibili dagli imputati in relazione al loro ruolo''. Precisa che ``tutte le condotte e le omissioni accertate certamente individuano la violazione delle obbligazioni di garanzia per la tutela della salute dei lavoratori personalmente gravante sul datore di lavoro e non suscettibili di delega''.

    A differenza dell'obbligo del DVR, l'obbligo del DUVRI è delegabile (per il riferimento al c.d. ``gestore del contratto'' v. Cass. 29 gennaio 2013, n. 4534; sulla responsabilità del direttore di stabilimento delegato per la sicurezza in caso di omesso coordinamento tra impresa committente e impresa appaltatrice Cass. 17 settembre 2014, n. 38089; con riguardo a soggetto delegato per la sicurezza di una s.p.a. committente Cass. 6 marzo 2015, n. 9864, al paragrafo 9):

    ``Cosi come la redazione del `documento di valutazione dei rischi' è obbligo esclusivo del datore di lavoro, analogamente la redazione del DUVRI è obbligo del datore di lavoro committente, pur potendo lo stesso essere delegato a terzi (presupponendo peraltro pur sempre la delega che l'obbligo gravi sul medesimo datore di lavoro)''.

    Inaccoglibile la tesi sostenuta da:

    ``L'obbligo di adozione e aggiornamento del DUVRI fa capo al datore di lavoro e per espressa previsione normativa non è delegabile''.

    ``Il datore di lavoro committente ha l'obbligo assoluto e non delegabile di elaborare il DUVRI (Documento Unico di Valutazione dei Rischi - artt. 17, 18, 26, comma 3, 28 e 29 D.Lgs. n. 81/2008)''.

    Negli appalti intra-aziendali disciplinati dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, basilare è porre in luce il ruolo del datore di lavoro committente, ma non meno determinante è decifrare con esattezza la posizione di garanzia rivestita dall'appaltatore:

    Il legale rappresentante di una s.r.l. fu condannato per il reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p., per avere omesso di coordinarsi con le altre imprese presenti nel cantiere di una s.r.l., così non impedendo che il dipendente di una ditta subappaltatrice dei lavori di carpenteria si ponesse all'opera, usando un seghetto elettrico in un locale adiacente a quello nel quale, in precedenza, un lavoratore di una s.n.c. aveva svolto attività di schiumatura utilizzando materiale contenente poliuretano, che a causa dell'azionamento del seghetto elettrico esplodeva, cagionando all'utilizzatore lesioni gravi''. Serrata e incisiva la critica mossa dalla Sez. IV ai magistrati di merito: ``Seppure la corte d'appello abbia riconosciuto che la compilazione del DUVRI era di competenza della s.r.l. committente che non vi aveva provveduto, nell'affermare la sussistenza dell'obbligo di cooperazione in capo agli appaltatori delle opere - e quindi anche all'imputato quale legale rappresentante della s.r.l., cui erano affidati i lavori di carpenteria, non chiarisce quale sarebbe stata, in concreto, la condotta omessa dall'imputato, idonea ad evitare l'evento, posto che l'informazione sull'effettuazione dei lavori di schiumatura, che comportavano l'utilizzo di materiale dalla potenzialità esplosiva, non poteva che essere resa dalla s.n.c. che vi provvedeva''. Spiega la Sez. IV che ``l'obbligo di cui all'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 inerente alla redazione del Documento unico di valutazione dei rischi interferenziali è posto in carico al committente'', e che, ``per affermare la sussistenza del contributo causale dell'appaltatore, secondo la clausola di equivalenza prevista dall'art. 40, comma 2, c.p., occorre, in primo luogo, identificare la regola di condotta violata, potendosi iscrivere efficienza causale all'essere rimasto inerte, o all'avere diversamente agito, non contrastando fattori di rischio con provvedimenti adeguati, solo allorquando il potere impeditivo dell'evento sia collegato ad un potere di organizzazione o di disposizione su situazioni potenzialmente pericolose, che sebbene possa estrinsecarsi in oneri di natura sollecitatoria o di informazione, deve comunque riferirsi alla sfera di conoscibilità e prevedibilità del garante nella specifica situazione di fatto.'' Ammette che ``il mancato assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 da parte del committente non esonera gli appaltatori e subappaltatori dell'opera dagli oneri di cooperazione reciproca, previsti dall'art. 26, comma 2, che impongono di dare attuazione alla misure di prevenzione sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto [lett. a)], coordinando `gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese' [lett. b)]''. Ma chiarisce che ``l'adempimento di simili prescrizioni - pur ampie - non può estendersi sino alla sostituzione dell'opera di coordinamento posta in capo al committente inadempiente, finalizzata all'eliminazione o quantomeno alla riduzione dei rischi da interferenza, potendo certamente richiedersi all'appaltatore di informare gli altri soggetti operanti nel medesimo luogo dei rischi che l'opera a loro affidata comporta e delle misure cautelative adottate per scongiurarne la realizzazione, ma non di evitare un rischio non conosciuto perché non comunicato da alcuno, né di per sé manifesto o deducibile da particolari evidenze fattuali, soprattutto quando creato da un diverso soggetto presente in cantiere, non adempiente all'onere di informare e coordinarsi con le altre imprese, tanto più se incaricato dello svolgimento di opere del tutto avulse da quella appaltata''. Con riguardo al caso di specie, rileva come ``non può sostenersi che l'evento derivato dall'utilizzo di un seghetto elettrico da parte di uno dei dipendenti del subappaltatore dei lavori di carpenteria, in un ambiente adiacente a quello in cui altra impresa aveva utilizzato una sostanza esplodente, depositatasi anche sul fondo del distinto locale nel quale era chiamato a lavorare l'infortunato, possa essere addebitato all'imputato, laddove questi non fosse a conoscenza del pericolo, non essendo stato informato''.

    Il presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l., avente tra l'altro come oggetto sociale il trasporto, il commercio all'ingrosso, la trasformazione di prodotti chimici ad uso industriale, è condannato per l'infortunio subito da un dipendente conducente di autobotte, con l'addebito di ``non aver elaborato procedure operative per le operazioni di scarico di soda caustica presso l'impianto di una s.p.a. i cui accessori o dispositivi di scarico non risultavano sicuri''. La Sez. IV conferma la condanna: ``Il contratto di appalto tra s.r.l. e s.p.a. prevedeva che la prima si obbligava a fornire ed a trasportare alla seconda sostanze chimiche, assumendo su di sé la piena responsabilità civile e penale nei confronti del proprio personale. L'imputato aveva omesso di far elaborare una procedura operativa per le operazioni di scarico di soda caustica presso l'impianto, in relazione alle specificità del contratto di appalto e delle istruzioni operative, oltre che dello stato dei luoghi (richiesta delle operazioni di flussaggio e mancato funzionamento delle pompe di aspirazione) e non aveva fornito accessori e dispositivi per le procedure di scarico''.

    ``A norma dell'art. 26, comma 2, l'appaltatore e il subappaltatore sono tenuti a richiedere aI committente il documento di valutazione dei rischi interferenziali e qualora ricevano risposta negativa, a sopperire personalmente all'individuazione del rischio, collaborando con il committente''.

    Questa sentenza è riportata più ampiamente al paragrafo 1, h, e occorre comunque tener presente l'insegnamento impartito da:.

    L'appaltatore ``doveva assumere l'iniziativa di sollecitare la committente ad adottare le necessarie misure di sicurezza nell'ambito di una attività coordinata tra le due imprese nello svolgimento di attività interferenti, e, in difetto, avrebbe dovuto rifiutarsi di svolgere tali attività in condizioni di evidente carenza di sufficiente sicurezza''.

    V. inoltre:

    Il procuratore speciale di una s.r.l. appaltatrice di lavori di movimentazione di impianti dismessi presso la s.p.a. committente fu condannato per l'infortunio subito da un lavoratore della s.p.a. ``investito dalla caduta di un armadio elettrico durante la sua movimentazione su un carrello con forche, condotto da un operaio dell'appaltatore, che aveva omesso di assicurarlo al mezzo e che, trasportandolo in verticale, aveva occluso a se stesso la visuale''. All'appaltatore si addebitò, in particolare, ``di non avere fatto frequentare al conducente, di nazionalità slovacca ed appena assunto, apposito corso di formazione, e ciò senza comunicare, nell'ambito della cooperazione e coordinamento con la s.p.a. in ossequio al dettato dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, la presenza di maestranze straniere, nonché il loro grado di conoscenza della lingua''. Si escluse, per contro, la responsabilità del responsabile della s.p.a., in quanto ``aveva predisposto il DUVRI, sottoscritto dall'impresa appaltatrice, nel quale erano previsti i rischi derivanti dal transito di mezzi di trasporto, con indicazione della misura di tutela e coordinamento e con la precisazione dell'onere dell'impresa appaltatrice di impiegare personale con adeguata capacità professionale, opportunamente informato ed addestrato anche sull'uso corretto delle macchine e delle attrezzature utilizzate, nonché sulle misure di prevenzione e protezione''. A sua discolpa, l'imputato lamenta ``le violazioni poste in essere dal lavoratore infortunato, dipendente della s.p.a, il quale si era ingerito nelle lavorazioni affidate alla s.r.l., nell'area di cantiere in cui quest'ultima operava, ben distinta da quella ove egli avrebbe operare, dirigendo l'attività lavorativa di un lavoratore, dipendente di altra impresa, che non era suo sottoposto, senza prendersi cura, a mente dell'art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008, della propria salute e sicurezza, senza opporre, di fronte alla situazione di pericolo, il rifiuto della prestazione lavorativa, prediligendo la scelta più pericolosa, senza far, al contrario, sospendere le operazioni''. La Sez. IV non condivide questa doglianza. Rileva, infatti, che, nel caso di specie, ``anche il D.U.V.R.I indicava fra gli obblighi dell'impresa appaltatrice quello di impiegare personale avente capacità professionali adeguate al lavoro da svolgere, opportunamente formato ed informato, nonché addestrato anche sul corretto impiego delle macchine ed attrezzature utilizzate, nonché sulle misure di prevenzione e protezione'', e che, invece, l'appaltatore ``mise alla guida del muletto un lavoratore non adeguatamente formato sulle modalità di utilizzo sicuro del mezzo'', per giunta omettendo d'informare ``la committenza circa l'utilizzo di manodopera straniera, senza conoscenza della lingua italiana''. Spiega che nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 ``non solo si impone al committente di predisporre il documento unico di valutazione dei rischi interferenziali, ma si individuano, al comma 2, in capo a tutti i datori di lavoro, ivi compresi i subappaltatori, specifici oneri di cooperazione all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto e di coordinamento degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, con la previsione della reciproca informazione, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva''. Precisa che siffatti oneri sussistono anche quando le attività delle diverse imprese siano ``interferenti anche solo marginalmente'' ed anche quando ``il lavoratore di un'impresa si trovi nell'area in cui opera una diversa impresa'' e ``collabori a qualsiasi titolo, anche occasionalmente ed indebitamente''.

    Infortunio mortale a un socio lavoratore di una cooperativa in un terminal ferroviario. Una s.r.l. sub-concessionaria per la gestione dei servizi di movimentazione di unità di carico diverse aveva incaricato una cooperativa di provvedere, tramite proprio personale, a controllare il carico dei treni in arrivo e in partenza. La Sez. IV osserva: ``le frequenti e note anche alla cooperativa - `manovre selvagge' dei treni avrebbero dovuto indurre i responsabili della cooperativa a promuovere, sino a pretendere, a tutela dei propri soci lavoratori, efficaci e risolutivi interventi coordinati, in un'ottica di prevenzione degli infortuni conseguenti all'attività di soggetti interferenti (nella specie, i dipendenti di Trenitalia)''.

    Nel corso di lavori di pulizia industriale appaltati da una s.r.l. ad altra s.r.l. ed eseguiti all'interno dell'azienda committente, s'infortuna un dipendente dell'impresa appaltatrice, caposquadra addetto alla sicurezza. Vengono condannati per lesione personale colposa sia il direttore dello stabilimento della s.r.l. committente (esercente la termovalorizzazione di rifiuti), sia il datore di lavoro di una terza s.r.l. appaltatrice (esercente il trasporto di rifiuti, tramite mezzi dotati di un piano mobile installato nel cassone posteriore, su incarico di terzi, titolari, a loro volta, di un accordo di conferimento con la s.r.l committente). La Sez.IV ne trae spunto per impartire alcuni insegnamenti:

    A) ``L'iniziativa del coordinamento tra più imprese a norma dell'art. 26 D.Lgs n. 81/2008 spetta al committente, ma non esime certo l'appaltatore dall'obbligo di informare l'altro della situazione di carente sicurezza e della propria impossibilità di garantire il controllo della zona di lavorazione, e, quindi, dall'obbligo di sollecitare l'intervento del committente e di fare in modo che venissero adottate di comune concerto quelle misure di sicurezza necessarie a fini prevenzionistici''.

    B) Quanto alla posizione del datore di lavoro dell'impresa appaltatrice esercente il trasporto di rifiuti, questi non aveva adempiuto l'obbligo di informazione della committente circa il fatto che non poteva adeguatamente garantire le misure di sicurezza prevenzionistiche (e, quindi, non aveva sollecitato una comune e concertata risoluzione della questione); e l'obbligo di garantire che le attività connesse al trasporto dei rifiuti si svolgessero in condizioni di sicurezza (nella specie lo scarico delle balle di rifiuti) competeva anche alla ditta utilizzatrice dell'automezzo, conformemente alle istruzioni del manuale d'uso. Se l'autista del mezzo era impossibilitato ad esercitare tale vigilanza nella fase di scarico, l'imputato doveva assumere l'iniziativa di sollecitare la committente ad adottare le necessarie misure di sicurezza nell'ambito di una attività coordinata tra le due imprese nello svolgimento di attività interferenti, e, in difetto, avrebbe dovuto rifiutarsi di svolgere tali attività in condizioni di evidente carenza di sufficiente sicurezza.

    ``La s.r.l. appaltatrice era rimasta obbligata all'adempimento degli oneri relativi alla sicurezza pur dopo la stipula del contratto di subappalto, in quanto il contratto di appalto non prevedeva per normativa il ribasso per gli oneri relativi alla sicurezza già prefissati dal bando di gara. Si appalesa dunque del tutto inconferente il richiamo alla giurisprudenza relativa ai principi espressi in materia di concreta ingerenza nella esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto''. (Per un’ipotesi di esclusione della responsabilità dell’appaltatore v. Cass. 10 maggio 2021, n. 18064).

    ``Quale responsabile delle operazioni di manutenzione all'interno dello stabilimento della società committente, affidate alla ditta appaltatrice dalla quale dipendevano i due operai, l'imputato, quale preposto di tale ditta, ricopriva una posizione di garanzia che gli imponeva di attenersi al documento di valutazione del rischio interferenziale''. (Sulla responsabilità del preposto per un'associazione temporanea di imprese appaltatrici v. Cass. 7 febbraio 2019, n. 5916, sub paragrafo 8; quanto al preposto di fatto v. Cass. 2 maggio 2018, n. 18677 riportata sub art. 19, paragrafo 2).

    ``L'imputato è stato ritenuto responsabile del sinistro in quanto responsabile della manutenzione presso l'azienda committente e come tale, secondo la normativa interna all'azienda, avrebbe dovuto fornire ai dipendenti delle ditte esterne informazioni sui rischi e sui comportamenti da tenere nello stabilimento. In particolare avrebbe dovuto ordinare ai propri sottoposti di non far iniziare le lavorazioni prima del controllo del serbatoio, avendo egli consapevolezza della presenza di azoto all'interno. Il tribunale non ha esplicitato quale base normativa abbia rinvenuto come fonte degli obblighi riferiti al preposto, qual è appunto il G. Vale quindi puntualizzare che l'art. 19, lett. f), D.Lgs. n. 81/2008 impone al preposto di `segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro'; la violazione di tali obblighi è sanzionata dall'art. 56, lett. a). Il G., quindi, avrebbe dovuto informare i propri dirigenti ed il datore di lavoro della presenza dell'azoto all'interno di un serbatoio nel quale avrebbero dovuto eseguirsi delle lavorazioni. Né può avere rilievo che l'obbligo del G. si poneva a beneficio dei lavoratori della propria azienda (con riferimento all'appalto endoaziendale non si rinvengono obblighi specifici del preposto), poiché l'adempimento di quello avrebbe comunque avuto l'effetto di impedire l'evento. Tanto vale anche per il capo del reparto. Secondo la procedura aziendale denominata `sicurezza ed igiene del lavoro e responsabilità dei preposti' egli avrebbe dovuto informare i dipendenti della ditta esterna dei rischi presenti nella zona di lavoro ricadente sotto la sua competenza; e avendo consapevolezza del programmato intervento sul serbatoio avrebbe dovuto accertare se il procedimento di inertizzazione era ancora in atto''.

    Nel quadro di lavori eseguiti in appalto da una s.r.l. su committenza di una s.p.a., s'infortuna un lavoratore dipendente s.p.a. committente. Oltre ai responsabili della s.r.l. appaltatrice, viene imputato un preposto della s.p.a. committente, con l'addebito di aver omesso di ``prendere cognizione della compatibilità del patrimonio di conoscenze professionali vantate dal lavoratore infortunato, rispetto alle mansioni allo stesso in concreto assegnate, eventualmente provvedendo a dotarlo di tutte le informazioni necessarie al fine di impedire l'adozione, da parte dello stesso, di comportamenti rischiosi per la propria incolumità ``. Al riguardo, la Sez. IV osserva: ``Il preposto è, in quanto tale e nell'ambito delle proprie competenze e attribuzioni, destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici che gravano sul datore di lavoro, e, in particolare, del dovere di adibire i lavoratori a compiti coerenti con le proprie capacità e condizioni, fornendo agli stessi i necessari e idonei mezzi di protezione e prendendo le appropriate misure affinché solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono a un rischio grave e specifico. L'imputato era, all'epoca del fatto, perfettamente al corrente della generica e insufficiente preparazione professionale del lavoratore infortunato e della circostanza che il macchinario sul quale era stato destinato non era stata ancora collaudato, avendo subito talune modificazioni tali da esporlo a nuovi e inediti pericoli. La grave mancanza dell'imputato è consistita nell'aver abbandonato a se stesso il lavoratore alle prese con una macchina dallo stesso non conosciuta, senza preoccuparsi di assicurarne l'affiancamento con altri preposti capaci di intervenire in caso di evenienze problematiche relative alla sicurezza. L'imputato era stato sin dall'origine posto in condizione di conoscere la natura del rimprovero allo stesso sollevato, con particolare riguardo al relativo imprudente allontanamento dai luoghi di lavoro senza assicurarsi che in sua assenza rimanesse un preposto di riferimento per gestire qualsiasi evenienza legata al prosieguo dell'attività''.

    Un interrogativo è se il S.P.P.R. dell'impresa committente sia o non, chiamato ad operare anche a tutela dei lavoratori dell'impresa appaltatrice (e dei lavoratori autonomi) nelle ipotesi di cui all'art. 26, commi 1-3, D.Lgs. n. 81/2008. La Suprema Corte affronta il problema in:

    Con contratto di appalto, una cooperativa si era impegnata a fornire a una fonderia ``manodopera per la movimentazione di materiali, vale a dire facchinaggio, la raccolta degli scarti e le pulizie del magazzino e del cortile''. Un socio lavoratore della cooperativa fu invece adibito a una macchina molatrice, e venne investito dai frammenti della mola esplosa durante le operazioni di sbavatura dei pezzi metallici. Per l'infortunio furono condannati, oltre al presidente della cooperativa, il datore di lavoro e il RSPP della fonderia, con l'addebito di ```aver utilizzato una macchina obsoleta, modificata ed insicura'' e di ``aver adibito alla macchina stessa un lavoratore privo di qualifica e non adeguatamente formato ed informato sui rischi di utilizzo della molatrice e per compiti non previsti dal contratto di appalto''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV insegna: ``nel caso di specie, quanto all'organizzazione del lavoro, era il RSPP ad essere sempre presente in azienda, ad assegnare i compiti ed a destinare il personale alle macchine, ad avere infine contatti con la cooperativa per il personale necessario''. E conclude che ``l'incidente si verificò per evidenti carenze della macchina molatrice, il cui rischio non era stato idoneamente posto in luce dal RSPP''.

    Un'Azienda USL affida in appalto a un'impresa il servizio di confezionamento e di gestione dei carrelli contenenti i pasti da servire all'interno del presidio ospedaliero. Una dipendente dell'impresa appaltatrice si introduce, insieme al carrello portavivande, nell'ascensore, e, nel corso della discesa, essendo il carrello finito contro una sporgenza muraria, era rimasta violentemente schiacciata contro la parete dalla massa di questo, cosi morendo per asfissia. Vengono condannati sia il responsabile del presidio ospedaliero sia il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi. Nel confermare la condanna, la Sez. IV osserva ``sul piano esegetico, che l'operatività dell'art. 9, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 33, D.Lgs. n. 81/2008] deve intendersi estesa, in considerazione del disposto dell'art. 7 [ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008], ai rischi delle lavorazioni cui vanno incontro i lavoratori dell'appaltatore, se e nella misura in cui è chiamato a rispondere nei loro confronti il datore di lavoro committente''.

    Diversa la soluzione emergente da:

    Nel corso di lavori di manutenzione di cisterne e vasche per la raccolta di acque meteoriche svolti presso una s.p.a. da una ditta subappaltarice, due dipendenti di tale ditta si addentravano in una cisterna e, a causa delle esalazioni di acido solfidrico, perdevano la vita. La Sez. IV conferma la condanna del datore di lavoro dei deceduti, ma anche l'assoluzione dell'RSPP della s.p.a. committente: ``Costui aveva stilato idonea documentazione nella quale si dava atto dei rischi connessi ai lavori svolti in vasche e cisterne, ed inoltre aveva messo a disposizione dei dipendenti i necessari dispositivi di protezione utili allo svolgimento delle predette mansioni, garantendo la salubrità dei luoghi di lavoro''.

    ``L'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 81 del 2008 estende l'obbligo di cooperazione e coordinamento, strumentale a prevenire ed eliminare i rischi interferenziali, a tutti i datori di lavoro coinvolti, anche ai sub-appaltatori, tenuti a collaborare con il committente, con cui non hanno concluso alcun contratto, essendo legati solo all'appaltatore. La lettera della legge prescinde dal dato formale dell'esistenza del rapporto contrattuale tra i datori di lavoro, valorizzando, invece, quello sostanziale dell'inserimento della prestazione di un'impresa nell'azienda o nel ciclo produttivo di altra impresa''.

    Per un infortunio subito dal dipendente di un'impresa subappaltatrice nel corso di lavori di rottamazione degli impianti all'interno dello stabilimento di una s.p.a furono condannati il rappresentante legale e presidente del consiglio di amministrazione del consorzio di imprese appaltatore dei lavori e il responsabile tecnico e coordinatore dei lavori per conto del consorzio: il primo ``per avere omesso di predisporre un piano operativo di sicurezza idoneo, posto che quello adottato era generico e non contenente alcuno specifico riferimento alla tipologia dei lavori da eseguire, alle relative modalità ed alla necessaria assicurazione del coordinamento dei lavori tra le varie imprese esecutrici''; il secondo per ``avere omesso di controllare la presenza del rischio e di adottare le opportune misure di sicurezza per eliminarlo''. A dire del rappresentante legale del consorzio, ``alla luce dell'art. 89, lett. i), D.Lgs. n. 81/2008, nel caso di contratto di appalto stipulato da un consorzio di imprese, quest'ultimo non può mai assumere la veste di appaltatore e, quindi, di sub committente nei confronti dell'impresa successivamente incaricata di svolgere i lavori, in quanto, proprio a causa della sua particolare natura giuridica, il consorzio rappresenta un semplice `trait d'union' fra il committente e l'effettivo appaltatore (cioè la s.r.l.)''; e, quindi, sarebbe erroneo ricondurre al consorzio, e, in quanto suo rappresentante legale, all'imputato la qualifica di appaltatore-sub committente-datore di lavoro, una qualifica che invece andava ineluttabilmente attribuita alla s.r.l., e, pertanto, al suo legale rappresentante''. La Sez. IV non è d'accordo. Rileva che l'imputato ``risulta avere svolto effettivamente le funzioni di legale rappresentante del consorzio al quale la s.p.a. aveva affidato in appalto l'esecuzione di lavori aventi ad oggetto lo smontaggio del laminatoio'', e che il consorzio, ``pur avendo ripartito il lavoro tra alcune delle sue aziende consorziate, aveva altresì affidato in subappalto alla s.r.l., non consorziata, di cui l'infortunato era dipendente, una parte specialistica degli stessi, inerenti lo smontaggio degli apparati elettrici ed aveva riservato a se medesimo il coordinamento dei lavori''. Ne ricava che ``la invocata disposizione normativa di cui all'art. 89, lett. i), D.Lgs. n. 81/2008 non può trovare applicazione al caso di specie laddove prescrive che `nel caso in cui il titolare del contratto di appalto sia un consorzio di imprese che svolga le funzioni di promuovere la partecipazione delle imprese aderenti agli appalti pubblici o privati, anche privo di personale deputato alla esecuzione dei lavori, l'impresa affidataria è l'impresa consorziata assegnataria dei lavori oggetto del contratto di appalto individuato dal consorzio nell'atto di assegnazione dei lavori comunicato al committente o, in caso di pluralità di imprese consorziate assegnatarie dei lavori, quella indicata nell'atto di assegnazione de lavori come affidataria, sempre che abbia espressamente accettata tale individuazione'''. Spiega che la s.r.l. ``non poteva considerarsi `impresa affidataria' in quanto non era aderente al consorzio, e, pertanto, sussisteva il rapporto tra quest'ultimo, quale sub-committente e la ditta stessa, quale sub-appaltatore dei lavori, e non, certamente, tra la ditta non consorziata e la s.p.a. appaltante''. E conclude che l'imputato, ``quale legale rappresentante del consorzio di imprese, era titolare di una posizione di garanzia e di controllo della integrità fisica del lavoratore dipendente dell'impresa esecutrice dei lavori, in ragione degli obblighi (attualmente previsti dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008), incombenti sul datore di lavoro, appaltatore o subappaltatore, di fornire alle imprese esecutrici ed agli eventuali lavoratori autonomi, dettagliate informazioni sui rischi specifici e di cooperare nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei lavoratori dai rischi connessi alle attività oggetto dell'appalto o subappalto''.

    L'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 contempla più obblighi a carico del datore di lavoro committente (tutta da vagliare in questo quadro è ora la disciplina dettata dal comma 3-ter introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009). Una riflessione utile in ordine al committente come responsabile civile (v. anche sub art. 90, paragrafo 14) è sviluppata da:

    Per il reato di lesioni personali colpose in danno di un lavoratore dipendente di un'impresa subappaltatrice, fu condannata, ``in solido con il datore di lavoro del lavoratore infortunato, l'impresa appaltante quale responsabile civile al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile''. Nel presentare ricorso, il responsabile civile lamenta che la responsabilità penale non era stata addebitata a suoi dipendenti. La Sez. IV premette che ``il problema giuridico sottoposto all'esame del collegio attiene alla corretta interpretazione del disposto del comma 2 dell'art. 185 c.p., a tenor del quale `ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui', e che ``si tratta di stabilire l'estensione della legittimatio ad causam - e cioè dell'astratta possibilità di rivestire la qualità di responsabile civile in un processo penale, indipendentemente dalla fondatezza o meno della pretesa risarcitoria (e forse anche restitutoria) azionata dalla parte offesa - della persona alla quale non sia addebitabile un reato, ma sul cui patrimonio la vittima possa contare per ottenerne ristoro economico''. Richiama ``le ipotesi di c.d. responsabilità indiretta (secondo una espressione, per la verità, controversa, nella stessa dottrina privatistica) disciplinate dal codice civile e da varie leggi speciali: casi in cui, al di là di definizioni più o meno esaustive ed appropriate, un soggetto è chiamato a rispondere sul piano economico del fatto altrui, in forza di speciali rapporti che lo legano all'autore del reato, alla cosa a mezzo della quale esso è stato commesso ovvero al luogo nel cui ambito si è svolta l'attività criminosa: è la responsabilità dell'albergatore, quanto agli oggetti portati dai clienti nell'albergo (art. 1784 c.c.), della persona tenuta alla sorveglianza dell'incapace (art. 2047 c.c.), dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte (art. 2048 c.c.), quanto alle condotte dei figli minori e delle persone a essi affidate, dei padroni e dei committenti, per il fatto illecito dei loro domestici e commessi (art. 2049 c.c.), del proprietario dell'edificio (art. 2053 c.c.), di quello del veicolo (art. 2054 c.c.), dell'armatore e dell'esercente l'aeromobile (rispettivamente, artt. 274 e 878 codice della navigazione), del proprietario della pubblicazione e dell'editore (art. 11, legge 8 febbraio 1948, n. 47), dell'assicuratore dei veicoli a motore e dei natanti (legge 24 dicembre 1969, n. 990)''. Rileva che, ``nelle ipotesi elencate, in ragione di una potestà riconosciuta al soggetto nei confronti dell'autore del reato, ovvero dell'inerenza di determinate cose o luoghi alla sfera di normale disponibilità dello stesso, ovvero ancora sulla base di scelte legislative ampiamente discrezionali, un soggetto è costituito garante, nei confronti della vittima di un reato, dell'adempimento degli obblighi risarcitori da questo derivanti''; e che ``trattasi di discipline articolate e complesse, che talvolta riconoscono all'extraneus la possibilità di una prova liberatoria (artt. 2047, 2048, 2053, 2054 ecc.), altre volte gliela negano, in applicazione di un criterio di secca oggettività, per cui ubi commoda, ibi incommoda (art. 2049 c.c.), mentre in un solo caso, e precisamente nell'ipotesi di responsabilità civile derivante dall'assicurazione obbligatoria di cui alla legge 24 dicembre 1969, n. 990, a seguito dell'intervento del giudice delle leggi, è ammessa la possibilità che il garante venga citato nel processo penale a richiesta dello stesso imputato (Corte cost., sentenza n. 118 del 1998)''. Afferma che ``quel che accomuna le varie fattispecie è che la chiamata in giudizio del responsabile civile si radica su un fatto altrui, tanto vero che essa viene affermata in ragione non già di un nesso eziologico tra condotta ed evento dannoso (come è invece per l'imputato), ma in forza della sola esistenza di uno dei rapporti qualificati di cui innanzi''. Nota che, ``non a caso, la prova liberatoria, ove ammessa, non ha mai ad oggetto la mancata partecipazione all'azione criminosa, che non avrebbe senso, ma, con modulazioni diverse da caso a caso, l'impossibilità di impedirla'', e che ``la chiave di volta per la corretta esegesi della norma è, in sostanza, l'espressione `rispondere del fatto di lui che circoscrive il limite della presenza nel processo penale del soggetto estraneo, esigendo che la sua condotta sia ontologicamente ed eziologicamente inattiva, nei sensi innanzi precisati, rispetto al fatto delittuoso in sé''. Precisa, a questo punto, che ``l'art. 85 c.p.p., laddove prevede che l'imputato possa `essere citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati per il caso in cui venga prosciolto o sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere', non altera affatto i presupposti sostanziali che governano la partecipazione al processo del responsabile civile, ma detta le regole, volte ad assicurare il pieno espletamento del contraddittorio, per l'ipotesi in cui uno dei coimputati versi in una delle situazioni qualificate innanzi indicate, sia per esempio il precettore dell'allievo accusato con lui della commissione del reato, avvertendolo che, in caso di fuoruscita dal processo con formula che escluda la sua responsabilità penale e civile, di perdita, cioè, dello status di imputato, egli continua tuttavia a restare in giudizio perché chiamato a rispondere col proprio patrimonio dei danni cagionati alla vittima dall'autore della condotta criminosa, del cui operato deve civilmente rispondere''. Sottolinea che ``l'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 (ora trasfuso nell'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008) prevede, in caso di affidamento dei lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno dell'azienda del committente o di una singola unità produttiva della stessa, l'obbligo dell'appaltante di verificare l'idoneità tecnico - professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi, in relazione ai lavori da espletare; di fornire agli stessi dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui andranno ad operare; di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione; di coordinare gli interventi, anche al fine di eliminare i pericoli dovuti alle interferenze tra i lavori affidati alle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva, a tal fine elaborando un unico documento di valutazione dei rischi''. Ne desume che ``la stessa esistenza di obblighi positivi di verifica, informazione, cooperazione e coordinazione in capo all'appaltante, tanto più se accompagnata dalla somministrazione di attrezzi di lavoro, vale a connotare in termini di `inadempimento' il loro omesso o insufficiente espletamento: la conseguente responsabilità per gli eventi lesivi che ne siano derivati è allora responsabilità per fatto proprio non giustiziabile col mezzo della chiamata del committente in responsabilità civile nel processo penale avente ad oggetto il fatto dell'appaltatore''. Aggiunge che ``tutte le questioni relative alla fondatezza di una eventuale pretesa risarcitoria nei confronti dell'impresa appaltante, ivi comprese quelle inerenti al trasferimento o meno del rischio in ordine all'uso delle attrezzature da essa fornite, ben potranno essere svolte e trattate nella competente sede civile''. Trae conferma ``dalla riconosciuta necessità, valorizzata dal codice di rito vigente, di scoraggiare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale, per evitarne l'appesantimento, eventualità che sarebbe certamente frustata da interpretazioni che estendessero la possibilità di partecipazione a soggetti che possono si essere chiamati a rispondere, insieme con l'imputato, delle conseguenze del reato, ma in forza di una inadempienza propria e non altrui''. Ricorda che ``il giudice delle leggi, nelle pronunce con le quali ebbe a dichiarare infondati o manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti dell'art. 83 c.p.p., nella parte in cui non prevede la possibilità per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare nel processo, quale responsabile civile, l'esercente l'aeromobile, a norma dell'art. 878 cod. nav., ovvero la gestione liquidatoria della USL, per il fatto di un suo dipendente, l'INAIL e l'INPS, per le violazioni delle norme in materia di infortuni sul lavoro e di previdenza sociale (rispettivamente, sentenza n. 75 del 2001 e ordinanza n. 300 del 2004) rimarcò il `particolare rigore con il quale - nel sistema delineato dal nuovo codice di rito del 1988 - devono essere misurate le disposizioni che regolano l'ingresso, in sede penale, di parti diverse da quelle necessarie', a fronte dell'accentuata tendenza, caratteristica del nuovo impianto, a circoscrivere nei limiti dell'essenzialità le forme di cumulo processuale, stante la maturata consapevolezza che l'incremento delle regiudicande - specie se, come quelle civili, estranee alle finalità tipiche del processo penale - non possa che aggravarne l'iter''.

    Successivamente:

    ``La legittimazione passiva del responsabile civile in tanto sussiste in quanto nel processo penale sia imputato un soggetto del cui operato lo stesso debba rispondere in base alla legge civile, giusta il disposto dell'art. 185 c.p., dovendo escludersi che risponda del fatto altrui in base ad un titolo contrattuale. Poiché il contratto di appalto è caratterizzato dall'autonomia dell'appaltatore nell'organizzazione e nello svolgimento imprenditoriale dell'opera o del servizio alla cui esecuzione si è obbligato, egli è l'unico responsabile dei danni cosi cagionati ai terzi, escluso di regola ogni rapporto institorio tra committente ed appaltatore ed a fortiori ogni rapporto di subordinazione del secondo al primo, riconducibile al disposto dell'art. 2049 c.c. Si pongono quali eccezioni a tale disciplina generale il caso di corresponsabilità di committente e di appaltatore, qualora il primo, incorrendo in culpa in eligendo, abbia affidato l'esecuzione dell'opera a chi palesemente difettava della capacità o dei mezzi tecnici indispensabili, ovvero quello in cui l'appaltatore, a seguito delle ingerenze del committente, si riveli di fatto nudus minister di quest'ultimo per aver proceduto a dare esecuzione al contratto non impiegando l'autonomia imprenditoriale ed agendo, quindi, al pari di un lavoratore subordinato, quale mero esecutore di ordini''.

    (Circa il committente come responsabile civile e nell'ambito dei cantieri temporanei o mobili Cass. 26 novembre 2015, n. 46991, sub art. 90, al paragrafo 14).

    ``Dimostra il più impegnativo ruolo di garanzia ormai posto a carico del datore di lavoro/committente anche la disciplina dettata dal comma 4 dell'articolo 26, laddove, dopo essersi richiamata [e mantenuta ferma] la responsabilità solidale del datore di lavoro/committente per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, si prevede la responsabilità del datore di lavoro/committente `in solido' con l'appaltatore, per tutti i danni per i quali il lavoratore dipendente dall'appaltatore non risulti indennizzato ad opera dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) o dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA). Anche in questo caso, ovviamente, la responsabilità solidale non è senza limiti, non operando rispetto ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività dell'impresa appaltatrice (art. 26, comma 4, ultimo periodo)''.

    (Circa l'estensione della responsabilità solidale del committente a favore dei crediti vantati dai dipendenti dell'appaltatore anche a quelli vantati dal personale delle imprese che con il committente hanno avuto un contratto di subfornitura, nonché in altre ipotesi di decentramento dell'attività produttiva v. la circolare n. 6 del 29 marzo 2018 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 254 del 6 dicembre 2017).

    A chi tocca tutelare i lavoratori distaccati? Soltanto all'impresa distaccante o soltanto all'impresa distaccataria o all'una e all'altra? Si tratta di uno dei problemi di maggiore attualità in materia di sicurezza sul lavoro Se ne occupa con specifico riguardo all'obbligo di sorveglianza sanitaria sul personale distaccato dalla società capogruppo a società controllate, o viceversa, l'Interpello n. 8 del 12 maggio 2016 della Commissione per gli Interpelli istituita presso il Ministero del Lavoro, e purtroppo fornisce agli organi di vigilanza e alle imprese indicazioni incomplete e fuorvianti. Infatti, sulla base dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, la Commissione Interpelli sostiene che, in caso di distacco dei lavoratori, gli obblighi in materia di salute e di sicurezza sul lavoro incombono, in modo differenziato, sia sul datore di lavoro che ha disposto il distacco, sia sul beneficiario della prestazione (distaccatario). Nel senso che sul primo grava l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato, mentre al secondo (distaccatario) spetta invece l'onere di ottemperare a tutti gli altri obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro inclusa, quindi, la sorveglianza sanitaria.

    Il fatto è che non tutti i distacchi sono riconducibili nell'alveo dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008. Basti pensare che l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 contempla l'ipotesi in cui il datore di lavoro affidi lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto o la prestazione di lavoro autonomo. In questa ipotesi, il datore di lavoro committente ha i cinque obblighi previsti nei primi tre commi dell'art. 26. Ma questi cinque obblighi del datore di lavoro committente si aggiungono, non si sostituiscono, agli obblighi di sicurezza che - in linea con lo stesso art. 26, D.Lgs. n. 81/2008, e con le indicazioni generalmente date dalla Corte di cassazione - permangono integralmente a carico del datore di lavoro appaltatore (o subappaltatore) che pur distacca i propri lavoratori presso l'azienda committente (c.d. distacco improprio, da non confondere con il distacco proprio considerato nell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008). Pertanto, un obbligo come la sorveglianza sanitaria sul lavoratore distaccato spetta, sì, al datore di lavoro distaccatario nell'ipotesi in cui il lavoratore distaccato svolga la propria attività ``nell'ambito dell'organizzazione'' del medesimo datore di lavoro distaccatario ai sensi e agli effetti dell'art. 2, comma 1, lettera a, D.Lgs. n. 81/2008, ma compete al datore di lavoro distaccante, qualora il lavoratore distaccato mantenga i propri vincoli gerarchici e funzionali con lo stesso datore di lavoro distaccante. (Circa il distacco proprio v., ad es., Cass., Sez. Lav., 15 luglio 2019, n. 18888: ``la figura del `distacco' o `comando' del lavoratore comporta un cambio nell'esercizio del potere direttivo, perché il dipendente viene dislocato presso altro datore di lavoro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest'ultimo, ma non incide sulla titolarità del rapporto, in quanto il datore di lavoro distaccante continua ad essere titolare del rapporto di lavoro, con la conseguenza che il rapporto di lavoro resta disciplinato ai fini economici dalle regole applicabili al datore distaccante'').

    Successivamente, nell'interpello n. 1 del 14 febbraio 2018, la Commissione Interpelli si occupa degli ``obblighi generali di cui all'articolo 18, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 81/2008'', e, dunque, di ``designare preventivamente i lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza''. Premette che ``anche il datore di lavoro che operi presso i luoghi di lavoro di un soggetto committente sia tenuto all'adempimento degli stessi obblighi relativi a rischi specifici della propria attività suscettibili di dare luogo a situazioni di emergenza come - ad esempio - nel caso di utilizzo di sostanze, attrezzature o materiali pericolosi''. Osserva che, in considerazione di quanto previsto dal successivo art. 26, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo, il datore di lavoro committente, in caso di affidamento di lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda, deve fornire `agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività', e che, ``inoltre, i datori di lavoro, committenti, appaltatori e subappaltatori, devono cooperare ad attuare le misure di prevenzione e protezione e sono tenuti a coordinare gli interventi, anche informandosi reciprocamente''. E conclude che ``la gestione delle emergenze debba essere intesa come un processo di cui tutti i datori di lavoro, committenti, appaltatori e subappaltatori, sono compartecipi, fermo restando il ruolo di promotore del committente e l'obbligo per l'appaltatore di attenersi alle procedure operative conseguenti alla predetta cooperazione''. Un interpello, questo, che, a differenza dell'interpello n. 8/2016, prende consapevolezza dell'esigenza di richiamare la disciplina dettata dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008. È il caso, peraltro, di soggiungere che l'appaltatore-distaccante - oltre a compartecipare alla gestione delle emergenze e ad attenersi alle procedure operative conseguenti alla cooperazione - sarà tenuto comunque ad assumere l'iniziativa di sollecitare la committente ad adottare le necessarie misure di sicurezza nell'ambito di una attività coordinata tra le due imprese nello svolgimento di attività interferenti, e, in difetto, a rifiutarsi di svolgere tali attività in condizioni di carenza di sufficiente sicurezza (secondo quanto insegna, ad esempio, Cass. 22 novembre 2017, n. 53157, riportata più avanti). (Quanto al distacco nei cantieri temporanei o mobili v. sub art. 89, paragrafo 13).

    Fanno spicco:

    Per l'infortunio occorso al dipendente di un'impresa appaltatrice impiegato nell'esecuzione di un intervento di riparazione di un tubo dell'acqua presente sulla superficie esterna di copertura del capannone sede della s.r.l. committente, viene condannato il datore di lavoro: ``Per quanto concerne eventuali profili di responsabilità del committente, va osservato che nel caso in esame, sulla base delle violazioni accertate a carico dell'imputato in qualità di datore di lavoro dell'infortunato, né le responsabilità del committente né l'assenza di presìdi antinfortunistici nell'ambiente di lavoro sarebbero stati idonei a tenere indenne l'imputato dalla responsabilità per il reato ascrittogli. L'obbligo di valutazione del rischio e l'obbligo di vigilanza non vengono meno per il semplice fatto che le lavorazioni si svolgano in ambiente messo a disposizione dal committente, qualora il rischio da prevenire inerisca non tanto alla conformazione dell'ambiente di lavoro quanto piuttosto alla specifica lavorazione commissionata all'appaltatore. In ogni caso, i doveri relativi alla sicurezza dei lavoratori gravanti sul committente non elidono la posizione di garanzia comunque riconducibile al datore di lavoro, quale primo destinatario della stessa nei confronti dei propri dipendenti, essendo egli tenuto in quanto tale a verificare la sicurezza dei lavori affidati''.

    ``L'amministratore unico rappresentante legale di una s.r.l. esercente attività di autotrasporto per conto terzi è condannato per l'infortunio occorso a un dipendente autista addetto a lavori consistiti nel trasporto e successivo scarico di pali elettrici presso la sede di altra s.r.l., e, in particolare, nel corso del conseguente riordino delle piantane sul cassone dell'autocarro: ``il datore di lavoro e in virtù della posizione di garanzia conseguentemente rivestita, aveva degli specifici doveri di protezione e di prevenzione del suo dipendente certamente non venuti meno per il fatto che quest'ultimo avesse dovuto adempiere all'affidato compito di trasporto e scarico di pali ottagonali in cemento presso i locali dell'altra ditta''.

    ``L'imputato non era in posizione di mero committente, ma era, in realtà, un distaccatario del lavoratore. In tema di eventuale responsabilità del distaccatario deve farsi riferimento al principio di diritto secondo cui in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, per effetto della modifica normativa introdotta dall'art. 3, comma 6, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sono a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione per l'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, che restano a carico del datore di lavoro distaccante''.

    Nel corso di lavori appaltati da una s.r.l. ad altra s.r.l. ed eseguiti all'interno del capannone dell'impresa committente, un dipendente dell'impresa appaltatrice subì un infortunio mortale. Condannato per omicidio colposo, il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice deduce a propria discolpa ``la natura del rapporto contrattuale che legava l'impresa appaltante e l'impresa appaltatrice, sostenendo che, nel caso in esame, debba trovare applicazione l'istituto del distacco dei lavoratori disciplinato dall'art. 30 D.Lgs. n. 276/2003''. Sostiene che ``la propria impresa aveva di fatto realizzato un trasferimento del proprio potere organizzativo e direttivo in capo all'impresa distaccataria, ponendo il lavoratore infortunato alle dipendenze e sotto la direzione di altro datore di lavoro il quale ne riceveva le prestazioni, utilizzando le risorse altrui come se fossero proprie''. Ne desume che, ``tale essendo il rapporto intercorrente tra le due imprese, l'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008 dispone, in riferimento al distacco di lavoratori ex art. 30 D.Lgs. n. 276/2003, che `tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico del distaccatario'''. Nel disattendere questa argomentazione difensiva, la Sez. IV rileva ``la non applicabilità dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, poiché dall'analisi del contenuto del contratto intervenuto tra le due aziende, non emerge alcun elemento dal quale si possa desumere che sia avvenuto un `distacco' del lavoratore propriamente detto''. Richiama al riguardo ``i dati contenuti nel contratto in base ai quali l'impresa appaltatrice si impegnava ad effettuare i lavori con le proprie attrezzature''. Afferma che, in tale ipotesi, il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice ``non si spoglia degli obblighi che gli competono'', e che a suo carico ``permane l'obbligo di verificare in concreto le condizioni e le modalità di svolgimento dei lavori del proprio dipendente onde garantire il rispetto della normativa di sicurezza''. Aggiunge, per completezza, che ``l'istituto del distacco, evocato in maniera inappropriata in relazione al caso in esame, non si traduce in un totale esonero, per il datore di lavoro distaccante, dall'obbligo di garantire l'incolumità del proprio dipendente nei luoghi di lavoro presso i quali è distaccato'', in quanto ``l'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, nel prevedere che `tutti gli obblighi di prevenzione e protezione sono a carico de/ distaccatario', fa comunque salvo l'obbligo a carico del distaccante `di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato''', e che ``l'obbligo di formare ed informare il lavoratore distaccato implica la necessità che egli accerti la sussistenza delle condizioni di sicurezza del cantiere ove il dipendente è chiamato a svolgere la propria attività lavorativa''.

    ``L'appaltatore (legale rappresentante di una società cooperativa, la quale operava in appalto, a mezzo di suoi dipendenti, presso lo stabilimento di una s.p.a.), a prescindere da segnalazioni o rimostranze per la situazione esistente presso l'impresa committente, ricevute o meno da chicchessia, avrebbe dovuto curarsi che il proprio dipendente operasse in condizioni di assoluta sicurezza e in un contesto di osservanza delle normative antinfortunistiche. L'appaltatore è, infatti, tenuto a procedere all'individuazione del rischio, collaborando con il committente''.

    ``Il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi alle mansioni, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte''.

    Un datore di lavoro – ``intermediario di mano d'opera a favore di una s.r.l.'' - fu condannato per l'infortunio subito presso lo stabilimento della s.r.l. da un dipendente, ``rimasto schiacciato dal cassero ribaltatosi a seguito dell'urto con il carrello elevatore condotto da un altro dipendente'', ``per non aver fornito idonea ed adeguata formazione al personale in materia di sicurezza, soprattutto relativamente alla conduzione del carrello elevatore e per aver messo a disposizione dei suoi lavoratori attrezzature non conformi ai requisiti previsti dalla normativa vigente''. La Sez. IV premette che ``il ruolo di intermediario di mano d'opera, riconosciuto all'imputato, non esclude affatto né i suoi poteri né i suoi obblighi nei confronti dei propri dipendenti e conseguentemente non incide sulla sua posizione di garanzia''. Ricorda che, ``già dal punto di vista civile, risulta ormai abrogata la L. n. 1369/1960, il cui art. 1 prevedeva la nullità del contratto fra committente ed appaltatore (o intermediario) e stabiliva espressamente che i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, comportando che solo sull'appaltante (o interponente) gravassero gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una (concorrente) responsabilità dell'appaltatore (o interposto) in virtù dell'apparenza del diritto e dell'apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi''. Rileva al riguardo che ``tale disciplina è stata sostituita con il D.Lgs. n. 276/2003, e successivamente con il D.Lgs. n. 81/2015'', e che ``nel nuovo sistema l'intermediazione di lavoro non è vietata e il somministratore di lavoro è titolare del rapporto di lavoro con il prestatore di lavoro, alla cui tutela è, dunque, obbligato sia dal punto di vista civile sia dal punto di vista penale''. A questo punto, la Sez. IV afferma che, ``in presenza di legittimo distacco, laddove siano rispettati i requisiti previsti dall'art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003, la ripartizione degli obblighi di prevenzione e protezione fra il distaccante ed il distaccatario viene stabilita dall'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, che prevede che tutti gli obblighi di prevenzione e protezione siano a carico del distaccatario, fatto salvo l'obbligo a carico del distaccante di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato''. Ne desume che ``sul distaccante viene a gravare solamente l'obbligo di informazione e formazione relativo alle mansioni per cui il lavoratore viene distaccato''. Precisa, però, che, ``in caso di distacco fittizio di lavoratori, in quanto avvenuto al di fuori dei casi previsti dall'art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 (ipotizzato dai giudici di merito), gli obblighi di prevenzione e protezione, di cui al D.Lgs. n. 81/2008 gravano, ai sensi dell'art. 299 dello stesso decreto, sia sul distaccante fittizio, il quale mantiene la qualifica di datore di lavoro in senso formale a norma dell'art. 2, D.Lgs. n. 81/2008, sia su colui presso il quale i lavoratori sono distaccati, il quale assume la qualifica di datore di lavoro di fatto, `dal momento che si serve concretamente degli stessi'''. Insegna che, ``in caso di distacco fittizio, troveranno applicazione non l'art. 3, comma 6, citato, ma piuttosto i principi e le disposizioni generali sanciti dal D.Lgs. n. 81/2008, in particolare gli artt. 2 e 299''. Ne ricava che ``risulteranno gravati dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro (in tutta la sua estensione) sia il datore di lavoro formale (il distaccante fittizio), a norma dell'art. 2, decreto citato, sia il datore di lavoro sostanziale o di fatto (il distaccatario fittizio), a norma dell'art. 299, medesimo decreto''. Spiega che ``sul distaccatario fittizio verrà a gravare una posizione di garanzia ulteriore e concorrente rispetto a quella del datore di lavoro formale, che trova ia propria origine normativa nell'art. 299, in quanto è proprio il distaccatario fittizio a servirsi di fatto del lavoratore, dovendone garantire la sicurezza''.

    Nel corso dei lavori di rifacimento della copertura di un capannone affidati dalla s.r.l. proprietaria del capannone ad altra s.r.l. e da questa subappaltati a un'impresa individuale, un dipendente dell'impresa individuale e un lavoratore autonomo intenti a transitare sul piano di copertura sfondavano tre lastre, precipitando da un'altezza di circa dieci metri in assenza di dispositivi di protezione. Per omicidio colposo plurimo furono condannate tre persone: l'amministratore unico della s.r.l. committente per aver omesso di designare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, l'amministratore unico della s.r.l. affidataria per aver omesso di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori subappaltati all'impresa individuale e al lavoratore autonomo, il titolare dell'impresa individuale datrice di lavoro del dipendente infortunato per non aver predisposto ``idonee misure di protezione individuale e collettiva quali sottopalchi da montare al di sotto della copertura, ad una distanza della stessa non superiore ai metri due, assicurandosi del contemporaneo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta da parte del medesimo lavoratore''. Nel confermare le condanne, la Sez. IV considera l'argomentazione difensiva alla stregua della quale ``al momento dell'incidente, i lavori da eseguirsi ad opera della ditta individuale non fossero ancora stati subappaltati e gli operai deceduti si trovassero in cantiere solo per un sopralluogo''. E oltre a replicare in fatto che ``i lavori erano iniziati, tanto è vero che era già stata apposta una scossalina ed altre erano pronte per l'apposizione'', sottolinea comunque che ``la sicurezza nel cantiere deve essere garantita anche per i semplici sopralluoghi, svolti anche da ditte esterne cui devono poi subappaltarsi dei lavori'' (v. pure la sentenza n. 1777 del 16 gennaio 2019, riportata sopra, al paragrafo 3).

    Muore un lavoratore che, ``insieme ad un collega, in un momento in cui l'impianto appariva non in funzione, si introduceva, non visto, sotto la placca di evacuazione strati per sistemare, come richiesto, i tubicini di ingrassaggio e, per l'improvvisa attivazione di questo, veniva schiacciato dal macchinario in movimento'', e ciò nel corso ``dei lavori di revamping, ossia di ammodernamento, dell'impianto di laminazione di billette di acciaio''. Vengono condannati il procuratore speciale della s.r.l. costruttrice dell'impianto ed impresa affidataria, un assistente di tale s.r.l. responsabile dei lavori, il direttore tecnico del laminatoio dello stabilimento della s.p.a. committente delle opere di smontaggio, fornitura e montaggio meccanico ed elettrico necessarie per l'ammodernamento dell'impianto di laminazione, l'amministratore unico di altra s.r.l. datrice di lavoro dell'infortunato e subappaltatrice dei lavori relativi alla parte idraulica dell'impianto.

    In particolare, il datore di lavoro dell'infortunato, a propria discolpa, sostiene che ``esisteva un rapporto di distacco, così come disciplinato dall'art. 30 D.Lgs. n. 276/2013'', e che ``il lavoratore infortunato era pertanto soggetto alle disposizioni dell'impresa affidataria, gravando appunto sul distaccatario l'organizzazione della prestazione lavorativa''.

    Per contro, nel confermare la condanna di tutti gli imputati, la Sez. IV osserva, in via generale, ``come incombesse alle imprese direttamente impegnate nell'esecuzione delle prove sull'impianto l'obbligo di coordinarsi e di cooperare per informare i lavoratori di ciascuna impresa dei rischi specifici cui la prestazione lavorativa, in concomitanza con le prove tecniche, li esponeva e per l'attuazione di misure preventive e protettive'', e che, ``trattandosi di lavori da eseguirsi da più ditte, vi era la necessità di un adeguato coordinamento fra i vari responsabili e di un'attenta, persistente vigilanza da parte loro, al fine di assicurare la sicurezza delle lavorazioni''.

    Con specifico riguardo al datore di lavoro dell'infortunato, la Sez. IV replica, ``quanto all'invocato rapporto di distacco'', che ``l'asserito distacco non risulta documentato in alcun modo, non essendovi passaggio di consegna o qualsiasi scambio di informazione tra l'impresa datrice di lavoro e l'impresa affidataria, né alcun elemento che provi gli adempimenti amministrativi correlati al distacco dei dipendenti presso altra impresa (quali, ad esempio, la comunicazione del distacco del lavoratore, del nome e della sede operativa della ditta distaccataria e la relativa registrazione)''. Aggiunge che, ``in caso di subappalto di lavori, ove questi si svolgano nello stesso cantiere predisposto dall'appaltatore, in esso inserendosi anche l'attività del subappaltatore per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, e non venendo meno l'ingerenza dell'appaltatore e la diretta riconducibilità a lui dell'organizzazione del comune cantiere, sussiste la responsabilità di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo''. Spiega che ``le regole di prudenza e le norme di prevenzione vincolano permanentemente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni obiettivamente pericolose'', e che ``le misure di sicurezza devono essere mantenute e predisposte, sia pure con diverse modalità, prima e durante ciascuna fase del processo, ove sussistano situazioni di pericolo per lavoratori''. Precisa, inoltre, che, ``nell'ipotesi in cui due soggetti si accordino al fine di porre in essere un subappalto per l'esecuzione di un'opera parziale e specialistica all'interno di un cantiere già predisposto dall'appaltatore, quest'ultimo non cessa di essere investito dei poteri direttivi generali propri della sua funzione ed a ciò segue, in via immediata, la sussistenza di una sua diretta responsabilità per il caso in cui si verifichi un infortunio in danno di un lavoratore, o la morte dello stesso'', e che ``tale responsabilità va ad associarsi a quella del subappaltatore in relazione agli obblighi inerenti la predisposizione delle misure antinfortunistiche, compresa la dovuta sorveglianza sul rispetto di quelle poste in essere e l'osservanza al riguardo da parte di tutti i lavoratori''. Conclude che ``appaltatore e subappaltatore sono entrambi responsabili delle conseguenze derivati dalla violazione delle rispettive posizioni di garanzia, che si affiancano a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche, senza sostituirle''.

    Inedita è la soluzione accolta da questa sentenza, relativa a un omicidio colposo in danno di tre lavoratori e a una lesione personale colposa in danno di un quarto lavoratore colpito da disturbo da stress post-traumatico La Sez. IV prende le mosse ``dall'istituto del distacco di cui all'art. 30, D.Lgs. n. 276/2003, il quale stabilisce che l'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa''. Si chiede, poi, ``quali siano le conseguenze dell'illegittimità del distacco sugli obblighi antinfortunistici propri del datore di lavoro''. Rileva che, ``se il distacco è solamente fittizio - ossia non sorretto da alcun interesse effettivo del distaccante - non si produrrà quello spostamento degli obblighi di protezione e prevenzione dal distaccante al distaccatario che si avrebbe in caso di distacco legittimo''. ``Ragionando a contrario'', osserva che, ``se tale slittamento della posizione di garanzia avvenisse indipendentemente dalla ritualità o meno del distacco, non vi sarebbe alcun bisogno di specificare, come invece fa l'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, che la disciplina dallo stesso prevista si applica solamente nelle ipotesi di cui all'art. 30 D.Lgs. n. 276/2003, vale a dire nelle ipotesi di distacco reale''. Ne desume che, ``in caso di distacco fittizio, non troverà applicazione l'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, ma bensì i principi e le disposizioni generali sanciti dal T.U. n. 81/2008, in particolare agli artt. 2 e 299'', e che, pertanto, ``risulteranno gravati dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro (in tutta la sua estensione) sia il datore di lavoro formale (id est, il distaccante fittizio), a norma dell'art. 2, D.Lgs. n. 81/2008, sia il datore di lavoro sostanziale o di fatto (id est, il distaccatario fittizio), a norma dell'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008''. Spiega che ``sul distaccatario fittizio verrà a gravare una posizione di garanzia ulteriore e concorrente rispetto a quella del datore di lavoro formale, e che trova la propria origine normativa nell'art. 299, in quanto è proprio il distaccatario fittizio a servirsi di fatto del lavoratore, dovendone garantire la sicurezza''. Ricorda che ``la giurisprudenza di legittimità è costante nell'interpretare l'art. 299 D.Lgs. n. 81/2008 nel senso che l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale''. Sicché, ``secondo il diritto vivente, la disposizione in esame concretizzerebbe, dal punto di vista normativo, il principio di effettività''. Con riguardo al caso di specie, ritiene ``l'illegittimità del distacco, pervenendo ad addossare la posizione di garanzia per la morte dell'infortunato sia sul datore di lavoro di diritto, distaccante fittizio, sia sul datore di lavoro di fatto, distaccatario fittizio''.

    Il datore di lavoro e un caporeparto di una s.r.l. sono condannati per l'infortunio subito da un dipendente di una cooperativa appaltatrice del servizio di pulizia e riordino del capannone industriale, con l'addebito di aver il primo ``messo a disposizione dei lavoratori una frusta elettrica non idonea al lavoro di pulitura di una cisterna contenente vernice antiruggine'' e il secondo ``omesso di controllare e vigilare l'osservanza delle normative antinfortunistiche'', con la conseguenza che ``il lavoratore, mentre effettuava la pulizia della cisterna con la frusta meccanica, dopo aver utilizzato un solvente, cagionava l'innesco di un incendio del gas in evaporazione, procurandosi ustioni''. Si accertò che l'infortunato ``già da un anno svolgeva quotidianamente la sua attività lavorativa presso la s.r.l. committente, inizialmente addetto alle pulizie e poi successivamente adibito come operaio al settore produttivo, dove guidava il carroponte, e la mattina dell'infortunio incaricato dal capo reparto di coadiuvare un altro operaio nel pulire la cisterna trasportata su un camion''. La Sez. IV conferma la condanna. Osserva che ``il committente si ingeriva nell'attività svolta dai lavoratori della cooperativa appaltatrice del servizio di pulizie, dando disposizioni, direttive, intervenendo costantemente nella loro esecuzione, mettendo a disposizione le attrezzature, curando l'organizzazione del lavoro, proprio attraverso il capo reparto''. Ne desume che, ``in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto. anche se formalmente ha appaltato a terzi le opere che hanno dato origine all'infortunio''. Richiama anche l'art. 26, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008, e sottolinea ``l'interferenza di più organizzazioni di impresa nel medesimo luogo di lavoro - in cui erano presenti, da un lato, la s.r.l., titolare di attività di produzione realizzazione e verniciatura di lamiere, dall'altro, la cooperativa cui era stato appaltato il servizio di pulizie e da cui formalmente dipendeva la persona offesa''. Rileva che l'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008 ``trova il suo presupposto applicativo qualora il datore di lavoro abbia affidato lavori o servizi a soggetti terzi (imprese o lavoratori autonomi) all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l'appalto'', e ne desume che ``solo la disponibilità effettiva, nel senso di disponibilità giuridico/operativa, dei luoghi in cui si svolgono i lavori consente al datore di lavoro/committente di avere (o comunque di essere tenuto ad avere) compiuta conoscenza delle specifiche caratteristiche degli stessi e quindi dei rischi ad essi connessi''. Con la conseguenza che spetta al datore di lavoro committente ``l'obbligo di cui alla lett. b) dell'art. 26 di fornire ai soggetti terzi (operanti nei propri `spazi' di lavoro) `dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività'''. Informazioni che nel caso di specie ``non potevano che essere fornite dal preposto al controllo e all'organizzazione tanto dei lavoratori della cooperativa che dei lavoratori della s.r.l. e dal responsabile dell'unità produttiva''.

    Nella presente sentenza la Sez. IV perviene alla condanna del datore di lavoro e del preposto dell'impresa committente attraverso due normative interpretate ognuna in termini ineccepibili, ma a ben vedere applicabili a ipotesi da tenere distinte. Un conto è ritenere che il lavoratore distaccato si sia inserito nell'organizzazione del distaccatario in tal guisa assurto al rango di datore di lavoro di fatto del lavoratore distaccato e ne sia, quindi, diventato un lavoratore alla stregua degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 299 D.Lgs. n. 81/2008, e sembra proprio questo il caso di specie, e, cioè, un caso di distacco proprio, disciplinato dall'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, visto che il distaccatario dava disposizioni, direttive, intervenendo costantemente nella loro esecuzione, mettendo a disposizione le attrezzature, curando l'organizzazione del lavoro, proprio attraverso il capo reparto. Altro conto è ritenere che il lavoratore distaccato conservi i propri vincoli gerarchici e funzionali con il distaccante, e si realizzi, pertanto, un caso di distacco improprio, soggetto alla disciplina dettata dall'art. 26, D.Lgs. n. 81/2008.

    ``L'amministratore unico e legale rappresentante, firmatario del contratto di appalto, nella sua qualità di datore di lavoro, aveva l'obbligo di porre in essere tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza dei propri dipendenti, anche verificando, attraverso sopralluoghi presso lo stabilimento della società committente le condizioni e le modalità di lavoro di questi ultimi. Al contrario, l'imputato si era completamente disinteressato della situazione lavorativa dei propri dipendenti e, informato di alcune situazioni di deficit di sicurezza all'interno dello stabilimento, aveva replicato semplicemente `stai attento', senza mai intervenire presso i vertici della società committente e neppure visitare il cantiere. Tali risultanze smentiscono l'assunto difensivo che vorrebbe l'imputato totalmente ignaro delle condizioni di lavoro all'interno dello stabilimento e in una situazione di `incolpevole ignoranza'. A tutto voler concedere, anche assumendo per vera la sua non conoscenza della situazione esistente, sarebbe evidente che tale circostanza non potrebbe esonerarlo da responsabilità, in quanto la sua primaria posizione di garanzia gli imponeva di attivarsi, verificando le condizioni di lavoro dei propri dipendenti e, prima ancora, dando loro in concreto le necessarie istruzioni per svolgere in sicurezza gli interventi di manutenzione appaltati, a prescindere, dal fatto che lo tenessero informato in ordine ad eventuali problemi di sicurezza all'interno dello stabilimento del committente. Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro''.

    ``Il datore di lavoro risponde dell'infortunio occorso al lavoratore, in caso di violazione degli obblighi, di portata generale, relativi alla valutazione dei rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali siano chiamati ad operare i dipendenti, e della formazione-informazione dei lavoratori, ma relativamente ai rischi connessi alle mansioni loro affidate, anche in correlazione al luogo in cui devono essere svolte. Vi è un generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 D.Lgs. n. 81/2008), e un parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni loro affidate (art. 37, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008)''.

    All'interno del piazzale riservato alle operazioni di carico e scarico merci di un centro commerciale, un autista sceso dal proprio mezzo fu investito dal mezzo condotto da altro autista. Oltre a questo autista e al direttore del centro commerciale, fu condannato l'amministratore della s.r.l. datrice di lavoro dell'autista investitore, ``perché violava gli artt. 28 e 163 del D.Lgs. n. 81/2008, non valutando adeguatamente i rischi derivanti dalla guida in retromarcia del veicolo condotto dal suo dipendente e non assicurando con l'ausilio di altri dipendenti o con adeguata strumentazione (ad es. sensori, radar, videocamere) la sicura esecuzione di una manovra in retromarcia''.

    Nel corso di lavori di pulizia industriale appaltati da una s.r.l. ad altra s.r.l. ed eseguiti all'interno dell'azienda committente, s'infortuna un dipendente dell'impresa appaltatrice, caposquadra addetto alla sicurezza. Vengono condannati per lesione personale colposa sia il direttore dello stabilimento della s.r.l. committente (esercente la termovalorizzazione di rifiuti), sia il datore di lavoro di una terza s.r.l. appaltatrice (esercente il trasporto di rifiuti, tramite mezzi dotati di un piano mobile installato nel cassone posteriore, su incarico di terzi, titolari, a loro volta, di un accordo di conferimento con la s.r.l committente). La Sez. IV ne trae spunto per impartire alcuni insegnamenti:

    A) ``L'iniziativa del coordinamento tra più imprese a norma dell'art. 26 D.Lgs n. 81/2008 spetta al committente, ma non esime certo l'appaltatore dall'obbligo di informare l'altro della situazione di carente sicurezza e della propria impossibilità di garantire il controllo della zona di lavorazione, e, quindi, dall'obbligo di sollecitare l'intervento del committente e di fare in modo che venissero adottate di comune concerto quelle misure di sicurezza necessarie a fini prevenzionistici''.

    B) Quanto alla posizione del datore di lavoro dell'impresa appaltatrice esercente il trasporto di rifiuti, questi non aveva adempiuto l'obbligo di informazione della committente circa il fatto che non poteva adeguatamente garantire le misure di sicurezza prevenzionistiche (e, quindi, non aveva sollecitato una comune e concertata risoluzione della questione); e l'obbligo di garantire che le attività connesse al trasporto dei rifiuti si svolgessero in condizioni di sicurezza (nella specie lo scarico delle balle di rifiuti) competeva anche alla ditta utilizzatrice dell'automezzo, conformemente alle istruzioni del manuale d'uso. Se l'autista del mezzo era impossibilitato ad esercitare tale vigilanza nella fase di scarico, l'imputato doveva assumere l'iniziativa di sollecitare la committente ad adottare le necessarie misure di sicurezza nell'ambito di una attività coordinata tra le due imprese nello svolgimento di attività interferenti, e, in difetto, avrebbe dovuto rifiutarsi di svolgere tali attività in condizioni di evidente carenza di sufficiente sicurezza.

    ``Una cooperativa facchini di cui l'imputato era presidente, aveva stipulato un contratto con una s.r.l. in virtù del quale la prima società inviava alla seconda alcuni dei suoi dipendenti affinché eseguissero attività di movimentazione merci, imballaggio e lavaggio dei pezzi meccanici; tali attività si dovevano svolgere sempre sotto la direzione di un responsabile della cooperativa. L'infortunato, dipendente della cooperativa, era stato invece adibito a mansioni estranee al contratto e pericolose, in relazione alle quali non aveva ricevuto alcuna informazione né formazione''.

    Un subappaltatore, datore di lavoro dell'infortunato, venne condannato, ``non avendo adottato le misure necessarie affinché il `ponte su ruote', utilizzato dal lavoratore, venisse installato e adoperato in conformità alle istruzioni d'uso mentre esso era privo di ganasce sulle ruote, al fine di impedire movimenti intempestivi, con il lavoratore in quota; non era ancorato alla costruzione ogni due piani e poteva essere spostato con il lavoratore in quota; il lavoratore, mentre montava alcune lampade, cadeva da un'altezza di metri 8 circa, a causa del ribaltamento dell'attrezzatura. L'imputato, datore di lavoro dell'infortunato, aveva il dovere di controllare le attrezzature messe a disposizione dei propri lavoranti; l'utilizzo effettivo dei dispositivi individuali di protezione e, in generale, la corretta esecuzione del lavoro, in tutte le sue fasi. Essendo evidente che i dipendenti dell'imputato avrebbero dovuto salire in quota, per fissare le linee di adduzione elettrica e gli elementi illuminanti al soffitto, l'ipotesi di caduta dall'alto avrebbe dovuto essere attentamente considerata dall'imputato, il quale aveva il dovere di verificare la corretta installazione del `ponte su ruote', con cunei o ganasce di fermo; l'ancoraggio a punto inamovibile, almeno ogni due piani; la presenza di barre stabilizzatrici; l'assenza di movimentazione con i lavoratori in quota''.

    Con questa lucidissima sentenza, la Sez. IV fornisce una chiave di lettura preziosa ai fini di una corretta applicazione delle norme di sicurezza del lavoro in rapporto ad attività svolte al di fuori dei locali aziendali. Il caso è quello di una disegnatrice dipendente di uno studio di progettazione recatasi ``presso un edificio ad uso commerciale, composto da tre piani (interrato, terra e primo), che doveva essere adibito a supermercato, per effettuare dei rilievi metrici al piano terra, per permettere di valutare lo spessore del muro e l'ingombro del vano scala''. La donna ``si introdusse all'interno di questo attraverso il varco nella pannellatura in cartongesso, che era stata praticata il giorno precedente dal titolare di una ditta individuale, per fare una valutazione del locale'', e, ``una volta entrata nel vano, precipitò al piano interrato attraverso l'apertura per il transito dell'ascensore (o il vano a destra dell'ingresso) lasciati vuoti, aperti e non protetti''. La Sez. IV ne trae spunto per insegnare che ``i doveri di valutazione del rischio e di formazione del lavoratore gravanti sugli imputati, in quanto datori di lavoro `mandanti' (secondo un lessico già in uso nel mondo della produzione e dei servizi) sorgono dal generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15, D.Lgs. n. 81/2008) e dal parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni (art. 37, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008)''. Spiega che ``la restrittiva nozione di `luogo di lavoro' rinvenibile nell'art. 62 D.Lgs. n. 81/2008 (a mente del quale si intendono per `luoghi di lavoro' ``i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro''), è posta unicamente in relazione alle disposizioni di cui al Titolo II del citato decreto''. E ne desume che ``ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di `luogo di lavoro', a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro''. Fa seguito una analisi non meno illuminante. Osserva la Sez. IV che, ``mentre le attività `in esterno' da eseguirsi presso un luogo non classificabile come cantiere temporaneo o mobile richiedono la preliminare valutazione dei rischi delineata dall'art. 28 del decreto, quelle da eseguirsi presso un cantiere divengono oggetto della più articolata disciplina prevista dal menzionato Titolo IV''. E con riguardo al caso di specie, precisa che il datore di lavoro della disegnatrice ``avrebbe dovuto provvedere ad elaborare la preliminare valutazione dei rischi connessi all'esecuzione di attività lavorativa presso il sito costituito dall'edificio oggetto dei lavori da progettare e a formare la lavoratrice in merito agli stessi'', e che l'obbligo di formazione gravava anche sul dirigente. Proficua è un'ultima considerazione. ``Ove l'insorgere del rischio (tipologico) di caduta dall'alto (per l'esistenza di aperture sul vuoto) fosse avvenuto in tempi successivi ad una valutazione dei rischi comunque eseguita - ma giustificatamente manchevole della considerazione dello specifico rischio - e di esso gli imputati fossero rimasti incolpevolmente all'oscuro, non potrebbe essere loro ascritto di non aver considerato un rischio che non avevano possibilità di conoscere''.

    Da rimarcare, in caso di distacco, anche il ruolo dell'RSPP:

    Per l'infortunio al dipendente di una s.r.l. impegnato presso lo stabilimento di una s.p.a. in forza di un appalto per la costruzione e il montaggio di elementi speciali di carpenteria, fu condannato l'RSPP della s.r.l., per ``non aver individuato, nell'ambito della valutazione dei rischi, condensata nel Piano Operativo di Sicurezza, quelli di investimento connessi alla movimentazione di pezzi di carpenteria mediante carroponte e di non aver fornito alcuna indicazione sulle relative misure di prevenzione''. A sua discolpa, l'imputato deduce che ``non conosceva il cantiere dove è avvenuto l'infortunio''. Ma si rileva ``la inverosimiglianza e la incongruenza di questa circostanza sia con il contenuto dell'incarico affidatogli, che non contemplava alcuna limitazione in ordine a specifici siti lavorativi, che con la durata dello svolgimento dell'attività presso quel cantiere''; egli ``era solito utilizzare lo stesso `canovaccio' di POS per più cantieri''.

    Sui rapporti di lavoro effettuati in distacco o in codatorialità nell'ambito dei contratti di rete v. la circolare n. 7 del 29 marzo 2018 dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, ove si sostiene: ``La codatorialità è disciplinata dalle medesime disposizioni in materia di distacco, ivi comprese quelle concernenti le forme di tutela del lavoratore distaccato di cui ai commi 2 e 3 del citato art. 30. Per tale motivo, deve ritenersi che anche il richiamo alla disciplina del distacco contenuto nell'art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 81/2008 opera nell'ambito dei contratti di rete, tanto per il lavoratore distaccato quanto per il lavoratore in regime di codatorialità. In altri termini, nell'ambito del contratto di rete, sia in relazione alla codatorialità sia in relazione al distacco, il lavoratore ha diritto al trattamento economico e normativo previsto dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro che procede all'assunzione. Ciò evidentemente anche nell'eventualità in cui il datore di lavoro sia una società cooperativa''. Una tesi, questa, che appare condivisibile, a condizione e nella misura in cui non conduca ad allargare il campo di applicazione dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008 al di là dei casi ivi tassativamente previsti, secondo quanto si è poc'anzi osservato.

    Non manca qualche pronuncia destinata a sollevare dubbi:

    Infortunio accaduto nel corso di lavori di pulizia affidati a una cooperativa dalla s.p.a. esercente un punto vendita in corso di allestimento. Condannati per il reato di lesione personale colposa sia il ``datore di lavoro delegato'' (rectius, il delegato del datore di lavoro) della s.p.a. committente, sia il legale rappresentante della cooperativa appaltatrice datore di lavoro del dipendente infortunatosi a un compattatore di cartoni, con l'addebito di aver violato ``l'art. 26, comma 2, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008, il quale prescrive al committente e all'appaltatore di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro che incidono sull'attività lavorativa appaltata, avuto riguardo all'omessa valutazione dei rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore'', e di aver così ``trascurato di informare e di formare il lavoratore sui rischi che derivavano dall'utilizzazione dell'autocompattatore, poiché la macchina non riusciva a comprimere i cartoni già conferiti, inducendo la vittima ad entrarvi, in modo da schiacciarli con i suoi piedi, che erano rimasti impigliati per effetto del riavvio degli organi motori dell'autocompattatore''. La Sez. IV prende atto che ``l'addebito di colpa specifica enucleato nelle sentenze di merito tanto a carico del committente quanto a carico del datore di lavoro dell'impresa appaltatrice è la mancata valutazione dei rischi derivanti dalla possibilità che referenti della s.p.a. committente autorizzassero l'uso, da parte dei dipendenti dell'appaltatrice, di macchinari nella disponibilità della committente''. Rileva che ``si tratta dell'area di rischio che il datore di lavoro del punto vendita avrebbe dovuto diligentemente gestire sia nei confronti dei propri dipendenti sia nei confronti dei terzi che, a qualunque titolo, fossero venuti a contatto con il macchinario''. Precisa che, a norma dell'art. 26, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008, ``il primo anello della catena degli obblighi informativi, che giungeranno infine a rendere il lavoratore edotto e consapevole dei rischi ai quali va incontro nello svolgimento della sua attività lavorativa, è rappresentato dall'informazione fornita dal committente all'appaltatore'', e che ``nel disegno del legislatore il committente, fino a quando non le abbia trasmesse all'appaltatore, è unico dominus e gestore delle informazioni inerenti ai rischi che sono presenti nell'azienda o unità produttiva, e non potrebbe essere altrimenti in una lettura costituzionalmente orientata della normativa alla luce del principio di colpevolezza''. Ne desume che ``ogni obbligo informativo che la legge pone a carico dell'appaltatore, con riguardo ai rischi specifici dell'ambiente di lavoro di appannaggio del committente, non può che sorgere in seguito all'adempimento da parte del committente del primigenio dovere di informazione e nella misura in cui tale dovere sia stato assolto, fatti salvi i casi, da accertare in concreto, nei quali sia provata la riconoscibilità aliunde di tali rischi, senza peraltro che la legge preveda alcun obbligo per l'appaltatore di attivarsi in tal senso''. Precisa che ``in questo passaggio, o omesso passaggio, di informazioni essenziali per l'approntamento delle misure prevenzionistiche si annida una possibile linea di demarcazione tra l'area di rischio di pertinenza del committente e quella di pertinenza dell'appaltatore datore di lavoro''. Ammette che ``l'accettazione passiva di un DUVRI incompleto non esime il datore di lavoro dal verificarne criticamente l'idoneità ad attivare la coerente catena delle misure antinfortunistiche'', ma subito aggiunge che ``l'omessa valutazione di rischi insiti nell'ambiente di lavoro nella disponibilità del committente, non altrimenti riconoscibili, potrebbe ragionevolmente sfuggire anche al più attento controllo dell'appaltatore''. Ne desume che ``il datore di lavoro dell'impresa appaltatrice, per poter adempiere nei confronti dei suoi dipendenti agli obblighi informativi, formativi e preventivi che riguardino rischi diversi da quelli specifici dell'attività oggetto di appalto, deve essere in condizione di conoscere preventivamente i rischi inerenti all'ambiente di lavoro `incidenti' sull'attività oggetto dell'appalto, ipotesi che ricorre se il rischio si attiva in ragione della relazione intercorrente tra ambiente e attività appaltata, ovvero `interferenti' cori tale attività, ipotesi che ricorre se il rischio è generato dal contatto tra lavoratori dipendenti da diverse imprese''. In questo quadro, la Sez. IV conferma la condanna del committente, sul presupposto che nella redazione del DUVRI costui ``era tenuto a valutare tutti i rischi che possano comunque `incidere sull'attività oggetto di appalto'', e, dunque, anche ``il rischio connesso all'uso del compattatore, trattandosi di rischio idoneo ad attingere anche i dipendenti dell'appaltatore in quanto generato dall'uso generalizzato e in alcun modo presidiato del press container che era riempito e fatto funzionare da tutti coloro che, a vario titolo, collaboravano alla frenetica attività dell'imminente inaugurazione comprensiva dello sgombero e della pulizia dei locali''. Per contro, nell'annullare con rinvio la condanna dell'appaltatore, la Sez. IV rileva che la Corte d'Appello ``ha ritenuto in colpa l'appaltatore per aver sottoscritto un DUVRI assolutamente generico, accettando che i dipendenti della cooperativa potessero utilizzare macchinari non di proprietà, senza che nulla fosse precisato in ordine al tipo di macchinari, alle condizioni di utilizzo, senza prevedere la necessità di valutare e impartire idonea formazione/informazione; senza che fosse precisamente indicato chi all'interno della committente, in che modo e con quali formalità avrebbe dovuto - in detta eventualità - rilasciare l'autorizzazione''. Considera tale motivazione insufficiente sotto più profili: Perché ``fornisce una lettura parziale delle informazioni fornite all'appaltatore, trascurando che il committente aveva altresì espressamente escluso la sussistenza di rischi derivanti dall'utilizzo di macchinari''. Perché omette ``di esaminare l'allegazione difensiva secondo la quale era provato che il macchinario compattatore non fosse stato ancora installato allorché la cooperativa aveva inviato una coordinatrice per effettuare un sopralluogo prima della sottoscrizione del DUVRI''. E perché ha ``ritenuto operante la posizione di garanzia del datore di lavoro appaltatore senza adeguatamente specificare a quali condizioni l'area di rischio di cui tale garante è gestore si estendesse, nel caso concreto, in ragione dell'obbligo di attivarsi per acquisire aliunde le informazioni non fornite dal committente in relazione ai rischi specifici inerenti all'ambiente di lavoro incidenti sull'attività oggetto dell'appalto''.

    Il datore di lavoro e il dirigente di una s.r.l., il datore di lavoro di altra s.r.l. legata alla prima da un contratto di distacco, ed entrambe le s.r.l., sono condannati, i primi tre, per il reato di lesione personale colposa, e le due s.r.l. per il connesso illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies, D.Lgs. n. 231/2001, in rapporto all'infortunio subito da un dipendente della seconda s.r.l. intento a salire su un traliccio per il montaggio di un palo di supporto di celle telefoniche per conto della prima s.r.l. e caduto dall'alto per l'uso di un DPI (moschettone) in cattivo stato di manutenzione fornitogli dal suo datore di lavoro. La Sez. IV prende atto ``del contenuto del contratto di distacco temporaneo, stipulato ai sensi dell'art. 30 D.Lgs. n. 276/2003 tra le due s.r.l.'', e con i magistrati di merito osserva che, ``in caso di distacco da un'impresa a un'altra, per effetto della modifica legislativa introdotta con l'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, restano a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, fatta eccezione di quello di formazione e informazione dei lavoratori''. A questo punto, però, sostiene: ``Il distaccante, prima che abbia corso il distacco, ha la titolarità degli obblighi tipici della posizione datoriale; in quell'area in cui i poteri direttivi si attenuano per la sempre maggiore incombenza degli analoghi poteri del distaccatario quegli obblighi assumono i contenuti resi possibili dalla particolarità di tale vicenda. Nel momento in cui trova esecuzione la prestazione del lavoratore distaccato, il datore di lavoro distaccatario assume tutti gli obblighi prevenzionistici, eccezion fatta per quello di informazione e di formazione sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali vi è il distacco. Chiarito il riparto degli obblighi derivanti dal contratto di distacco, quanto alla posizione del datore di lavoro distaccante, la dotazione dei presidi funzionanti e la perdurante manutenzione di essi discende dagli obblighi datoriali che precedono la fase esecutiva, stante la strumentalità di quei presidi rispetto alla lavorazione cui deve attendere il lavoratore distaccato. La corretta funzionalità dei presidi dei quali il lavoratore è stato dotato dalla distaccante deve essere garantita per tutta la durata della lavorazione, il che implica l'adempimento di obblighi di vigilanza sul corretto funzionamento dei presidi stessi e sulla loro manutenzione, tenuto conto delle modalità e della frequenza del loro impiego''.

    Dove la Sez. IV rievoca esplicitamente l'operazione ermeneutica a suo tempo tentata da Cass. 22 luglio 2013, n. 31300 e isolatamente seguita da Cass. 29 maggio 2018, n. 24074. Una operazione, questa, che tenta di recuperare un ruolo del datore di lavoro distaccante attraverso un artificioso distinguo tra fase antecedente all'esecuzione del contratto e fase di esecuzione del contratto. Un distinguo, peraltro, palesemente non sorretto dalla lettera dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008, ma altrettanto palesemente inutile, ove si colga l'applicabilità dell'art. 3, comma 6, D.Lgs. n. 81/2008 alle sole ipotesi di distacco proprio.

    Di cospicuo rilievo appaiono le indicazioni giurisprudenziali attinenti al nolo, anche se resta per ora non facile cogliere un filo unitario nella riflessione della Suprema Corte sul tema relativo alle responsabilità in materia (v., altresì, sub art. 89, al par. 7, Cass. 16 giugno 2014, Corona e altro; nonché sub artt. 23, paragrafo 14, e 72, paragrafo 1):

    Lavori di allaccio alla rete fognaria di un immobile in costruzione. Per l'infortunio mortale in danno di un lavoratore travolto all'interno di uno scavo da una parete ceduta in assenza di idonee armature di sostegno, la Sez. IV - attenendosi alla disciplina dettata dal Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008 - conferma la condanna del committente e del titolare della ditta esecutrice: del primo per non aver nominato il coordinatore incaricato di redigere il PSC e per non aver verificato l'idoneità della ditta esecutrice, del secondo per aver omesso di elaborare il POS e di proteggere le pareti dello scavo con idonee armature di sostegno. A sua discolpa, il titolare della ditta esecutrice sostiene che si trovava sui luoghi dell'incidente ``in virtù di un contratto di nolo a caldo''. Ma la Sez. IV ribatte che ``nel nolo a caldo, l'aspetto prevalente è la fornitura del mezzo, mentre la prestazione del conducente è marginale'', là dove ``nel caso in esame, il committente non ha parlato della necessità di noleggiare un escavatore per effettuare i lavori, ma di contattare un escavatorista per effettuare lo scavo''. Ne desume che ``la prestazione lavorativa era l'elemento predominante del contratto, e la persona del titolare della ditta esecutrice era stata una precisa scelta del committente non per le qualità del mezzo, ma per la sua competenza professionale''. Aggiunge che ``non si riscontra alcun contratto di `nolo a caldo' stipulato dall'imputato che ha, di contro, agito in via autonoma nell'esercizio dell'attività lavorativa, per l'esecuzione della quale è stato selezionato dal committente''. Precisa che, ``per l'attività di scavo, in quanto tale, `unico' competente, in materia, era proprio l'imputato, all'uopo scelto dal committente non solo in forza del possesso del mezzo ma proprio in vista dell'adempimento del predetto lavoro di escavazione, in relazione al quale ha assunto, di fatto, assoluta autonomia e, per ciò solo, l'obbligo di eseguire i suddetti lavori, assumendo le opportune e necessarie cautele, del tutto pretermesse nel caso di specie''. Di qui l'esclusione che l'imputato ``stesse manovrando l'escavatore in base alle direttive esclusive del committente'', e che ``fosse stato retribuito per l'uso del mezzo''. Del resto, l'imputato doveva ``essere considerato esecutore dei lavori di scavo, e tanto a prescindere dalla qualificazione civilistica del negozio in base al quale poteva operare nel cantiere''. In ogni caso, ``se anche si dovesse ritenere sussistente un nolo a caldo - nonostante l'assenza di elementi oggettivi che conducano a siffatta conclusione - l'imputato doveva necessariamente rispettare delle regole di ordinaria prudenza e perizia, che poi sono quelle formalizzate negli artt. 118 e 119 D.Lgs. n. 81/2008, e cioè predisporre delle protezioni nella zona superiore dello scavo e mettere le pareti in sicurezza mediante idonei sistemi di puntellamento''. Sicché l'imputato non è responsabile per la mancata redazione del piano di sicurezza, quale incombenza più propriamente riconducibile al committente, a fronte della pluralità di imprese coinvolte nei lavori, ma ``per avere eseguito un'attività di profonda escavazione, in zona franosa, senza prendere visione (né attuare) il piano di sicurezza e senza approntare le minime garanzie di protezione, come la costituzione di muri/barriere di protezione delle pareti''.

    Nolo a caldo e nolo a freddo sono ipotesi che ripetutamente insidiano la sicurezza sul lavoro anche per i non rari equivoci ancora diffusi in proposito. Prospetta linee-quadro in argomento:

    Premette che ``il noleggio rientra nell'alveo del contratto di locazione disciplinato dagli artt. 1571 c.c. e ss.'', e che ``nella pratica va distinto il `nolo a freddo' dal `nolo a caldo''', nel senso che ``con il primo viene locato il solo macchinario, mentre con il secondo oltre al macchinario, il locatore mette a disposizione dell'imprenditore anche un proprio dipendente con una specifica competenza nel suo utilizzo''. Precisa che ``la giurisprudenza ha sottolineato la distinzione fra contratto di appalto (artt. 1655 c.c. e ss.) e nolo a caldo'':

    - ``nel caso dell'appalto, l'appaltatore si impegna con il committente a compiere un'opera ed a tale fine deve organizzare i suoi mezzi di produzione ed il lavoro con la conseguenza che è gestore dell'area di rischio connessa a detta organizzazione'', e ``in caso di appalto, la normativa sulla prevenzione infortuni pone a carico dei due imprenditori coinvolti nel lavoro, obblighi di coordinamento della loro attività al fine di organizzare ed attuare le misure di prevenzione infortuni, anche attraverso un'opera di informazione dei lavoratori dei rischi a cui sono esposti (art. 26 D.Lgs. n. 81/2008)'';

    - ``nel caso del nolo, invece, il locatore mette solo a disposizione il macchinario ed, eventualmente, l'addetto al suo utilizzo, senza alcuna ingerenza nella attività produttiva e nella sua organizzazione''.

    A questo punto, ``proprio in ragione di tate distinzione'', la Sez. IV si chiede ``se colui il quale noleggi un macchinario ad altro imprenditore assuma o meno una posizione di garanzia in relazione ad incidenti che coinvolgano il suo dipendente, ma connessi alla cattiva organizzazione di lavoro dell'altra impresa''. Nel richiamare due precedenti pronunce della stessa Sez. IV, osserva che in proposito si è affermato che ``il soggetto titolare dell'impresa che noleggia macchinari non ha l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori deve adottare in favore dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva''. Nota, peraltro, che siffatto principio ``è stato affermato nel caso di Cass. 30 maggio 2016 n. 22717 con riferimento ad un nolo a freddo con affermazione della responsabilità dell'imprenditore che aveva preso a noleggio un macchinario in relazione ad un infortunio verificatosi ad un suo dipendente'' e ``nel caso di Cass. 5 giugno 2009 n. 23604 con riferimento ad un nolo a caldo in cui l'infortunato era dipendente della ditta che aveva dato in noleggio il macchinario, ma l'infortunio si era verificato nell'utilizzo di un macchinario diverso rispetto a quello oggetto del noleggio''. Nella fattispecie esaminata dalla presente sentenza, una cooperativa incarica una s.n.c. di realizzare la copertura del tetto di un edificio di sua proprietà, e la s.n.c. richiede alla s.p.a. la fornitura di travi necessarie ai fini della realizzazione della copertura. Un autista della s.p.a. a bordo di un veicolo provvisto di gru trasporta le travi fino allo spazio antistante l'edificio in costruzione, ma durante le operazioni di scarico una trave del peso di 126 kg cade dal cassone e colpisce l'autista. Nel confermare la condanna del presidente e del vicepresidente della s.p.a. fornitrice delle travi lamellari, la Sez. IV esclude che ``la prestazione della s.p.a. potesse essere qualificata come nolo a caldo''. Spiega che ``alla s.p.a. non era stata richiesta la concessione in uso di un'attrezzatura di lavoro e la prestazione di un operaio specializzato, ma una prestazione che rientrava nell'oggetto della sua attività, che non era quello di noleggio di macchinari, ma quello di lavorazione del legno e di vendita dei prodotti lavorati'', ``senza che rilievo alcuno possa assumere il fatto che la merce sia stata consegnata presso il domicilio dell'acquirente''. Aggiunge che ``l'infortunio si è verificato nell'utilizzo di un mezzo che era stato fornito dalla s.p.a. al suo dipendente nell'ambito di una attività, quale quella del trasporto e scarico ai fini della consegna della merce, rientrante nelle mansioni affidate a quel dipendente''. Sottolinea che ``gli addebiti di colpa individuati in capo ai legali rappresentanti della s.p.a. hanno avuto riguardo alla messa a disposizione del lavoratore di attrezzatura non idonea a garantire la sicurezza in ragione del lavoro da svolgere ai sensi dell'art. 71 del D.Lgs. n. 81/2008 (in quanto nel caso di specie si sarebbe dovuto dotare l'automezzo di montanti telescopici alle sponde con altezza superiore allo spessore delle travi per impedire l'eventuale caduta delle stesse o in alternativa si sarebbe dovuto utilizzare un automezzo con gru provvista di telecomando) e alla redazione di un Documento di Valutazione dei Rischi carente sotto il profilo della individuazione dei rischi specifici collegati alle singole attrezzature ed alle fasi lavorative ed in particolare alla fase dello scarico delta merce''. Ma la Sez. IV conferma, altresì, la condanna dell'amministratore unico della cooperativa committente, per aver omesso di nominare il coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione malgrado ``la presenza in cantiere anche non in contemporanea di più imprese, fra cui la sua (come comprovato dal dato oggettivo dell'intervento nelle operazioni di scarico delle travi di due soci della cooperativa)''. E precisa che il coordinatore ``ha l'obbligo: 1) di elaborare il documento unico di valutazione dei rischi di cui all'art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008; 2) di nominare il coordinatore per la progettazione dell'opera di cui agli artt. 89, comma 1, lett. e), e 91 D.Lgs. n. 81/2008, deputato a redigere il piano di sicurezza e coordinamento (PSC); 3) di nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, di cui agli artt. 89, comma 1, lett. f), e 92 D.Lgs. n. 81/2008, deputato a verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza di ciascuna impresa, sia in relazione al PSC che in rapporto ai lavori da eseguirsi''. (Dove è agevole notare ancora una volta come spesso non si colga il distinguo tra le discipline rispettivamente dettate dall'art. 26 e dal Titolo IV, Capo I, D.Lgs. n. 81/2008, ed anzi si pervenga ad applicare congiuntamente entrambe, magari conferendo al coordinatore l'obbligo di redigere vuoi il DUVRI, vuoi il PSC).

    ``L'autista dipendente di una s.r.l. impegnata in interventi di urbanizzazione era rimasto schiacciato da una delle rampe del carrellone di un rimorchio sul quale aveva caricato un mezzo meccanico, abbattutasi attingendo il lavoratore mentre questi era intento a operare a terra con delle chiavi inglesi sulle parti mobili della rampa, verosimilmente nello svolgimento di attività di manutenzione''. La Sez. IV conferma la condanna anche del ``titolare dell'impresa proprietaria del semirimorchio la quale aveva contrattualmente pattuito il noleggio del mezzo a favore della s.r.l., per avere omesso una corretta manutenzione del mezzo nella prospettiva del noleggio, sussistendo segni di degrado dell'impianto oleodinamico di sollevamento'': ``Sussiste la responsabilità del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche in quanto egli è tenuto a garantirne la perfetta funzionalità e la relativa dotazione dei sistemi cautelari, non potendosi ritenere, in virtù del principio di affidamento, che il datore di lavoro, che tale macchina abbia noleggiato, consentendone l'utilizzazione ai propri dipendenti, debba operare un controllo prima dell'uso. La colpa del noleggiatore, in tal caso, non esclude quella eventualmente concorrente de datore di lavoro che di tale macchinario abbia fatto uso, fermo restando il principio generale secondo cui, in relazione alla prevenzione nei luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate esclusivamente a tutela dei lavoratori nell'esercizio delle loro attività, ma anche dei terzi che si trovino nell'ambiente di lavoro a prescindere dalla ricorrenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa''.

    ``Il contratto di nolo a caldo è un contratto atipico, assimilabile come disciplina alta locazione di cose mobili o, meglio, alla `locatio operis' oppure al noleggio contemplato dal codice della navigazione ovvero all'appalto di servizi, in base al quale ci si procura il godimento di una macchina con il relativo operatore. Il `nolo a caldo', in altri termini, si configura come un contratto innominato caratterizzato da una prestazione principale, avente ad oggetto la locazione o il c.d. noleggio di un macchinario, e da una accessoria, rappresentata dall'attività del soggetto addetto''.

    Infortunio mortale in danno del dipendente di un'impresa appaltatrice di lavori di sistemazione della rete fognaria intento ad aiutare l'escavatorista inviato sul posto dal titolare di tale impresa con un escavatore: ``nel corso di una inadeguata manovra di riposizionamento di un grosso e pesante coperchio di cemento sul pozzo nero, impropriamente sollevato dal conducente mediante una fune agganciata alla benna dell'escavatore, il dipendente entrava nel raggio di azione della benna, la benna lo colpiva al capo e ne provocava il decesso''. Questi i profili di colpa addebitati al datore di lavoro: ``avere fornito un mezzo del tutto inadeguato al sollevamento dei tubi fognari e del tombino, essendo invece a tale scopo necessario un automezzo con gru, pur essendo a conoscenza dei lavori da eseguirsi, in quanto informato dal committente; essersi, una volta fornito il mezzo ed il conducente, del tutto disinteressato della esecuzione dei lavori, omettendo la predisposizione di elementari opere precauzionali per prevenire incidenti del tipo di quello concretamente verificatosi''. A sua discolpa, l'imputato deduce che, ``essendo un mero noleggiatore del mezzo, non si applicherebbero, sia che lo si consideri nolo `a freddo' (solo macchinario) sia che lo si consideri nolo `a caldo' (macchinario e conduttore), le norme antinfortunistiche, richiamandosi al riguardo un precedente di legittimità (Sez. IV, 5 giugno 2009 [riprodotta più avanti])''. La Sez. IV considera ``fuorviante il richiamo al precedente di Sez. IV, 5 giugno 2009 (secondo cui `in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare dell'impresa che noleggia macchinari, eventualmente mettendo a disposizione anche un soggetto addetto al loro utilizzo, non ha l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori deve adottare in favore dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva'), e ciò in quanto si dà per scontata - ciò che invece non può essere - la rivalutazione della posizione dell'imputato in quella di mero noleggiatore, mentre l'imputato era, in realtà, datore di lavoro dell'infortunato ed appaltatore dei lavori, non già mero concedente in nolo l'escavatore con benna''. Aggiunge che, ``quand'anche si volesse ipoteticamente aderire alla impostazione difensiva, non potrebbe comunque mutare l'esito del giudizio, in quanto, come persuasivamente specificato da Sez. IV, 16 gennaio 2009 n. 1763 [citata più avanti], `in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nell'ipotesi di noleggio a caldo di macchinari anche il noleggiatore risponde delle conseguenze dannose derivanti dall'inosservanza delle norme antinfortunistiche relative all'utilizzo del macchinario noleggiato (fattispecie in cui è stata ritenuta la concorrente responsabilità del titolare dell'impresa che aveva noleggiato un escavatore con autista per l'effettuazione di uno scavo senza l'osservanza delle cautele imposte)'''. Spiega che ``si tratta di precedente che valorizza, al fine di offrire tutela - non puramente formalistica - ai beni, di primario rilievo costituzionale, della vita, dell'incolumità fisica e della salute, la posizione di garanzia di colui che, consapevolmente, conceda un mezzo comunque utilizzato in un'attività rischiosa, a prescindere dalla natura di datore di lavoro in capo all'agente, peraltro con l'importantissima precisazione che poco importa che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione''.

    Il direttore di stabilimento di una s.p.a. fu condannato per l'infortunio verificatosi in occasione di un'operazione di verniciatura di due serbatoi dell'impianto antincendio ivi presente. Per l'esecuzione di questa lavorazione era stato noleggiato un autocarro dotato di piattaforma elevabile presso la ditta del fratello della vittima. La Sez. IV prende atto che ``fu l'imputato a curare l'esecuzione della lavorazione, ossia a noleggiare l'autocarro presso una ditta e ad incaricare tre dipendenti (fra cui la vittima) di eseguire la pitturazione dei serbatoi, ossia un'operazione di manutenzione in quota''. Ritiene irrilevante ``la questione della configurabilità o meno di un rapporto qualificabile come contratto d'appalto tra la s.p.a. e la ditta che noleggiò il macchinario (facente capo al fratello della vittima)''. Considera ``pacifico che tale rapporto si risolse in realtà nel c.d. nolo a freddo dell'autocarro munito di piattaforma elevabile, senza cioè che la ditta noleggiatrice mettesse a disposizione uno o più propri dipendenti''. Sostiene che, ``in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto titolare dell'impresa che noleggia macchinari (eventualmente mettendo a disposizione anche un soggetto addetto al loro utilizzo) non ha l'obbligo di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione che l'appaltatore di lavori deve adottare in favore dei lavoratori alle sue dipendenze, e pertanto non assume, nei confronti di questi ultimi, una posizione di garanzia in relazione ai rischi specifici connessi all'ambiente di lavoro nel quale essi sono chiamati ad operare, non esercitando alcuna attività produttiva''. Ne desume che, ``rispetto alla posizione dell'infortunato, l'imputato aveva pienamente assunto, in tema di prevenzione degli infortuni, le responsabilità derivanti dalla sua posizione di garanzia, quale direttore dello stabilimento e delegato alla sicurezza del lavoro, nonché la gestione del rischio poi concretizzatosi''. Esclude che ``all'assunzione di dette responsabilità abbia fatto riscontro, nel caso dell'imputato, l'osservanza dei corrispondenti doveri''. Sottolinea, in proposito, ``l'assoluta insufficienza della formazione e informazione dei dipendenti, e in specie dell'infortunato, da parte dell'imputato, in riferimento al rischio insito nell'operazione che costò la vita al dipendente''. Circa l'addebito di non aver curato la presenza di dispositivi di protezione individuale nella piattaforma su cui dipendenti dovevano operare, la Sez. IV nota, anzitutto, che ``era disponibile una sola cintura di sicurezza (e non due, a fronte dell'impiego di due lavoratori)'', e che, comunque, i due dipendenti non ``erano stati formati né informati circa l'obbligo di indossare la cintura di sicurezza a fini prevenzionistici, e anzi essi ritenevano che a tal fine fosse sufficiente la presenza di un parapetto nel cestello, protezione sicuramente non idonea a prevenire il rischio concretizzatosi nel caso specifico (infatti il cestello, dopo essere stato liberato bruscamente, si era ribaltato facendo cadere l'infortunato)''.

    ``In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nell'ipotesi di noleggio a caldo di macchinari, anche il noleggiatore risponde delle conseguenze dannose derivanti dall'inosservanza delle norme antinfortunistiche relative all'utilizzo del macchinario noleggiato''.

    ``Il dipendente di una ditta, addetto alle pulizie, insieme al collega escavatorista, erano impegnati in lavori di sistemazione di aiuole, con rimozione di piante morte, vicino a un cimitero. Rimasto solo per essersi allontanato il collega - chiamato via telefono a svolgere un lavoro presso altro cantiere - dopo aver terminato il lavoro di pulizia, aveva cercato di ricollocare il miniescavatore - preso in nolo da altra ditta - sul furgone della sua ditta con cui era stato portato in loco, servendosi di due rampe metalliche. Queste, pure noleggiate presso la medesima ditta, erano state da lui solo poggiate sul bordo del cassone del furgone in quanto sprovviste di agganci, per cui, nel transito del piccolo escavatore, a seguito dello slittamento della rampa di sinistra con perdita dell'appoggio, egli era caduto insieme al mezzo che guidava restando schiacciato e riportando lesioni che ne cagionavano la morte''. Vengono condannati per omicidio colposo sia il legale rappresentante della s.r.l. che aveva noleggiato l'escavatore e le rampe, sia il presidente del consiglio di amministrazione della società datrice di lavoro dell'infortunato: il primo, per aver ``dato in nolo quella attrezzatura inidonea ai fini della sicurezza''; il secondo, per aver ``messo a disposizione del dipendente un'attrezzatura inidonea, perché le rampe di carico dell'escavatore erano prive di dispositivi di sicurezza per vincolarle al furgone'', e per non aver ``reso edotto il suo dipendente, addetto alle pulizie, del rischio del carico/scarico dell'escavatore''. Nel confermare la condanna degli imputati, la Sez. IV osserva che ``le condotte colpose addebitate rispettivamente agli imputati sono riferibili a due diverse posizioni di garanzia'': quella del noleggiatore che ``si ricollega alla responsabilità di aver dato in nolo una macchina da lavoro (il mini-escavatore) unitamente alle rampe necessarie per poterla caricare su altro veicolo per il trasporto, prive di dispositivi di sicurezza, che comporta la mancata garanzia del principio di tutela della sicurezza del lavoro e la violazione delle regole sui dispositivi di sicurezza''; quella del datore di lavoro ``che ha messo a disposizione dei suoi dipendenti le rampe per caricare il mini-escavatore prive delle alette di sicurezza, non operando in tal modo il dovuto controllo circa la idoneità ai fini della sicurezza sul lavoro sulle attrezzature utilizzate nell'attività lavorativa''. Con particolare riguardo al primo imputato, osserva che, ``nonostante il datore di lavoro abbia consentito da parte dei suoi dipendenti l'utilizzazione di un'attrezzatura presa a nolo e non rispondente alla normativa sulla sicurezza, sussiste la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche, essendo egli tenuto a garantire la perfetta funzionalità del macchinario e che lo stesso sia dotato dei sistemi antinfortunistici, non potendo ritenere, in base al principio di affidamento, che il noleggiante debba operare un controllo prima dell'uso del macchinario stesso''. Esclude che possa ``invocarsi legittimamente l'affidamento nel comportamento altrui quando colui che si affida sia (già) in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che gli succede nella posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione''. Spiega che, ``in questo caso, laddove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto o potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causali, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento (ai fini e per gli effetti di quanto disposto, in tema di `interruzione del nesso causale', dall'art. 41 c.p., comma 2)''. Sottolinea che ``il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, `garantito' dal rispetto della normativa antinfortunistica)'', e che ``tale principio, per assunto pacifico, non è invocabile allorché l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio, ossia allorché l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse''. Afferma, infine, che ``la colpa del noleggiatore di un macchinario non conforme alle norme antinfortunistiche non esclude quella concorrente del datore di lavoro che di detto macchinario abbia fatto uso''.

    Una s.r.l. noleggia a una università una gru semovente munita di operatore. Il fratello del titolare della s.r.l., manovratore a terra della piattaforma ragno sulla quale agisce l'operaio infortunato, ne cagiona la morte, in quanto la piattaforma mobile, mentre si trova a 21 metri da terra, si ribalta e l'operaio a bordo della navetta precipita al suolo. Per il delitto di omicidio colposo viene condannato il manovratore: ``le modalità di stabilizzazione della piattaforma non risultavano conformi alle indicazioni contenute nel manuale di istruzioni della macchina; ciò in quanto il posizionamento degli stabilizzatori sarebbe dovuto avvenire simmetricamente, lungo l'arco dei 3608, mentre nel caso si era accertato che gli stabilizzatori registravano un dislivello di 79 centimetri fra le due coppie ed erano posizionati su un piano inclinato, caratterizzato da ingente presenza di pietrisco, e, in particolare, gli stabilizzatori erano su due tavole sovrapposti di circa 5 centimetri di spessore, e dette tavolette avevano ceduto, provocando il ribaltamento della navetta''. A sua discolpa, l'imputato deduce, in particolare, che egli ``non si trovava in posizione di garanzia, rispetto all'operaio rimasto vittima dell'infortunio, in quanto tra il manovratore della gru ed l'operaio non vi era alcun rapporto di subordinazione o para subordinazione''. Nel respingere il ricorso proposto dall'imputato, la Sez. IV prende atto che ``il manovratore avrebbe dovuto posizionare la piattaforma al di sopra del piazzale, ove si trovava una base di appoggio idonea al posizionamento in sicurezza della gru'', e sottolinea ``l'inidoneità delle basi utilizzate per la ripartizione dei carichi e l'erroneo allargamento degli stabilizzatori''. Prende atto, altresì, che ``nel caso si era verificata la violazione degli obblighi di prevenzione connessi all'utilizzo della piattaforma, cosi come specificati anche nel manuale di istruzioni, e l'imputato aveva ricevuto adeguata formazione sull'utilizzo della gru''. Precisa che ``il soggetto titolare dell'impresa che noleggia macchinari e che mette a disposizione anche il manovratore, non assume nei confronti dei lavoratori alle dipendenze dell'appaltatore, una posizione di garanzia in relazione ai rischi connessi all'ambiente di lavoro, e non di meno risponde dei danni connessi all'oggetto principale dell'obbligazione, cioè al funzionamento della macchina''. E osserva che, ``in caso di noleggio a caldo, che si ha qualora il locatore metta a disposizione dell'imprenditore anche un proprio dipendente, tali obblighi protettivi riguardano specificamente il manovratore, il quale risponde dei danni connessi al funzionamento della macchina''.

    ``Mentre un operaio, dipendente di una s.r.l. con funzioni di gruista, stava procedendo a mezzo di una autogru di proprietà della stessa s.r.l., ma noleggiato, con c.d. nolo a caldo a una s.n.c., al posizionamento di una trave metallica all'interno del cantiere della predetta s.n.c., si verificava un incidente che aveva come conseguenza il decesso del predetto operaio''. ``Del fatto venivano chiamati a rispondere il responsabile di produzione della divisione industriale della s.r.l. e il capocantiere sub delegato dal primo a sovrintendere alle attività svolte nel cantiere si addebitava la colpa di aver consentito l'utilizzo della gru in cattivo stato di manutenzione, non rispondente alle misure di sicurezza e non assoggettata alle verifiche annuali; di averne consentito l'uso non in conformità delle istruzioni del fabbricante; di aver tollerato la prassi contra legem di armare le funi secondo uno schema diverso da quello previsto dal costruttore; di non avere adeguatamente informato e formato il gruista sui rischi connessi alla sua specifica attività''. ``Per effetto del c.d. nolo a caldo, la gru e il suo operatore erano stati destinati ad operare, svolgendo una attività del tutto analoga a quella normalmente compiuta nel proprio ambiente di lavoro, nel diverso cantiere della s.n.c. e dunque sottoposti alle direttive dei responsabili di tale cantiere quanto alle concrete modalità del lavoro da eseguire e ai rischi specifici derivanti dall'impiego del mezzo nel detto cantiere; restava però a carico dei responsabili della s.r.l. l'obbligo di garantire la sicurezza sul lavoro del proprio dipendente e soprattutto quello di affidargli un mezzo conforme alle prescrizioni della normativa per la prevenzione infortuni, ben conservato, in regola con la manutenzione e altresì l'obbligo di assicurarsi che il lavoratore fosse bene istruito e informato sulle modalità di uso di tale mezzo e che lo stesso venisse concretamente utilizzato conformemente alle prescrizioni di sicurezza; obblighi e cautele che si sono invece rivelati pesantemente disattesi''.

    La Corte Suprema ha qui occasione di affrontare un problema di particolare attualità quale quello della inadeguata bonifica di cisterne date in noleggio per il trasporto di prodotti pericolosi (paradigmatico il caso dei cinque morti di Molfetta). Il rappresentante legale di una s.r.l. fu condannato per il delitto di lesione personale colposa in danno di due lavoratori dipendenti: l'imputato, ``dopo avere noleggiato una cisterna a una un'impresa di autotrasporti all'interno della quale era stato trasportato ciclopentano, prodotto facilmente infiammabile, incolore ed insolubile in acqua, ne accettava la restituzione acquisendo solo il certificato attestante il lavaggio con acqua e vapore e non disponeva opere di bonifica della cisterna con relativa certificazione di gas free, cosicché i predetti operai, saliti sulla cisterna per saldare un galletto di uno dei boccaporti, venivano scaraventati a terra da una violenta esplosione''.

    Due i profili di colpa addebitati: ``l'omessa formazione dei lavoratori sui rischi delle operazioni da loro eseguite e la (omessa) valutazione dei rischi da parte dello stesso datore di lavoro che dava a noleggio cisterne anche per il trasporto di materiale pericoloso''. A sua discolpa, l'imputato lamenta che ``la società che aveva effettuato la bonifica e rilasciato la relativa documentazione aveva omesso di effettuare le operazioni necessarie come richiesto all'autotrasportatore che era tenuto a riconsegnare la cisterna pulita al noleggiatore'', e che ``il lavaggio a doppio ciclo di acqua e vapore era idoneo a garantire ogni altra successiva operazione di carico'': ``Tale attività, imposta dalla normativa sul trasporto su strada, secondo l'accordo europeo ADR e su ferrovia secondo il regolamento RID, viene svolta da personale qualificato con l'ausilio di specifici impianti e modalità adeguate al tipo di merce trasportata. Quindi costituisce un'operazione doverosa da parte del trasportatore di merce pericolosa e la ditta che esegue il lavaggio non rilascia una semplice ricevuta, ma un certificato attestante l'avvenuta pulizia/bonifica''. La Sez. IV afferma che ``il principio di affidamento non esonera l'affidante da responsabilità anche quando l'affidato sia responsabile per la sua condotta colposa, nel caso in cui l'affidante ponga in essere una condotta casualmente rilevante''. Rileva che, ``nel caso di specie, era doveroso il controllo in considerazione della particolare pericolosità del materiale trasportato e che lo stesso imputato ha dato prova di scarsa preparazione tecnica e consapevolezza dei rischi''. Ricorda che ``il datore di lavoro ha il dovere di ispirarsi all'acquisizione della migliore scienza ed esperienza, per fare in modo che il lavoratore possa operare nella massima sicurezza'', e che ``non si tratta di responsabilità oggettiva perché la posizione di garanzia del datore di lavoro ricomprende anche il dovere di controllo ed è questa omissione che viene addebitata all'imputato, essendo sempre prevedibile che le operazioni di lavaggio possano non essere effettuate a regola d'arte''. Ne ricava che ``l'omissione contestata è certamente in nesso di causa con l'evento, anche nella cornice concettuale della cosiddetta `concretizzazione del rischio'''.

    Per un infortunio occorso a un frantoio mobile dato in noleggio a caldo da una s.r.l. a un'altra s.r.l., fu condannato il datore di lavoro dell'infortunato, dipendente della prima s.r.l., con l'addebito ``di non avere fornito al lavoratore infortunato adeguata formazione sui rischi specifici connessi con l'utilizzo delle attrezzature di lavoro; di non aver disposto misure e adeguate opere provvisionali per i lavori di manutenzione; di non aver mantenuto in buono stato di conservazione ed efficienza il nastro in gomma del separatore magnetico del frantoio mobile''. La Sez. IV conferma la condanna. Afferma che ``il dovere di formazione sull'uso della macchina su cui il lavoratore è chiamato ad operare non può essere limitato a fornire le opportune conoscenze solo del settore specifico al quale è concretamente assegnato il medesimo, dovendo questi essere a conoscenza anche di tutte le altre caratteristiche del macchinario, proprio per non incorrere in occasionali condotte imprudenti e pericolose, comunque prevedibili, in quanto comunque connesse con le sue mansioni''.

    Una s.p.a. fornisce in noleggio a una ditta una pompa autocarrata e il relativo conducente. A causa di un'errata manovra del conducente, muore folgorato un dipendente della ditta. Il legale rappresentante della s.p.a. - condannato al pari del datore di lavoro dell'infortunato - propone ricorso per cassazione. La Sez. IV ribatte che ``la società di cui l'imputato era legale rappresentante non si era infatti limitata a noleggiare il pesante mezzo alla ditta, ma aveva assunto l'obbligo di fornire una prestazione di servizi comprendente anche l'opera del conducente del veicolo, dipendente della s.p.a., ad una cui erronea manovra è stato ritenuto ricollegabile l'infortunio'', e che, ``poiché la stipulazione e l'esecuzione di questo contratto rientrava nella normale attività d'impresa incombeva comunque sul legale rappresentante della società - fosse o meno a conoscenza del singolo contratto - un obbligo di formazione e informazione del dipendente cui era affidata la guida e la manovra del veicolo cosi come incombeva su di lui, ove non avesse inteso provvedere personalmente di volta in volta, disporre in generale perché tutte le attività dell'impresa venissero svolte in sicurezza''. E spiega che, ``se l'imputato non intendeva seguire personalmente le attività aziendali curando personalmente che venisse garantita la sicurezza nell'esecuzione delle lavorazioni, avrebbe dovuto delegare persona idonea, munita dei necessari poteri e delle disponibilità di spesa, per garantire che le attività d'impresa (e quindi anche quella oggetto del contratto stipulato, certamente non con il suo dissenso, con la ditta) venissero svolte senza rischi per i dipendenti e per i terzi''.

    ``Un lavoratore era deceduto dopo essere rimasto impigliato ed essere stato stritolato da una macchina scarificatrice dallo stesso condotta in un cantiere stradale''. L'accusa di omicidio colposo è mossa a colui che aveva noleggiato la macchina scarificatrice e l'operaio che la guidava. A propria discolpa, l'imputato osserva che, ``rientrando il c.d. nolo a caldo nello schema del subappalto, andava considerato che l'art. 7, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 26, D.Lgs. n. 81/2008] imponeva solo di fornire alle imprese subappaltatrici informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e sulle misure di protezione adottate in relazione alla propria attività nonché di cooperare con le stesse per eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese'', che ``egli non si era ingerito nell'esecuzione del lavoro dell'operaio né era stato stipulato con il subappaltatore un patto con cui egli si era assunto anche la responsabilità di osservanza delle norme di tutela del lavoro subappaltato''. La Sez. IV ribatte che, ``essendo stata la macchina scarificatrice noleggiata con l'operaio che la guidava dall'imputato, l'operaio espletava la sua attività lavorativa sotto la vigilanza dell'imputato'', e che ``questi non avrebbe dovuto permettere che l'operaio facesse un uso della macchina, cui era addetto, che all'evidenza appariva pericoloso''. Spiega che ``aveva utilizzato cinghie che bloccavano le leve di comando della macchina e la facevano muovere e lavorare da sola, mentre egli stava a terra'', e che, ``inoltre, quando l'operaio era rimasto impigliato nella parte rotante ed era finito sotto la scarificatrice, non era stato possibile fermarla immediatamente poiché non era dotata di un dispositivo di arresto posto ad altezza d'uomo che potesse essere azionato subito''.

    La Sez. IV esamina un'ipotesi d'infortunio occorso al dipendente di un'impresa che aveva effettuato il nolo a caldo di un escavatore e del suo operatore in favore di una s.p.a. esercente l'attività di costruzioni. Nell'affrontare questa ipotesi, la Sez. IV prende atto che l'infortunio non si verificò ``mentre l'infortunato stava lavorando con il suo escavatore, bensì mentre dava ausilio al dipendente della s.p.a. a caricare su un autocarro munito di braccio elevatore una lastra di cemento di ingente peso''. Si domanda ``se colui il quale noleggia un macchinario ad altro imprenditore assuma o meno una posizione di garanzia in relazione ad incidenti che coinvolgano il suo dipendente, ma connessi alla cattiva organizzazione di lavoro dell'altra impresa'', e nota che ``per risolvere il quesito appare opportuno analizzare la natura del contratto di noleggio di un bene''. Osserva che ``nel nostro ordinamento positivo non esiste la figura del noleggio come contratto tipico, se non con riferimento al diritto della navigazione, laddove all'art. 348 viene disciplinato il noleggio di una nave da parte di un armatore'', che ``in realtà tale tipo di figura contrattuale rientra nell'alveo del contratto di locazione disciplinato dagli artt. 1571 c.c. e seguenti'', e che ``di recente ha trovato notevole sviluppo, per la convenienza degli imprenditori a disinvestire in macchinari di cui non fanno uso continuativo, ma solo saltuario''. Traccia un distinguo tra ``nolo a freddo'' e ``nolo a caldo'': ``con il primo viene locato il solo macchinario; con il secondo oltre al macchinario, il locatore mette a disposizione dell'imprenditore anche un proprio dipendente con una specifica competenza nel suo utilizzo''; ``anche in tale caso, comunque, il lavoro si presenta con carattere di accessorietà rispetto alla prestazione principale costituita dalla messa a disposizione del bene''. Considera ``rilevante, ai fini che qui interessano, la distinzione tra `nolo a caldo' e contratto di appalto (artt. 1655 c.c. e seguenti)'': ``in tale ultimo caso l'appaltatore si impegna con il committente a compiere un'opera ed a tale fine deve organizzare i suoi mezzi di produzione ed il lavoro; nel nolo, invece, il locatore mette solo a disposizione il macchinario ed, eventualmente, l'addetto al suo utilizzo, senza alcuna ingerenza nella attività produttiva e della sua organizzazione''. Afferma che ``in caso di appalto in un'azienda, la normativa sulla prevenzione infortuni pone a carico dei due imprenditori coinvolti nel lavoro, obblighi di coordinamento della loro attività al fine di organizzare ed attuare le misure di prevenzione infortuni, anche attraverso un'opera di informazione dei lavoratori dei rischi a cui sono esposti (art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994, ora art. 26 T.U. n. 81/2008)''. Constata che, ``nel caso oggetto di giudizio, l'impresa non aveva assunto alcuna opera in appalto, ma si era limitata esclusivamente a noleggiare un escavatore alla s.p.a.''. Ne deduce che ``a carico della stessa non gravava alcun obbligo di coordinamento, essendo l'attività produttiva svolta esclusivamente dalla s.p.a.''. Inoltre, mette in luce che ``l'infortunio è avvenuto durante l'utilizzo di un autocarro con braccio elevatore della s.p.a. e non durante l'utilizzo del mezzo meccanico della impresa al cui uso era destinato l'infortunato)'', e, quindi, non comprende ``come si sia individuata a carico della legale rappresentante dell'impresa una posizione di garanzia, presupposto dell'affermazione della sua responsabilità''.

    (In passato, Cass. 25 maggio 2007, Cagnini, in ISL, 2007, 7, 418, osservò che il nolo a caldo ``è costituito dalla concessione in uso di macchinario e la fornitura di operatore specializzato per l'uso dello stesso'', e, quindi, ``è un contratto innominato caratterizzato da una prestazione principale, avente ad oggetto la locazione o il c.d. noleggio di un macchinario e da una accessoria rappresentata dall'attività del soggetto addetto''. Precisò che ``tale contratto, qualora i lavori non superino una determinata percentuale, non comporta neppure la violazione del divieto di subappalto di cui all'art. 21 legge 13 settembre 1982 n. 646''. Ne ricavò che ``non può essere attribuita la qualifica di subappaltatore per il solo fatto di aver fornito un escavatore ed un proprio dipendente alla ditta che sta eseguendo i lavori, mentre deve ritenersi che tale dipendente nell'utilizzo dell'escavatore agisca in posizione subordinata rispetto al proprietario committente e alla direzione dell'impresa che ha noleggiato il macchinario''. Per una ipotesi di contratto avente per oggetto il noleggio di un mezzo meccanico e la sua guida v. Cass. 31 dicembre 2003, Rossi, inedita. Da leggere, infine, è Cass. 16 gennaio 2009, n. 1763, Mazzuoli e altro, inedita).

    ``Anche il presidente della società cooperativa, pur in presenza di mero subappalto di manodopera, riveste una posizione di garanzia ex art. 2087 c.c. nei confronti dei suoi dipendenti, ancorché temporaneamente `prestati', `ceduti', ad altra impresa per l'esecuzione di opere''.

    In una raffineria, tre dipendenti di un'impresa appaltatrice di lavori di bonifica di un impianto muoiono per asfissia da ridotta concentrazione di ossigeno in ambiente confinato dopo essere entrati nel serbatoio di accumulo. La Sez. IV conferma la condanna del datore di lavoro e del direttore di stabilimento della s.p.a. committente, imputati di omicidio colposo al pari del datore di lavoro dell'impresa appaltatrice. Una questione sollevata dai due imputati della s.p.a. riguarda una procedura non di rado utilizzata dai datori di lavoro committenti, il c.d. permesso di lavoro, ``quale misura procedurale funzionale a gestire il rischio interferenziale''. A dire degli imputati, una volta adottata una simile procedura, ``sarebbero confinate nell'irrilevanza le altre misure, previste dall'ordinamento prevenzionistico, che hanno quale scopo quello di eliminare o ridurre rischi sui quali `impattano' quelle misure procedurali''. La Sez. IV non è d'accordo. Nota che ``il rischio interferenziale è quello che nasce proprio per il coinvolgimento nelle procedure di lavoro di diversi plessi organizzativi'', che ``se ne potrebbe parlare come di una specie del più ampio genus del rischio da organizzazione del lavoro, a sua volta affiancato da altri tipi di rischi, come quello meccanico (connesso all'uso di macchine), quello fisico (connesso all'esposizione agli agenti fisici di cui all'art. 180, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008), quello biologico (connesso all'esposizione agli agenti biologici di cui all'art. 267 D.Lgs. n. 81/2008) e così seguitando'', e che ``la presenza di un rischio interferenziale, lungi dal negare o inglobare i rischi specifici presenti nell'ambiente di lavoro anche in assenza del concorso di più organizzazioni, impone di prenderli in considerazione anche nella peculiare prospettiva, come dimostra la previsione dell'art. 26 D.Lgs. n. 81/2008, per la quale il datore di lavoro committente fornisce alle imprese appaltatrici e ai lavoratori autonomi `dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alle proprie attività'''. Ne desume che ``il rischio interferenziale `convive' con gli altri rischi lavorativi'', e che ``le misure che fronteggiano il primo coesistono con quelle che si indirizzano ai secondi''. E insegna che, ``ai fini della responsabilità in caso di infortunio o malattia, la predisposizione da parte del datore di lavoro committente di misure atte alla gestione del rischio interferenziale non esclude la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici, a meno che non si tratti di provvidenze non compatibili''. Nega, pertanto, che, ``la prevista procedura del permesso di lavoro - la quale mirava ad escludere che dipendenti delle ditte appaltatrici giungessero a contatto con l'accumulatore prima che la committenza avesse accertato la sussistenza di condizioni di lavoro sicure - potesse legittimare l'inosservanza di prescrizioni prevenzionistiche, quali quelle della segnalazione della presenza di azoto all'interno dell'accumulatore, poste a governo del rischio specifico connesso al particolare agente fisico'' E aggiunge che ``la segnaletica si imponeva a garanzia di qualsiasi soggetto, dipendente del committente come di altri, fosse intenzionato ad entrare nell'accumulatore''. Sotto una diversa prospettiva, ``che guarda alla relazione tra regole cautelari previste dalle fonti primarie e sub-primarie e regole cautelari individuate dallo stesso datore di lavoro nell'ambito di quell'attività di autonormazione che trova la sua più evidente espressione del documento di valutazione dei rischi'', la Sez. IV precisa che, ``nella materia prevenzionistica (ma non solo), le regole cautelari che devono trovare applicazione sono quelle che valgono a fronteggiare il rischio lavorativo prevedibile ed evitabile'', e che ``vale anche in quest'ambito il più generale principio per il quale la regola cautelare fonda la propria cogenza sulla propria efficacia''. Ne ricava che ``solo la sicura inefficacia delle regole cautelari previste dalle fonti statuali, primarie o secondarie, può condurre ad escludere che esse fondino un giudizio di responsabilità per l'evento realizzatosi (ma resta ferma la rilevanza della violazione ove dia corpo ad una contravvenzione o ad un illecito amministrativo) nel caso che non se ne sia fatta applicazione''. E insegna che, ``ai fini della responsabilità penale per l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale, la individuazione di misure di prevenzione operata dal datore di lavoro nell'ambito dell'attività di autonormazione prevista dal D.Lgs. n. 81/2008 - in particolare di quella cui rimanda l'art. 26, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 - non esclude la cogenza delle misure previste dalla normativa statuale, a meno che queste non risultino - non solo inefficaci ma - dannose ai fini della messa in sicurezza dell'ambiente di lavoro''. Né, d'altra parte, ``la procedura del permesso di lavoro esautora la misura prevista in materia di segnaletica, perché valendo essa come misura `collettiva' la stessa disposizione di legge (l'art. 163 D.Lgs. n. 81/2008) ne sancisce la prevalenza''. Invero, osserva la Sez. IV che ``l'art. 163 si rivolge a tutti i possibili soggetti esposti al rischio (nella specie da agente fisico) e non solo a quelli delle ditte appaltatrici'', e ``coloro che non risultavano interessati alla procedura del permesso dì lavoro non avrebbero certo potuto giovarsi di questa ed è rispetto ad essi che si imponeva comunque l'apposizione della segnaletica''.

    Presso un impianto comunale di depurazioni furono rilevate più contravvenzioni antinfortunistiche riguardanti ``l'impianto elettrico privo di messa a terra e di protezione, le vasche destinate al contenimento di sostanze liquide sprovviste di parapetti e gli uffici in precarie condizioni igieniche e di insalubrità in presenza di umidità, nonché dotati di bagni con un numero di docce insufficienti e non serviti da acqua calda, mancata adozione delle necessarie cautele atte a garantire la sicurezza sul lavoro in ambito di prevenzione rischi e formazione dei dipendenti direttamente nei confronti del personale''. La Sez. III osserva: ``L'adempimento ai correlativi obblighi imposti dal D.Lgs. n. 81/2008 in quanto concernenti la tutela delle condizioni di sicurezza e di igiene dei luoghi di lavoro ricade, anche per quanto concerne gli impianti strutturali ed i locali in cui si svolge l'attività lavorativa, sul datore di lavoro, indipendentemente dal fatto che questi sia o meno il proprietario delle suddette strutture, trattandosi del soggetto obbligato ad assumere le cautele previste ex lege. Essendo stato accertato che l'imputata fosse la titolare, in quanto legale rappresentante della società, del contratto di appalto per la gestione del depuratore in virtù dell'originario contratto stipulato con il comune alla scadenza del quale la sua posizione contrattuale veniva prorogata per effetto di un'ordinanza contingibile ed urgente, nessun fondamento rivestono le doglianze in ordine alla sua condizione di affidataria dell'appalto in via di urgenza posto che è proprio in virtù della suddetta ordinanza del sindaco che costei ha conservato la qualifica di appaltatrice e conseguentemente quella di datrice di lavoro delle maestranze impiegate alla gestione dell'impianto. In virtù di tale qualifica sulla stessa ricadevano pertanto gli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro''.

    (In ombra sembra rimasta la posizione del comune quale soggetto committente e proprietario dei locali e delle strutture dell'impianto di depurazione).

    Per la condanna del datore di lavoro committente di fatto per infortunio mortale occorso a dipendente dell'impresa appaltatrice folgorato in un'industria estrattiva v., sub art. 3, paragrafo 13, Cass. 15 luglio 2022 n. 27575, ove si prendono in esame le norme degli artt. 9 D.Lgs. n. 624/1996 e 26 D.Lgs. n. 81/2008.

    Note a piè di pagina
    91
    Comma così modificato dall'art. 16, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma così modificato dall'art. 16, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    92
    Lettera così modificata dall'art. 16, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Lettera così modificata dall'art. 16, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    93
    Comma modificato dall'art. 16, comma 2, lett. a) e b), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, successivamente, così sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    Comma modificato dall'art. 16, comma 2, lett. a) e b), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, successivamente, così sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modif...Testo troncato, continua a leggere nel testo
    94
    Comma inserito dall'art. 16, comma 3, D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 e, successivamente, così sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    Comma inserito dall'art. 16, comma 3, D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 e, successivamente, così sostituito dall'art. 32, comma 1, lett. a), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla...Testo troncato, continua a leggere nel testo
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    Comma aggiunto dall'art. 16, comma 3 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma aggiunto dall'art. 16, comma 3 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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    Comma così modificato dall'art. 16, comma 4 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma così modificato dall'art. 16, comma 4 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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