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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. Il datore di lavoro effettua la valutazione ed elabora il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, nei casi di cui all'articolo 41.

    2. Le attività di cui al comma 1 sono realizzate previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

    3. La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, nel rispetto delle modalità di cui ai commi 1 e 2, nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali. Anche in caso di rielaborazione della valutazione dei rischi, il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell'aggiornamento delle misure di prevenzione e immediata comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. A tale documentazione accede, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.108

    4. Il documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), e quello di cui all'articolo 26, comma 3, devono essere custoditi presso l'unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi.

    5. Fermo restando quanto previsto al comma 6-ter, i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi di cui al presente articolo sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f). Fino alla scadenza del terzo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2012109, gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l'effettuazione della valutazione dei rischi. Quanto previsto nel precedente periodo non si applica alle attività di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonché g).110

    6. Fermo restando quanto previsto al comma 6-ter, i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all'articolo 6, comma 8, lettera f). Nelle more dell'elaborazione di tali procedure trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, e 4.111

    6-bis. Le procedure standardizzate di cui al comma 6, anche con riferimento alle aziende che rientrano nel campo di applicazione del titolo IV, sono adottate nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 28.112

    6-ter. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell'INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17 e 28 e al presente articolo. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 del presente articolo.113

    6-quater. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previo parere della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, sono individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17 e 28 e al presente articolo, tra i quali gli strumenti informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment).114

    7. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano alle attività svolte nelle seguenti aziende:

    a) aziende di cui all'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);

    b) aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto;

    c)115

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Violazione permanente in caso di omessa valutazione di un rischio - 2. Aggiornamento della valutazione del rischio - 3. Documento di valutazione dei rischi e piccole aziende - 4. Modelli semplificati di valutazione del rischio e procedure standardizzate .

    Il reato di omessa elaborazione del documento di valutazione del rischio, ``di natura propria ed omissiva, permane per tutto il periodo in cui gli ambienti siano adibiti a luogo di lavoro e il datore di lavoro non ottemperi all'obbligo di elaborare il relativo documento di valutazione del rischio. La mancata ottemperanza alle prescrizioni, imposte proprio per sollecitare l'adempimento all'obbligo violato, non può contraddittoriamente comportare la cessazione della permanenza che solo l'ottemperanza ad esse può produrre. Oltre alle considerazioni legate alla natura del bene tutelato (la vita e l'incolumità individuale dei singoli lavoratori per tutto il tempo in cui operano negli ambienti di lavoro), militano, a favore della natura permanente del reato, le considerazioni di ordine logico appena indicate. Ne consegue che la permanenza non cessa con l'adozione delle prescrizioni''.

    Una datrice di lavoro viene condannata alla pena di due mesi di arresto per la violazione dell'art. 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, per ``aver adottato un documento di valutazione dei rischi privo dei requisiti minimi richiesti''. Nel confermare la condanna, la Sez. III prende atto di una ``adozione meramente formale e non effettiva di un D.V.R., al pari della mancata effettuazione di una valutazione dei rischi lavorativi realmente presenti nell'ambito della realtà lavorativa diretta dall'imputata''.

    La Sez. III conferma la condanna di un datore di lavoro per il reato di cui agli artt. 29 e 55, comma 2, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008, ``per omessa valutazione dei rischi ed omessa elaborazione del relativo documento di cui all'articolo 17, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008: ``L'imputato aveva contestato quanto accertato dalla Asl sulla sussistenza di pericolo cancerogeno, accertamento attestante che la tipologia delle lavorazioni e delle materie prime utilizzate - da cui si sprigionavano polveri di legno duro - esponeva i lavoratori ai rischi biologici da cancerogeni mutageni di cui all'art. 268, comma 1, lettere c) e d), D.Lgs. n. 81/2008. L'obbligo da parte del datore di lavoro di tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro include l'ulteriore obbligo di effettuare il piano di valutazione dei rischi che è destinato a prevenire il pericolo che si origina dalla possibile esposizione agli agenti cancerogeni derivanti dalla esecuzione di determinate lavorazioni e non implica, pertanto, né è subordinato alla accertata sussistenza di un effettivo superamento dei parametri di sicurezza. La corte d'appello ha in primis ritenuto ininfluente l'accertamento di una tardiva redazione e tardiva consegna all'altro del documento di valutazione rischi - e ciò è ovviamente logico, poiché si trattava dell'accertamento dell'elemento soggettivo di un reato consumato prima delle suddette attività `riparatorie'. L'imputato aveva negato l'elemento soggettivo, oltre che adducendo un periodo di difficoltà economiche e aziendali (che ovviamente non possono incidere sulla primaria tutela della salute dei lavoratori), proprio con il fatto che la relazione sui rischi sarebbe stata consegnata all'Asl soltanto pochi giorni dopo la scadenza del termine per la protezione e con l'ulteriore rilievo della sufficienza di un elemento soggettivo colposo trattandosi di contravvenzione''.

    ``Le principali norme in tema di gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro, in termini tanto di misure di tutela e obblighi del gestore quanto di valutazione dei rischi, suggeriscono una valutazione che, muovendo da una individuazione astratta del rischio tipologico, passi poi a una considerazione dell'area di rischio da gestire con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione''. ``L'art. 29, comma 3, T.U., nel disciplinarne le modalità di effettuazione, prevede che la valutazione dei rischi debba essere immediatamente rielaborata, con conseguente rielaborazione del relativo documento di valutazione dei rischi, in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro, significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni ovvero quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità''.

    ``Si è sottolineata la natura non statica del DVR, che il datore di lavoro deve redigere nonché integrare e rivedere in occasione di ogni modifica apportata alle attrezzature utilizzate; inoltre, è stata disattesa la tesi difensiva dell'equipollenza tra il DVR e il manuale di istruzioni del macchinario, dovendo la valutazione del rischio consistere nell'analisi dei dati in funzione delle misure da adottare per eliminare o ridurre il rischio individuato''.

    ``Integra la violazione dell'obbligo del datore di lavoro di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro non soltanto l'omessa redazione del documento iniziale, ma anche il suo mancato, insufficiente o inadeguato aggiornamento od adeguamento, mentre l'imputato non ha adempiuto tale suo obbligo né all'inizio né nel corso dell'esecuzione dei lavori''.

    ``Il DVR è uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalia pratica giornaliera dell'attività lavorativa''.

    ``Il documento di valutazione dei rischi è uno strumento duttile, che deve essere adeguato e attualizzato, in relazione ai mutamenti sopravvenuti nell'azienda che sono potenzialmente suscettibili di determinare nuove e diverse esposizioni a rischio dei lavoratori. Incombe sul datore di lavoro l'onere di provvedere, non solo ad individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, ai fini della redazione del suddetto documento, ma anche di provvedere al suo aggiornamento''.

    ``A riguardo dell'omesso aggiornamento della valutazione dei rischi, imposto dall'evoluzione della tecnica di prevenzione e protezione, esso chiama in causa la possibilità di apportare al macchinario migliorie in grado di renderlo maggiormente sicuro. A tal proposito due i dati: il macchinario era stato realizzato nel 1982 ed il consulente aveva accertato che rispetto agli odierni standard di sicurezza esso era ormai obsoleto. Pertanto, anche se vennero eseguite degli interventi migliorativi, essi certamente non ovviarono al deficit tecnologico''.

    ``Le lesioni furono cagionate dal cattivo funzionamento del macchinario, che aveva indotto gli operai ad un lavoro più impegnativo e difficile di quello consueto: essi si dovevano occupare, infatti, anche del taglio di quelle parti di tessuto che dovevano essere tagliate dalla macchina. Tale lavoro era oggettivamente più pericoloso del precedente, ed imponeva, come tale, una specifica preparazione sui maggiori rischi connessi al guasto del macchinario e l'adozione di misure di sicurezza adeguate allo scopo. Il lavoratore infortunato era stato all'epoca del suo ingresso in azienda formato sui rischi inerenti la rifilatura manuale di pannelli già sagomati da una macchina tagliatrice: per fare ciò era stato dotato di un guanto di protezione e di un taglierino di piccole dimensioni. Il cattivo funzionamento della macchina aveva reso necessaria un'attività manuale più incisiva ed intensa, in quanto doveva essere impressa nel taglio del pannello una forza maggiore da parte del lavoratore addetto, tanto che il guanto antitaglio era risultato uno strumento di protezione insufficiente, circostanza dimostrata da pregressi simili infortuni verificatisi nonostante l'uso del guanto. La formazione svolta in passato e la scelta dello strumento individuale di protezione era risultata perciò insufficiente, mentre sarebbe stato necessario valutare il nuovo e maggiore rischio e considerare l'utilizzo di dispositivi di protezione con caratteristiche diverse, idonee a fronteggiare il mutamento e l'aumento di difficoltà del lavoro connessi al guasto del macchinario. Per rispettare lo standard giornaliero di produzione l'operazione di taglio manuale era divenuta più impegnativa e più rischiosa. A fronte delle mutate condizioni di lavoro il direttore di stabilimento è rimasto inerte. Per la gestione del taglio aggravato dalla macchina non funzionante occorreva invece una informazione appropriata sullo specifico rischio, doveva essere valutato se l'operazione di taglio dei pannelli (non la semplice rifilatura) potesse essere tutta affidata alla mano dell'uomo e se fossero necessari strumenti diversi dal piccolo cutter in dotazione. La valutazione del rischio 98 non era più attuale alle contingenze del momento e doveva essere adeguata al mutamento delle condizioni di lavoro. Le misure atte a prevenire il rischio di infortuni vanno infatti individuate in ragione delle peculiarità della sede di lavoro e progressivamente adattate in ragione del mutamento delle complessive condizioni di svolgimento delle singole mansioni, secondo un concetto `dinamico' del rischio, che impone l'adeguamento degli strumenti di protezione e l'aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto. Nel caso in esame il rischio nuovo era dovuto al guasto della macchina tagliatrice''.

    Sulla scorta degli artt. 18, comma 1, lettera z) e 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, la Sez IV afferma che ``l'aggiornamento dei documenti di valutazione è imposto quando si verificano mutamenti organizzativi o produttivi che hanno ricadute (rilevanza e significatività appaiono qui concetti sovrapponibili) sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori'', e che ``la normativa non richiede che si tratti di ricadute di particolare importanza'', ma ``è sufficiente che si sia determinato un aumento del rischio perché si imponga un aggiornamento dell'analisi del rischio''.

    All'interno di un Arsenale della Marina Militare, il dipendente di un'impresa appaltatrice impegnato sulle gradinate del bacino di carenaggio perdeva l'equilibrio e precipitava da un'altezza di circa sei metri. A titolo di omicidio colposo fu condannato l'amministratore delegato dell'impresa appaltatrice, per colpa consistita nell'``aver omesso di predisporre un adeguato documento di valutazione dei rischi che tenesse conto del pericolo di scivolamento e caduta dall'alto dei dipendenti impegnati sulle gradinate del bacino di carenaggio costruito all'interno dell'Arsenale, e, conseguentemente, di predisporre un idoneo sistema di trattenuta e protezione''. La Sez. IV conferma la condanna: ``L'imputato era perfettamente consapevole delle problematiche determinatesi, al punto di attivarsi al fine di promuovere un tentativo, nei confronti dei responsabili della marina militare, per ottenere, all'ultimo momento, la disponibilità di un sommozzatore. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza aveva confermato come nel corso di una riunione precedente al trasferimento dell'infortunato (alla quale ebbe a partecipare l'imputato), fu esposta la linea operativa dell'azienda, incline a ridurre i tempi ed il personale delle prove, in generale, perché costavano troppo. La corte d'appello ha correttamente sottolineato, a seguito dell'inedita situazione venutasi a creare per effetto dell'indisponibilità di un sommozzatore (situazione, dunque, non prevista nella documentazione relativa alla valutazione dei rischi originariamente predisposta), la necessità che i vertici della società dell'imputato adottassero tutte le ulteriori cautele indispensabili al fine di prevenire i prevedibili nuovi rischi per i lavoratori impegnati nell'incauta operazione che lo stesso imputato aveva comunque deciso di portare a termine; cautele eventualmente consistenti financo nel procrastinare i lavori ad altra data in attesa della disponibilità di un sommozzatore. Proprio l'imprudente decisione di procedere in ogni caso al compimento delle operazioni in esame costrinse l'infortunato ad organizzare autonomamente il lavoro da eseguire, assumendo impropriamente su di sé e sui suoi collaboratori l'opera di sistemazione delle 'panciere' - normalmente espletata dal sommozzatore a bacino pieno - sul fondo del bacino vuoto''.

    «L'art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008 prescrive che `la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata ... a seguito di infortuni significativi ...'. Se nel regime previgente il verificarsi di un infortunio non costituiva per il diritto positivo uno dei presupposti dell'obbligo di aggiornamento della valutazione dei rischi (l'art. 4, comma 7, D.Lgs. n. 626/1994 menzionava soltanto le modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori, non è mancata la valorizzazione giurisprudenziale della posizione di garanzia attribuita dall'ordinamento al datore di lavoro nei confronti della sicurezza dei lavoratori, si da ritenere imposto (dall'art. 4, comma 5, D.Lgs. n. 626/1994) l'aggiornamento delle misure di prevenzione non solo in presenza di mutamenti organizzativi e produttivi dell'impresa, ma ogni volta che fosse richiesto dagli obiettivi stabiliti dalla disciplina sulla sicurezza del lavoro». (Di grande interesse, sul punto, rimane Cass. 28 dicembre 2005, n. 47234, inedita, ove si precisa che «l'obbligo di aggiornamento previsto dall'art. 4, comma 5, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 non può ritenersi limitato solo a `mutamenti organizzativi e produttivi' riguardanti la struttura dell'impresa, ma va valutato sempre in relazione al fondamentale disposto dell'incipit del comma 5 [`il datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori']: in tale prospettiva, si tratta, quindi, di un obbligo assoluto, non essendo neppure ipotizzabile che il legislatore del 1994, nel rendere più rigoroso tutto il sistema normativo concernente la prevenzione infortuni, abbia consentito la permanenza di macchinari pericolosi per la sicurezza e la salute dei lavoratori»). «In questo quadro, il monitoraggio degli infortuni, in specie quelli determinanti lesioni gravi, rappresenta una premessa ineludibile per l'adempimento degli obblighi prevenzionistici (al di là degli scopi per i quali è stato istituito, con D.M. 12 settembre 1958, il cd. registro degli infortuni».

    Condannato per la violazione dell'obbligo di elaborazione del documento di valutazione del rischio, un datore di lavoro deduce a sua discolpa che egli «aveva provveduto a redigere un documento relativo alla sicurezza ed alla salute durante il lavoro» e che «il programma da adottare per migliorare nel tempo le misure di sicurezza, era stato già predisposto dalla società che era stata assorbita dalla società di cui l'imputato era l'attuale rappresentante legale», «ditta, quest'ultima, che svolgeva la stessa attività produttiva della prima ed esercitava la propria attività nella medesima sede della prima». Nel respingere il ricorso, la Sez. III prende atto che l'imputato «aveva omesso di predisporre il documento di elaborazione dei rischi, ivi compresa la programmazione delle misure da adottare per migliorare i livelli di sicurezza, come prescritto dagli artt. 15, 17, 29, D.Lgs. n. 81/2008, con conseguente sussistenza del relativo reato di cui all'art. 55, D.Lgs. n. 81/2008». Rileva come «il fatto che il documento relativo alla elaborazione dei rischi fosse stato redatto dalla precedente società assorbita, poi, dalla società dell'imputato, non esentava affatto la nuova società (subentrante alla prima) di predispone il documento di programmazione come richiesto dalla citata normativa (artt. 15, 17, 29, D.Lgs. n. 81/2008». Spiega che «trattasi di obbligo precipuo a carico del datore di lavoro (in relazione al documento inerente alla sicurezza nel lavoro) che deve essere sempre attuale e pertinente alle concrete condizioni di svolgimento dell'attività lavorativa sussistenti nell'azienda, anche al fine di garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza (art. 15, lettera f), D.Lgs. n. 81/2008)».

    Il titolare di una ditta di impermeabilizzazione fu dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994, per aver omesso di elaborare il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori.

    A sua discolpa, l'imputato deduce che, «a norma dell'art. 4, comma 11, D.Lgs. n. 626/1994, il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori è obbligatorio e soggetto a ispezione per le sole aziende che occupino più di dieci addetti», e che «nella specie non si sarebbe in alcun modo accertata la reale consistenza dell'azienda e il numero dei suoi dipendenti effettivamente occupati».

    La Sez. III non accoglie questa argomentazione difensiva. Premette che «il comma 11 dell'art. 4 cit. prevedeva effettivamente che il datore di lavoro delle aziende che occupassero fino a dieci addetti non era soggetto agli obblighi di cui ai commi 2 e 3 e quindi era esonerato, in particolare, dal predispone e tenere il documento di valutazione dei rischi nel contenuto di cui al comma 2; documento questo più complesso perché doveva contenere una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione suddetta; il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza». Sostiene che «ciò non esonerava anche il datore di lavoro dal predisporre e tenere il documento di valutazione dei rischi nel contenuto meno analitico di cui al comma 1; documento che doveva comunque contenere la valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro». Afferma che «l'obbligo di valutazione dei rischi e di elaborazione del relativo documento è ora confermato dagli artt. 17 e 28, D.Lgs. n. 81/2008 ed il successivo art. 29, comma 5, prevede parimenti modalità semplificate di adempimento di tale obbligo per i datori di lavoro che occupano fino a dieci dipendenti». Ne desume che c'è quindi continuità normativa con conseguente esclusione dell'abolitio criminis per effetto dell'abrogazione della disposizione recante l'incolpazione». Prende atto che «nella specie l'imputato non ha predisposto e tenuto alcun documento di valutazione dei rischi sicché distinzione puntualizzata nel ricorso non inficia la esattezza e legittimità della sentenza impugnata».

    (È da notare che, nel D.Lgs. n. 626/1994, l'art. 4, comma 2, disponeva che «all'esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente: a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a); c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza». Una connessione, questa, che sembra ricavarsi pure dal testo degli artt. 17, comma 1, lettera a), 28, commi 1 e 2, e 29, D.Lgs. n. 81/2008).

    Il titolare di uno studio odontotecnico viene condannato per la violazione degli artt. 28, comma 2, lettera a), e 55, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, in relazione all'art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 151/2001. A sua discolpa, l'imputato lamenta che ``il proprio studio occupava un'unica lavoratrice, e poiché il rischio di esposizione ad agenti chimici e biologici era basso, la valutazione dei rischi e l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione potevano essere effettuate secondo le procedure standardizzate di cui all'art. 6, comma 8, lett. f), D.Lgs. n. 81/2008''. La Sez. III osserva che ``le sanzioni penali previste nel caso di omessa, o incompleta, valutazione dei rischi operano anche nei confronti dei datori di lavoro che occupino fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende, non esonerano il datore di lavoro dai relativi obblighi''. Spiega che, ``anche in queste ipotesi, le modalità pur semplificate di adempimento dell'obbligo di valutazione richiedono l'individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi'', in quanto ``il contenuto qualificante e minimo del documento di valutazione dei rischi deve essere costituito, oltre che da una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa, anche dall'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati''. Precisa che ``lo schema allegato al decreto interministeriale 30 novembre 2012 mira a semplificare la procedura di valutazione dei rischi nelle aziende che occupano sino a dieci dipendenti, ma non abbandona certo - anzi, la richiama - l'esigenza di specificità calata nella concreta realtà lavorativa cui il documento si riferisce''. Sottolinea in proposito che ``lo schema allegato: al Passo n. 1 richieda la descrizione dell'azienda, del ciclo lavorativo e delle attività e mansioni svolte dai lavoratori; al Passo n. 2 preveda l'individuazione dei pericoli presenti in azienda; al Passo n. 3 postuli la valutazione dei rischi associati ai pericoli individuati e la identificazione delle misure di prevenzione e protezione attuate con particolare riguardo alle mansioni ricoperte dalle persone esposte e degli ambienti di lavoro interessati in relazione ai pericoli individuati''.

    Un datore di lavoro fu condannato per il reato di cui agli artt. 29, comma 1, e 55, comma 1, lett. a), D.Lgs.n. 81/2008, ``per non aver elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi (DVR) in relazione, in un cantiere edile, al rischio dovuto alla movimentazione manuale dei carichi, con particolare riguardo agli arti superiori, omettendo di indicare le misure preventive da adottarsi nelle specifiche situazioni''. A sua discolpa, lamenta che, ``cercando anche di ottemperare alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza, l'imputato aveva fatto redigere il DVR da un geometra, con l'ausilio del medico competente'', e che ``esso era conforme alle prescrizioni di legge, in particolare, trattandosi di azienda che occupa sino a dieci dipendenti, alle procedure standardizzate di cui all'art. 6, comma 8, lett. f), D.Lgs.n. 81/2008 ed alle prescrizioni previste dal medesimo decreto, e dall'allegato XXXIII, con riguardo alla movimentazione manuale dei carichi''. Aggiunge che, ``non essendovi norme tecniche particolari da applicarsi, era necessario fare riferimento alle `buone prassi' e alle `linee-guida' definite all'art. 2, comma 1, lett. v) e z), D.Lgs.n. 81/2008''. La Sez. III non è d'accordo. Anzitutto, sottolinea che ``il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 D.Lgs. n. 81/2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori''. E precisa che ``il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia''. Ciò premesso, la Sez. III afferma che ``il reato previsto dall'art. 29, comma 5, D.Lgs.n. 81/2008 punisce l'omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori da parte del datore di lavoro anche con riguardo alle aziende che occupino fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende, non esonerano il datore di lavoro dall'obbligo di predisporre e tenere il predetto documento''. Precisa che ``anche in queste ipotesi, le modalità pur semplificate di adempimento dell'obbligo di valutazione richiedono l'individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi''. Aggiunge che, ``a norma dell'art. 28, comma 2, lett. a) e b), D.Lgs.n. 81/2008, il contenuto qualificante e minimo del DVR deve quantomeno contemplare `una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l'attività lavorativa' - ed i criteri di semplicità, brevità e comprensibilità che la disposizione richiama non possono andare a discapito della completezza e dell'idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione - e `l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati'''. Prende atto che, alla stregua della sentenza impugnata, ``il DVR, pur dopo le prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza per ovviare alla ancor più marcata inadeguatezza di un originario documento esibito, si limitava ad elencare del tutto genericamente i fattori di rischio concernenti la movimentazione manuale dei carichi, senza specificare gli interventi atti a ridurre od eliminare gli stessi, sì che l'adempimento normativo era privo di qualsiasi concreta portata''. Quanto poi alla ``allegazione circa il fatto che sarebbero state seguite le procedure standardizzate di cui all'art. 6, comma 8, lett. f), D.Lgs.n. 81/2008'', rileva che l'imputato non ha ``allegato quali sarebbero state le procedure standard approvate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nella specie osservate''.

    Il legale rappresentante di una s.r.l. esercente un pub fu condannato ``per avere omesso di assicurare ai lavoratori adeguate informazioni in merito alle procedure di emergenza (art. 36, comma 1, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. l, e 55, comma 5, lett. c, D.Lgs. n. 81/2008), di provvedere affinché i lavoratori incaricati alle attività di emergenza antincendio ricevessero una formazione all'uopo adeguata (art. 37, comma 9, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. l, e 55, comma 5, lett. c, D.Lgs. n. 81/2008), di aggiornare/elaborare il documento di valutazione del rischio incendio e/o esplosione (art. 17, comma 1, lett. a, e 55, comma 4, D.Lgs n. 81/2008)''. A sua discolpa, l'imputato, con riguardo al documento di valutazione del rischio, richiama ``la procedura semplificata contenuta nel `decreto del fare' in G.U. 23 agosto 2013'', e rileva che ``nei ristoranti il rischio incendi è basso''. Aggiunge che ``l'art. 55 del D.Lgs n. 81/2008 richiamato dall'art. 17, comma 1, lettera a), fa riferimento agli `infortuni sul lavoro', sicché deve ritenersi fuori luogo il riferimento `all'afflusso di pubblico' di cui parla la sentenza impugnata''. Spiega che ``la normativa in questione fa riferimento proprio agli infortuni sul lavoro, per cui va parametrata al rischio connesso al lavoro e non al fatto che vi sia o meno il pubblico nell'esercizio commerciale''. Ne desume ``l'applicazione della semplificazione normativa successivamente intervenuta, in quanto più favorevole''. La Sez. III ribatte che ``il documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, previsto dall'art. 28, D.Lgs. n. 81/2008, è applicabile a tutte le tipologie di rischio e a tutti i settori pubblici o privati, ivi comprese le attività di ristorazione'', e che ``tale principio trova il suo fondamento nell'ampia formulazione dell'art. 3 del D.Lgs. n. 81/2008, secondo cui, appunto, `il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio'''. Ne ricava ``l'obbligo del prescritto documento anche per l'attività di pub con attività accessoria di piccoli intrattenimenti, esercitata dalla s.r.l.''. (Circa l'applicabilità del D.Lgs. n. 81/2008 a ristoranti, bar, circoli privati v. anche Cass. 31 agosto 2012, n. 33567, ove si precisa che ``l'obbligo per il datore di lavoro di elaborare un documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, di cui all'art. 28, D.Lgs. n. 81/2008 si applica, ex art. 3, D.Lgs. n. 81/2008, a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio, ivi compresa l'attività di ristorazione''). La Sez. III, poi, precisa che ``la tesi sostenuta dall'imputato fa leva su un'interpretazione meramente formalistica del concetto di `infortunio', limitandolo solo a prestatore di lavoro ed escludendo del tutto irragionevolmente i soggetti che comunque frequentano i luoghi, in tal modo non considerando che lo scopo perseguito dalla norma è più in generale la tutela dal rischio `incendi', a cui non si sottraggono certamente i locali ove si prevede l'afflusso di pubblico connessa alla ristorazione e all'intrattenimento''. Prende atto che, nel caso di specie, ``è stata accertata - sulla scorta dei rilievi dei Vigili del Fuoco in sede di ispezione - l'inadeguatezza del documento rispetto al modo di fronteggiare i rischi di incendio e di esplosione''. Ne trae che, ``trattandosi di attività con accesso e permanenza di pubblico, il rischio infortunistico collegato all'evenienza incendi non poteva essere classificato come `basso', per cui si rendeva necessaria la previsione di vie di fuga agevoli in caso di uscita rapida per il pubblico''. Esclude ``l'applicabilità della procedura semplificata prevista dal `decreto del fare', che `attiene ai settori professionali che presentano minore fattore di rischio infortuni'''. Nota che ``l'art. 32 del D.L. 21 giugno 2013 n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, prevede il modello semplificato per le attività `a basso rischio' di infortuni''. (È da sottolineare che, in forza dell'art. 29, comma 6-ter, D.Lgs. n. 81/2008, introdotto dall'art. 32, comma 1, lett. b), D.L. n. 69/2013, convertito dalla legge n. 98/2013, ``Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell'INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda. Il decreto di cui al primo periodo reca in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi di cui agli artt. 17 e 28 e al presente articolo. Resta ferma la facoltà delle aziende di utilizzare le procedure standardizzate previste dai commi 5 e 6 del presente articolo'').

    Note a piè di pagina
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    Per il differimento del termine di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l'art. 8, comma 12, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122; vedi, anche, il comma 15-bis del medesimo art. 8, D.L. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.
    Per il differimento del termine di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l'art. 8, comma 12, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2...Testo troncato, continua a leggere nel testo
    108
    Comma così sostituito dall'art. 19, comma 1, lett. a), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 e, successivamente, così modificato dall'art. 13, comma 1, lett. b), L. 30 ottobre 2014, n. 161.
    Comma così sostituito dall'art. 19, comma 1, lett. a), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 e, successivamente, così modificato dall'art. 13, comma 1, lett. b), L. 30 ottobre 2014, n. 161.
    109
    Per la proroga del presente termine vedi l'art. 1, comma 388, L. 24 dicembre 2012, n. 228.
    Per la proroga del presente termine vedi l'art. 1, comma 388, L. 24 dicembre 2012, n. 228.
    110
    Comma così modificato dall'art. 1, comma 2, D.L. 12 maggio 2012, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2012, n. 101, e, successivamente, dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 1), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    Comma così modificato dall'art. 1, comma 2, D.L. 12 maggio 2012, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2012, n. 101, e, successivamente, dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 1), D.L....Testo troncato, continua a leggere nel testo
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    Comma così modificato dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 1), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    Comma così modificato dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 1), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    112
    Comma inserito dall'art. 19, comma 1, lett. b), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma inserito dall'art. 19, comma 1, lett. b), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    113
    Comma inserito dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 2), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    Comma inserito dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 2), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
    114
    Comma inserito dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 2), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, e, successivamente, così sostituito dall'art. 20, comma 1, lett. f), D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, a decorrere dal 24 settembre 2015, ai sensi di quanto disposto dall'art. 43, comma 1 del medesimo D.Lgs. n. 151/2015. In attuazione di quanto disposto dal presente comma vedi il D.M. 23 maggio 2018, n. 61.
    Comma inserito dall'art. 32, comma 1, lett. b), n. 2), D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, e, successivamente, così sostituito dall'art. 20, comma...Testo troncato, continua a leggere nel testo
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    Lettera soppressa dall'art. 19, comma 1, lett.c), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Lettera soppressa dall'art. 19, comma 1, lett.c), D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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