1. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda.
2. La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione di cui al comma 1 sono definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.126 Entro il 30 giugno 2022, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano adotta un accordo nel quale provvede all’accorpamento, alla rivisitazione e alla modifica degli accordi attuativi del presente decreto in materia di formazione, in modo da garantire:
a) l’individuazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione obbligatoria a carico del datore di lavoro;
b) l’individuazione delle modalità della verifica finale di apprendimento obbligatoria per i discenti di tutti i percorsi formativi e di aggiornamento obbligatori in materia di salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità delle verifiche di efficacia della formazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa;127
b-bis) il monitoraggio dell’applicazione degli accordi in materia di formazione, nonché il controllo sulle attività formative e sul rispetto della normativa di riferimento, sia da parte dei soggetti che erogano la formazione, sia da parte dei soggetti destinatari della stessa.128
3. Il datore di lavoro assicura, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del presente decreto successivi al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui al periodo che precede è definita mediante l'accordo di cui al comma 2.
4. La formazione e, ove previsto, l'addestramento specifico devono avvenire in occasione:
a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell'inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
b) del trasferimento o cambiamento di mansioni;
c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e miscele pericolose129.
5. L'addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro.
6. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all'evoluzione dei rischi o all'insorgenza di nuovi rischi.
7. I dirigenti e i preposti ricevono a cura del datore di lavoro, un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente comma comprendono:130
a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
b) definizione e individuazione dei fattori di rischio;
c) valutazione dei rischi;
d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione.
7-bis. La formazione di cui al comma 7 può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all'articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori.131
8. I soggetti di cui all'articolo 21, comma 1, possono avvalersi dei percorsi formativi appositamente definiti, tramite l'accordo di cui al comma 2, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
9. I lavoratori incaricati dell'attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza devono ricevere un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico; in attesa dell'emanazione delle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 46, continuano a trovare applicazione le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998, pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo dell'articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
10. Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.
11. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi: a) principi giuridici comunitari e nazionali; b) legislazione generale e speciale in materia di salute e sicurezza sul lavoro; c) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; d) definizione e individuazione dei fattori di rischio; e) valutazione dei rischi; f) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione; g) aspetti normativi dell'attività di rappresentanza dei lavoratori; h) nozioni di tecnica della comunicazione. La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda e le conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, con verifica di apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell'obbligo di aggiornamento periodico, la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori.
12. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività del datore di lavoro, durante l'orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.132
13. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ove la formazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene previa verifica della comprensione e conoscenza della lingua veicolare utilizzata nel percorso formativo.
14. Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento delle attività di formazione di cui al presente decreto sono registrate nel libretto formativo del cittadino di cui all'articolo 2, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, se concretamente disponibile in quanto attivato nel rispetto delle vigenti disposizioni. Il contenuto del libretto formativo è considerato dal datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica degli obblighi di cui al presente decreto.133
14-bis. In tutti i casi di formazione ed aggiornamento, previsti dal presente decreto legislativo per dirigenti, preposti, lavoratori e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in cui i contenuti dei percorsi formativi si sovrappongano, in tutto o in parte, è riconosciuto il credito formativo per la durata e per i contenuti della formazione e dell'aggiornamento corrispondenti erogati. Le modalità di riconoscimento del credito formativo e i modelli per mezzo dei quali è documentata l'avvenuta formazione sono individuati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentita la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6. Gli istituti di istruzione e universitari provvedono a rilasciare agli allievi equiparati ai lavoratori, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a), e dell'articolo 37, comma 1, lettere a) e b), del presente decreto, gli attestati di avvenuta formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro.134
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: Premessa. La formazione come opportunità - 1. Formazione dei lavoratori preventiva, continuativa, effettiva, specifica - 2. Formazione dei lavoratori e politica aziendale della sicurezza - 3. Formazione del lavoratore somministrato - 4. Delega impropria dell'obbligo formativo al lavoratore esperto - 5. Formazione del lavoratore esperto - 6. Formazione e rischi non connessi alle mansioni specifiche - 7. Formazione dei lavoratori e ruolo del preposto - 8. Un semplice divieto - 9. Documentazione della formazione e Accordo Stato-Regione - 10. Formazione e prassi pericolosa - 11. Formazione dei lavoratori su rischi derivanti da attività di altri - 12. Formazione di dirigenti e preposti di diritto e di fatto - 13. Formazione fast training - 14. Formazione dell'autista e patente di guida - 15. Formazione e rischi eccezionali - 16. Il cambio di mansione e le mansioni instabili - 17. Addestramento ed esercitazioni a freddo - 18. Un reato permanente - 19. Attestato e formazione - 20. Il perfetto formatore - 21. Formazione come mera trasmissione di sapere tecnico astratto - 22. Formazione dei lavoratori tra onere della prova e onere di allegazione - 23. Falso attestato di partecipazione ai corsi di formazione .
La formazione dei lavoratori non è soltanto un obbligo, ma è anche un'opportunità. In forza dell'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, ogni lavoratore deve, sì, prendersi cura della propria e altrui salute e sicurezza, ma ``conformemente alla sua formazione''. Dunque, il lavoratore, in tanto si trasforma da mero creditore di sicurezza in debitore di sicurezza, in quanto venga formato. E si badi effettivamente formato. Altrimenti, il datore di lavoro si sentirà dire dalla Cassazione quel che gli dice:
``Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore'' (conformi, ad es., Cass. pen. 31 ottobre 2023 n. 43708; Cass. pen. 19 maggio 2023 n. 21466; Cass. pen. 14 aprile 2023 n. 15794; Cass. pen. 8 febbraio 2023 n. 5402; Cass. pen. 19 ottobre 2022 n. 39489; Cass. pen. 30 agosto 2022 n. 31879; Cass. pen. 23 maggio 2022 n. 20035).
Ne desumiamo che l'impresa sapiente provvede a curare l'effettiva formazione del lavoratore. Perché in questo modo erige un argine difensivo tutt'altro che esile nella frequente ipotesi in cui il lavoratore infortunato abbia tenuto una condotta imprudente, trascurata, inottemperante. Emblematica la vicenda narrata da:
Un dipendente di una s.r.l. addetto all'erogazione presso un distributore di gas naturale viene condannato per omicidio colposo, ``per aver trasgredito il divieto di compiere di propria iniziativa operazioni pericolose per la sicurezza sua o di altri lavoratori e per non aver osservato il divieto di erogare metano per rifornire distributori mobili utilizzando gli erogatori destinati al rifornimento dei veicoli'', e ``a causa di tali trasgressioni, avrebbe riempito di gas una bombola appartenente a una persona che si era recata presso l'impianto con la sua autovettura''. Con la conseguenza che ``l'utilizzo della pistola di un distributore destinato al rifornimento delle autovetture (reso possibile dall'impiego di un particolare adattatore) aveva ingenerato una elevata pressione che faceva esplodere la bombola, cagionando la morte del proprietario della bombola''. Per omicidio colposo viene condannato anche il titolare datore di lavoro della s.r.l., ``avendo omesso di fornire al dipendente la necessaria informazione e formazione, generica e specifica in ordine alle mansioni affidategli''. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna, oltre che del dipendente, anche del datore di lavoro: ``Non può trascurarsi un elemento, inerente alla contestazione delle aggravanti (con particolare riguardo a quella contestata al dipendente ai sensi dell'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008): avendo la Corte d'appello ritenuto che vi fosse stata una carenza formativa/informativa da parte del datore di lavoro nei confronti del dipendente, andava approfondito in quali termini potesse imputarsi a quest'ultimo di avere trasgredito il divieto di compiere operazioni o manovre che non fossero di sua competenza o che potessero compromettere la sicurezza sua o di altri lavoratori: addebito, questo, che postulerebbe l'acquisizione di elementi formativi/informativi riferiti a tale divieto''.
Condannato per omicidio colposo in danno di dipendente addetto a un trattore, il datore di lavoro nega la contestata violazione dell'art. 37, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008 in combinato disposto con l'art. 49, comma 5, D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276. Osserva, infatti, che, ``al momento della verificazione del sinistro non fosse ancora consolidata la normativa che impone lo svolgimento di 120 ore di formazione del lavoratore.'', e che ``la disciplina allora vigente prevedeva che la formazione potesse essere effettuata sia in aula che sul luogo di lavoro, potendo anche essere fornita dal datore di lavoro in maniera libera, nel rispetto della durata minima di quattro ore''. Precisa che ``non solo aveva fatto svolgere al lavoratore corsi di formazione per complessive sei ore, ma aveva anche sottoposto il lavoratore a numerose ulteriori ore di apprendistato, svolte, in maniera continuativa e quotidiana, direttamente sui luoghi di lavoro''. La Sez. IV ribatte: ``L'indicata disposizione, al momento del fatto, era perfettamente vigente, conseguentemente imponendo al datore di lavoro l'onere, da questi non osservato, di sottoporre il lavoratore alle proprie dipendenze ad un periodo formativo almeno corrispondente al monte ore minimo indicato dalla suddetta previsione normativa''.
Infortunio occorso a operaio saldatore addetto a una pressa. Condanna del datore di lavoro per ``carenza di formazione specifica del lavoratore, destinato ad una mansione diversa dalla propria per la quale non era stato addestrato''. La Sez. IV sottolinea ``il mancato rispetto delle specializzazioni, cosicché il lavoratore non aveva avuto una specifica formazione ed informazione in relazione all'utilizzo della pressa''.
Sulle prime, a una lettura superficiale, il Decreto Trasparenza 27 giugno 2022 n. 104 suscitò sorpresa, là dove all'art. 4. comma 3, secondo periodo, stabilisce che alcune informazioni, tra cui ``il diritto a ricevere la formazione erogata dal datore di lavoro, se prevista'', possono essere rese entro un mese dall'inizio della prestazione lavorativa. La sorpresa si è dissipata, a fronte del successivo art. 11 che al comma 3 si preoccupa di precisare che ``restano ferme le disposizioni di cui agli articoli 36 e 37 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81''. E in forza dell'art. 37, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008, ``la formazione e, ove previsto, l'addestramento specifico devono avvenire in occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell'inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro; b) del trasferimento o cambiamento di mansioni''.
Pertanto, la Sez. IV conferma la condanna di un datore di lavoro per l'infortunio occorso a un dipendente che ``prestava attività lavorativa, in regime di somministrazione, con contratto di assunzione di somministrazione di lavoro a tempo determinato'' e che fu adibito ``nella prima giornata di lavoro anche allo stampaggio a piastre mediante pressa idraulica'', con violazione, altresì, dell'art. 37, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 ``per aver omesso di assicurare che ciascun lavoratore ricevesse una formazione sufficiente e adeguata con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda'', e, ``in particolare, per non aver assicurato che il lavoratore ricevesse prima dell'assegnazione una formazione sufficiente e adeguata''. Con la conseguenza che ``il lavoratore, durante l'effettuazione della lavorazione comandata, operando alla pressa, dopo aver inserito nello stampo l'ennesima piastra e aver premuto il pedale per lo stampaggio, e dopo essersi accorto di non aver posizionato correttamente la piastra, aveva istintivamente allungato la mano sinistra per correggere il posizionamento mentre lo stampo raggiungeva il controstampo, con conseguente schiacciamento dell'estremità della mano sinistra''. A sua discolpa, l'imputato deduce che, ``essendo il primo giorno di lavoro, il datore non avrebbe avuto il tempo di formare adeguatamente il lavoratore''. Ma la Sez. IV ribatte che questa deduzione ``sostiene il giudizio espresso dalla Corte d'appello circa la condotta colposa del datore, piuttosto che confutare tale giudizio''. E spiega che ``l'attività di formazione del lavoratore, alla quale è tenuto il datore di lavoro, deve necessariamente precedere l'adibizione del lavoratore alle mansioni per le quali è stato assunto'', né ``può essere esclusa dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, né dal travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro''.
``Le ore dedicate alla formazione e il carattere teorico, generico e pluridisciplinare della stessa e la modestia degli interventi su cabine a media tensione, a fronte della specificità della formazione richiesta dalla normativa comunitaria compendiata nella disciplina CEI 11-27 e dei diversi livelli di approfondimento richiesti per conseguire una tale qualifica, non giustificavano la elezione del lavoratore infortunato a persona esperta per le lavorazioni e rendevano del tutto cartolare e non corrispondente al grado di formazione richiesto dalla norma, la qualifica conferita''. ``Il datore di lavoro deve non solo predisporre idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle, dopo avere somministrato al lavoratore una adeguata formazione sull'utilizzo dei presidi e sui rischi connessi alle lavorazioni cui il lavoratore è chiamato a partecipare''. (In senso conforme Cass. 22 luglio 2022 n. 29025).
``L'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro, in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro''. ``L'opera formativa deve trovare un completamento nella vigilanza, nel senso che spetta al datore di lavoro, non solo istruire il lavoratore sulle regole da osservare, ma anche controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle''. ``Non può venire in soccorso del datore di lavoro il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi''. (Conformi, ad es., Cass. 19 febbraio 2021, n. 6486, Cass. 17 novembre 2020, n. 32194, e Cass. 15 febbraio 2021, n. 5776).
Nell'addebitare al committente di lavori intra-aziendali e al datore di lavoro dell'impresa appaltatrice l'inadempimento degli obblighi formativi, la Sez. IV pone in risalto che ``i corsi di formazione erano tenuti in lingua italiana nonostante i dipendenti impiegati nell'azienda fossero per la maggior parte stranieri e, soprattutto, che la formazione non teneva conto della differenza tra le mansioni svolte dai lavoratori, ma forniva delle indicazioni generali sul complesso delle lavorazioni compiute negli stabilimenti''. Prende atto del ``regolare svolgimento dei corsi''. Ma rileva che ``i corsi - per come effettivamente organizzati - non erano idonei a formare i lavoratori in ordine allo svolgimento delle specifiche mansioni cui erano preposti e ad informarli in merito al complesso dei rischi connessi non solo alla propria attività, ma anche alle ulteriori operazioni inevitabilmente interferenti con le lavorazioni di propria competenza''. Rileva che ``tale conclusione non risulta smentita da nessuno dei testimoni richiamati dalla difesa, limitatisi a confermare il regolare svolgimento dei corsi, ma non certamente la completezza e la specificità degli stessi con riferimento alle singole mansioni attribuite ai lavoratori e ai rischi insiti nelle lavorazioni e nelle attività connesse''. Ancora precisa che ``i corsi di formazione predisposti dagli imputati, sebbene svolti con cadenza trimestrale, non potevano ritenersi sufficienti a garantire ai lavoratori un idoneo livello di preparazione e informazione perché secondo quanto emerso da plurime testimonianze avevano carattere generale e poco approfondito, non prevedevano insegnamenti differenziati per le singole mansioni attribuite ai dipendenti, erano tenuti soltanto in lingua italiana anche se rivolti ad una compagine di lavoratori stranieri per buona parte incapaci di comprendere l'italiano e, soprattutto, non facevano alcun riferimento ai rischi `collaterali' insiti in talune lavorazioni per loro natura inclini a subire interferenze estranee rispetto all'ordinaria attività svolta dai lavoratori''. Nota, altresì, che ``questi rischi non erano stati considerati neppure nel DUVRI, assolutamente generico e privo di riferimenti concreti a qualsiasi procedura di sicurezza''. (Sui corsi di formazione inadeguati v. pure Cass. 6 novembre 2018, n. 50000 al paragrafo 17; circa la formazione del lavoratore straniero Cass. 29 ottobre 2020 n. 29947).
``La condizione di apprendista del lavoratore avrebbe dovuto indurre il datore di lavoro ad essere particolarmente attento e zelante nel renderlo edotto dei relativi rischi''.
L'art. 37, D.Lgs. n. 37/2008 sviluppa ulteriormente l'esigenza di effettività della formazione già posta in luce dal corrispondente art. 22, D.Lgs. n. 626/1994. Di grande attualità sono, pertanto, le indicazioni date dalla Corte Suprema in questi ultimi anni e volte a mettere in luce l'esigenza che la cultura della sicurezza sia realmente vissuta come una chiave di volta del sistema di prevenzione, e non come un comodo alibi dietro cui mascherare una sostanziale fuga dagli obblighi di protezione nei luoghi di lavoro:
``L'esaustiva formazione, risultante dalle prove, non esclude, comunque, l'assenza di un controllo continuo e pressante per imporre ai lavoratori il rispetto delle norme di sicurezza. Il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle''.
``Gli adempimenti in materia di formazione ed informazione dei lavoratori sono stati superficiali e non adeguati rispetto alle specifiche mansioni che l'infortunato in concreto svolgeva. La formazione non era adeguata in quanto non esaustiva di tutti i rischi lavorativi''.
Una generica attività formativa ed informativa era stata effettuata all'interno dell'azienda (e di ciò facevano fede, oltre alla deposizione del teste, gli attestati di partecipazioni ai corsi di formazione in materia di sicurezza, le norme comportamentali per i processi produttivi redatte per iscritto e le disposizioni generali di sicurezza consegnate in copia ai dipendenti, nonché il piano di emergenza interno)''. Ma subito fa notare che ``dalla lettura di detti documenti risultava come nulla di specifico era stato trasmesso ed acquisito al bagaglio informativo dei lavoratori, con particolare riguardo alle modalità di movimentazione delle cisterne contenenti liquidi infiammabili (ivi compresa la necessità di privarle della prolunga del tubo di deflusso) e alle procedure da adottare per evitare, in caso di spandimento, il prevedibile rischio di un incendio''. Né a diversa conclusione poteva condurre la generica deposizione del responsabile della logistica della società, in quanto costui non aveva precisato ``nello specifico quali erano state le indicazioni e le concrete istruzioni fornite a riguardo ai lavoratori, quali rischi aveva attenzionato per l'ipotesi di errata movimentazione di carichi, quali precauzioni aveva suggerito per far fronte a situazioni di emergenza''. La Sez. IV esamina anche le modalità di comportamento individuate dall'azienda in caso di gravi eventi, quali incendi, esplosioni, crolli e fughe di prodotti chimici pericolosi, a prescindere dalle cause scatenanti (c.d. piano di emergenza interno), e rileva “come le istruzioni fornite in caso di spandimento di prodotti chimici infiammabili fossero assolutamente carenti ed imprecise, laddove prevedevano genericamente, per un verso, la possibilità per i dipendenti di intervenire, dopo aver dato l'allarme, utilizzando `mezzi di pronto intervento', per l'altro autorizzavano i singoli lavoratori interessati a scegliere se e con quali modalità farvi fronte”. Dunque, “istruzioni per gestire le situazioni di grave emergenza del tutto generiche ed imprecise, mentre in un contesto lavorativo come quello della società, caratterizzato da altissima pericolosità per la natura dei materiali trattati, era assolutamente indispensabile dettare procedure quanto più possibile precise e stringenti, senza lasciare margini di discrezionalità d'azione ai singoli dipendenti di volta in volta interessati”.
``Il compito dei datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori - e dalla conseguente necessità di adottare certe misure di sicurezza - alla predisposizione di queste misure (con obbligo, quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, di mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore), e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro''. (V. anche, per tutte, Cass. 23 settembre 2016, n. 39483; Cass. 11 agosto 2015, n. 34818; Cass. 22 giugno 2015, n. 26294).
L'Accordo Stato-Regioni n. 128 del 7 luglio 2016 riserva più di una sorpresa. E la prima è che l'Accordo è intitolato, ed è noto come ``Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modificazioni''. Solo che, ad una meno distratta analisi dei suoi contenuti, ci si accorge che l'Accordo è in realtà una sorta di omnibus, in quanto allarga la propria visuale ad altri destinatari della formazione, e, in particolare, considera anche la formazione dei lavoratori, provvedendo a introdurre disposizioni modificative dell'Accordo del 21 dicembre 2011. Ed è proprio qui che si coglie un'ulteriore, amara sorpresa. Istruttiva è la lettura dell'Allegato V nell'Accordo 2016. Ne desumiamo, in primo luogo, che, per i lavoratori, l'erogazione in e-learning è possibile sia nei corsi di formazione base per la formazione generale e specifica nelle aziende a basso rischio (indicate nella tabella di cui all'allegato Il dell'Accordo del 21 dicembre 2011), sia nei corsi di aggiornamento, e sono dunque ormai superate in proposito le indicazioni date dall'Interpello n. 4 del 21 marzo 2016 della Commissione per gli Interpelli istituita presso il Ministero del Lavoro. Ma soprattutto dall'Allegato V desumiamo che, per i lavoratori, la verifica dell'apprendimento non è prevista nei corsi di aggiornamento, e nemmeno nei corsi di formazione base. Con un'unica, in definitiva singolare, eccezione: proprio quelle aziende a basso rischio in cui il corso per la formazione generale e speciale sia stata erogato in e-learning. Già l'Accordo del 21 dicembre 2011 si prestava alla critica sotto questo profilo. Mai come in questi ultimi tempi, sulla scorta del TUSL, la giurisprudenza ha approfondito il tema, prendendo le mosse dall'art. 20, comma 1, TUSL: ``ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni''. Come chiarisce la Corte Suprema, questa norma introduce un basilare principio, la trasformazione del lavoratore da mero creditore di sicurezza in debitore di sicurezza. A una condizione, però: che, secondo quanto esplicitamente stabilisce lo stesso art. 20, comma 1, TUSL, il lavoratore sia formato. E si badi: effettivamente formato. Altrimenti, il datore di lavoro si sentirà dire quel che la Cassazione continuamente rimprovera in caso d'infortunio: il lavoratore infortunato fu negligente, ma questa negligenza è il frutto dell'inadempimento dell'obbligo di formazione gravante sul datore di lavoro. Ecco perché la Suprema Corte tanto insiste sull'effettività della formazione. Infatti, in base all'art. 37 TUSL, insegna costantemente che ``è obbligo dei responsabili della sicurezza attivarsi per controllare fino alla pedanteria che i lavoratori assimilino le norme antinfortunistiche nell'ordinaria prassi di lavoro'', e che ``i soggetti responsabili della sicurezza dei lavoratori, in quanto garanti dalla integrità fisica del lavoratore, devono attivarsi e controllare che le regole di sicurezza siano assimilate dai lavoratori e rispettate nella ordinaria prassi di lavoro''. Dunque, una duplice esigenza: verifica dell'apprendimento; e vigilanza sul campo. L'Accordo del 2016 non soddisfa l'una, né l'altra esigenza. Sotto questo profilo, contrasta con la norma gerarchicamente sovraordinata dell'art. 37 TUSL, così come interpretato dalla Suprema Corte, ed è, dunque, illegittimo. In ogni caso, l'impresa non sarebbe accorta se si lasciasse sfuggire un'occasione tanto propizia per trasformare i propri lavoratori da meri creditori in debitori di sicurezza.
«L'addebito che fonda la responsabilità del datore di lavoro attiene alla formazione del lavoratore, alla sua informazione in ordine alla gestione dei rischi tipici del lavoro svolto, nonché alla predisposizione degli strumenti di protezione prescritti. Ne discende che tali doveri, essendo afferenti alla complessiva organizzazione aziendale e alla sua sicurezza, non possono non gravare in prima persona sul datore di lavoro».
«Il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità, per aver tollerato (e di fatto avallato) la mancata effettuazione dei corsi di addestramento per i neo-assunti che avrebbero reso necessario l'impiego di risorse finanziarie e la riduzione delle ore di lavoro attivo degli operai, trattandosi di scelte in materia di organizzazione gestionale, facente capo esclusivamente al suddetto imputato in posizione apicale». (Nel caso di specie, un infortunio mortale fu addebitato sia al presidente del consiglio di amministrazione della società datrice di lavoro, sia al RSPP, per colpa ravvisata «nella mancata formazione e nel mancato addestramento dell'operaio», e, in particolare, nel «mancato svolgimento di apposti corsi di formazione, previsti solamente sulla carta», ed, invece, «significativamente tenuti ed organizzati solo dopo questo infortunio»).
Oltre a Cass. pen. 3 novembre 2022 n. 41349 (retro, sub paragrafo 1) e a Cass. pen. 4 agosto 2023 n. 34348 (sub art. 3, paragrafo 2):
Infortunio subito da un lavoratore interinale inviato da una s.p.a. presso una cartiera con contratto a tempo determinato di sei mesi: ``il lavoratore, mentre prelevava, uno alla volta, alcuni tubolari di cartone dal contenitore posto in basso, a causa dello svuotamento, il contenitore superiore si inclinava e alcuni tubolari del peso di 700 kg gli rovinavano addosso schiacciandolo''. Condanna del datore di lavoro anche per ``l'omessa informazione e formazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle mansioni svolte'': ``L'imprudenza o la negligenza nella operazione effettuata rappresenta proprio la concretizzazione del rischio che le regole prevenzionistiche riferibili alla formazione all'informazione e alla messa a disposizione di strutture e attrezzature idonee vuole evitare. Se non vi fossero state le citate carenze organizzative riconducibili al datore di lavoro e ai suoi preposti, quindi, i lavoratori avessero assimilato le relative corrette modalità di lavorazione e vi fosse stata la messa a disposizione di attrezzature idonee, l'infortunio non si sarebbe presumibilmente verificato''.
``Si tratta di un incidente occorso ad un lavoratore non solo privo dell'adeguata formazione, ma anche interinale, ossia non un dipendente stabilmente inquadrato dell'azienda, ma un lavoratore che lavorava solo per brevi periodi. Pertanto, maggiore avrebbe dovuto la vigilanza e lo scrupolo nell'addestramento del lavoratore''.
L'art. 37, comma 4, lettera a, D.Lgs. n. 81/2008 prevede che «la formazione e, ove previsto, l'addestramento specifico» debba avvenire anche in occasione «dell'inizio dell'utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro».
Il presidente del consiglio di amministrazione di una s.p.a. viene condannato per il reato di lesione personale colposa in danno di un lavoratore extracomunitario, «per avere omesso di adottare idonee misure per eliminare il pericolo di caduta dall'alto del lavoratore nella fase di carico dei carrelli».
Nel confermare la condanna, la Sez. IV prende atto che «I'infortunio si è verificato a causa della condotta dell'imputato che avrebbe dovuto valutare, in relazione alla natura dell'attività svolta dal lavoratore, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori». Nota come «al lavoratore, che aveva iniziato a lavorare tre giorni prima, avendo un contratto di somministrazione di lavoro interinale della durata di una settimana, erano state fornite solo informazioni verbali di base relativamente al corretto svolgimento delle mansioni (spostamento dei sacchi di piume) e ai dispositivi di protezione (guanti) che dovevano essere utilizzati, mentre non era stato fornito il dossier che normalmente viene consegnato ai dipendenti».
``Dal capoturno, l'operaio, assunto da pochi giorni, apprese i rudimenti necessari alla conduzione del muletto, ma non fu adeguatamente informato sui rischi a cui si esponeva nel suo utilizzo e istruito in maniera puntuale sulla circostanza che il veicolo, quando viaggiava con le forche sollevate, era instabile. In ordine all'aspetto della formazione dell'operaio è indiscutibile che fosse preciso compito del datore di lavoro, provvedere all'adeguata formazione del lavoratore, che non poteva essere affidata, in modo generico ed approssimativo, alla disponibilità ed al buon senso dei dipendenti più esperti che si trovavano in azienda''.
L'amministratore unico di una società fu accusato di lesioni personali colpose in danno di un dipendente addetto a una pressa in coppia con altro lavoratore, con l'addebito di ``non essersi assicurato che il lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza, con particolare riferimento ai rischi riferiti alle mansioni, ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del reparto di appartenenza''. ``Pur essendo il lavoratore assegnato a una mansione pericolosa, le istruzioni per il relativo espletamento si ridussero a una o due occasioni, attraverso indicazioni dal contenuto alquanto incerto fornitegli `sul campo' da operai più anziani; le riunioni periodiche per la sicurezza, alle quali non è stato neppure accertato che l'infortunato avesse partecipato, non ebbero ad oggetto le operazioni sulle presse; e il documento illustrativo denominato `moto operatorio', veniva tenuto in un cassetto del cassone degli attrezzi affidato alle coppie di operai, senza cioè che di tale documento risultasse fornita alcuna spiegazione ai lavoratori''.
Il socio e amministratore di un ristorante-pizzeria - condannato ``per il reato di lesioni colpose in danno di una aiuto-cuoca dipendente, che, procedendo alla pulizia dell'affettatrice, spenta ma con la presa elettrica collegata, aveva avuto un dito della mano amputata per un improvviso avvio dell'apparecchio in conseguenza dell'inavvertito schiacciamento del pulsante di avvio'' - lamenta che ``la donna aveva frequentato per due anni una scuola di formazione, sicché si sarebbe trattato di lavoratrice altamente qualificata, poi affidata alle cure del cuoco''. La Sez. IV ribatte: ``La scuola alberghiera non tratta, se non in maniera del tutto generica, la tematica della sicurezza nella pulizia dell'affettatrice, e l'addestramento deve essere, comunque, effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro ai sensi dell'art. 37, comma 5, del D.Lgs. n. 81/2008''.
``La formazione è ritenuta del tutto superficiale, essendo stata solo affidata a due settimane di presenza, accanto al lavoratore, di un operaio esperto, laddove avrebbe dovuto prevedersi e svolgersi uno specifico ciclo formativo, debitamente documentato. Le considerazioni difensive del datore di lavoro (l'infortunato era stato assunto da oltre un anno ed aveva avuto precedenti analoghe esperienze lavorative, era pratico della macchina) non mettono al riparo l'imputato, che avrebbe dovuto documentarsi e documentare l'asserita specifica esperienza professionale dell'operaio (assunto non da oltre un anno ma da poco più di otto mesi) e non accontentarsi di quanto dallo stesso asseritamente sostenuto e delle due settimane di `pratica'''.
Il consigliere delegato di una s.p.a. esercente un'acciaieria era stato condannato per un infortunio in danno di tre lavoratori addetti alla fusione di rottami in ferro e alla raccolta di materiale refrattario, in particolare «per aver omesso di fornire ai lavoratori sufficienti ed adeguate informazioni sui rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale e sui rischi specifici in relazione all'attività di fusione di rottami di ferro». La Sez. IV rileva: «Un comportamento omissivo non deve essere inteso in senso assoluto, nel senso cioè di ritenersi sussistente solo nel caso di assoluta mancanza di azione da parte del soggetto, ma è comprensivo anche dei casi in cui il soggetto pone in essere un comportamento diverso da quello dovuto, potendosi ravvisare, per quanto qui rileva, una condotta omissiva del datore di lavoro in relazione all'obbligo di fornire ai lavoratori informazioni sui rischi per la sicurezza anche nel caso in cui siano state adottate modalità informative inadeguate, improprie e, in concreto, inefficaci. Nell'acciaieria, una volta effettuata la formazione generale a tutti i lavoratori a seguito di specifica prescrizione della ASL, l'attività di formazione dei lavoratori si era da quel momento concretizzata in un mero addestramento per affiancamento del nuovo assunto al lavoratore più anziano. Può definirsi, senza con ciò incorrere in alcuna violazione di legge, con il termine di `delega impropria' la condotta del datore di lavoro che trasferisca sul lavoratore più anziano compiti di formazione dei neoassunti, intendendosi come impropria tanto la delega che non chiarisca i confini delle mansioni spettanti al singolo lavoratore quanto l'attribuzione al delegato di compiti che non siano propri di quest'ultimo, quanto l'attribuzione di compiti indeterminati ovvero di compiti spettanti al delegante, essendo sussumibile nell'ipotesi di cui agli artt. 21 e 37, D.Lgs. n. 626/1994 [e ora negli artt. 37 e 73, D.Lgs. n. 81/2008] la condotta del datore che attribuisca al lavoratore più anziano il compito di fornire al neoassunto le informazioni sui rischi ai quali sarà esposto in relazione all'attività svolta, non potendosi condividere sul punto le asserzioni dell'imputato in merito al fatto che fosse irrilevante il fatto che la fonte di conoscenza fosse un collega ovvero un formatore esterno».
Condanna del presidente di una cooperativa per l'infortunio occorso a ``un socio lavoratore addetto all'abbattimento degli alberi, a seguito di acuta insufficienza cardio-circolatoria conseguente a shock emorragico secondario a dissezione dell'aorta toracica discendente e lacerazione della vena cava superiore in soggetto con gravi lesioni traumatiche toraco-addominali''. Colpa: ``non aver fornito al lavoratore le necessarie informazioni e la adeguata formazione in merito ai rischi e alle procedure da adottare relativamente alla mansione di operaio addetto all'abbattimento piante''. La Sez. IV nota: ``Il lavoratore deceduto, nonostante avesse una lunga esperienza lavorativa, non era stato avvisato e formato circa la necessità di allontanarsi dalla zona del taglio quando il collega procedeva a tirare con il verricello la pianta, ma si fermava sul posto, per ultimare il taglio nel momento in cui la pianta si trovava adeguatamente tirata verso il semovente. Non aveva ricevuto alcuna istruzione e formazione sul punto e aveva adottato una tecnica operativa rischiosa che l'azienda per cui lavorava non aveva curato in alcun modo di modificare''.
L'amministratore delegato di una società fu condannato per l'infortunio a un ingegnere dipendente ``incaricato di mettere in funzione un inverter (apparecchiatura che serve per trasformare la corrente continua prodotta dai moduli fotovoltaici in corrente alternata, idonea per alimentare la rete elettrica)'' e colpito da un arco elettrico. Colpa: ``mancata dotazione dei dispositivi di protezione previsti per l'esecuzione di lavoro sotto tensione e mancata adeguata istruzione del dipendente in relazione all'attività che egli era stato chiamato a compiere''. Al secondo riguardo, la Sez. IV osserva: ``La persona offesa, pur rivestendo la qualifica di ingegnere, non aveva ricevuto alcuna formazione pratica rispetto al lavoro da compiere e non aveva una conoscenza precipua di quel macchinario. Vi è da chiedersi se sia possibile ritenere che il datore di lavoro sia esente da responsabilità nel caso in cui confidi sulla preparazione teorica e sul qualificato titolo professionale del proprio dipendente. La risposta a tale quesito deve essere negativa, poiché non vi è nessuna ragione di esclusione della responsabilità del datore di lavoro che possa essere fatta discendere dalle qualità del proprio dipendente (titolo di studio e pregresse esperienze maturate). Il livello di esigibilità degli obblighi di formazione e informazione non si attenua in virtù del titolo di studio del lavoratore e della sua preparazione personale''. (Quanto al primo profilo di colpa v. sub art. 81, paragrafo 1).
Non collimante, pur se isolata:
La Sez. IV annulla perché il fatto non costituisce reato la condanna della datrice di lavoro di una s.r.l. esercente la raccolta rifiuti per l'infortunio mortale occorso a un dipendente operatore ecologico ``il quale, invece di salire in cabina, in attesa della successiva fermata, utilizzava quale postazione di lavoro la staffa ad U posta alla base del sistema di ancoraggio dei contenitori, sul retro del VRR, e, dopo aver ritirato l'ultimo sacchetto dei rifiuti, nel cercare di risalire, poggiando il piede sulla staffa, e di afferrare con la mano il bordo della vasca portarifiuti, o comunque nel tentativo di salire sulla staffa, mentre il veicolo era in movimento, rovinava al suolo'': ``L'infortunato, che all'epoca dei fatti era poco più che quarantenne, era un operatore ecologico, con mansioni di raccoglitore, che aveva già lavorato alle dipendenze della società che in precedenza era titolare dell'appalto relativo alla raccolta dei rifiuti e che dunque svolgeva l'attività in esame da molti anni. Quindi senz'altro una persona esperta. Alla luce di ciò non può ritenersi che egli non possedesse le cognizioni necessarie per rendersi conto del rischio che correva mediante la condotta, incontrovertibilmente imprudente, da lui posta in essere. Tanto più che l'incidenza sul processo eziologico sfociato nell'evento della mancata ottemperanza all'obbligo di impartire un'adeguata formazione e informazione va valutata in relazione al grado di complessità e di tecnicità degli incombenti a cui è chiamato il lavoratore e delle cautele da adottare e quindi all'eventualità che il lavoratore, senza un adeguato addestramento, possa non essere in grado di rendersi conto dei rischi insiti in un certo modus operandi. Ne deriva che, qualora la pericolosità di una certa manovra sia immediatamente percepibile non solo da parte di un operatore esperto ma anche di un lavoratore alle prime armi e perfino del quisque de populo, il quesito inerente alla sussistenza della causalità della colpa per omessa formazione e informazione del dipendente diviene particolarmente delicato. E, nel caso di specie, non può seriamente contestarsi che la pericolosità di una manovra consistente nell'aggrapparsi ad una staffa ad U, rimanendo in piedi sulla parte posteriore esterna di un camion in movimento, in assenza di una pedana e di qualunque dispositivo di sicurezza, e, per di più, con l'autista impossibilitato a controllare la situazione esistente sul retro, in modo da calibrare opportunamente l'avvio, la frenata, l'arresto e ogni altra manovra del veicolo, fosse immediatamente percepibile, da chiunque, senza necessità di formazione e informazione alcuna. È pertanto ineludibile, sulla base di un'analisi condotta alla stregua di corretti canoni di razionalità, la conclusione secondo la quale la mancanza di formazione e informazione non ha esplicato influenza alcuna nell'ambito dell'iter eziologico sfociato nell'evento, perché il lavoratore, pur perfettamente consapevole della pericolosità del suo agire, si determinò in tal senso per evitare di salire all'interno del mezzo e di doverne poi ridiscendere una volta giunto al successivo punto di prelievo, secondo quanto evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata. Ne deriva che, quand'anche l'imputata avesse osservato la norma cautelare in questione, impartendo un'adeguata formazione e informazione al lavoratore, l'evento si sarebbe verificato lo stesso perché egli, mosso da ragioni del tutto estranee alla problematica della sicurezza, pose in essere la manovra in questione pur rendendosi perfettamente conto della pericolosità di quest'ultima, che era di immediata, intuitiva e incontrovertibile evidenza per chiunque e ancor più per lui, che era un operatore di lunga esperienza, tanto più che l'autista del mezzo, quale caposquadra preposto allo svolgimento del lavoro, lo aveva più volte ammonito affinché si astenesse da siffatta condotta rischiosa''. (Quanto all'aspetto concernente la vigilanza sul lavoratore v. questa stessa sentenza sub art. 18, paragrafo 5).
Più severa, in un'analoga fattispecie, fu:
La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore unico di una s.r.l. per l'infortunio subito da un dipendente operatore ecologico mentre si trovava sulla pedana dietro all'automezzo compattatore per la raccolta manuale dei rifiuti, e ciò per colpa consistita, in particolare, nel ``non avere assicurato che il lavoratore ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni''. Per giunta, ``quella di stazionare sulle pedane era una comune modalità di lavoro, e quindi non poteva considerarsi abnorme e frutto di autonoma iniziativa il comportamento del lavoratore che era salito sulla pedana del mezzo, dovendo pertanto escludersi che l'infortunio fosse stato conseguenza di un caso fortuito, ma risultando invece provato il suo collegamento causale con modalità di lavoro non sicure impiegate nell'azienda''.
Oltre a Cass. n. 16498 del 16 aprile 2019 riportata sub paragrafo 1, v.:
Per scaldarsi sul luogo di lavoro, un dipendente accende una pira con carta e legno utilizzando del solvente contenuto in una latta di trenta litri. Il sovente s'incendia, e le fiamme investono il lavoratore. Condannati per omicidio colposo con l'addebito di non aver adeguatamente formato ed informato il lavoratore dei rischi derivanti dall'utilizzo del solvente in questione, i datori di lavoro negano «la violazione degli obblighi di informazione e formazione in relazione alla presenza e all'uso dei solventi perché non accertate le esatte mansioni affidate al lavoratore, con la conseguente impossibilità di predicare l'avvenuta dimostrazione delle citate trasgressioni cautelari, perché quegli obblighi sono correlati alle mansioni svolte dal lavoratore». La Sez. IV rileva: «Nel D.Lgs. n. 626/1994, l'art. 21 poneva l'obbligo di fornire un'adeguata informazione al lavoratore sui `rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale'; sui `rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia'; sui `pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalle norme vigenti e dalle norme di buona tecnica'. L'art. 22, dal canto suo, prevedeva l'obbligo di somministrare al lavoratore una `formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni'. Come può agevolmente esser notato, i contenuti dell'informazione al lavoratore non risultavano strettamente parametrati alle mansioni affidategli, dovendo riguardare anche i rischi per la sicurezza e la salute connessi all'attività dell'impresa in generale ed altresì i pericoli connessi all'uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalle norme vigenti e dalle norme di buona tecnica. Solo in rapporto all'attività di formazione poteva avere una qualche plausibilità l'ipotesi che essa fosse limitata al posto di lavoro e alle mansioni del lavoratore (plausibilità venuta meno con il sopraggiungere dell'art. 37, D.Lgs. n. 81/2008). Ne deriva, che in presenza di sostanze altamente infiammabili, richiesta dalle lavorazioni svolte nell'impresa, si impone di fornire al lavoratore un'adeguata informazione circa le corrette modalità di uso e di custodia delle stesse». (V. pure Cass. 12 gennaio 2018, n. 1242; Cass. 11 giugno 2017. n. 27543).
``Il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti''.
Il capo sezione unità operativa dello stabilimento di una s.p.a., oltre che il RSPP, fu condannato per omicidio colposo, in particolare con l'addebito di ``aver omesso di investire le adeguate risorse onde fornire apposita formazione al personale dipendente''. La Sez. IV annulla con rinvio la condanna: ``Se è pacifico che anche al preposto faceva capo una posizione di garanzia a tutela della incolumità dei lavoratori che operavano nella suddetta unità operativa, non è tuttavia men vero che in tanto può affermarsi la violazione degli obblighi connessi a detta posizione di garanzia in quanto colui che ne è investito abbia i poteri impeditivi dell'evento. Sul punto non è spiegato se ed in che modo il preposto fosse titolare di un autonomo potere di spesa tale da consentirgli di concorrere, in concreto, alla formazione della persona offesa in materia di sicurezza e della tutela della salute: obbligo invero specificamente gravante sul datore di lavoro e sul responsabile della sicurezza''.
``Con particolare riferimento alla figura del preposto, a questi compete di sovraintendere alle attività, impartire istruzioni, dirigere gli operai, attuare le direttive ricevute e controllarne. Sicché l'imputato da un canto non avrebbe dovuto far eseguire operazioni sulla macchina priva del pannello di protezione e dall'altro avrebbe dovuto impartire ad un dipendente inesperto quale l'infortunato le informazioni necessarie ad assicurare la liberazione della macchina dai film inceppativi in condizioni di totale sicurezza''.
``Il preposto è, in quanto tale e nell'ambito delle proprie competenze e attribuzioni, destinatario iure proprio dei precetti antinfortunistici che gravano sul datore di lavoro, e, in particolare, del dovere di adibire i lavoratori a compiti coerenti con le proprie capacità e condizioni, fornendo agli stessi i necessari e idonei mezzi di protezione e prendendo le appropriate misure affinché solo i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono a un rischio grave e specifico. L'imputato era, all'epoca del fatto, perfettamente al corrente della generica e insufficiente preparazione professionale del lavoratore infortunato e della circostanza che il macchinario sul quale era stato destinato non era stata ancora collaudato, avendo subito talune modificazioni tali da esporlo a nuovi e inediti pericoli. La grave mancanza dell'imputato è consistita nell'aver abbandonato a se stesso il lavoratore alle prese con una macchina dallo stesso non conosciuta, senza preoccuparsi di assicurarne l'affiancamento con altri preposti capaci di intervenire in caso di evenienze problematiche relative alla sicurezza''.
Oltre a Cass. 2 aprile 2019, n. 14299 (sub art. 28, paragrafo 2), e a Cass. 23 gennaio 2017, n. 3289 (sub art. 20, paragrafo 1), v.:
``L'attività di formazione e di informazione del lavoratore, tanto più quando inesperto, non può esaurirsi nella mera formulazione di un divieto ma deve essere costituita da quelle attività che, secondo le circostanze del caso, sono idonee a determinare nel lavoratore il compendio di conoscenze e consapevolezze necessarie allo svolgimento delle mansioni in totale sicurezza''.
Condanna di un datore di lavoro per l'infortunio subito ``in occasione del trasporto di un silos assicurato al camion con alcune cinghie'' da un autista dipendente che, ``dovendo recuperare una cinghia mal posizionata, era salito sul pianale del veicolo e aveva perso la presa cadendo da una altezza di metri 1,09 (tra il pianale e il basamento del silos)'': ``Non sono state rinvenute tracce documentali di alcuna formazione (stante la riconducibilità a data successiva all'infortunio della attestazione sottoscritta dal lavoratore e prodotta dall'imputato). Il documento sottoscritto dal lavoratore, al di là dell'effettiva data di sottoscrizione, è del tutto generico, facendo riferimento alle possibili situazioni di rischio nelle fasi di movimentazione manuale dei carichi, cosicché da esso non è possibile ricavare una adeguata formazione del lavoratore sui rischi connessi alla necessità di assicurare carichi del genere di quello trasportato in occasione della verificazione dell'infortunio''.
Condannato per più contravvenzioni antinfortunistiche, l'imputato deduce che ``il giudice avrebbe operato una deduzione illogica, desumendo la sussistenza dei fatti dall'omessa esibizione dei documenti discendenti dalla condotta richiesta dalle norme, confondendo peraltro il c.d. foglio di prescrizioni con le condotte omissive contestate ai capi di imputazione, accorpando le condotte sanzionate con l'oblazione amministrativa''. La Sez. III non accoglie queste argomentazioni difensive. Spiega al riguardo che ``il mancato assolvimento degli obblighi di formazione ed informazione (art. 37, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 e Accordo Stato Regioni del 21 dicembre 2011) necessita per legge di essere documentato, donde correttamente il giudice ha tratto la prova della sussistenza dei reati ascritti dalla mancata esibizione della documentazione, nemmeno dopo la notifica del c.d. foglio di prescrizione, con cui era stata attivata la procedura prevista dal D.Lgs. n. 758/1994''.
``Le testimonianze comprovanti la formazione dei dipendenti e la imposizione di rigide regole atte ed evitare che i lavoratori effettuassero interventi di manutenzione che non gli competevano sui macchinari, non erano utili e conducenti ai fini della esclusione della responsabilità dell'imputato, non essendovi prova in atti dei tempi e dei modi attraverso cui era stata compiuta la suddetta attività di formazione ed in presenza di una situazione aziendale caratterizzata da gravi carenze sotto il profilo prevenzionale''.
``La predisposizione di adeguati corsi di formazione dell'operaio sull'uso dei carrelli e l'impiego puntuale delle attrezzature di lavoro, con l'utilizzazione, da parte dell'operaio, della cintura di sicurezza e del casco, avrebbero potuto evitare quell'evento, quantomeno, nella forma più grave ed estrema in cui si è verificato. Non vi è prova, agli atti, dell'avvenuta formazione del lavoratore, individuando nella violazione di tale regola cautelare una delle cause che, innestatasi sul rapporto causale, ha determinato l'evento mortale. Alle riunioni predisposte dall'azienda per la formazione dei lavoratori, l'infortunato non ebbe mai a partecipare. Dal capoturno, l'operaio, assunto da pochi giorni, apprese i rudimenti necessari alla conduzione del muletto, ma non fu adeguatamente informato sui rischi a cui si esponeva nel suo utilizzo e istruito in maniera puntuale sulla circostanza che il veicolo, quando viaggiava con le forche sollevate, era instabile. Ove fosse stata posta in essere un'adeguata formazione dell'operaio in ordine al funzionamento del muletto, con precisa informazione dei rischi connessi al suo utilizzo, l'evento mortale, con alto o elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato. In ordine all'aspetto della formazione dell'operaio è indiscutibile che fosse preciso compito del datore di lavoro, provvedere all'adeguata formazione del lavoratore, che non poteva essere affidata, in modo generico ed approssimativo, alla disponibilità ed al buon senso dei dipendenti più esperti che si trovavano in azienda''.
``Il D.M. 16 gennaio 1997, n. 27, intitolato `individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione', stabilisce, all'art. 4, che `l'attestazione della avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura del datore di lavoro'''. (Conforme Cass. 9 settembre 2014, n. 37312).
``La documentazione concernente l'avvenuta frequentazione, da parte del lavoratore infortunato, di corsi di formazione concernenti la materia della sicurezza sul lavoro e il pronto soccorso deve ritenersi irriducibilmente generica e del tutto inidonea a prospettare, in forme certe e inequivocabili, l'effettivo avvenuto assolvimento, da parte del datore di lavoro, degli obblighi informativi e formativi concernenti le modalità d'uso dello specifico attrezzo consegnato al lavoratore per l'esecuzione della prestazione allo stesso richiesta; doveri formativi e informativi il cui puntuale e rigoroso adempimento avrebbe dovuto ritenersi in assoluto non dispensabile al fine di prevenire l'eventuale adozione di comportamenti imperiti, imprudenti e pericolosi, come quelli nella specie puntualmente verificatisi''.
La Sez. III conferma la condanna del titolare di una s.r.l. per il reato di cui agli artt. 37, comma 1, e 55, comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 81/2008 ``perché non aveva provveduto ad assicurare una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro in relazione alla mansione di boscaiolo svolta dall'infortunato con le specifiche misure prevenzionistiche tipiche del settore boschivo'': ``I datori di lavoro sono tenuti, ex artt. 37 (disposizione che ha sostituito l'art. 22, comma 1, D.Lgs. n. 626/1994) e 55, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, ad ottemperare all'obbligo di formazione dei dipendenti, e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione, secondo il dettato di cui al D.M. 16 gennaio 1997, richiamato implicitamente dall'allegato A), punto 10, dell'Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011. La mancata produzione da parte dell'imputato della relativa documentazione non è giustificata. Del pari, non è fondata la tesi secondo cui la avvenuta formazione, all'epoca del fatto, poteva essere anche dimostrata verbalmente dal datore di lavoro, in quanto il comma 2 dell'art. 37 del citato decreto rimette alla conferenza tra Stato e Regioni la determinazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione che il responsabile è tenuto a dare al lavoratore, accordo tra Stato e Regioni stipulato solo nel 2011. La compiuta lettura della normativa in materia, però, consente di rilevare che: - il D.Lgs. n. 81/2008, all'art. 37, comma 2, rimette all'accordo Stato-Regioni le modalità di regolamentazione della formazione del soggetto lavoratore-dipendente; - l'allegato A), punto 10, dell'Accordo Stato-Regioni del dicembre 2011, richiama implicitamente il D.M. 16 gennaio 1997 e i contratti collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, laddove dispone che `in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi'. Conseguentemente, il datore di lavoro deve provare di avere ottemperato all'obbligo in questione, in quanto tenuto a compilare un documento sulla formazione del lavoratore, contenente i riferimenti anagrafici di costui, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data della formazione medesima. Le emergenze istruttorie hanno consentito di rilevare l'assoluto difetto di preparazione formativa del lavoratore alla attività alla quale era stato destinato, conseguenza del mancato rispetto del dettato normativo in materia''.
``Qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche''.
``Una prassi pericolosa, per un verso, rende evidente che l'attività formativa era stata svolta in maniera non soddisfacente e, per altro verso, denota l'inadeguatezza dell'attività stessa. Né poteva reputarsi bastevole la circostanza che fosse stata prescritta la dotazione del libretto d'istruzione e che la macchina ne fosse fornita, riposando l'avverso convincimento sulla piena, consapevole diligenza e competenza del lavoratore, in spregio alla ratio della normativa antinfortunistica, che persegue la sicurezza sui luoghi di lavoro responsabilizzando il garante, proprio perché il garantito rare volte si mostra in grado di tutelarsi da solo. Ciò ancor più in presenza d'una formazione, la cui efficacia, completezza e correttezza lasciava a desiderare''.
``Il luogo di lavoro non è limitato allo spazio strettamente necessario per il compimento della specifica mansione di ciascun lavoratore, ma va ragionevolmente esteso anche alle zone adiacenti, ove gli addetti possano comunque recarsi e muoversi. Era necessario provvedere ad un'adeguata formazione-informazione delle dipendenti. In tale caso, è corretto riferirsi ad una nozione di luogo di lavoro che non può intendersi limitata alla semplice postazione di lavoro''.
Con riguardo a un infortunio mortale ricondotto a un difetto di informazione-formazione dell'infortunato, il presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l. appaltante e l'amministratore unico di una cooperativa appaltatrice, condannati in primo grado a titolo di omicidio colposo, furono assolti in appello perché il fatto non sussiste. A dire, infatti, della corte d'appello, ``la formazione era stata relativa alle mansioni proprie di ciascun operaio'', ed ``è del tutto evidente come non sia logico né richiedibile che ciascun lavoratore di un'azienda sia formato e informato in ordine a tutte le mansioni di tutti gli operai''. Su ricorso del pubblico ministero e della parte civile, la Sez. IV annulla con rinvio l'assoluzione degli imputati. Osserva che la tesi formulata dalla Corte d'appello ``nella sua assolutezza non è condivisibile''. Precisa che ``è necessario informare il lavoratore circa i rischi propri dell'attività cui è preposto ma anche di quella derivante dalla diretta esecuzione di operazioni ad altri riservate, naturalmente ove vi sia un ragionevole rischio di interferenza funzionale tra diverse attività''. Sottolinea che ``l'art. 73, commi 1 e 2, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008 prevede l'obbligo per il datore di lavoro di lavoro di fare sì che, per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d'uso necessaria alla sicurezza, anche se si tratti di attrezzature da essi non usate direttamente; e ciò anche con riferimento alle situazioni anormali purché prevedibili''. Ne desume che, ``sotto questo profilo, la sentenza impugnata non chiarisce quale sia stato il livello di approfondimento, doveroso nel caso di specie per entrambi gli imputati, del documento di valutazione e della formazione in concreto svolta, a fronte del rischio'', e che, per contro, ``occorre, in definitiva, approfondire se vi fu o meno carenza informativa, quanto a formazione ed informazione, sul rischio cui era ipoteticamente esposto l'operaio''.
(V., altresì, Cass. n. 16498 del 16 aprile 2019 riportata sub paragrafo 1, e il paragrafo 6).
Peraltro, si preoccupa di circoscrivere le responsabilità del datore di lavoro:
``L'obbligo di formazione-informazione, è causalmente orientato, nel senso che vi è un generale obbligo del datore di lavoro di valutare tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro nei quali sono chiamati ad operare i dipendenti, ovunque essi siano situati (art. 15 D.Lgs. n. 81/2008), un parimenti generale obbligo di formare i lavoratori, in particolare in ordine ai rischi connessi alle mansioni loro affidate (art. 37, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008). E comunque, anche ad interpretare estensivamente la norma, tale obbligo di formazione-informazione deve riguardare anche rischi non specificamente legati alle mansioni affidate al singolo, ma ad attività lavorative non eccentriche rispetto a quelle tipiche di quel tipo e luogo di lavoro''. Nel caso di specie, si è esclusa ``l'esistenza di un nesso causale tra la condotta dell'imputato, datore di lavoro, che utilizzava dei fusti per il gasolio privi di dell'indicazione della natura e pericolosità del contenuto, e la condotta del tutto imprevedibile prima del proprio dipendente che cedeva gratuitamente un fusto vuoto ad un dipendente di altra ditta, che effettuava lavori per proprio conto, e poi del lavoratore di questa ditta che, per fare un uso personale del fusto, decideva di tagliarlo con un flessibile munito di disco abrasivo'', con la conseguenza che altro dipendente della stessa ditta ``fu investito dalle fiamme sprigionate nell'esplosione provocata dall'innesco tra i vapori di gasolio presenti nel fusto e le scintille e il calore generati dal contatto del disco abrasivo sulla lamiera''.
Condannato per il reato di cui all'art. 37, comma 7, D.Lgs. n. 81/2008, un datore di lavoro nega d'aver nominato un preposto di cui avrebbe omesso la formazione. La Sez. III rileva che, a dire dell'imputato, ``la mera assenza formale della nomina escluderebbe l'elemento oggettivo del reato, pur nello svolgimento di fatto delle funzioni''. Ma replica che ``la mancanza di nomina formale (scritta con data certa) non è rilevante sulla formazione, in quanto quello che rileva è la ratio della norma che mira ad evitare la mancanza di formazione specifica per chi comunque esercita la funzione di preposto'', e che ``le norme sono dirette a prevenire pericoli nell'espletamento delle mansioni, comunque svolte''. Aggiunge più in generale che ``le norme sulla formazione e informazione dei lavoratori si applicano anche nell'ipotesi di assenza di un formale contratto di assunzione''.
``Il datore di lavoro deve adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 18, 36 e 37 D.Lgs. n. 81/2008 nei confronti di tutti i dipendenti, ivi compresi quelli aventi un ruolo dirigenziale o comunque sovraordinato, in modo che costoro siano perfettamente informati dei rischi per la salute e la sicurezza connessi all'attività dell'impresa, alle macchine, alle sostanze e agli impianti in uso. E l'art. 37 citato, in tema di formazione dei lavoratori, stabilisce proprio, tra l'altro, al comma 7 che il datore di lavoro deve assicurare anche ai dirigenti e preposti `un'adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro. (`I contenuti della formazione di cui al presente comma comprendono: a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; b) definizione e individuazione dei fattori di rischio; c) valutazione dei rischi; d) individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e protezione'). Dunque, il dato essenziale nel caso in esame non è quanto fatto dal capo reparto responsabile della produzione in termini di istruzioni sull'uso della trancia, una volta praticato il foro sulla griglia laterale, ma piuttosto quanto non fatto nella circostanza dal presidente del consiglio di amministrazione della società in termini di complessiva formazione ed informazione dei lavoratori''.
Circa l'indispensabile formazione del preposto v. Cassazione civile, Sez. Lav., 15 marzo 2018, n. 6410.
Il presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una s.p.a. fu condannato per il reato di lesioni colpose ai danni di un dipendente: il lavoratore ``provvedeva alla raccolta in una cisterna dell'olio utilizzato in varie lavorazioni all'interno dello stabilimento e tramite carrello elevatore la trasportava sino ad una cisterna più grande ove, mantenuta la sospensione della prima sulle forche ad un'altezza di circa un metro da terra, veniva collegato un tubo tra i due contenitori; durante una di tali operazioni, effettuato il collegamento, mentre l'operaio si trovava a fianco del carrello, la cisterna in sospensione si era rovesciata e gli era caduta addosso''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV prende atto che ``il rischio specifico e la previsione degli accorgimenti tecnici idonei a neutralizzarlo non erano stati considerati nel DVR, predisposto da un'azienda specializzata del settore, e ciò perché nei dieci anni precedenti non si era mai verificato alcun inconveniente o sinistro collegato a tale operazione di travaso''; e che, ``tuttavia, nella evidente consapevolezza della carenza del DVR, il datore di lavoro aveva organizzato un corso di formazione `fast training', cui il lavoratore aveva partecipato, risultato però in concreto inadeguato''. Rileva che ``in tale addestramento erano state fornite istruzioni specifiche secondo le quali, una volta posizionata la cisternetta all'altezza opportuna e quindi inclinata la stessa per lo svuotamento dell'olio nella cisterna più grande, l'operatore avrebbe dovuto arrestare il carrello e scendere dal medesimo, stazionando sul lato opposto rispetto a quello di inclinazione delle forche, in maniera tale da evitare ogni rischio dalla eventuale caduta del contenitore''. Osserva che ``tali misure integrative di fatto si sono però rivelate non idonee ad evitare il sinistro, poiché l'incontestabile, avvenuto, rovesciamento della cisterna avrebbe potuto sicuramente essere evitato mediante l'adozione delle misure stabilizzatrici in fase di svuotamento, successivamente imposte dalla AsI, che prevedevano il posizionamento della cisterna su un piano leggermente inclinato per consentire il travaso del liquido, evitando così il pericoloso mantenimento in sospensione del contenitore, dal considerevole peso a pieno carico (circa novecento litri di olio e cento di acqua), che rendeva evidente la possibile instabilità delle strutture di sostegno, anche in relazione alle eventuali e prevedibili oscillazioni durante la fase di sollevamento e del conseguente travaso dell'olio nel serbatoio''. Nota, inoltre, che ``doveva essere considerata la natura scivolosa del liquido trasportato, che poteva rendere viscide anche le pareti esterne del contenitore, compromettendone la staticità''. Ne ricava che, ``anche se il rovesciamento della cisterna fosse dipeso da una errata manovra e/o posizionamento/inclinazione delle forche da parte del lavoratore, non potrebbe parlarsi di una condotta abnorme interruttiva del nesso di causalità poiché vi era stata a monte una inadeguata individuazione del rischio ed una carente predisposizione delle misure di prevenzione''. Quanto all'elemento soggettivo, ravvisa ``una colpevole negligenza dell'imputato, stante la prevedibilità del rischio per scivolamento della cisterna dal carrello elevatore che ha determinato l'infortunio in oggetto, rischio comunque considerato dalla società che aveva predisposto il DVR, e valutato in maniera non adeguata dal datore di lavoro nella formazione `fast training'''. Ritiene indubbio che, ``nel caso in esame, l'omessa previsione dello specifico rischio nel DVR e la inadeguatezza della formazione `fast training' impartita successivamente all'adozione del documento aziendale abbiano in concreto determinato l'evento lesivo, ponendosi in rapporto di causalità con lo stesso, mentre, sotto il profilo del giudizio controfattuale, misure preventive più adeguate, e peraltro elementari in base al peso del carico ed alla scivolosità della cisterna, quali quelle imposte dalla Asl dopo l'infortunio, avrebbero impedito il verificarsi dell'evento poiché avrebbero reso più stabile il contenitore ed evitato la sua caduta''.
La Sez. IV conferma la condanna del legale rappresentante di una s.c.a.r.l. per l'infortunio mortale a un autista dipendente rimasto schiacciato durante la manovra di aggancio del rimorchio alla motrice: ``In ragione della giovane età, della recente assegnazione dei compiti (era stato assunto dieci giorni prima), della recente acquisizione della patente di guida, il lavoratore era bisognevole di attività di formazione specifica, nel caso mancata. Non può parlarsi di attività di routine per un lavoratore adibito al lavoro da soli dieci giorni. Tenuto conto dell'inesperienza del lavoratore e del tipo di manovra da compiere, fosse o meno ordinaria per un autista, era doverosa una preliminare attività di formazione specifica''.
``La formazione non può essere limitata ai rischi ordinari, ma deve investire anche quelli eccezionali''.
Dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 37, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 per aver omesso di assicurare a una dipendente la formazione adeguata in materia di sicurezza con riferimento alle mansioni svolte, il legale rappresentante di una s.r.l. lamenta che ``la dipendente non aveva mai mantenuto una stabile mansione all'interno dell'azienda, avendo manifestato in più circostanze problemi di salute che non avevano consentito di individuare per lei una collocazione idonea, tanto più alla luce delle limitazioni allo svolgimento del lavoro per lei riscontrate''. La Sez.Fer. ribatte: ``L'assegnazione di mansioni diverse alla dipendente, lungi dall'avere natura esimente, rende in realtà ancor più stringente l'esigenza di assicurare alla stessa un'attenta formazione sui rischi connessi all'attività svolta''.
Un dipendente addetto alle vendite s'infortunò per caduta dall'alto, in quanto incaricato, secondo il bisogno contingente, di lavorazioni del tutto estranee alle mansioni per le quali era stato assunto, e, cioè, del compito di salire sul tetto per la manutenzione dell'immobile, in assenza di qualsiasi informazione e presidio antinfortunistico, stanti le problematiche legate allo stato di fatiscenza della copertura di amianto, realizzata oltre quaranta anni prima.
``Il lavoratore infortunato prestava la propria attività presso la s.p.a. da circa 5 anni rispetto all'epoca del sinistro, ma era addetto ad altro impianto; il giorno del sinistro era stato spostato al differente macchinario senza sapere alcunché del funzionamento, non era stato istruito dai colleghi, nel senso che, per le operazioni di pulizia del macchinario in questione, seguiva ciò che vedeva fare dai colleghi. Non aveva effettuato alcuna attività di formazione rispetto al funzionamento del macchinario, sicché la manovra posta in essere, ossia la pulizia della briglia con la macchina in movimento, non fu che l'epilogo scontato della mancanza di informazioni adeguate, atteso che il lavoratore può percepire eventuali anomalie nella propria condotta e conseguentemente astenersene soltanto se dotato della necessaria formazione stratificata dalla consueta prassi operativa''.
Si addebita al datore di lavoro ``il fatto di avere adibito il dipendente a mansioni non usuali e in particolare a quelle di carico e scarico di materiale pesante in assenza di una adeguata formazione e informazione sulle pratiche da seguire''. (Conforme, ad esempio, Cass. 23 luglio 2018, n. 34827).
``La persona offesa non aveva mai svolto prima di quel momento la lavorazione in esame e, pertanto, non poteva garantire quel livello di esperienza e competenza tecnica idoneo a giustificare l'assenza di qualsivoglia controllo da parte di altro personale. Parimenti non può darsi rilievo all'esercitazione `a freddo' svoltasi poco prima della lavorazione in primis perché la complessità della lavorazione e l'inesperienza del lavoratore non consentono di ritenerla sufficiente ad evitare i possibili rischi e poi perché durante l'esercitazione a freddo erano stati omessi passaggi essenziali, quali il posizionamento dell'attrezzo e la salita sul forno. Risulta del tutto irrilevante altresì il fatto che il lavoratore, nei mesi precedenti all'incidente, aveva tenuto diversi corsi relativi alla prevenzione dei rischi e alla sicurezza in azienda, perché tali corsi avevano fornito una preparazione generica e sicuramente non pertinente alla specifica lavorazione. Allo stesso modo, a nulla rileva il fatto che tutti i lavoratori del settore erano posti sotto la vigilanza del tecnico qualificato, dal momento che lo stesso non era presente durante la lavorazione, sebbene la situazione, data l'inesperienza del dipendente, richiedesse un controllo accentuato. Proprio l'assenza di ausilio da parte di soggetti qualificati dimostra l'omessa vigilanza da parte del datore di lavoro, e la conseguente responsabilità di quest'ultimo per elusione dell'obbligo di garanzia ex art. 2087 c.c.''.
Al momento dell'infortunio, il lavoratore ``stava espletando delle mansioni non corrispondenti alla qualifica di assunzione che era quella di `impiegato tecnico di cantiere'. Dal punto di vista del diritto civile il datore di lavoro può esercitare unilateralmente lo `ius variandi' delle mansioni del dipendente, sebbene nei limiti consentiti dall'art. 2103 c.c., ma dal punto di vista del rispetto delle esigenze di prevenzione infortuni, al cambio delle mansioni deve seguire un'adeguata formazione del lavoratore ed informazione sui rischi della sua attività. Poiché il datore di lavoro è tenuto a rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, consegue che è ascrivibile al datore di lavoro, in caso di violazione di tale obbligo, la responsabilità del delitto di lesioni colpose allorché' abbia destinato il lavoratore, poi infortunatosi, all'improvviso ed occasionalmente, a mansioni diverse da quelle cui questi abitualmente attendeva senza fornirgli, contestualmente, una informazione dettagliata e completa non solo sulle mansioni da svolgere, ma anche sui rischi connessi a dette mansioni. Nel caso di specie, la violazione di tali regole di prevenzione e sicurezza si palesa evidente, se solo si ponga mente alla attività svolta dal lavoratore, qualificato `impiegato tecnico di cantiere', ma in realtà adibito alle più svariate mansioni, anche manuali, non solo nell'ambito aziendale, ma anche come `tuttofare' rispetto alle esigenze personali del datore di lavoro. La peculiarità del lavoratore, non sta tanto nel fatto che egli abbia svolto mansioni diverse da quelle di regola svolte, bensì nel fatto che a questi siano state attribuite mansioni `indefinite', con conseguente deficit di formazione ed informazione. Una volta che iI lavoratore sia addetto a svolgere funzioni per le quali non ha ricevuto adeguata formazione; soprattutto, come nel caso che ci occupa, quando la `fluidità' di tali mansioni non consente di definire in modo preciso il suo profilo professionale; quando questi ponga in essere comportamenti imprudenti (smontaggio di un circuito idraulico a cassano alzato), non può dirsi che gli eventi letali che ne conseguono sono il frutto di condotte anomale ed imprevedibili, in quanto la imperizia del comportamento è direttamente ricollegabile alla sua mancata formazione ed informazione''.
(V. pure Cass. 25 febbraio 2019, n. 8088).
``Non può darsi rilievo all'esercitazione `a freddo' svoltasi poco prima della lavorazione in primis perché la complessità della lavorazione e l'inesperienza del lavoratore non consentono di ritenerla sufficiente ad evitare i possibili rischi e poi perché durante l'esercitazione a freddo erano stati omessi passaggi essenziali. Risulta del tutto irrilevante il fatto che il lavoratore, nei mesi precedenti all'incidente, aveva tenuto diversi corsi relativi alla prevenzione dei rischi e alla sicurezza in azienda, perché tali corsi avevano fornito una preparazione generica e sicuramente non pertinente alla specifica lavorazione. Allo stesso modo, a nulla rileva il fatto che tutti i lavoratori del settore erano posti sotto la vigilanza di un tecnico qualificato, dal momento che lo stesso non era presente durante la lavorazione, sebbene la situazione, data l'inesperienza del dipendente, richiedesse un controllo accentuato. Proprio l'assenza di ausilio da parte di soggetti qualificati dimostra l'omessa vigilanza da parte del datore di lavoro, e la conseguente responsabilità di quest'ultimo per elusione dell'obbligo di garanzia ex art. 2087 c.c.”.
Nel senso che “l'addestramento è cosa diversa sia dalla formazione che dall'informazione” v. Cass. n. 8163 del 2 marzo 2020, al paragrafo 20.
``La violazione degli obblighi inerenti la formazione e l'informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l'incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l'obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto''. (Conforme Cass. 29 ottobre 2020, n. 29947).
``Il reato di cui all'art. 55, comma 5, lettera c), in relazione agli artt. 36 e 37 D.Lgs. n. 81/2008, deve ritenersi permanente, in quanto gli obblighi inerenti l'informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiché il pericolo per l'incolumità del lavoratore permane nel tempo, e continua in capo al datore di lavoro l'obbligo all'informazione e alla corretta formazione. L'obbligo di formazione del resto non è limitato solo al momento dell'assunzione ma perdura nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro; la cessazione della permanenza conseguentemente si verifica o alla concreta formazione o all'interruzione del rapporto di lavoro (eliminazione concreta del rischio)''.
Il presidente del C.A. di una s.p.a. e il direttore di cantiere con delega per la sicurezza sul lavoro furono condannati per l'infortunio occorso a un dipendente addetto con altri al locomotore di una ``talpa'' destinata all'escavazione del tunnel durante i lavori di realizzazione di una linea della metropolitana. Addebito di colpa, in particolare, la mancata formazione dei lavoratori incaricati di far funzionare il locomotore, segnatamente sotto il profilo attinente alle modalità di disassemblaggio dei carri. A propria discolpa, gli imputati deducono che il conducente del locomotore ``aveva acquisito un attestato di `meccanico locomotorista', avendo effettuato formazione somministrata dal RSPP della società, e con il tutor''. Ma la Sez. IV esclude che ``da tale attestato potessero ricavarsi né la durata del corso, né le modalità formative (pratiche o teoriche) né l'idoneità formativa dello stesso'', e che ``nulla consentiva di ritenere che tale formazione comprendesse le modalità di disassemblaggio dei carri''.
Il presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l. appaltatrice di lavori di intonacatura con spritz-beton fu condannato per un duplice infortunio, uno mortale, occorso a due dipendenti intenti ad operare con una pompa tipo Spritz System presa a nolo, per colpa consistita fondamentalmente nell'omessa informazione-formazione dei lavoratori. La Sez. IV conferma la condanna: ``L'avere valutato adeguato un corso di formazione svolto dal lavoratore nel lontano 2007, su una macchina completamente diversa, è indicativo di un approccio poco attento e non scrupoloso rispetto al tema della sicurezza del lavoratore e ha determinato una sottovalutazione della condizione di intrinseca pericolosità delle operazioni che si andavano a compiere. Tale sottovalutazione è stata aggravata dall'erroneo e superficiale convincimento della raggiunta padronanza del macchinario a seguito dell'affiancamento per due giorni con il tecnico dipendente della ditta fornitrice. Il tecnico dipendente della ditta fornitrice ha ammesso di non avere alcuna qualifica di formatore per la sicurezza, ed ha chiarito che la ragione della sua presenza nei primi due giorni era conseguente all'incarico, ricoperto presso la ditta fornitrice, di tecnico preposto ad illustrare le caratteristiche della macchina e le specifiche modalità di utilizzo, nonché ad affiancare l'operatore al fine di osservare, ed eventualmente correggere, eventuali errori di utilizzo o fare fronte a dubbi che lo stesso potesse manifestare. L'acquisizione della qualifica di formatore per la sicurezza presuppone che il possessore abbia seguito specifici corsi formativi diretti a fargli acquisire tutte le nozioni necessarie in materia ed abbia inoltre fatto propria, attraverso il percorso seguito, la capacità didattica necessaria per trasmettere le conoscenze acquisite, cristallizzate in peculiari standard operativi via via aggiornati e validati, ai soggetti discenti. La prospettiva con cui il tecnico istruiva all'uso della macchina era evidentemente, nell'interesse della società che la noleggiava, quello di assicurarsi che ne venisse operato un uso corretto, non quella prevenzionale dell'incolumità dei lavoratori, che incombeva sul datore di lavoro. Al più il tecnico può essere ritenuto un addestratore. L'addestramento è cosa diversa sia dalla formazione che dall'informazione. Non può ritenersi adeguata una formazione, in tema di sicurezza, affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex se quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, elaborate attraverso continue acquisizioni, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato. Non può ritenersi sufficiente la semplice presenza di un manuale illustrativo, dovendo individuarsi la condotta doverosa nella puntuale verifica che i lavoratori, che avrebbero dovuto usare quella determinata macchina, avessero ricevuto e, soprattutto, interiorizzato le necessarie nozioni di sicurezza, in modo da rendere loro palese l'immanenza del pericolo e da non indurli ad un atteggiamento poco attento o minimizzante''.
A questo punto, la Sez. IV trae dall'art. 37, D.Lgs. n. 81/2008 tre ulteriori deduzioni. La prima - anche questa destinata a riflettersi sulle caratteristiche del formatore - è che ``l'obbligo di informazione e formazione dei dipendenti, gravante sul datore di lavoro, non è escluso né è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro'', ``in quanto l'apprendimento insorgente da fatto del lavoratore medesimo e la socializzazione delle esperienze e della prassi di lavoro non si identificano e tanto meno valgono a surrogare le attività di informazione e di formazione prevista dalla legge e gravanti sul datore di lavoro''. Seconda deduzione: l'opera formativa deve trovare un completamento nella vigilanza, nel senso che spetta al datore di lavoro, non solo istruire il lavoratore sulle regole da osservare, ma anche ``controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle''. Ultima deduzione, un messaggio basilare per l'impresa sapiente: ``non può venire in soccorso del datore di lavoro il comportamento imprudente posto in essere dai lavoratori non adeguatamente formati'', ``trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi''.
Il dipendente di una s.p.a., incaricato di alimentare con un escavatore la tramoggia del fresato nell'impianto di frantumazione, ``resosi conto che nell'estrattore a nastro, posto sotto la tramoggia, era finito del materiale fresato, scendeva dalla pala meccanica per accertarsene'', ma ``nell'atto di scendere, perdeva l'equilibrio ed inciampando urtava con il braccio sul macchinario, finendo con le dita nel nastro trasportatore, che gli trascinava l'arto sotto il rullo''. Addebiti mossi al datore di lavoro: ``l'impianto di frantumazione si presentava privo di sistemi di blocco idonei a prevenire l'accesso incondizionato del personale, in violazione dell'art. 70, comma 2, con riferimento all'allegato V, punto 5.7.1 D.Lgs. n. 81/2008; il documento di valutazione dei rischi non conteneva la valutazione del rischio dovuto all'utilizzo ed alla manutenzione delle macchine di cui all'impianto di frantumazione; il personale alle dipendenze dell'impresa non aveva ricevuto formazione sufficiente''. Difesa dell'imputato: ``adeguatezza della informazione e della formazione impartita dal datore di lavoro''. Replica della Corte Suprema: ``La mancata apposizione delle barriere costituisce un addebito che supera anche l'eventuale assolvimento dell'obbligo formativo ed informativo. Infatti, che qualora il datore di lavoro provveda alla formazione dei lavoratori sui rischi derivanti da un particolare macchinario, ma ometta di mantenere il detto macchinario in condizione di essere utilizzato in sicurezza, non provvedendo a corredarlo dei prescritti dispositivi di cautela, l'adempimento del primo obbligo non fa venire meno l'incidenza causale dell'inadempimento del secondo. Affinché l'informazione e la formazione del lavoratore non si risolvano nella trasmissione di un sapere tecnico astratto occorre, in realtà, che esse si possano tradurre nell'utilizzazione di macchinari conformi all'uso in condizioni di sicurezza e nel ricorso a procedure effettivamente percorribili, rimanendo altrimenti confinate in un ambito teorico che, per la sua genericità, non consente di incidere in modo concreto sulla prevenzione degli infortuni e sulla sicurezza del lavoro''.
Condannato per l'infortunio occorso a un dipendente con l'addebito di aver ``omesso ogni formazione sui rischi specifici connessi all'espletamento delle proprie mansioni e all'utilizzo delle macchine'', un datore di lavoro lamenta di aver ``provato l'adempimento del proprio obbligo di formazione mediante la testimonianza di un teste, valutata dai giudici di merito inidonea a superare la prova della asserita condotta omissiva, con una inversione dell'onere della prova e una sostanziale violazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza di cui all'art. 27 Cost.''. La Sez. IV ribatte che, ``in ordine alla ritenuta prova della omessa formazione del lavoratore sui rischi specifici connessi alla propria attività lavorativa, non si è realizzata alcuna inversione dell'onere della prova, ma si è semplicemente accertata la incompletezza e inadeguatezza dell'attività formativa, non estesa ai rischi specifici''. Spiega che ``la prova di una condotta omissiva risente della struttura ontologica di tale comportamento, che si traduce in una materiale assenza, sicché solo colui su cui grava l'obbligo di porre in essere la condotta può e deve fornire indicazioni relativamente al corretto adempimento''. E conclude che, ``nell'ordinamento processuale penale, pur non essendo previsto un onere probatorio a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore''.
Un datore di lavoro - condannato per il delitto di cui agli artt. 110, 483 c.p., per avere ``falsamente attestato la partecipazione ai corsi di formazione presso una s.r.l. di tre dipendenti'' - deduce che ``non è stata raggiunta la prova del concorso dell'imputato nel reato, in relazione al quale era divenuto inoppugnabile il decreto di condanna emesso nei confronti del docente incaricato di tenere i corsi'', e che ``quest'ultimo era l'unica persona incaricata di compilare i registri attestanti la partecipazione ai corsi di formazione''. La Sez. V conferma la condanna, Anzitutto, esclude che ``la dimostrazione della falsità richieda lo svolgimento di perizia grafologica'', e prende atto che ``tutti i dipendenti hanno negato di avere frequentato il corso e il solo lavoratore coinvolto nell'infortunio, a seguito del quale l'imputato ha prodotto la documentazione oggetto del processo, è stato ritenuto inattendibile, alla luce del contrasto tra le dichiarazioni rese nei corso delle indagini preliminari, con le quali aveva negato di avere frequentato alcun corso, e quelle rese in dibattimento''. Ne desume che, ``del tutto razionalmente, i giudici di merito hanno concluso per la falsità dell'attestazione di partecipazione dei dipendenti ai corsi di formazione''. E ``quanto alla sussistenza del dolo'', aggiunge che, ``in assenza di qualunque specificazione in punto di fatto, la consapevolezza dell'assenza dei corsi è dimostrata dal fatto che nessuno dei dipendenti conosceva il docente'', e che ``non è dato intendere in che modo l'imputato abbia verificato l'effettivo svolgimento dei corsi per potere predisporre la documentazione che tanto attestava''.
Per un'ipotesi di falso ideologico in atto pubblico ascritta sul presupposto che i registri delle presenze concernenti non solo la fase di tirocinio, ma anche le lezioni teoriche, venivano redatti dall'indagato apponendo vicino al nome di ciascun partecipante la lettera ``P'' e senza che venissero raccolte le firme dei presenti v. Cass. 5 novembre 2020, n. 30920.