Vai al contenuto principale
La Mia Biblioteca

Accedi

Menu
  • Home
  • Cerca
  • Libreria
    • Indice degli argomenti
    • Libro

Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

Indici

Torna all'inizio

Footer

La Mia Biblioteca

  • Accedi
  • Informazioni
  • A chi si rivolge
  • Richiedi una prova
  • Guarda il video
  • Certificazione di qualità

CONTENUTI E OPERE

  • CEDAM
  • il fisco
  • IPSOA
  • UTET Giuridica
  • Wolters Kluwer

NETWORK

  • One
  • ilQG – Il Quotidiano Giuridico
  • IPSOA Quotidiano
  • Quotidiano HSE+
  • ShopWKI

HELP

  • Come utilizzarla
  • Scarica il manuale d'uso
  • Contatti
  • Note legali
  • Privacy
    • Linkedin
    • X
    • Facebook

© 2025 Wolters Kluwer Italia Srl - Tutti diritti riservati. UTET Giuridica © è un marchio registrato e concesso in licenza da De Agostini Editore S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l.

Briciole di navigazione

Indietro

    Informazione

    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

    Open
      • Stampa
      • Condividi via email
      • Visualizza PDF
      • Vai a pagina

    Precedente 45 Primo soccorso
    Successivo 47 Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
    Mostra tutte le note

    1. La prevenzione incendi è la funzione di preminente interesse pubblico, di esclusiva competenza statuale, diretta a conseguire, secondo criteri applicativi uniformi sul territorio nazionale, gli obiettivi di sicurezza della vita umana, di incolumità delle persone e di tutela dei beni e dell'ambiente.

    2. Nei luoghi di lavoro soggetti al presente decreto legislativo devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori.

    3. Fermo restando quanto previsto dal decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139 e dalle disposizioni concernenti la prevenzione incendi di cui al presente decreto, i Ministri dell'interno, del lavoro, della salute e delle politiche sociali, in relazione ai fattori di rischio, adottano uno o più decreti nei quali sono definiti:

    a) i criteri diretti atti ad individuare:

    1) misure intese ad evitare l'insorgere di un incendio ed a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi158;

    2) misure precauzionali di esercizio159;

    3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio160;

    4) criteri per la gestione delle emergenze161;

    b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione162.

    4. Fino all'adozione dei decreti di cui al comma 3, continuano ad applicarsi i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al decreto del Ministro dell'interno in data 10 marzo 1998.

    5. Al fine di favorire il miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro, ed ai sensi dell'articolo 14, comma 2, lettera h), del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, con decreto del Ministro dell'interno sono istituiti, presso ogni direzione regionale dei vigili del fuoco, dei nuclei specialistici per l'effettuazione di una specifica attività di assistenza alle aziende. Il medesimo decreto contiene le procedure per l'espletamento della attività di assistenza.

    6. In relazione ai principi di cui ai commi precedenti, ogni disposizione contenuta nel presente decreto legislativo, concernente aspetti di prevenzione incendi, sia per l'attività di disciplina che di controllo, deve essere riferita agli organi centrali e periferici del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, di cui agli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139. Restano ferme le rispettive competenze di cui all'articolo 13.

    7. Le maggiori risorse derivanti dall'espletamento della funzione di controllo di cui al presente articolo, sono rassegnate al Corpo nazionale dei vigili per il miglioramento dei livelli di sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Tra gli artt. 20 D.Lgs. n. 139/2006 e 46 D.Lgs. n. 81/2008 - 2. Omissione colposa di cautele antincendio - 3. Falso dell'esercente e del tecnico in certificazione di sicurezza antincendio - 4. La presenza del pubblico - 5. Il reato di incendio colposo - 6. I rapporti con l'art. 681 c.p. .

    L'amministratore di un condominio viene condannato per il reato di cui all'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 139/2006, per aver omesso di presentare la segnalazione certificata di inizio di attività a fini antincendio, pur essendo l'edificio destinato a civile abitazione e di altezza superiore a 24 metri. La Sez. III conferma la condanna: ``La norma incriminatrice si riferisce ai `titolari di una delle attività' che: - debbono essere soggette ai controlli di prevenzione incendi; - debbono comportare la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni; - debbono essere individuate con apposito D.P.R., da emanare secondo quanto previsto dall'art. 16, comma 2, D.Lgs. n. 139/2006. Ora, la sottoposizione dell'attività dei condomini relativi ad edifici di altezza superiore a 24 metri ai controlli di prevenzione incendi, e l'applicazione di tale disciplina in forza di un D.P.R. emanato secondo quanto previsto dagli artt. 16 e 20 D.Lgs. n. 139/2006, sono elementi che risultano specificamente dal D.P.R. n. 151/2011. Questo testo regolamentare, infatti, dopo aver richiamato espressamente in epigrafe il D.Lgs. n. 139/2006, elenca tutte le attività soggette a controlli di prevenzione incendi, mediante il rinvio all'Allegato I, ed indica, in quest'ultimo, al n. 77 della categoria A, espressamente gli edifici di altezza superiore a 24 metri. Inoltre, la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, nei condomini relativi ad edifici, e quindi anche ad edifici di altezza superiore a 24 metri, è un dato di comune esperienza. Invero, prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni sono anche, ad esempio, gli apparecchi alimentati ad energia elettrica funzionali all'illuminazione degli spazi comuni. Non sembra dubitabile, poi, che dell'attività relativa agli edifici di altezza superiore a 24 metri, quando costituiti in condominio, sia titolare l'amministratore di questo. Invero, a tal proposito, sembra sufficiente rilevare che, a norma dell'art. 1130 c.c., l'amministratore del condominio `deve compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio'. Il rilievo concernente la mancata dimostrazione in concreto della disponibilità di prodotti infiammabili, per il difetto di specifica prova concernente la presenza, nel condominio, della centrale termica e dei box per le automobili, evocati dalla sentenza impugnata, d'altro canto, non si confronta compiutamente con la motivazione di quest'ultima. Il Giudice, infatti, ha affermato, in linea generale, che `l'amministratore del condominio, nell'ambito dell'attività svolta, detiene e impiega prodotti incendiabili, infiammabili ed esplodenti', ed ha fatto riferimento alla centrale termica ed ai box a titolo meramente esemplificativo. Può aggiungersi, infatti, che altri prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni sono anche, ad esempio, gli apparecchi alimentati ad energia elettrica funzionali all'illuminazione degli spazi comuni. Ed è estremamente improbabile, nell'attuale epoca, che un condominio, per di più relativo ad un edificio di grandi dimensioni, sia sprovvisto di tali apparecchi. Per questa ragione, la disponibilità, da parte di un condominio relativo ad un edificio di altezza superiore a 24 metri, di prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, risulta classificabile tra quelle `nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza', le quali, nel processo civile, a norma dell'art. 115, comma 2, c.p.c., non avrebbero `bisogno di prova'. Posta la pressoché certa disponibilità, da parte dell'amministratore di un condominio relativo ad un edificio di grandi dimensioni, di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, quindi, deve ritenersi fosse onere dell'imputato allegare elementi concreti utili a far desumere il contrario, o comunque a far nutrire un ragionevole dubbio in proposito, e non limitarsi a mere enunciazioni di principio''. (Circa “il reato previsto dall'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 139/2006 per avere, quale proprietario di un'autorimessa di tipo privato omesso di presentare la S.C.I.A. per la sicurezza antincendio” Cass. 26 settembre 2023 n. 39127).

    Nel confermare la condanna di un sindaco per il reato di cui agli artt. 16 e 20, comma 1, D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 ``per aver omesso di richiedere il rilascio del certificato di prevenzione incendi per la scuola media statale comunale'', la Sez. III osserva: ``in materia di prevenzione incendi, anche dopo l'entrata in vigore del D.P.R. 30 luglio 2011 n. 151, integra il reato di cui all'art. 20 D.Lgs. n. 139/2006 la condotta di chi, in qualità di titolare di una delle attività contemplate alle categorie A, B e C dell'allegato I al citato decreto, ometta di richiedere ai vigili del fuoco il rilascio o il rinnovo del certificato di prevenzione antincendi''. E aggiunge: ``L'imputato lamenta l'omessa considerazione delle proroghe intervenute in materia di adempimento alle procedure di prevenzione incendi per il conseguimento del C.P.I., i cui termini si intendevano prorogati fino al 31 dicembre 2021 e non erano dunque ancora scaduti alla data dell'accertamento. Le doglianze dell'imputato attinenti alla mancata analisi della disciplina normativa sulle proroghe intervenute nella procedura di prevenzione incendi sono del tutto generiche. Le disposizioni richiamate dall'imputato, in particolare, riguardano la proroga dell'obbligo di adeguare gli edifici scolastici alla normativa in materia di prevenzione incendi, effettuando gli interventi d'uopo necessari, non già l'obbligo di richiedere il certificato di prevenzione incendi - adempimento da effettuarsi a mezzo di presentazione di una SCIA, ai sensi dell'art. 4 D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151, corredata della documentazione prevista dal decreto ministeriale da tale disposizione richiamato - posto che la finalità dell'adempimento è quella di consentire all'organo di vigilanza di effettuare i necessari controlli''.

    La presidente e due componenti del consiglio di amministrazione di una s.r.l. -condannati per i reati di lesioni personali colpose gravissime in danno di un dipendente colpito in fonderia da una tazza di caricamento e di omissione colposa di cautele antinfortunistiche. ``Si tratta dell'omessa collocazione della segnaletica finalizzata alla prevenzione incendi, dell'illuminazione di emergenza, dell'impianto di rilevazione del gas metano, come previsto nel progetto approvato dai Vigili del Fuoco, della difficoltosa accessibilità delle valvole di intercettazione del gas, della difficoltosa accessibilità dei percorsi anticendio, dovuta al deposito alla rinfusa di vario materiale, del non corretto funzionamento dell'attacco di mandata dell'autopompa, della carenza di personale addetto alla prevenzione incendi (art. 46, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008); nonché dell'omessa valutazione dei rischi specifici derivanti da atmosfere esplosive, dell'omesso aggiornamento del piano di emergenza, evacuazione e rischio incendio e degli omessi controlli dei presidi antincendio (art. 290 D.Lgs. n. 81/2008)''. (La sentenza è riportata più estesamente sub art. 61, paragrafo 16).

    La Sez. I annulla con rinvio la condanna per il reato di cui all'art. 20, D.Lgs. 8 marzo 2006 n. 139 per aver ``omesso di presentare la segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) per l'installazione di un serbatoio GPL fuori terra, posto a servizio di un'unità immobiliare di sua proprietà'': ``Il tribunale non si confronta con le deduzioni difensive, secondo cui l'imputato non aveva mai abitato l'unità immobiliare presso la quale era stato installato in serbatoio GPL di cui si controverte''.

    ``L'art. 20, comma 1, D.Lgs. n. 139/2006 incrimina, nel testo vigente al momento del fatto, l'omessa richiesta o l'omesso rinnovo del certificato di prevenzione incendi da parte di `chiunque, in qualità di titolare di una delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi'. Nonostante l'utilizzo del termine `chiunque', che compare nel testo della disposizione, si tratta di un reato proprio, realizzabile solamente da chi è `titolare di una delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi'. Occorre perciò appurare, nel singolo caso, chi sia il soggetto titolare di dette attività: se una persona fisica ovvero una persona giuridica, nel quale caso la responsabilità è da individuare in capo al legale rappresentante della società. Nel caso di specie, il tribunale ha ravvisato la qualifica soggettiva in capo all'imputato facendo unicamente leva sul fatto che, al momento dell'ispezione, egli Bellusci si presentò agli agenti quale `responsabile' dell'agriturismo, senza però confrontarsi, quantomeno per disattenderle, con le risultanze desumibili dalla visura camerale relativa all'azienda agricola, da cui emerge che l'amministratore unico della società risulta essere altri, mentre l'imputato era solo un socio''.

    Con riguardo a ``due serbatoi contenenti gasolio, ossia materiale infiammabile, da considerarsi pericoloso per qualità e quantità, in relazione alla cui detenzione era stata omessa la prescritta denuncia alle autorità e mancava l'apposito titolo abilitativo, nonché la dovuta adozione di misure volte a evitare rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori'', si procede per ``i reati di cui agli artt. 670 c.p., 20, comma 1, D.Lgs. n. 139/2006 e 46, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008''. La Corte d'Appello dichiara la prescrizione dei reati, ma ordina la confisca dei serbatoi. La Sez. I annulla con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca: ``Le risposte fornite nel provvedimento in ordine alle ragioni della confisca, limitandosi a rilevare l'utilizzo senza autorizzazione, non possono ritenersi soddisfacenti, mancando i necessari approfondimenti in ordine alle caratteristiche della cosa che possano ricollegarla intrinsecamente ai reati di cui trattasi, tanto da potersi considerare, nel caso concretamente accertato, solo eventuale e anzi del tutto ipotetica la disponibilità per qualsiasi uso conforme alle disposizioni di legge''.

    ``L'art. 46, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 stabilisce che, nei luoghi di lavoro soggetti a tale decreto legislativo, devono essere adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l'incolumità dei lavoratori, la cui inosservanza è sanzionata dal successivo art. 55, comma 2, lett. c). La mancata adozione delle misure richieste viene indicata come corrispondente ad alcune carenze che i VV.FF. avevano imposto di eliminare''.

    La Sez. III conferma la condanna ``per il reato di cui all'art. 20 D.Lgs. n. 139/2006 per aver omesso di richiedere il certificato di prevenzione incendi per due serbatoi contenenti carburante per autotrazione'': ``L'art. 20 D.Lgs. n. 139/2006 non consente distinzioni a seconda dell'utilizzo o meno in concreto di beni infiammabili o incendiabili quali risultano qualificabili i due serbatoi di gasolio da parte di chi svolga un'attività ricompresa fra quelle di cui alla norma citata. Dal momento che tale certificato, come chiarisce il precedente art.16, attesta il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa di prevenzione incendi e la sussistenza dei requisiti di sicurezza antincendio nei locali, attività, depositi, impianti ed industrie pericolose, individuati, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, priva di rilevanza è la collocazione temporanea o definitiva dei serbatoi, al pari del loro utilizzo in concreto, essendo sufficiente, trattandosi di reato di pericolo, la loro natura di beni infiammabili, incendiabili ed esplodenti''.

    La Sez. III conferma la condanna per il reato di cui all'art. 20 del D.Lgs. n. 139/2006, per omessa richiesta della SCIA (ex certificato prevenzione antincendi) per l'impianto serbatoio GPL fuori terra posto a servizio di un'attività gestita dalla società, amministrata dall'imputato.

    La Sez. III conferma la condanna per il reato di cui all'art. 20 del D.Lgs. n. 139/2006, del ``titolare di un deposito per vendita di bombole di gas per uso domestico, attività soggetta al rilascio del certificato di prevenzione incendi, perché ometteva di richiedere il rinnovo del certificato ed il rilascio di apposito certificato in relazione alla detenzione di bombole accertata, nonostante la presenza di 80 bombole (alcune piene ed altre vuote) presso l'attività commerciale, nonché nonostante la presenza di ulteriori 46 bombole (alcune piene ed altre vuote) presso la sua abitazione''.

    Condannato per il reato di cui all'art. 20 in relazione all'art. 16, comma 2, del D. Lgs. 139/2006 per aver esercitato l'attività in assenza del prescritto certificato di prevenzione incendi, il titolare di un'officina meccanica e di rimessaggio imbarcazioni nega che ``la speciale normativa antincendio che imponeva l'ottenimento dell'apposito certificato, fosse applicabile per officine - come la sua - aventi una superficie coperta inferiore a mq. 300'', e spiega che ``secondo quanto previsto dall'Allegato 1 di cui all'art. 2 del D.P.R. n. 151 dell'1 agosto 2011, non tutte le officine sono assoggettate al rilascio del certificato di prevenzione antincendi, ma solo quelle che occupano una superficie superiore a 300 mq.''. La Sez. III annulla con rinvio la condanna. Premette che ``la norma violata, contemplata dal D.Lgs. n. 139/2006 (art. 20, comma 1) recita testualmente: `chiunque, in qualità di titolare di una delle attività soggette al rilascio del certificato di prevenzione incendi, ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo del certificato medesimo è punito con l'arresto sino ad un anno o con l'ammenda da 258 euro a 2.582 euro, quando si tratta di attività che comportano la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni, da individuare con il decreto del Presidente della Repubblica. previsto dall'articolo 16, comma 1''', e che, ``a sua volta, il comma 1 del menzionato art. 16 prevede le modalità di rilascio del certificato suddetto a cura del competente Comando Provinciale del Corpo dei Vigili del Fuoco in relazione alla tipologia delle attività esercitate dall'interessato''. Osserva che, ``in effetti, la norma contemplata nell'art. 2 del detto D.P.R. detta le varie regole per l'applicabilità dei controlli di prevenzione incendi in relazione alla tipologia delle attività, richiamando l'allegato 1 che suddivide dette attività industriali in tre categorie con la relativa indicazione delle caratteristiche che impongono il rilascio del detto certificato'', e che, ``in particolare, il comma 3 del detto art. 2 prevede che `le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi si distinguono nelle categorie A, B e C, come individuate nell'allegato 1 in relazione alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela della pubblica incolumità''. Sottolinea che ``dal testo del menzionato allegato risulta che al paragrafo 53 sono inserite tra le imprese assoggettate a tale regime di prevenzione, le officine per la riparazione di veicoli a motore, rimorchi per autoveicoli e carrozzeria di superficie coperta superiore a 300 mq.'', e che, quindi, ``le attività industriali sono assoggettate all'applicazione della speciale disciplina di prevenzione incendi come enunciata negli artt. 2 e 4 del detto D.P.R. in relazione alla singola categoria di appartenenza, e non ogni attività di riparazione di veicoli a motore ed assimilati è ricompresa in tale speciale disciplina preventiva, ma solo quella che viene espletata in locali che occupano una superficie coperta superiore a 300 mq.''. E rimprovera al magistrato di merito di non aver accertato ``quale fosse la categoria dell'attività sottoposta ai controlli di prevenzione incendi e soprattutto se la superficie coperta dell'azienda occupasse o meno una entità superiore a 300 mq''.

    Condannato per il reato di cui agli artt. 16 e 20 del D.Lgs. n. 139/2006 per avere omesso di richiedere il prescritto certificato di prevenzione incendi e di presentare la prescritta segnalazione di inizio attività, il titolare di un serbatoio di gas liquido deduce a sua discolpa che ``l'omissione degli adempimenti amministrativi prescritti (richiesta di sopralluogo da parte del Comando provinciale dei Vigili del fuoco e dichiarazione di inizio attività) era da addebitare alla mancata consegna da parte dell'installatore dell'impianto della relativa documentazione tecnica, con la conseguente assenza di qualsiasi sua responsabilità al riguardo''. La Sez. III replica che ``l'art. 20 del D.Lgs. n. 139/2006 sanziona, con l'arresto fino ad un anno o l'ammenda da euro 258 a euro 2.582 la condotta del titolare di una delle attività soggette al rilascio del certificato di prevenzione incendi che ometta di richiedere il rilascio o il rinnovo dì tale certificato, quando si tratta di attività che comportano la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni''. Prende atto che, nel caso di specie, era stato installato ``presso l'abitazione dell'imputato un serbatoio di gas liquido ad uso domestico della capacità di un metro cubo, per il quale, benché necessaria (presentando, pacificamente, tale serbatoio le caratteristiche richieste dalla disposizione citata), non era stata presentata la segnalazione di inizio attività né richiesto il rilascio del certificato di prevenzione incendi'', e che si è affermata ``la responsabilità dell'imputato per tali omissioni, in ragione della piena disponibilità da parte di costui del serbatolo ottenuto in comodato (in forza di contratto concluso con l'impresa distributrice del gas liquido) e del prodotto (gas liquido) in esso depositato, da cui deriva l'obbligo dì osservanza delle norme dì esercizio e dei divieti, limiti e misure di sicurezza antincendio contemplati dalla legislazione vigente''. E ``trattandosi di fattispecie contravvenzionale, punita anche a titolo di colpa'', considera ``irrilevante l'eventuale mancata consegna della documentazione necessaria da parte del fornitore''. (V., altresì, Cass. 1° febbraio 2018, n. 4738, relativa a un deposito di vendita di bombole di gas per uso domestico; e per un'ipotesi di reato di cui all'art. 46, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 contestato al legale rappresentante di una s.r.l. per omessa adozione delle “misure necessarie al fine della prevenzione degli incendi conformemente a quanto autorizzato all'atto del rilascio del certificato di prevenzione incendi” Cass. 25 maggio 2020 n. 15759).

    Oltre a Cass. n. 21522 del 1° giugno 2021 (al paragrafo 1), v.

    L'art. 451 c.p., intitolato «omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro», punisce «chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all'estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro» (al proposito v., in passato, Cass. 14 luglio 2005, Ventura e altro, in ISL, 2005, 9, 525; Cass. 26 agosto 2004, Molinari, ibid., 2004, 11,696; Cass. 11 settembre 2003, Carella e altri, ibid., 2003, 12, 7169). Nel caso ora esaminato dalla Corte Suprema, il titolare di un'azienda esercente servizi ecologici, accusato di aver omesso di collocare idonei dispositivi antincendio, sostiene «tali dispositivi mancavano solo nel piazzale all'aperto dove veniva effettuato il lavaggio dei mezzi e dove certamente non venivano trattati materiali e/o oggetti a rischio di incendio», che, «stante la natura di reato di pericolo della fattispecie penale prevista dall'art. 451 c.p., sul piano oggettivo è pur sempre necessario che sussista la situazione di pericolo che la norma è destinata a prevenire, sia che si argomenti in termini di pericolo astratto o di pericolo concreto», che «è pur sempre necessario che la situazione oggettivamente esistente possa configurare detto pericolo e ciò anche e soprattutto per individuare il profilo soggettivo atto a distinguere, per esempio, la sussistenza del delitto previsto dall'art. 437 c.p. rispetto a quello punito dall'art. 451 c.p., puniti l'uno a titolo di dolo e l'altro a titolo di colpa», e che dunque «l'omessa predisposizione di dispositivi antincendio ha riguardato non l'intero complesso aziendale ma soltanto una zona specifica dello stesso e più precisamente il piazzale destinato all'attività di autolavaggio e dotato, quindi, di attrezzature quali pompe capaci di sprigionare con potenza abbondanti getti d'acqua e più in generale tali da creare una zona completamente umida e bagnata».La Sez. IV ne trae spunto per sviluppare una analisi proficua del delitto di omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro. Osserva che, «mirando la norma a limitare i danni derivanti da incendio, disastro o infortuni sul lavoro nelle ipotesi in cui detti eventi si dovessero verificare, la condotta punibile è quella soltanto che consiste nella omessa collocazione ovvero nella rimozione, ovvero ancora nella resa inidoneità allo scopo degli apparecchi e degli altri mezzi predisposti alla estinzione dell'incendio nonché al salvataggio o al soccorso delle persone», e che, quindi, «non si richiede anche che si verifichi in concreto uno degli eventi, i cui ulteriori danni la norma mira ad impedire o, comunque, a limitare». Chiarisce che, «se per l'esercizio di una certa attività come quella di cui è titolare l'imputato, la legge prescrive l'adozione, per la pericolosità in sé dell'attività esercitata, di determinate misure antinfortunistiche in tutti i luoghi dell'azienda ed in ogni parte di essa ove viene svolta l'attività, non può essere rimessa alla discrezionale volontà del gestore individuare le zone ove il pericolo di incendio sussiste e quelle ove non sussiste». Ritiene «opinabile asserire che, laddove sussiste una situazione di umidità o di bagnato, l'incendio non potrebbe mai verificarsi e che, quindi, manca l'elemento del pericolo richiesto dalla norma incriminatrice, in quanto è scientificamente dimostrato che liquidi infiammabili (nel caso di specie veniva effettuata anche l'attività di lavaggio rapido di automezzi pesanti e leggeri con la possibilità che da essi potessero fuoriuscire carburanti), pur mischiandosi con l'acqua, mantengono la loro capacità incendiaria». E conclude che «la scelta eventuale di non ritenere sussistente il pericolo di incendio in un determinato luogo dell'azienda ove viene svolta un'attività che richiede l'adozione delle misure antincendio, può essere rimessa solo all'organo tecnico deputato al controllo ed al rilascio delle relative autorizzazioni, ma non certo, alla parte interessata».

    La Sez. III conferma la condanna del tecnico redattore della relazione di asseverazione allegata alla S.C.I.A. presentata al comune, in concorso con il committente e l'esecutore materiale dei lavori, ``per aver falsamente dichiarato che i lavori descritti nella S.C.I.A. erano da eseguirsi su un terreno di proprietà del committente, risultando invece il fondo di proprietà del comune''.

    I proprietari di stabilimenti balneari vengono condannati in concorso con un geometra per il reato di falso ideologico in certificato commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 481 c.p. (su questo reato v., in generale, i precedenti richiamati da Alibrandi, Codice penale commentato con la giurisprudenza, Piacenza, 2011, 1382 s.; nonché, per un'applicazione del settore della sicurezza, Cass. 23 marzo 2001, Plozzer, in ISL, 2001, 383, che affronta il caso - nella prassi, tutt'altro che inconsueto - di un installatore di impianto che, nella relativa dichiarazione di conformità, aveva falsamente attestato di essere in possesso dell'abilitazione richiesta dalla legge (nella specie, si trattava del titolare di una impresa esercente attività di montaggio caldaie, e che ne conferma la condanna per il reato di cui all'art. 481 c.p., in quanto «l'imputato non ha mai ottenuto il certificato di abilitazione», e «non si è limitato a dichiarare di essere in possesso dei requisiti tecnico professionali richiesti, ma di essere in possesso e di allegare il certificato di abilitazione mai conseguito»). Questa volta, si addebitò ai titolari dell'attività di «aver istigato un geometra a certificare che negli stabilimenti balneari, ove i locali da destinare ad intrattenimenti danzanti erano siti, erano state rispettate tutte le prescrizioni in tema di sicurezza ed incolumità pubblica». A propria discolpa, gli imputati rilevano che, «contrariamente a quanto avevano ritenuto i giudici del merito, gli spazi ove dovevano svolgersi le feste danzanti non erano chiusi e circoscritti da mura, perché erano stati ricavati sul bagnasciuga e non avevano perciò pareti e finestre»; che, «quanto agli impianti elettrici, erano precari ed amovibili per il motivo che su quelle stesse spiagge il mattino dovevano svolgersi le consuete attività di balneazione e ristorazione: la mancanza di uscite di sicurezza e di altri accorgimenti a tutela della incolumità degli avventori era perciò priva di senso e rilevanza»; che «l'attestato del geometra - non ricorrente - concerneva poi a loro dire solo la generica attitudine degli spazi di cui s'è detto all'utilizzazione per lo svolgimento di trattenimenti danzanti, a prescindere dalla concreta ed effettiva attuazione del progetto, che necessitava del successivo nulla osta dei Vigili del Fuoco, e non vi era comunque stata proprio per i ripetuti controlli indotti dai reiterati esposti di un concorrente»; che «non potevano essere ritenuti responsabili di quanto il tecnico aveva scritto nella sua relazione, che si erano limitati a commissionare». La Sez. V non è d'accordo. Sottolinea che agli imputati «è contestato di aver indotto il geometra a certificare non la asserita generica idoneità, bensì la specifica rispondenza degli appositi spazi degli stabilimenti balneari alle regole tecniche prescritte, ed in particolare alle norme antincendio, specie con riferimento alle cucine», e che «detta certificazione aveva costituito il presupposto in virtù del quale il comune aveva rilasciato l'autorizzazione relativa». Aggiunge che «la circostanza che la sussistenza dei suddetti requisiti potesse essere controllata in concreto dai vigili del fuoco, non incide sulla qualificazione della condotta, che si era tradotta nell'attestazione consapevole di circostanze non vere».

    Il legale rappresentante di una s.r.l. esercente un pub fu condannato ``per avere omesso di assicurare ai lavoratori adeguate informazioni in merito alle procedure di emergenza (art. 36, comma 1, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. l, e 55, comma 5, lett. c, D.Lgs. n. 81/2008), di provvedere affinché i lavoratori incaricati alle attività di emergenza antincendio ricevessero una formazione all'uopo adeguata (art. 37, comma 9, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. l, e 55, comma 5, lett. c, D.Lgs. n. 81/2008), di aggiornare/elaborare il documento di valutazione del rischio incendio e/o esplosione (art. 17, comma 1, lett. a, e 55, comma 4, D.Lgs n. 81/2008)''. A sua discolpa, l'imputato afferma che ``l'art. 55 del D.Lgs n. 81/2008 richiamato dall'art. 17, comma 1, lett. a), fa riferimento agli `infortuni sul lavoro', sicché deve ritenersi fuori luogo il riferimento `all'afflusso di pubblico' di cui parla la sentenza impugnata''. Spiega che ``la normativa in questione fa riferimento proprio agli infortuni sul lavoro, per cui va parametrata al rischio connesso al lavoro e non al fatto che vi sia o meno il pubblico nell'esercizio commerciale''. La Sez. III ribatte che ``la tesi sostenuta dall'imputato fa leva su una interpretazione meramente formalistica del concetto di `infortunio', limitandolo solo a prestatore di lavoro ed escludendo del tutto irragionevolmente i soggetti che comunque frequentano i luoghi, in tal modo non considerando che lo scopo perseguito dalla norma è più in generale la tutela dal rischio `incendi', a cui non si sottraggono certamente i locali ove si prevede l'afflusso di pubblico connessa alla ristorazione e all'intrattenimento''. Prende atto che, nel caso di specie, ``è stata accertata - sulla scorta dei rilievi dei Vigili del Fuoco in sede di ispezione - l'inadeguatezza del documento rispetto al modo di fronteggiare i rischi di incendio e di esplosione''. Ne trae che, ``trattandosi di attività con accesso e permanenza di pubblico, il rischio infortunistico collegato all'evenienza incendi non poteva essere classificato come `basso', per cui si rendeva necessaria la previsione di vie di fuga agevoli in caso di uscita rapida per il pubblico''.

    Due i profili esaminati da questa sentenza: la definizione di incendio, la individuazione del momento consumativo del reato: ``Sotto il primo profilo, ai fini dell'integrazione del delitto di incendio (nella specie, colposo), occorre distinguere tra il concetto di `fuoco' e quello di `incendio', in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice e con creazione del pericolo per una pluralità indeterminata di persone; il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell'agente, deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento, restando irrilevante che resti circoscritto entro un limite oltre il quale non possa estendersi; in presenza di tali caratteristiche, il giudice deve prescindere dall'accertamento di un pericolo concreto, in quanto nel reato in questione il pericolo per la pubblica incolumità è presunto''. ``Sotto il secondo profilo, si deve affermare il principio per cui il delitto di incendio, sia esso doloso o colposo, si perfeziona quando il fuoco assume quelle caratteristiche di diffusività, vastità e tendenza a progredire, tali da porre in pericolo la pubblica incolumità e si consuma fino a che continua a propagarsi: la perfezione indica il momento in cui il reato viene ad esistere, la consumazione indica il momento in cui il reato viene a cessare. Solo a partire da tale momento eventuali addebiti di colpa diventano irrilevanti, mentre i contributi colposi che intervengono prima di tale momento, in quanto non impediscono l'ulteriore propagazione delle fiamme, devono ritenersi causali''.

    Confermata la condanna per incendio colposo del proprietario di un capannone che in violazione di una regola cautelare di generale ed immediata applicabilità aveva collegato alla corrente elettrica la batteria di un autocarro ivi ricoverato, lasciandolo poi incustodito nonostante all'interno del capannone vi fossero diverse bombole di GPL che infatti si erano incendiate. (Per un ulteriore caso d'incendio colposo di un capannone industriale di proprietà di una s.a.s. adibito a deposito di carta da macero e alla lavorazione della carta v. Cass. 18 maggio 2023 n. 21146).

    La Sez. IV conferma la condanna della datrice di lavoro legale rappresentante di una s.r.l. proprietaria di un magazzino adibito a deposito di prodotti alimentari e materiali combustibili per incendio colposo dell'immobile: ``l'avere agito senza certificato di prevenzione antincendi, con impianto di antincendio tradizionale, necessitante la presenza umana (per rilevare l'innesco, prima, e per adoperare estintori, poi), la mancanza di impianto di rilevazione automatica di fiamme, l'avere in definitiva non adeguatamente valutato il rischio incendio, la mancanza di impianto di spegnimento automatico `a pioggia' suggerito anche se non imposto dai Vigili del Fuoco in sede di esame della richiesta di rilascio del certificato, pratica mai esaurita, sono stati ritenuti elementi fondanti la responsabilità, per colpa, dell'imputata, la cui piena conoscenza risulta provata''.

    ``Ai fini dell'integrazione del delitto di incendio (doloso o colposo) occorre distinguere tra il concetto di `fuoco' e quello di `incendio', in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone''.

    Il datore di lavoro di un teatro viene imputato, ``per avere contribuito a causare l'incendio del teatro, non osservando le procedure di valutazione del rischio, in particolare: omettendo di valutare i concreti pericoli di incendio del magazzino, anche attraverso la mancata individuazione dei materiali infiammabili, attribuendo un livello di rischio (solo) medio, nell'ambito di un documento stimato generico, superficiale ed imprudente, all'esito di due sole verifiche nel magazzino, peraltro lontane nel tempo ed effettuate solo empiricamente `a vista', un calcolo dei materiali presenti nel magazzino del teatro, ed omettendo di adottare misure di attivazione automatica dei sistemi di segnalazione di allarme incendio perché la stima del magazzino fu superficiale ed insufficiente; perché la indicazione dei luoghi a rischio incendio di cui all'allegato al d.m. 10 marzo 1998 è da ritenersi meramente esemplificativa; perché erano da ritenersi necessari impianti automatici di segnalazione dell'incendio, oltre che di spegnimento dello stesso''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV prende atto che, ``quanto al problema della valutazione del rischio incendi, l'indicazione dei luoghi a rischio incendio di cui all'allegato al d.m. 10 marzo 1998 è meramente esemplificativa e non già tassativa'', che ``la stima della quantità di materiale potenzialmente infiammabile conservato nel magazzino era stata effettuata con superficialità, cioè solamente `a vista' in occasione di due sopralluoghi effettuati parecchio tempo prima dell'incendio e non rinnovati, e, quindi, in violazione dell'obbligo, che si trae dal sistema, di meditato giudizio prima di attribuire l'uno ovvero l'altro livello di rischio'', e che ``la concentrazione di elevata quantità di materiale infiammabile, cioè legno carta, tessuti e plastica, in un magazzino poco frequentato rendeva forse bassa l'eventualità di innesco, ma elevatissima la probabilità di propagazione dell'incendio, proprio per l'assenza di personale che potesse effettuare un pronto intervento di allarme e di utilizzo dei primi strumenti di spegnimento'', ``con l'ulteriore conseguenza che la valutazione di `rischio medio' non era in concreto coerente con il tipo di luogo (utilizzo dei locali e materiale custodito) e nella realtà dei fatti si è rivelata una patente `sottovalutazione' del rischio''. Prende atto poi, che, ``quanto alla necessità di installazione di impianti automatici di segnalazione dell'incendio, oltre che di spegnimento dello stesso, proprio in ragione della accertata saltuaria presenza di un unico lavoratore nel magazzino dei costumi, considerati, da un lato, il tipo di utilizzo dei locali (magazzino) e, dall'altro, il tipo di materiale (altamente infiammabile) custodito, anche a prescindere dalla errata (e colpevolmente superficiale, nonché comunque mai aggiornata) stima del `carico d'incendio', era necessario installare un impianto di rilevazione e spegnimento automatico per il fatto stesso che era assolutamente prevedibile che, una volta innescato un inizio di incendio, la sua propagazione non avrebbe potuto essere prontamente e adeguatamente fronteggiata se non in modo automatico, a causa della presenza sporadica, occasionale e saltuaria di un solo dipendente''. Pertanto, ``l'omissione è fondatamente ascritta all'imputato perché il comportamento alternativo lecito era esigibile; prevedibile il livello di rischio; adeguato a prevenirne la concreta realizzazione lo strumento omesso''.

    I legali rappresentanti e datori di lavoro di una s.r.l. esercente la produzione di fuochi pirotecnici furono condannati per disastro e omicidio colposi, perché ``cagionavano per colpa il decesso di tre operai e le lesioni di altri due, tutti intenti alla lavorazione di materiali pirotecnici presso il suddetto opificio, la distruzione di locali della fabbrica, nonché un incendio di vaste proporzioni che interessava l'adiacente bosco in due distinti punti collocati entrambi a circa 60 metri dal luogo dell'esplosione, derivandone dal fatto un pericolo per la pubblica incolumità''. La Sez. IV osserva: ``Ai fini della configurabilità del delitto di disastro colposo, previsto dall'art. 449 c.p., è necessario e sufficiente che si verifichi un accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all'incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile. Inoltre, per la configurabilità del reato di disastro innominato colposo, è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti. A tal fine, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere, con valutazione `ex ante', accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l'evento dannoso non si è verificato: ciò perché si tratta pur sempre di un delitto colposo di comune pericolo, il quale richiede, per la sua sussistenza, soltanto la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica e non necessariamente anche la prova che derivi un danno. E nel caso di specie le dimensioni dell'incendio e la presenza attigua di area boschiva, peraltro di interesse paesaggistico, hanno integrato gli estremi di tale fattispecie criminosa, laddove la caratteristica sufficiente ai fini della connotazione di pericolo ravvisabile nell'ipotesi di cui all'art. 434 c.p. richiede una diffusività ed indeterminatezza del danno diretto ad un numero indeterminato di persone ravvisabile, appunto, nella propagazione dell'incendio distruttivo verificatosi nella fabbrica''.

    La titolare e il socio di fatto di una ditta furono condannati per il reato di cui all'art. 449 c.p., ``perché, per colpa consistita nell'avere realizzato uno stato dei luoghi difforme da quello autorizzato dal certificato di prevenzione incendi, cagionavano un incendio che interessava un capannone esteso circa 120 mq, adibito a deposito di materiale per l'edilizia e di ferramenta oggetto dell'attività commerciale svolta dal secondo, all'interno di un'area recintata di proprietà della prima nella quale erano altresì presenti numerose bombole piene di Gpl, oggetto dell'attività commerciale svolta da quest'ultima''. La Sez. IV osserva: ``L'incendio è inserito tra i delitti contro la pubblica incolumità in considerazione della sua intrinseca attitudine a esporre a rischio i beni della vita e dell'integrità fisica di un numero indeterminato di persone. Perché ciò si verifichi è necessario che si tratti di un fuoco di vaste proporzioni che abbia la tendenza a diffondersi e sia difficile da spegnersi e tale non è un fuoco che venga domato sul nascere o che non abbia ancora raggiunto proporzioni considerevoli. E la diffusività del fuoco non deve essere necessariamente esterna all'oggetto dell'incendio, ma va, anzitutto, stabilita con riferimento a tale oggetto. Inoltre, il pericolo per la pubblica incolumità, l'oggetto specifico della tutela apprestata dalla norma incriminatrice, può essere costituito non solo dalle fiamme, ma anche da quelle che sono le loro dirette conseguenze (il calore, il fumo, la mancanza di ossigeno, l'eventuale sprigionarsi di gas pericolosi delle materie incendiarie) che si pongono in rapporto di causa-effetto con l'incendio senza soluzione di continuità. Dal quadro normativo al cui interno si colloca il reato in questione (Titolo VI del codice penale, relativo ai reati contro l'incolumità pubblica, al cui interno trovano collocazione, per quello che qui interessa, il Capo I dedicato ai delitti dolosi di comune pericolo mediante violenza ed il Capo III dedicato ai delitti colposi di comune pericolo), emerge che si tratta di figure nelle quali non è affidata al giudice la concreta valutazione ex post della pericolosità della condotta, ma è la norma che descrive alcune situazioni tipicamente caratterizzate, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all'incolumità personale. Si è, infatti, in presenza di eventi dotati dì forza dirompente e quindi in grado di coinvolgere numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile. Rispetto a tali eventi, non è richiesta l'analisi a posteriori di specifici decorsi causali, che è invece propria degli illeciti che coinvolgono una o più persone determinate. Al contrario, ciò che caratterizza il pericolo per la pubblica incolumità è semplicemente la tipica, qualificata possibilità che le persone si trovino coinvolte nella sfera d'azione dell'evento disastroso descritto dalla fattispecie, esposte alla sua forza distruttiva. È necessaria, quindi, una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, casualmente, l'evento dannoso non si sia verificato. Nella specie, le operazioni di spegnimento e di messa in sicurezza dell'area, da parte dei vigili del fuoco, si erano protratte per oltre tre ore e avevano richiesto, oltre allo spegnimento delle fiamme, anche il raffreddamento delle bombole di Gpl; il deposito sorgeva lungo la strada statale in un'area abitata, tanto che dall'altro lato della via pubblica, larga 5 metri circa, vi erano diverse villette familiari; il fabbricato più vicino a quello che aveva preso fuoco sorgeva a 4,5 metri di distanza; le fiamme si erano propagate all'interno di un capannone, adiacente ad un cortile dove venivano depositate all'aperto circa 300 chili di bombole di Gpl, che potevano facilmente esplodere anche per il calore prodotto dalle fiamme; all'interno del capannone era custodito materiale altamente infiammabile, come vernici e smalti, in aperta violazione della prescrizione contenuta nel certificato antincendio; solo il tempestivo intervento dei vigili del fuoco aveva evitato che le fiamme coinvolgessero tale materiale e si propagassero all'esterno cagionando l'esplosione delle bombole di Gpl con sicuro pregiudizio per la pubblica incolumità''.

    (Per ipotesi di incendio boschivo Cass. 17 giugno 2019, n. 26623 e Cass. 23 luglio 2018 n. 34783; sull'incendio in un luogo di intrattenimento danzante con condanna a sei anni di reclusione Cass. 17 aprile 2019, n. 16602; sulla condanna di un imprenditore edile e del direttore dei lavori per l'incendio nella copertura di una villetta a causa dell'omesso isolamento della canna fumaria collegata al caminetto Cass. 13 agosto 2019, n. 35967).

    Il titolare di una discoteca fu condannato, ``per avere violato le prescrizioni inerenti la sicurezza pubblica dettate dalla pubblica autorità in riferimento al numero di avventori consentito all'interno della discoteca, risultato superiore al limite imposto, ed all'omesso mantenimento in efficienza ed in condizioni di praticabilità delle uscite di emergenza''. La Sez. I osserva: ``Tra le due fattispecie, incriminate rispettivamente dall'art. 681 c.p. e dall'art. 46 del D.Lgs. n. 81/2008, è ravvisabile il rapporto di specialità bilaterale per specificazione, contenendo reciprocamente l'una elementi peculiari e specializzanti rispetto all'altra. Ebbene, proprio la considerazione di tale situazione in base ai criteri interpretativi suggeriti dalle Sezioni Unite di questa Corte con la pronuncia n. 1963 del 28 ottobre 2010, induce a confermare la corretta applicazione al caso di entrambe le disposizioni di legge concorrenti, sia perché volte a tutelare beni giuridici diversi, sia perché, qualora tale considerazione non fosse ritenuta decisiva, non è dato ravvisare alcun criterio normativamente disciplinato per individuare quella prevalente sull'altra. Premesso che, come puntualmente osservato dalle Sezioni Unite, l'art. 15 c.p., nel prevedere l'operatività del principio di specialità, postula il presupposto che le norme concorrenti siano riferite alla `stessa materia' senza offrirne però alcuna definizione, tale concetto è stato dalla giurisprudenza di legittimità riferito alla `stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico di reato nel quale si realizza l'ipotesi di reato' (Sez. Un. n. 16568 del 19 aprile 2007), ravvisabile `nel caso di specialità unilaterale per specificazione perché l'ipotesi speciale è ricompresa in quella generale' ma `anche nel caso di specialità reciproca per specificazione (si veda per es. il rapporto tra 581 e 572 c.p.) ed è compatibile anche con la specialità unilaterale per aggiunta (per es. 605 e 630) e con la specialità reciproca parte per specificazione e parte per aggiunta (641 c.p. e 218 legge fall.)', dovendosi escludere soltanto `nella specialità reciproca bilaterale per aggiunta nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo'. È stata altresì dettata la nozione di specialità, che qualifica la situazione in cui la fattispecie `speciale' contiene tutti gli elementi di altra, quella `generale', ma non li esaurisce, presentandone di ulteriori, sicché si realizza l'ipotesi del concorso apparente di norme, da risolversi con l'applicazione della fattispecie speciale, sempre che `i reati abbiano la stessa obiettività giuridica nel senso che deve trattarsi di reati che devono disciplinare tutti la medesima materia ed avere identità di struttura'. Nella diversa situazione in cui due o più norme siano in rapporto di specialità reciproca, le stesse presentano elementi caratteristici e specializzanti in modo vicendevole, per cui è maggiore la difficoltà di individuare quella prevalente; talvolta è il legislatore direttamente ad offrire soluzione al tema mediante la previsione di clausole di riserva che indicano quale sia l'ordine di priorità nell'applicazione della norma incriminatrice, riferibile al caso. In mancanza di tali clausole e nell'impossibilità di assegnare preferenza ad una piuttosto che all'altra disposizione va ravvisato il concorso formale tra norme, da applicarsi contestualmente. Ebbene, è quanto si verifica nel caso in esame, nel quale la considerazione delle fattispecie astratte come delineate dall'art. 681 c.p. e dagli artt. 46 e 55, D.Lgs. n. 81/2008 induce a ritenere che le stesse differiscano per: a) soggetto attivo, in un caso il titolare o gestore, anche occasionale, del locale pubblico, nell'altro il datore di lavoro; b) beni aggrediti, la pubblica incolumità, piuttosto che la sicurezza dei lavoratori nello svolgimento della prestazione lavorativa; c) luogo di commissione del reato, un locale adibito a sede di trattenimenti danzanti rispetto al luogo di svolgimento dell'attività lavorativa; d) fonte dell'obbligo trasgredito, nel primo caso la licenza per esercizio di attività commerciali nel settore del pubblico spettacolo, nell'altro le prescrizioni antincendio dettate dalla specifica disciplina di cui all'art. 46 citato. La riscontrata diversità di elementi costitutivi delle fattispecie e la loro specialità bilaterale non consentono l'applicazione al caso del principio sancito dall'art. 15 c.p., ma rende configurabile il concorso formale di norme, il che impedisce l'invocato assorbimento dei reati. La diversa opinione sulla natura plurioffensiva dei reati in comparazione ed in particolare della contravvenzione di cui all'art. 46 non ha alcun riscontro nella struttura delle fattispecie e non tiene conto che, per costante insegnamento di questa Corte, la contravvenzione di cui all'art. 681 c.p. è volta a proteggere l'incolumità del pubblico che assiste allo spettacolo, mentre il reato di cui agli artt. 46 e 55, D.Lgs. n. 81/2008 persegue lo scopo di prevenire gli incendi e tutelare la sicurezza dei lavoratori anche a prescindere dalla confluenza o meno nel locale di un pubblico di avventori''.

    Circa il reato di cui all'art. 681 c.p., v.:

    ``La contravvenzione prevista dall'art. 681 c.p. è integrata dalla condotta di colui il quale tiene aperto un luogo di pubblico trattenimento senza osservare le prescrizioni a tutela dell'incolumità pubblica, indicate dalla competente commissione tecnica di vigilanza, ove queste siano state recepite e trasfuse nel provvedimento di licenza rilasciato dall'autorità di pubblica sicurezza. Nel caso in esame, l'imputato aveva ottenuto il rilascio del titolo che prevedeva l'obbligo di non accogliere più di 450 persone; limite che, secondo gli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, era stato superato, essendo state conteggiate, all'atto del sopralluogo, 950 persone. Secondo la difesa, tuttavia, il conteggio sarebbe stato effettuato in maniera errata, atteso che vi sarebbero stati compresi anche coloro che, al momento del controllo, si trovavano presso il guardaroba, accessibile non soltanto ai clienti della sala discoteca, ma anche alle persone collocate in altri piani dell'hotel, trattandosi dell'unico guardaroba disponibile. Tale assunto è, però, articolato con modalità non scrutinabili in questa sede, essendosi al cospetto di una deduzione meramente fattuale, che è stata, peraltro, smentita dalla sentenza impugnata, ove è stato evidenziato, a partire dalle testimonianze rese dagli autori dei controlli, come la relativa verifica fosse stata circoscritta al solo locale discoteca e non anche al guardaroba; e come la stessa direzione dell'hotel avesse inviato al Comune una comunicazione preventiva nella quale aveva indicato che il locale discoteca e non il guardaroba fosse fruibile anche da parte di altri clienti, oltre a quelli che sarebbero stati ospitati presso il suddetto locale''.

    ``Condanna per la contravvenzione dell'art. 681 c.p. per aver organizzato, quale amministratore unico di una s.r.l. una serata danzante presso un albergo senza osservare le prescrizioni dell'autorità che limitavano la capienza del luogo a 750 persone'': ``Il metodo utilizzato dai Carabinieri, che hanno contato gli avventori mentre li facevano defluire verso l'uscita, è quello che garantisce più di tutti la corrispondenza tra il numero delle persone presenti e quelle conteggiate''; inoltre, ``stando alle dichiarazioni della sorella dell'imputata, i biglietti in più venivano staccati solo man mano che si vedevano ad occhio gli spazi liberi in sala'', sicché ``sono stati venduti più biglietti della capienza e non era stato predisposto un metodo organizzativo volto ad evitare che si superasse il numero massimo''.

    Condanna per il reato di cui all'art. 681 c.p. ``per avere, senza la licenza del questore prevista dall'art. 68 T.U.L.P.S. per feste da ballo e simili intrattenimenti, e senza la previa verifica della sicurezza dell'edificio e della sua dotazione di uscite di sicurezza di cui all'art. 80 R.D. n. 773/1931 ai fini della tutela dell'incolumità pubblica, organizzato una discoteca aperta al pubblico''. Osserva la Sez. III: ``A nulla rileva che si tratti di attività esercitata in via permanente e professionale, ovvero soltanto episodica ed occasionale, trovando applicazione anche nei confronti di chi, sia pure per una sola volta, abbia aperto un luogo di pubblico spettacolo''.

    Il reato di cui all'art. 681 c.p. non può ritenersi realizzato nel caso di concessione in locazione di un locale ad un soggetto privato affinché questi vi tenga una riunione privata, limitata a familiari ed amici, per festeggiare una ricorrenza. Diverso è il caso dell'incontro riservato ai soci di un circolo privato, che secondo un risalente orientamento non può considerarsi spettacolo pubblico, anche se il numero degli associati sia particolarmente elevato, l'ammissione di essi non sia soggetta a forma rigida e gli spettacoli siano frequenti e oggetto di pubblicità. Tuttavia, integra il reato de quo l'esercizio di un'attività di intrattenimento in un locale formalmente concepito come club privato e, come tale, accessibile solo alla ristretta cerchia degli aderenti ad esso, ma sostanzialmente aperto senza discriminazioni a chiunque, mediante il pagamento della quota di adesione, allorché manchino le autorizzazioni amministrative prescritte per l'esercizio di quell'attività in luoghi aperti al pubblico. Infine, la condotta deve avvenire senza che l'agente abbia osservato le prescrizioni dell'Autorità a tutela della incolumità pubblica. Tale segmento della fattispecie pone una serie di questioni. Sotto un primo aspetto, deve ritenersi che la contravvenzione sia configurabile anche nel caso in cui manchi del tutto, in quanto non richiesta o, comunque, non rilasciata o scaduta di validità, la licenza, nelle quale le suddette prescrizioni avrebbero dovuto essere contenute. Sotto altro aspetto, le prescrizioni dell'Autorità rimaste inosservate debbono necessariamente essere poste `a tutela della incolumità pubblica'. Ne consegue che il reato sussiste nel caso in cui il titolare abbia ottenuto l'autorizzazione alla somministrazione di bevande, la licenza temporanea per pubblico spettacolo e il certificato di idoneità statica dell'immobile, trattandosi di provvedimenti aventi differenti finalità. Sul piano procedurale, poi, se è vero che l'Autorità deve provvedere secondo le indicazioni di cui all'art. 80 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (cd. T.U. delle leggi di pubblica sicurezza), a mente del quale `l'autorità di pubblica sicurezza non può concedere la licenza per l'apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell'edificio e l'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio, nondimeno la contravvenzione de qua sussiste anche nel caso in cui l'autorità di P.S., in violazione del citato art. 80, abbia omesso di richiedere la preventiva verifica ad opera dell'apposita commissione tecnica della solidità e sicurezza dell'edificio, provvedendo comunque a fornire le relative prescrizioni. Fermo restando che, in ogni caso, le conclusioni della commissione tecnica prevista dall'art. 80 sono meri atti preparatori, interni al procedimento amministrativo, sicché essi sono privi di efficacia cogente nei confronti dei terzi, finché non siano stati recepiti in provvedimenti dell'Autorità di pubblica sicurezza. La contravvenzione prevista dall'art. 681 c.p. si distingue, avuto riguardo alla sua diversa finalità, rispetto a quella della contravvenzione, ora depenalizzata, di cui all'art. 666 c.p., essendo la prima compresa tra le contravvenzioni `concernenti l'incolumità pubblica' e riguardando le specifiche prescrizioni da impartirsi, secondo la procedura indicata dall'art. 80, a tutela di tale bene giuridico, mentre la seconda riguarda la licenza prescritta dall'art. 60 T.U.L.P.S. per l'apertura del locale di trattenimento ai fini del controllo sull'ordine pubblico e la sicurezza in genere. Nel caso di specie, non ricorreva la fattispecie depenalizzata di cui all'art. 666 c.p., avuto riguardo al venire in rilievo delle specifiche esigenze di tutela dell'incolumità pubblica connesse all'apertura di uno spazio accessibile a un elevato numero di persone, rispetto al quale non erano state verificate le condizioni di sicurezza dell'edificio (sia sotto il profilo della solidità del fabbricato, sia sotto l'aspetto della presenza di uscite idonee all'immediato sgombero in caso di pericolo).

    La contravvenzione di apertura abusiva di luoghi di pubblico spettacolo o trattenimento, prevista dall'art. 681 c.p. a carico di chi apra o tenga aperti luoghi del genere anzidetto ``senza aver osservato le prescrizioni dell'autorità a tutela dell'incolumità pubblica'', è configurabile anche nel caso in cui manchi del tutto, in quanto non richiesta o, comunque, non rilasciata o scaduta di validità, la licenza, nelle quale le suddette prescrizioni avrebbero dovuto essere contenute. D'altra parte la contravvenzione sussiste anche in caso di inosservanza della disposizione di cui all'art. 80 TULPS, che richiede la preventiva verifica ad opera di un'apposita commissione tecnica della solidità e sicurezza dell'edificio. Quindi, il precetto di cui all'art. 681 c.p. non è rivolto esclusivamente a chi gestisce, in via permanente e professionale, luoghi di pubblico spettacolo, trattenimento o ritrovo, ma a `chiunque' apre o tiene aperti detti luoghi, senza aver osservato le prescrizioni dell'autorità a tutela della incolumità pubblica. Conseguentemente, la norma incriminatrice va applicata anche nei confronti di chi, occasionalmente e sia pure per una sola volta, abbia aperto un luogo di pubblico spettacolo. L'imputato stato riconosciuto responsabile del reato di cui all'art. 681 c.p., perché, quale amministratore del locale pubblico, teneva trattenimenti danzanti senza aver osservato le prescrizioni dell'Autorità a tutela dell'incolumità pubblica, in specie in mancanza della prescritta licenza di agibilità e, nei fatti, senza avere programmato un sistema di fuga (porte antincendio, indicazioni, ecc.).

    Note a piè di pagina
    158
    Per i criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, vedi il D.M. 3 settembre 2021.
    Per i criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, vedi il D.M. 3 settembre 2021.
    159
    Per i criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, vedi il D.M. 3 settembre 2021.
    Per i criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, vedi il D.M. 3 settembre 2021.
    160
    Per i criteri generali per il controllo e la manutenzione degli impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio, vedi il D.M. 1 settembre 2021.
    Per i criteri generali per il controllo e la manutenzione degli impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio, vedi il D.M. 1 settembre 2021.
    161
    Per i criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, vedi il D.M. 2 settembre 2021.
    Per i criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, vedi il D.M. 2 settembre 2021.
    162
    Per i criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, vedi il D.M. 2 settembre 2021.
    Per i criteri per la gestione dei luoghi di lavoro in esercizio ed in emergenza e le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio, vedi il D.M. 2 settembre 2021.
    Fine capitolo