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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    Questo volume non è incluso nella tua sottoscrizione. Il primo capitolo è comunque interamente consultabile.

    Informazioni sul volume

    Autore:

    Raffaele Guariniello

    Editore:

    Wolters Kluwer

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    Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

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    1. Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.77

    2. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta.

    GIURISPRUDENZA COMMENTATA

    Sommario: 1. Lavori su lucernari e simili .

    Oltre a Cass. 24 ottobre 2022 n. 40073, Cass. 16 luglio 2021 n. 27434 e a Cass. 3 giugno 2021, n. 21550, v.:

    ``L'art. 148 D.Lgs. n. 81/2008 dispone che, prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, debba essere accertato che questi ultimi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari accorgimenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta. In capo al datore di lavoro sussiste, dunque, uno specifico obbligo di verifica in concreto in ordine alla resistenza della superficie su cui insisterà la lavorazione e, nel caso in cui dovesse sorgere, nell'ambito di tale accertamento, un dubbio circa la capacità portante della superficie calpestabile, s'impone al datore di lavoro l'adozione di tutte quelle cautele idonee a salvaguardare l'incolumità fisica dei lavoratori. L'assunto difensivo secondo cui l'avvenuto collaudo dell'immobile, in epoca antecedente all'infortunio, sarebbe stato di per sé idoneo a creare affidamento in ordine alla resistenza della copertura è smentito dall'inequivocabile disposto della predetta norma, la quale, nell'ancorare l'adozione di cautele idonee alla protezione dei lavoratori alla sussistenza di un mero dubbio sulla effettiva resistenza delle superfici, esclude che l'esito positivo di un collaudo avvenuto tanti anni prima possa di per sé creare un legittimo affidamento in capo al datore di lavoro, esonerandolo dall'obbligo della verifica in concreto della resistenza della copertura. Nel caso di specie, si è posta in luce la consapevolezza in capo all'imputato, proprietario dell'immobile e datore di lavoro, del deterioramento dei cupolini in fibrocemento, in considerazione delle infiltrazioni d'acqua cui era costantemente soggetta la copertura del fabbricato e della circostanza che nel corso degli anni, a causa di tale fenomeno, l'imputato e il fratello erano intervenuti ripetutamente al fine di sostituire i cupolini deteriorati. In secondo luogo, si è evidenziata la totale carenza di apprestamenti idonei a tutelare l'incolumità del lavoratore, il quale si trovò ad operare su di una copertura deteriorata senza essere stato munito di dispositivi di protezione individuale, in assenza di linee salvavita o di altre protezioni''.

    La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore di una s.r.l. ``per colpa consistita nella violazione degli artt. 148 e 36, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, non approntando sulla copertura autoportante di nuova realizzazione del reparto piegatura taglio lamiere, idonee tavole, né idonee misure per evitare il calpestio sui lucernai non calpestabili, né segnali di avvertimento del pericolo di caduta, né installando le linee vita atte a consentire l'aggancio di cordini di imbracatura di sicurezza, né approntando sotto ai lucernai impalchi di protezione, infine non informando adeguatamente il lavoratore del rischio specifico di caduta dall'alto'', con la conseguenza che ``il lavoratore adibito al montaggio di una canalina metallica lungo il perimetro del tetto e privo di mezzi di protezione dalla caduta dall'alto, né informato sulla non calpestabilità dei lucernai, precipitava da uno di questi''. Si accertò che il lavoratore ``calpestava accidentalmente un lucernaio avente una copertura provvisoria (costituita da canaline metalliche e bancali in legno, con una lastra in vetroresina sottostante)'', e che ``il lucernaio, essendo inidoneo a sostenere il peso del lavoratore, cedeva''. L'imputato lamenta che ``l'art. 148 D.Lgs. cit. consente l'esecuzione di lavori su tetti e lucernai, imponendo solo la preventiva verifica della resistenza (per sostenere il peso di operai e materiali di impiego) nonché il collocamento di tavole sopra le orditure e i sottopalchi'', e che, ``nel rispetto di tali disposizioni, egli disponeva l'apposizione di opportuno materiale di costruzione sul lucernaio in questione'', La Sez. IV ribatte che ``il lucernaio -coperto da una lastra in vetroresina non calpestabile sulla quale erano stati disposti bancali in legno e canaline in ferro in violazione dell'art. 148 D.Lgs. n. 81/2008- costituiva una fonte di rischio di caduta dall'alto, non era adeguatamente segnalato ed era artatamente occultato dal materiale sovrappostovi''.

    Il datore di lavoro di una s.r.l. -condannato per l'infortunio subito da un dipendente intento ad operare sulla copertura di un capannone industriale per la realizzazione di un impianto fotovoltaico e caduto da un'altezza di 5-6 metri- sostiene a propria discolpa l'inapplicabilità della nozione di ``lavoro in quota'', ``atteso che l'attività lavorativa non si svolgeva a più di due metri di altezza rispetto a un piano stabile, ma su una copertura piana, il cui piano di calpestio era qualificabile esso stesso come piano stabile''. La Sez. IV replica che ``vi è al riguardo un dato testuale che risulta dirimente, costituito da quanto stabilito dall'art. 148 D.Lgs. n. 81/2008''. Ne desume ``la riferibilità della nozione di `lavoro in quota' anche alle prestazioni eseguite su coperture del tipo di quella ove avvenne l'infortunio''. Considera irrilevante, oltreché infondato, ``l'assunto in base al quale non si sarebbe potuto parlare, nella specie, di `lavoro in quota' non trattandosi di un tetto spiovente ma di una copertura piana''. Spiega che ``in realtà la presenza di una parziale copertura in ondulina del capannone (alto 5-6 metri circa), inidonea a sopportare il peso dei lavoratori, rendeva necessarie le misure di protezione e prevenzione degli infortuni derivanti da lavori in quota''. Ne ricava che ``trova applicazione la nozione suddetta, che del resto l'art. 107 del Testo Unico del 2008 riferisce a lavori comportanti rischi di caduta da un'altezza superiore ai due metri, e che è nozione di applicazione generale, al punto di non essere limitata al settore delle costruzioni edilizie, riguardando tutte le attività in quota che possano determinare cadute dall'alto dei lavoratori''. Conclude che, ``essendo configurabile la nozione di `lavoro in quota', il piano operativo di sicurezza (di cui al combinato disposto dell'art. 17, comma 1, lettera a, dell'art. 89, comma 1, lettera h, e dell'allegato XV del D.Lgs. n. 81/2008) doveva necessariamente recare specifica menzione delle misure preventive e protettive, nonché dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori'', e che ``l'assenza di tali indicazioni, rilevante ai fini del rischio concretizzatosi, è stata specificamente valutata come elemento deponente per l'inidoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dall'impresa''.

    ``L'art. 148 del D.Lgs. n. 81/2008 prevede che, in caso di compimento di lavori su lucernari, tetti e coperture di dubbia resistenza, ai dispositivi di protezione individuale anticaduta `vengano associati' mezzi di protezione collettiva quali tavole da collocare sul piano di calpestio ovvero sottopalchi da apporre al di sotto della zona pericolosa. Le misure di protezione collettiva dovevano preservare i lavoratori da qualsiasi rischio di caduta, intendendosi per tale non solo quello insito nel luogo in cui avrebbero dovuto rimuovere le lastre della copertura, ma anche quello cui erano esposti per raggiungere il luogo di lavorazione''. Assorbente è il rilievo che il datore di lavoro ben avrebbe potuto collocare una rete anticaduta a `protezione' delle parti della copertura non in grado di sorreggere il peso di una persona, misura la cui adozione non avrebbe sicuramente interferito con gli impianti produttivi sottostanti. Se era vero che il PSC prevedeva l'uso delle reti anticaduta solo per la posa della nuova copertura, era altrettanto vero che tale prescrizione doveva essere riferita, secondo logica, anche alle opere di demolizione, la cui esecuzione comportava il medesimo rischio di precipitazione verticale. La locuzione `sottopalchi' utilizzata dall'art. 148 cit. non ha natura tassativa, ma solo esemplificativa dei mezzi di protezione da utilizzare per garantire l'incolumità dei lavoratori esposti al rischio di caduta dall'alto, e l'impiego di reti anticaduta eracomunque dettato anche da norme di comune prudenza e diligenza. Il piano operativo di sicurezza redatto dalla s.p.a. appaltatrice prevedeva che le misure di protezione collettiva (fra cui le reti anticaduta e i ponteggi) venissero utilizzate alternativamente e non cumulativamente con i mezzi di protezione individuale.

    Quanto all'interpretazione dell'art. 148 D.Lgs. n. 81/2008, la Sez. IV non condivide ``l'assunto difensivo secondo il quale la locuzione `costruzioni edilizie' posta quale titolo della Sezione VII vorrebbe dire che tutte le norme ricomprese in tale sezione si riferiscono esclusivamente alla fase di edificazione, e non a qualsiasi altra fase prodromica, successiva o complementare, quale, con riferimento al caso che occupa, quella relativa alla demolizione delle parti ammalorate del tetto dello stabilimento''. E valorizza in proposito più elementi: ``a) La locuzione `costruzioni edilizie' posta quale titolo della Sezione VII, nel quale l'art. 148 è collocato, non ha valore normativo specifico; d'altra parte, la Sezione VII è inserita nel Capo II, intitolato `Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota'; e nel medesimo Capo II (quale sotto settore del Capo stesso), è inserita la Sezione VIII, intitolata `Demolizioni'; b) la sfera di operatività di tutte le disposizioni del Capo II è resa chiara dal primo articolo del capo stesso (art. 105), ove si spiega che `le norme del presente capo si applicano alle attività che, da chiunque esercitate e alle quali siano addetti lavoratori subordinati o autonomi, concernono la esecuzione dei lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione, risanamento, ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento o lo smantellamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali costituiscono, inoltre, lavori di costruzione edile o di ingegneria civile gli scavi, e il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile. Le norme del presente capo si applicano i lavori in quota di quel presente capo e ad ogni altra attività lavorativa'; quindi, la locuzione `costruzioni edilizie' di cui al titolo della Sezione VII, si riferisce (non a un momento `dinamico' dell'attività relativa alle costruzioni, bensì) all'oggetto di qualsiasi attività lavorativa, e cioè a qualunque manufatto attinente a edifici di qualsiasi genere (case, chiese, scuole, caserme, ponti, torri, cabine elettriche, capannoni, strutture portuali, ecc. ecc. ecc.). Significa cioè che, quando si abbia a lavorare intorno a simili `costruzioni edilizie', si devono seguire le norme del TUSL; c) le disposizioni delle singole `sezioni' sono quelle più specifiche e particolari, che regolamentano i singoli settori delle attività dei lavori in quota, senza però che tali disposizioni assumano carattere esclusivo e discriminatorio rispetto alla comune applicabilità - a tutta l'attività da svolgersi in quota - del complesso delle norme contenute all'interno del capo medesimo. In definitiva, secondo la Corte di merito, l'espressione `costruzioni' deve ritenersi comprensiva di tutte le attività funzionali alla realizzazione di una costruzione e, dunque, anche alle operazioni demolitorie''.

    ``Si richiede che il datore di lavoro accerti la resistenza della superficie su cui si dovrà lavorare e, in caso di dubbio, adotti le cautele atte a garantire l'incolumità dei lavoratori. Cosicché vi sono un'unica condotta e un unico bene-interesse tutelato dalla disposizione nel suo complesso, che risulta essere quello dell'incolumità dei lavoratori, in relazione alla quale l'adozione di apposite cautele può essere evitata dal datore di lavoro solo nel caso in cui non vi siano dubbi sulla sufficiente resistenza della superficie di lavoro. La violazione della disposizione in questione è, del resto, punita dal successivo art. 159, comma 2, lettera a), che la prende in considerazione unitariamente, senza distinguere fra comma 1 e comma 2, così confermando che la stessa non disciplina due diverse ipotesi di reato. L'imputato non aveva adeguatamente provveduto a verificare la resistenza della superficie di lavoro, perché si era limitato ad un superficiale sguardo del tetto da terra, senza salirvi sopra e senza accertare che vi fossero punti dove ancorare le cinture di sicurezza. Inoltre, l'imputato non aveva informato i dipendenti del fatto che la superficie di lavoro non era calpestabile L'imputato ha, dunque, certamente commesso la violazione, consistente nel non avere adeguatamente accertato che il tetto avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Né egli aveva approntato adeguati strumenti di cautela, non essendovi sul tetto punti ai quali ancorare le cinture di sicurezza degli operai.

    E non sussiste alcun mutamento della contestazione - contrariamente a quanto dedotto con il secondo motivo di ricorso - perché l'imputato è stato condannato per la condotta di cui sopra, che corrisponde a quella descritta nell'imputazione''.

    «Sussiste continuità normativa tra le disposizioni di cui agli artt. 10 e 70, D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164 - benché formalmente abrogate dall'art. 304, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - e la vigente normativa antifortunistica. Invero, il contenuto delle predette disposizioni risulta ad oggi recepito dall'art. 148, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, ove è stabilito che prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai; e che nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti, pure facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticaduta». (V. anche Cass. n. 18099 del 10 aprile 2017, sub art. 44, paragrafo 1).

    L'art. 148 del D.Lgs. n. 81/2008 dispone che «prima di procedere all'esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, [fermo restando l'obbligo di predisporre misure di protezione collettiva: inciso inserito dall'articolo 85, comma 1, del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106] deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Nel caso in cui sia dubbia tale resistenza, devono essere adottati i necessari apprestamenti atti a garantire la incolumità delle persone addette, disponendo, a seconda dei casi, tavole sopra le orditure, sottopalchi e facendo uso di idonei dispositivi di protezione individuale anticadute. Nel caso di specie, la lavorazione oggetto d'esame era stata eseguita, dal lavoratore infortunato, sulla copertura di un edificio, in particolare su una striscia di calpestio ivi esistente della larghezza di circa 50 cm, posta tra due vasti lucernari in vetroresina. In relazione a siffatta situazione, non appare ragionevolmente revocabile in dubbio che tale contesto ambientale sia esattamente quello individuato dal citato art. 148, segnatamente nella parte in cui si riferisce a ogni forma di copertura, anche assimilabile a lucernari o tetti, che presentino profili di rischio lavorativo sostanzialmente equiparabili, se non identici tra loro. Deve pertanto ritenersi solo pretestuosa la pretesa di interpretare l'art. 148 cit. come riferito alle sole lavorazioni da eseguirsi su `lucernari', atteso l'espresso riferimento della norma richiamata all'esecuzione di attività lavorative su coperture `simili' ai lucernari, ed avuto riguardo alla sostanziale assimilabilità delle caratteristiche proprie dei prevedibili rischi legati all'esecuzione delle attività lavorative su dette coperture, rispetto a quelli cui fu esposto il lavoratore infortunato».

    Note a piè di pagina
    77
    Comma sostituito dall'art. 85, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
    Comma sostituito dall'art. 85, comma 1 del D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106.
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