1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell'allegato XXXIII, ed in particolare:
a) organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute;
b) valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell'allegato XXXIII;
c) evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all'allegato XXXIII;
d) sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all'allegato XXXIII.
3. Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell'allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: 1. Movimentazione manuale dei carichi e rischio da sovraccarico biomeccanico - 2. La sorveglianza sanitaria .
Un operaio litografo recatosi in magazzino per il prelievo di una latta di smalto rilevò che ``il prodotto di cui aveva bisogno non era sul pavimento del magazzino (ove erano state collocate le latte di smalto di uso più comune), ma sullo scaffale, ad una altezza di 130/140 cm da terra'', e ``mentre spostava la latta, la stessa scivolò e finì per gravare con tutto il suo peso, di circa 25 kg, sul braccio destro''. La Sez. IV conferma la condanna del datore di lavoro: ``Le regole relative alla movimentazione di carichi collocati sugli scaffali non erano contenute nel documento di valutazione del rischio, non erano dunque mai state formalizzate e non v'era garanzia alcuna che fossero rispettate''. ``La sentenza di primo grado individua la condotta omessa nell'incompleta valutazione del rischio; nella mancanza di una procedura operativa volta a prevenire la movimentazione manuale; nella mancata vigilanza sul rispetto delle misure previste (ancorché non formalizzate) e, specularmente, individua la condotta alternativa doverosa nel compimento delle attività omesse. La Corte d'Appello ha integrato questa motivazione con specifico riferimento ai commi 1 e 2 dell'art. 168 D.Lgs. n. 81/2008, che prevedono l'adozione di misure organizzative al fine di evitare `la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori' (art. 168, comma 1) e di ridurre il rischio conseguente a tale movimentazione manuale (art. 168, comma 2)''.
La Sez. IV conferma l'assoluzione dei datori di lavoro di un'azienda agricola dal reato di omicidio colposo in danno di un bracciante agricolo intento a prelevare da terra cassette di frutta e a trasportarle su pedane ai lati di un vigneto e colpito da iperpiressia da colpo di calore con decesso dopo 34 giorni di degenza ospedaliera: ``La Corte d'Appello ha ritenuto congrue le previsioni del DVR adottato dalla ditta rispetto alle mansioni svolte dai braccianti agricoli occupati nel vigneto. E infatti il rischio che riguarda in concreto l'attività di raccolta dell'uva, costituito dalla movimentazione manuale dei carichi (MMC), è in realtà considerato accettabile non richiedendo, quindi, alcuno specifico intervento da parte del datore di lavoro, né a livello procedurale (formazione o sorveglianza sanitaria), né a livello organizzativo, cosicché non era neppure richiesta la previsione di specifiche misure dirette a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza in occasione della raccolta dell'uva. La Corte d'Appello ha ritenuto che l'impegno fisico richiesto ad un bracciante agricolo nell'attività di sollevamento e trasporto per una decina di metri di cassette del peso di sette chilogrammi non è risultata un'attività idonea ad incidere in modo significativo sul rischio connesso da MMC che nel caso in esame è risultato modesto. La sentenza di primo grado puntualizza, altresì, che i criteri per la valutazione del rischio da MMC contenuti nel DVIR fanno riferimento, pur in modo sintetico, al metodo Niosh per la valutazione specifica ed all'allegato XXXIII del D.Lgs. n. 81/2008 relativamente alle variabili del carico da considerare (in particolare il peso delle cassette) giungendo alla conclusione che si tratta di rischio accettabile sia per uomini che per donne. La sentenza d'appello ha implicitamente disatteso la censura difensiva riguardante la mancata rielaborazione dei rischi alla luce del Decreto Ministeriale del 27 marzo 2013. Sul punto la sentenza di primo grado ha escluso che l'introduzione del nuovo protocollo abbia comportato la necessità di una nuova valutazione dei rischi in quanto tale nuovo protocollo era stato predisposto non in conseguenza di variazioni della tecnologia e dell'organizzazione dell'attività lavorativa di raccolta dell'uva, ma in conseguenza delle modifiche normative introdotte dal Decreto interministeriale de quo''. (Circa il profilo attinente al colpo di calore v. questa stessa sentenza sub art. 28, paragrafo 34).
Il legale rappresentante di una s.r.l. fu condannato a due anni di reclusione per il decesso di un lavoratore colto da malore in un cantiere edile ``durante l'attività di trasporto di materiale percorrendo una scala in muratura di 49 gradini per un dislivello di circa 10 metri, essendo la zona ove si svolgevano i lavori sottoposta alla sede stradale''. Si accertò che ``l'attività era iniziata alle ore 7, era stata effettuata, intorno alle 9, una pausa di circa 15 minuti e poco dopo, al primo viaggio in salita, si era verificato il malore'', che ``il peso delle cassette oggetto del trasporto, rinvenute sul cantiere, pari a circa 22 kg per quelle contenenti materiale di risulta e più di 40 kg per quelle contenenti sabbione'', che ``la frequenza delle azioni di sollevamento, le modalità di trasporto a spalla, il tempo di riposo di 15 minuti dopo due ore di lavoro erano fuori dei limiti'', e che ``i trasporti effettuati tra le 7 e le 9 in particolare erano stati diciassette, ciò che rendeva la movimentazione dei carichi fuori dei limiti di legge, anche in relazione alla frequenza delle azioni''. Inoltre, ``quanto alle condizioni di salute del lavoratore ed alle cause del decesso, venivano in rilievo gli esiti della autopsia dalla quale era emerso che la morte era stata causata da uno shock cardiogeno da arteriosclerosi occlusiva marcata di tre vasi coronarici, essendo state peraltro rilevate lesioni cicatriziali di precedenti infarti o insulti ischemici, lesioni che in relazione alla età del soggetto (44 anni) erano indicative di risalente cronica ipertensione non trattata, patologia su cui uno sforzo può dar luogo ad un'ischemia acuta''; e per di più ``veniva rilevata una patologia valvolare con lieve prolasso mitralico e lieve ectasia della valvola aortica, lesioni probabilmente secondarie all'ipertrofia ventricolare, pure riscontrata, di notevole grado (27 mm)''. Nel confermare la condanna, la Sez. IV rileva ``come non fosse stata operata una specifica valutazione dei rischi sulla salute dell'operaio sia in relazione a patologie derivanti dall'attività sia per la verifica delle condizioni di attitudine allo svolgimento della specifica mansione''. Sottolinea che ``nell'art. 168 D.Lgs. n. 81/2008 è specificamente richiamata la previsione dell'art. 41 del medesimo decreto in merito alla necessità di preventiva verifica delle condizioni di salute anche in caso di mutamento di mansioni''. Afferma che tale circostanza ``appare da sola sufficiente a porre in relazione l'attività lavorativa affidata, organizzata in violazione dei principi di prevenzione, con il decesso del lavoratore, univocamente da riconnettersi allo sforzo fisico rilevante e prolungato cui lo stesso era stato sottoposto''.
Il presidente e amministratore delegato di una s.r.l. fu dichiarato colpevole del reato di lesioni colpose, ``consentendo ovvero non impedendo, in violazione dell'art. 168, comma 1, del D.Igs. 9 aprile 2008, n. 81, che gli addetti alle macchine fustellatrici presenti nel reparto `fastellatura coni' eseguissero manualmente i lavori di movimentazione dello stampo, eseguiti senza predisporre sistemi di presa utili ad estrarre lo stampo in condizioni di sicurezza'', con la conseguenza che un ``operaio addetto alla macchina fustellatrice, per estrarre lo stampo, introduceva entrambe le mani nei fori della matrice che in conseguenza le schiacciava'',
Il titolare di un'impresa di costruzioni fu condannato per omicidio colposo in danno di un dipendente che, in conseguenza di una giornata lavorativa che lo aveva visto impegnato nello scarico di materiale edile, aveva contratto una rabdomiolisi che lo aveva condotto a morte. Colpa: aver destinato il lavoratore ``a mansioni diverse da quelle per cui era stato assunto senza un preventivo giudizio di idoneità fisica del medico competente e in assenza di specifici dispositivi di movimentazione meccanica del materiale edile; ``non avere garantito al dipendente una specifica formazione e informazione sui carichi da movimentare e sui rischi connessi a tale movimentazione''. Gli accertamenti necroscopici e medico legali, oltre ad escludere profili di colpa in capo al personale sanitario che aveva avuto la cura e l'assistenza del lavoratore a seguito dell'infortunio, fino al decesso avvenuto cinque giorni dopo, dimostrarono ``la ricorrenza di relazione causale diretta tra gli sforzi compiuti dal lavoratore in ragione dei carichi di lavoro sostenuti e la morte del lavoratore, determinata da complicanze renali a seguito di sovraffaticamento muscolare con alterazione metabolica e circolatoria''. La Sez. IV conferma la condanna: ``Sotto il profilo causale, il lavoratore era intento a svolgere un'attività che rientrava nelle mansioni affidate, benché diverse da quelle per cui era stato assunto, che in relazione a dette mansioni non era stata praticata alcuna specifica formazione e che le istruzioni relative allo svolgimento dello scarico del mezzo non erano state impartite da alcun preposto, ma sostanzialmente concordate tra i lavoratori laddove il lavoratore, che di regola svolgeva le mansioni di autista ed era anche il lavoratore dotato di maggiore forza fisica, aveva preferito operare lo scarico del materiale (termo blocchi in cemento) dall'interno del camion lanciando il materiale ai lavoratori che si trovavano per terra''. ``Quanto ai profili soggettivi, numerose e rilevanti sono le inosservanze ascritte al datore di lavoro, sia per il fatto di avere adibito il dipendente a mansioni non usuali e in particolare a quelle di carico e scarico di materiale pesante in assenza di una adeguata formazione e informazione sulle pratiche da seguire e in assenza di sorveglianza sanitaria sul lavoratore, sia per una assolutamente carente, in quanto inesistente, organizzazione del lavoro che il lavoratore era chiamato a svolgere''. E ancora: ``Non è sufficiente affermare che, sulla base delle cognizioni possedute dal datore di lavoro, al momento dell'innesco del meccanismo causale (lavoro muscolare eccessivo, prolungato, privo di adeguati ausili meccanici, compiuto da lavoratore privo di sorveglianza sanitaria e impreparato a tale sforzo) non risultava in concreto prevedibile una patologia che presentasse sviluppi di ingravescenza tali da rendere possibile un decorso totalmente infausto, laddove l'orizzonte previsionale dell'operatore che riveste una posizione di garanzia, deve essere valutato rispetto alle cognizioni che egli avrebbe dovuto avere o acquisire, e alle condotte che avrebbe dovuto tenere come conseguenza di tali acquisizioni. Una adeguata organizzazione e sovraintendenza delle operazioni lavorative da parte del datore di lavoro, attuata anche mediante soggetti preposti all'occorrenza, avrebbe reso palese che le operazioni cui era stato assegnato il lavoratore, peraltro privo di adeguata copertura derivante da sorveglianza sanitaria, comportavano un carico di lavoro assolutamente insostenibile, in quanto prevedevano la movimentazione, nella medesima giornata di lavoro, di 720 termo blocchi del peso di 10 kg ciascuno, e pertanto un carico giornaliero di oltre sette tonnellate di materiale, scaricato manualmente dal lavoratore. La responsabilità per colpa del datore di lavoro, anche in chiave di prevedibilità delle conseguenze di un così intenso sforzo fisico, non va esaminata pertanto alla luce delle patologie lombo sciatalgiche, erniali e articolari pure rappresentate nel POS, quale possibile conseguenza nel tempo di una prolungata esposizione dei lavoratori in attività di movimentazione manuale di pesi, ma va esaminata nell'ambito dello specifico incombente assegnato e delle modalità in cui lo stesso venne organizzato, diretto ed eseguito. Ne consegue che una valutazione in concreto delle operazioni lavorative svolte dal lavoratore rendeva del tutto evidente che il lavoratore, al termine della giornata lavorativa, avesse accumulato un affaticamento muscolare talmente intenso, prolungato e insopportabile (si pensi ai segni premonitori del gonfiore muscolare, della sensazione di freddo avvertita in una parte del corpo, della indisposizione lamentata dal lavoratore il giorno successivo, degli esiti dei successivi accertamenti), tale da provocare una condizione di tale ingiuria e debilitazione muscolari da cui derivava la acidosi muscolare, e la `rabdomiolisi' quale possibile conseguenza di un tale stato di prostrazione. Il datore di lavoro si era sottratto a molteplici obblighi di formazione, istruzione, organizzazione e, soprattutto di vigilanza sanitaria, disponendo delle proprie maestranze in assenza di uno specifico accertamento preventivo teso a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore era stato poi destinato, ai fini di una valutazione della sua idoneità alla specifica mansione. Così facendo il datore di lavoro aveva sostanzialmente abdicato alla sua funzione di garanzia che gli imponeva, ancor prima di organizzare il lavoro secondo criteri dì appropriatezza e di adeguatezza, di adibire alle lavorazioni manuali soltanto lavoratori che non presentassero contro indicazioni, di fatto accettando che potessero essere adibiti a mansioni pesanti o usuranti lavoratori privi di idoneità fisica o portatori di particolari patologie che li rendevano inadatti, o addirittura incompatibili, con lo specifico incombente''.
``Nel caso che occupa l'infortunio si é verificato nell'ambito di attività di movimentazione manuale di materiali ad opera del lavoratore infortunatosi. In relazione a tale tipologia di attività l'art. 168 D.Lgs. n. 81/2008 prescrive al datore di lavoro di adottare le misure organizzative necessarie e di ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori. Solo ove non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell'allegato XXXIII, ed in particolare egli organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri condizioni di sicurezza e salute; valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell'allegato XXXIII; evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischio, delle caratteristiche dell'ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all'allegato XXXIII; sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria. A fronte di tali prescrizioni lo spazio lasciato al datore di lavoro per l'individuazione delle misure di prevenzione da adottare è residuale, dovendo egli in via prioritaria evitare la movimentazione manuale dei carichi; solo in via sussidiaria egli può ricorrere alla movimentazione manuale dei carichi; in tal caso egli deve organizzare l'attività ed i luoghi di lavoro in modo da ridurre al minimo i rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi, in particolare organizzando i posti di lavoro in modo da garantire la sicurezza e la salute degli addetti''.
La Sez. IV conferma la condanna dell'amministratore unico datore di lavoro, per aver cagionato lesioni personali a un dipendente intento a collocare una lastra di marmo di circa 70 kg in posizione perpendicolare e colpito da tale lastra scivolatagli dalle mani, con l'addebito di ``non aver previsto, nel piano di valutazione dei rischi relativamente alla movimentazione manuale dei carichi, il rischio specifico e le procedure operative per la movimentazione e la posa in opera di testate di marmo del peso di 100 kg né il tipo di ausilio da parte di mezzi meccanici necessario ad effettuare tali operazioni in sicurezza'': ``Il documento di valutazione dei rischi in vigore al momento dell'infortunio prevedeva regole generiche e, quindi, di fatto insussistenti in quanto, laddove prescriveva che per carichi troppo pesanti occorresse utilizzare mezzi ausiliari, non prevedeva quale dovesse essere il peso limite e quali fossero i mezzi ausiliari da adottare mentre solo dopo l'infortunio era stato adottato il documento di valutazione dei rischi che prescriveva che la movimentazione doveva essere fatta con pinze meccaniche sino alla fase di posa e fissaggio delle lastre quando queste fossero in posizione verticale mentre, nel caso di lastre in orizzontale, dovevano essere utilizzate brache in canapa o fibre artificiali. Erra l'imputata nell'affermare che la corte territoriale ha ritenuto fosse necessario adottare il documento di valutazione rischi che prevedesse la movimentazione meccanica di pesi superire a 30 kg sul presupposto erroneo che sussistesse una norma che prevedeva tale limite ponderale oltre il quale sorgeva l'obbligo specifico. La norma di cui all'art. 48, D.Lgs. n. 626/1994 [ora art. 168, D.Lgs. n. 81/2008] prevede che il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie con ricorso ai mezzi meccanici per evitare la movimentazione manuale dei carichi e prevede, al comma 2, che, qualora non sia possibile evitare la movimentazioni manuale dei carichi, adotti le misure organizzative necessarie o fornisca ai lavoratori mezzi adeguati a ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale. Il documento di valutazione rischi, per la sua genericità, non prevedeva alcuna norma specifica in relazione alla movimentazione dei carichi di qualsiasi peso, tanto che solo in seguito venne adottato il piano con la previsione specifica sul punto. Dunque il giudizio della corte d'appello non risulta basato sull'errore di legge in ordine alla sussistenza di una norma che preveda il limite massimo di 30 kg. per la movimentazione manuale dei carichi''.
«Quanto all'asserita abolitio criminis dell'art. 48, D.Lgs. n. 626/1994 ad opera dell'art. 304, D.Lgs. n. 81/2008, il raffronto tra le norme, perlopiù sovrapponibili, esclude in radice un'intervenuta soluzione di continuità normativa tra le fattispecie contravvenzionali, con la conseguente rilevanza penale del fatti commessi sotto la pregressa disciplina».
Il responsabile legale di una s.n.c. e il consulente esterno furono rinviati a giudizio per il reato di lesione personale colposa, «per avere cagionato lesioni personali gravi (nella specie sinovite ipertrofica stenosante dei tendini flessori del III, IV e V dito della mano destra), a carico di una dipendente e per avere altresì procurato l'aggravamento delle stesse». La colpa addebitata fu quella «di aver violato le norme per l'igiene sul lavoro (art. 3, comma 1, lettera f), e 35, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994), anche in relazione all'art. 2087 c.c., per aver consentito che la dipendente fosse adibita a lavorazioni, come la cernita manuale, il cassettamento, la rifinitura al tavolo e la pulizia, con esposizione a movimenti e sforzi ripetuti senza l'adozione dei provvedimenti necessari a tutelarne l'integrità fisica, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica». In particolare, al consulente esterno, si rimproverò «di avere, su incarico del datore di lavoro, eseguito una erronea valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori nelle postazioni - tra l'altro a causa dell'errata valutazione dei tempi di recupero, e dell'omessa valutazione delle operazioni di pulizia, operazioni sicuramente ad elevato rischio - e perciò di avere omesso di suggerire al datore di lavoro le misure di prevenzione da adottare, affermando tra l'altro la non necessità di interventi migliorativi di riprogettazione del posto di lavoro».
Nell'occuparsi in seguito a ricorso del pubblico ministero della posizione della datrice di lavoro, la Sez. IV premette che «l'imputata, rivolgendosi ad un consulente esterno, non ha fatto altro che affidarsi alla valutazione dei rischi, effettuata da quest'ultimo, apparsa in un primo tempo erronea per l'omessa valutazione delle attività lavorative cui era adibita la dipendente, ma poi assolutamente corretta alla luce del contenuto riportato dalle tabelle OCRA dell'epoca, vale a dire del 2004, anche se da tale omessa valutazione sono derivate le lesioni alla dipendente, riscontrate all'inizio del 2006 con aggravamento tra luglio e settembre dello stesso anno». Rileva che il pubblico ministero «non contesta, in riferimento a tale dato fattuale, la sovrapposizione operata dal Tribunale della posizione della datrice di lavoro con quella del consulente, ma ritiene che rimanga una colpa residua a carico dell'imputata, in quanto risulta del tutto pacifico che il datore di lavoro non effettuò alcuna valutazione del rischio prima del 2004, mentre la datrice riportò lesioni personali consistenti nell'insorgenza della sindrome del tunnel carpale nel corso dell'anno 2003». Solo che questa colpa residua non fu contestata all'imputata.
Il Presidente del consiglio di amministrazione di una s.r.l. fu condannato, « per non aver messo a disposizione degli autotrasportatori addetti alle consegne delle confezioni di alimenti per animali domestici (sistemate su pallets lignei del peso di circa 300 kg ciascuno) attrezzature idonee ai fini della sicurezza e la salute durante le fasi di movimentazione e scarico dei colli, consentendo che gli stessi utilizzassero transpallets azionati manualmente».
Nel respingere il ricorso dell'imputato, la Sez. III rileva che «l'uso dei traspallets manuali, verificato dall'ispettore, in luogo di quelli elettronici dallo stesso suggeriti (ritenuti impropriamente dall'imputato non adatti alle movimentazioni dei colli) presentava dei rischi di lesione della colonna vertebrale, con conseguente integrazione del reato contestato».
Nel contemplare gli obblighi del datore di lavoro contro il rischio lavorativo della movimentazione manuale dei carichi, l'art. 48 D.Lgs. n. 626/1994, ripreso dall'art. 168, D.Lgs. n. 81/2008, impone, per un verso, l'adozione delle «misure organizzative necessarie», e, per l'altro, il ricorso ai «mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche». Nel caso ora affrontato dalla sentenza qui segnalata, il legale rappresentante di una cooperativa viene assolto dal Tribunale e condannato dalla Corte d'Appello per il reato di lesione personale colposa, per «avere fatto lavorare un operaio senza ridurre il rischio connesso alla movimentazione di arredi; in particolare senza fornire mezzi meccanici per il trasporto, guanti di sicurezza e scarpe antiscivolo, sicché mentre provvedeva al trasporto di una cassettiera metallica da un ufficio ad un altro, sito in una diversa scala del palazzo, all'atto di scendere alcuni scalini, scivolava e si procurava una grave lesione al polso destro (sezione dei tendini flessori del radiale del carpo, con un'inabilità di circa un anno), in quanto il braccio infilato all'interno del vano di un cassetto rimaneva ivi intrappolato e lacerato durante la caduta». A dire del Tribunale:
«– la cooperativa aveva fornito all'operaio guanti di plastica e stoffa e non vi era alcuna prova che fossero inidonei a garantire la sicurezza, salvo che per un evento del tutto imprevedibile quale il peso del mobile metallico in caduta;
– aveva fornito anche scarpe antinfortunistiche, sebbene in quanto strette, l'infortunato non le utilizzasse al momento del fatto; alla sostituzione delle scarpe doveva però provvedere il dipendente che era delegato, di fatto, come rappresentante dei lavoratori a soddisfare le loro esigenze;
– non era certo che la caduta fosse riconducibile alla mancanza di scarpe antiscivolo;
– quanto all'addebito della movimentazione manuale del carico, la cooperativa era dotata di carrelli e cinghie e, per casi particolari, era solita noleggiare macchinari», e «il trasporto a mano di una cassettiera era modalità adeguata».
Per contro, ad avviso della Corte d'Appello:
«- i guanti erano stati forniti sebbene poi in fatto si fossero dimostrati inadeguati;
– quanto alla omessa fornitura di adeguate scarpe antiscivolo (della misura idonea all'utilizzo da parte del lavoratore), tale omissione aveva determinato la caduta e la circostanza che le scarpe fossero state fornite all'operaio, ma fossero troppo strette, equivaleva ad omessa fornitura;
– le modalità di trasporto erano state inadeguate, in quanto sarebbe stato possibile utilizzare dei «carrellini», limitando il rischio di cadute».
Nel respingere il ricorso dell'imputato, la Sez. IV afferma che «le regole cautelari indicate nell'art. 48, D.Lgs. n. 626/1994 e quella prevista dall'art. 43 medesimo D.Lgs. (in relazione al dovere del datore di lavoro di fornire ai lavoratori i DPI idonei alla sicurezza, nel caso di specie guanti e scarpe), sono state violate, in quanto nell'esecuzione del lavoro non sono stati utilizzati dispositivi meccanici di trasporto, in relazione a mobilia che lo stesso dipendente dell'azienda ha indicato come `illegale' in quanto metallica», e, inoltre, «a fronte del fatto che il trasloco esponeva i lavoratori a rischi, è risultato che l'infortunato non fosse munito di adeguate scarpe antiscivolo e di guanti anti-taglio». E prende atto che, nel caso di specie:
«- pur essendo la movimentazione di mobili metallici una operazione potenzialmente rischiosa, essa è stata svolta senza l'ausilio di mezzi meccanici e senza la adozione di alcuna cautela sostitutiva;
– i guanti utilizzati non erano anti-taglio, sebbene il rischio fosse prevedibile a fronte della movimentazione di oggetti metallici, peraltro con modalità approssimative;
– il lavoratore, al momento del fatto, utilizzava personali scarpe da ginnastica e non quelle aziendali antiscivolo, in quanto quelle fornite erano di un numero a lui non adatto».
La Sez. IV ne ricava «una disorganizzazione complessiva del lavoro, di cui non può non attribuirsi la responsabilità alla scarsa opera di vigilanza del datore di lavoro, che quindi, colpevolmente, con le sue omissioni, ha fornito un contributo causale alla verificazione dell'evento dannoso».
Due datori di lavoro sono condannati per lesione personale colposa, per aver adibito a lavori pesanti un dipendente inidoneo, così determinando l'insorgere di patologia cervicale e lombosacrale. Gli imputati lamentano, per un verso, «la mancata assunzione di prove decisive: perizia medica ed esame di testi che avrebbero potuto dimostrare l'inesistenza delle lesioni dedotte e comunque l'impossibilità di ricondurle all'attività lavorativa», e, per l'altro, «carenza di motivazione in ordine alla relazione causale tra la condotta contestata e l'evento, considerato che il lavoratore aveva già in precedenza manifestato l'affezione in questione e conduceva uno stile di vita contrassegnato da attività sportive idonee ad indurre la patologia». Per contro, la Sez. IV prende atto che «il lavoratore era da tempo affetto da patologia che lo rendeva inidoneo a svolgere lavori pesanti; che il giorno dei fatti egli era adibito a scaricare pesanti casse; che durante tali operazioni egli fu colto da improvviso e lancinante dolore; che non vi sono concreti elementi per ritenere simulata tale evenienza che mostra indubbiamente la relazione eziologica di cui si discute; che la tesi difensiva secondo cui il lavoratore avrebbe in precedenza manifestato il proposito di simulare l'affezione in questione oltre a non essere compiutamente dimostrata appare illogica, non potendosi ipotizzare che il proposito fraudolento fosse stato ad altri del tutto imprudentemente manifestato».
Nel contemplare gli obblighi del datore di lavoro contro il rischio lavorativo della movimentazione manuale dei carichi, l'art. 48, D.Lgs. n. 626/1994, ripreso dall'art. 168, D.Lgs. n. 81/2008, impone, per un verso, l'adozione delle «misure organizzative necessarie», e, per l'altro, il ricorso ai «mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche». Questa è proprio la norma la cui violazione in occasione di un infortunio fu addebitata al titolare di una ditta di auto-traslochi che, personalmente ed insieme ad altri suoi cinque dipendenti, tra cui l'infortunato, stava effettuando il trasloco di una pesante cassaforte. Il profilo di colpa a carico dell'imputato venne ravvisato nel non aver predisposto misure idonee atte ad evitare l'infortunio mediante l'uso di mezzi meccanici per il trasporto.
La Sez. IV, a conferma della condanna del datore di lavoro, prende atto che «nel caso concreto esisteva la possibilità di movimentare la cassaforte mediante `mezzi meccanici' che sono preferiti dal legislatore nello svolgimento di tali tipi di lavoro proprio per le maggiori garanzie di sicurezza», e che, «seppure il datare di lavoro non avesse avuto nell'immediata disponibilità un adeguato mezzo meccanico, avrebbe dovuto predisporre quelle misure organizzative necessarie allo svolgimento del lavoro con riduzione del rischio infortunio». Rileva che, «in ragione del peso della cassaforte di circa 300 kg ripartito per il numero delle persone (sei) incaricate, ogni operaio doveva sopportare un peso di circa 50 kg assolutamente eccessivo rispetto a quello che la legge ritiene normalmente sopportabile da un uomo per tali tipi di lavoro». Reputa irrilevante che «il giudice del merito non abbia indicato quale dovesse essere, rispetto a quello adottato, il sistema alternativo di spostamento della cassaforte tale da garantire situazioni di sicurezza per gli operai». Spiega che «la norma contestata non indica nello specifico le misure da adottare, ma lascia la scelta alla discrezionalità imprenditoriale del datore di lavoro, stabilendo che deve adottare le misure organizzative necessarie, ricorrere ai mezzi appropriati, o fornire ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale dei detti carichi. (Nel caso concreto, poteva essere momentaneamente divelta - per poi riapporla - la ringhiera del balcone, sicché, una volta imbracata, la cassaforte sarebbe stata spostata dalla gru; ciò avrebbe evitato verosimilmente il rischio di infortunio di cui trattasi: tale manovra avrebbe determinato una perdita di tempo con maggiori costi, ma certamente questa non è una buona ragione per eludere gli obblighi gravanti sul datore di lavoro di garantire la sicurezza sul lavoro dei suoi dipendenti)».
È da notare, quanto al campo di applicazione delle norme riguardanti la movimentazione manuale dei carichi, che, mentre l'art. 47, comma 1, D.Lgs. n. 626/1994 faceva riferimento alle «attività che comportano la movimentazione manuale dei carichi con i rischi, tra l'altro, di lesioni dorso-lombari per i lavoratori durante il lavoro», l'art. 167, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 prende in considerazione le «attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi che comportano per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari».
Il legale rappresentante di un'associazione onlus per l'assistenza ai disabili viene dichiarato colpevole del reato di cui agli artt. 89, comma 2, lettera a), e 48 D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 [ora art. 168 D.Lgs. n. 81/2008], «perché aveva omesso, sebbene i dipendenti fossero esposti al rischio di movimentazione manuale dei carichi, di adottare alcuna misura organizzativa o alcun mezzo meccanico per evitare o ridurre la movimentazione manuale, omettendo anche di nominare il medico competente».
A sua discolpa, l'imputato deduce che: «non esiste nessuna norma che preveda l'obbligo di sorveglianza sanitaria e di nomina di un medico competente per i dipendenti che svolgano attività come quelle del centro in questione», ed «egli non aveva quindi alcun obbligo di nominare un medico competente, avendo in proposito ampia discrezionalità valutativa»; «la perizia di ufficio ha escluso l'esistenza di alcun rischio dei dipendenti per la movimentazione dei disabili ed esistevano idonei apparecchi per la movimentazione meccanica», sicché «non essendovi rischio non vi era obbligo di nominare un medico competente»; «egli aveva nominato un tecnico quale responsabile della sicurezza nella struttura lavorativa, il quale gli aveva assicurato l'assenza di rischi sul posto di lavoro».
La Sez. III ritiene invece «configurata la contravvenzione in esame essendo stato accertato che i dipendenti del centro addetti ai disabili avevano a disposizione un unico lettino in grado solo di alzarsi ed abbassarsi, e dovevano quindi provvedere manualmente al trasferimento dei disabili dalla carrozzina al lettino e viceversa nonché a tutte le operazioni di sollevamento e spostamento necessarie per consentire ai pazienti di assolvere alle esigenze fondamentali, e quindi con una movimentazione manuale del carico gravosa non solo per il peso in sé ma anche per la variabilità del baricentro dovuta alla mobilità del soggetto trasportato». Ne deduce che, «da un lato, che le suddette mansioni dei dipendenti li esponevano al rischio di lesioni dorso lombari e, da un altro lato, che non erano state messe a disposizione attrezzature fondamentali, quali automezzi dotati di pedana meccanica, lettini ad altezza variabile, solleva persone idraulico, e cosi via». Rileva, infine, che «era evidente la mancanza di qualsiasi adeguata attrezzatura idonea a ridurre i rischi per i dipendenti derivanti dalla movimentazione manuale dei disabili».
Circa la valutazione dei rischi da movimenti frequenti e ripetitivi e da movimentazione manuale dei carichi v., sub art. 17, al paragrafo 1, Cass. 28 maggio 2015, n. 22781. Quanto a un'ipotesi in cui Il direttore sanitario di un'azienda autonoma termale fu ritenuta colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., ``per aver cagionato a una dipendente lesioni consistite in un blocco vertebrale, disponendo che la stessa, che non era idonea alle mansioni di bagnina-fanghina ed alla quale era vietato in modo assoluto la movimentazione manuale dei carichi, prestasse servizio presso il reparto fanghi dell'hotel termale, dove, sollevando una paziente, riportava le lesioni'' v., sub art. 18, al paragrafo 2, la sentenza Streva. Di notevole rilievo, quanto alla responsabilità del medico competente, Cass. 27 maggio 2015, n. 22389, sub art. 25, al paragrafo 6.
Il Tribunale assolve perché il fatto non sussiste il delegato del datore di lavoro e il medico competente di una società cooperativa di consumo da più contravvenzioni relative alla movimentazione manuale dei carichi. La Sez. III annulla con rinvio l'assoluzione. Premette che ``tra i casi normativamente previsti in cui deve essere effettuata la sorveglianza sanitaria rientra, in base al disposto dell'art. 168 D.Lgs. 81/2008, la movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori''. Richiama gli artt. 167 e 168 D.Lgs. n. 81/2008. Ne desume che, ``secondo il combinato disposto degli artt. 41 e 168, comma 2, lett. d), D.Lgs. n. 81/2008, la sorveglianza sanitaria: deve essere effettuata nel caso normativamente previsto della movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori (ove non sia possibile ovviare alla stessa con misure organizzative ed il ricorso a mezzi meccanici appropriati); comprende le viste mediche ed i correlati accertamenti secondo le cadenze e la periodicità di cui al comma 2 dell'art. 41 D.Lgs. n. 81/2008 e può essere ulteriormente modulata `sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all'allegato XXXIII'''. Critica l'interpretazione dell'art. 168 effettuata dal giudice di merito, ``in quanto la disposizione di cui all'art. 168, comma 2, lett. d), che impone al datore di lavoro una condotta obbligatoria, correlata alla previsione normativa che le attività di movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori possono comportare per i lavoratori rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico''. Precisa che ``il primo comma della predetta norma impone chiaramente al datore di lavoro di adottare, in via prioritaria, le misure organizzative necessarie e di ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori, attività che comporta il rischio delle patologie summenzionate'', e che, ``ove tanto non sia possibile, il secondo comma della norma fa obbligo al datore di lavoro di adottare le misure organizzative necessarie, di ricorrere ai mezzi appropriati e di fornire ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell'allegato XXXIII, elencando specificamente, in maniera tassativa e cumulativa, le relative condotte, tra le quali rientra espressamente anche la sorveglianza sanitaria, secondo il disposto di cui all'art. 41 D.Lgs. n. 81/2008''. Ne ricava che ``il solo margine discrezionale, affidato dalla norma al medico competente (e all'organo di vigilanza), attiene alla frequenza della visita periodica, in funzione della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio, che potrà essere ulteriormente modulata, ampliando, ove ritenuto necessario, le cadenze e la periodicità previste dal comma 2 dell'art. 41 D.Lgs. n. 81/2008''. Aggiunge che, ``in caso di movimentazione manuale di carichi, il datore di lavoro deve sottoporre il lavoratore a visita medica preventiva e operare una specifica valutazione dei rischi per la sua salute, sia in relazione a patologie che potrebbero derivare dall'attività sia per la verifica delle condizioni di attitudine allo svolgimento della specifica mansione''. (Dove viene richiamata Cass. 14 gennaio 2019 n. 1465, riportata nel precedente paragrafo 1).