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Il T.U. Sicurezza sul lavoro commentato con la giurisprudenza

1. Fermo restando quanto previsto nell'articolo 182, in base alla valutazione dei rischi di cui all'articolo 202, quando sono superati i valori d'azione, il datore di lavoro elabora e applica un programma di misure tecniche o organizzative, volte a ridurre al minimo l'esposizione e i rischi che ne conseguono, considerando in particolare quanto segue:

a) altri metodi di lavoro che richiedono una minore esposizione a vibrazioni meccaniche;

b) la scelta di attrezzature di lavoro adeguate concepite nel rispetto dei principi ergonomici e che producono, tenuto conto del lavoro da svolgere, il minor livello possibile di vibrazioni;

c) la fornitura di attrezzature accessorie per ridurre i rischi di lesioni provocate dalle vibrazioni, quali sedili che attenuano efficacemente le vibrazioni trasmesse al corpo intero e maniglie o guanti che attenuano la vibrazione trasmessa al sistema mano-braccio;

d) adeguati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro, dei sistemi sul luogo di lavoro e dei DPI;

e) la progettazione e l'organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro;

f) l'adeguata informazione e formazione dei lavoratori sull'uso corretto e sicuro delle attrezzature di lavoro e dei DPI, in modo da ridurre al minimo la loro esposizione a vibrazioni meccaniche;

g) la limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione;

h) l'organizzazione di orari di lavoro appropriati, con adeguati periodi di riposo;

i) la fornitura, ai lavoratori esposti, di indumenti per la protezione dal freddo e dall'umidità.

2. Se, nonostante le misure adottate, il valore limite di esposizione è stato superato, il datore di lavoro prende misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto di tale valore, individua le cause del superamento e adatta, di conseguenza, le misure di prevenzione e protezione per evitare un nuovo superamento.

GIURISPRUDENZA COMMENTATA

Sommario: 1. Omessa prevenzione e patologie .

Utili sono a proposito dell'esposizione lavorativa a vibrazioni alcune indicazioni date dalla Corte Suprema:

Il rappresentante legale di una s.p.a. era stato assolto in primo grado dal reato di lesione personale colposa in danno di un lavoratore colpito da epicondilite destra, e poi su ricorso della parte civile dichiarato dalla corte d'appello responsabile ai soli effetti civili. L'addebito mosso all'imputato era quello di aver ``consentito lavorazioni che comportavano l'uso di uno strumento vibrante, nonché l'utilizzo di un martello per la rimozione delle bave dei getti, senza l'adozione delle necessarie misure di prevenzione, ossia guanti anti vibrazione e martelli con impugnatura di gomma, nonché elettroutensili''. La Sez. IV annulla la sentenza d'appello senza rinvio, perché il fatto non sussiste. ``Sotto il profilo della violazione ascritta all'imputato e riferita all'omissione delle misure di prevenzione'', prende atto che ``la condotta omissiva è sicuramente comprovata''. Ma ``quanto alla rilevanza causale della ridetta condotta omissiva'', rileva che ``l'arco temporale di esposizione del lavoratore al riferito fattore di rischio fu limitato a meno di un anno''. Rammenta che, ``in tema di causalità, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e `processualmente certa' la conclusione che la condotta omissiva dell'imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con `alto o elevato grado di credibilità razionale' o `probabilità logica'''. Prende atto che, nel caso di specie, e con precipuo riferimento all'insorgere di una patologia attribuita eziologicamente alla prestazione lavorativa affidata al lavoratore, sarebbe stato necessario procedere a una puntuale verifica - da effettuarsi in concreto ed in relazione alle peculiarità della vicenda - in ordine all'efficienza determinante dell'esposizione del lavoratore a specifici fattori di rischio nel contesto lavorativo nella produzione dell'evento, e sarebbe stato in particolare necessario aver riguardo al carattere multifattoriale della patologia e, pertanto, alla sua riconducibilità ad una pluralità di possibili fattori causali. Osserva che la corte d'appello ``non si è affrancata da un dato di partenza probatoriamente malfermo, costituito dalla mera `probabilità' (intesa in senso non logico, ma statistico) della rilevanza causale della condotta omissiva rispetto alla patologia riscontrata al lavoratore, a fronte non solo di un rischio giudicato univocamente come basso (anche per l'esposizione temporalmente limitata del lavoratore a detto rischio), ma altresì di possibili ed in parte accertate interferenze causali in rapporto a una patologia multifattoriale (che cioè può essere cagionata da una pluralità di cause diverse)''. Addebita alla corte d'appello di aver ``liquidato come meramente concausali gli ulteriori fattori di rischio evidenziati da periti e consulenti in relazione al lavoratore (il distiroidismo, la pratica del ciclismo ecc.)''. Osserva che un perito, ``nel qualificare il rischio d'insorgenza delle patologie riscontrate sul lavoratore come `non particolarmente elevato', ha indicato, a riprova di tale assunto, `la scarsa rilevanza di patologie da movimenti e sforzi nella pur numerosa coorte di lavoratori esposti'''. E ne trae ``la necessità di approfondire l'aspetto dell'efficienza determinante dell'esposizione dei lavoratori, impiegati in mansioni analoghe a quelle assolte dalla persona offesa, a specifici fattori di rischio nel contesto lavorativo nella produzione dell'evento''. Aggiunge che, qualora invece ``si muova dalla premessa della mera `probabilità' dell'incidenza causale della condotta omissiva, allora la ricostruzione del nesso eziologico, per potersi concludere in senso affermativo, deve passare necessariamente attraverso la sicura esclusione di fattori causali alternativi''. Spiega che ``solo a tale condizione può annettersi rilevanza decisiva (proprio in base alla sua `unicità' ed `esclusività') al comportamento oggetto di censura ed ipoteticamente rilevante, pur quando la sua incidenza causale sull'evento sia caratterizzata da probabilità non particolarmente elevata sul piano statistico''.

(Fu nel 1990 che la Cassazione prese in considerazione la delicata problematica relativa alle vibrazioni [Cass. 2 aprile 1990, Casati, in Guariniello, Sicurezza del lavoro e Corte di Cassazione, 1994, Milano, 137]; e solo l'anno successivo fu pronunciata la prima sentenza in tema di patologie da vibrazioni [Pret. Torino 2 maggio 1991, Piazza e altri, in Foro it., 1992, II, 11, e in Giur.it., 1992, II, 143]. Successivamente, Cass. 19 marzo 1999, Vaiana, in ISL, 1999, 5, 300, considerò il caso di un dipendente adibito a lavori di scavo con martello pneumatico produttivi di rumori e vibrazioni e colpito da lesioni personali gravi consistite in angioneurosi, osteoartropatia, e ipoacusia neurosensoriale permanente. A fondamento della condanna, la Corte d'appello di Palermo aveva osservato che l'imputato ``non aveva adottato misura alcuna per evitare i pericoli derivanti dall'uso prolungato degli attrezzi con cui la persona offesa espletava il lavoro, sulla base della documentazione medica che aveva fatto riconoscere dall'INAIL una invalidità nella misura del 17 %, delle dichiarazioni di testimoni, a vario titolo, fra cui lo stesso infortunato''. Nel respingere il ricorso proposto dall'imputato, la Sez. IV condivise l'assunto dei giudici di merito circa la non necessità di appositi accertamenti peritali: ``In relazione a perizia medico-legale, perché la abbondante documentazione clinica acquisita, proveniente da ospedali pubblici e riferentesi ad accertamenti specialistici, le dichiarazioni testimoniali sulle condizioni ambientali del lavoro della parte lesa, e la cronistoria della malattia dalla medesima parte lesa esposta, fornivano più che sufficienti risposte ai quesiti concernenti la natura, la entità e le cause del dannoso evento per cui è processo. In relazione a perizia tecnica, perché il tempo trascorso e le vicissitudini della cooperativa -caduta in fallimento- hanno praticamente disperso gli attrezzi con i quali lavorava l'infortunato, rendendo impossibile - o, quanto meno, non rilevante - una indagine tecnica sugli stessi''. Inoltre, affermò che ``nel caso di procurata malattia, il termine prescrizionale del reato di lesioni personali inizia a decorrere dal momento in cui la malattia abbia cessato la sua evoluzione e si sia stabilizzata nei suoi effetti''; e, con riguardo al caso di specie, pose in luce come ``la infermità del lavoratore, manifestatasi nel 1987, sia andata sempre aggravandosi, almeno sino al 13 giugno 1991, allorché il medesimo fu costretto, per tale ragione, ad abbandonare l'insana attività lavorativa sino allora praticata'').

Il consigliere di amministrazione delegato alla sicurezza, datore di lavoro con poteri decisionali e di spesa -condannato per il delitto di lesione personale colposa, per aver cagionato a un lavoratore la malattia professionale della angiopatia da strumenti vibranti- lamenta «la mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il cui decorso iniziale sarebbe stato erroneamente calcolato dai giudici del merito che hanno a tal fine preso in considerazione la data dell'accertamento medico invece che quella dell'insorgenza della malattia professionale». La Sez. IV non è d'accordo. Rileva che «il perpetuarsi dell'esposizione del lavoratore alle vibrazioni del martello pneumatico, in assenza di presidi di protezione, aveva necessariamente contribuito ad aggravare la malattia ed a spostare in avanti la data di consumazione del delitto contestato, individuata in via definitiva solo dopo la visita specialistica del medico dell'INAIL che ha certificato, oltre che l'insorgenza, l'entità della malattia professionale». E considera irrilevante «la circostanza che la malattia professionale sia stata valutata nella percentuale del 4%, non essendo evidentemente collegata a tale percentuale la individuazione della data in cui il quadro clinico del lavoratore si è definitivamente chiarito».

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