1. I lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto possono essere effettuati solo da imprese rispondenti ai requisiti di cui all'articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.35
2. Il datore di lavoro, prima dell'inizio di lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto da edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto, predispone un piano di lavoro.
3. Il piano di cui al comma 2 prevede le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e la protezione dell'ambiente esterno.
4. Il piano, in particolare, prevede e contiene informazioni sui seguenti punti:
a) rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto prima dell'applicazione delle tecniche di demolizione, a meno che tale rimozione non possa costituire per i lavoratori un rischio maggiore di quello rappresentato dal fatto che l'amianto o i materiali contenenti amianto vengano lasciati sul posto;
b) fornitura ai lavoratori di idonei dispositivi di protezione individuale;
c) verifica dell'assenza di rischi dovuti all'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro, al termine dei lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto;
d) adeguate misure per la protezione e la decontaminazione del personale incaricato dei lavori;
e) adeguate misure per la protezione dei terzi e per la raccolta e lo smaltimento dei materiali;
f) adozione, nel caso in cui sia previsto il superamento dei valori limite di cui all'articolo 254, delle misure di cui all'articolo 255, adattandole alle particolari esigenze del lavoro specifico;
g) natura dei lavori, data di inizio e loro durata presumibile;36
h) luogo ove i lavori verranno effettuati;
i) tecniche lavorative adottate per la rimozione dell'amianto;
l) caratteristiche delle attrezzature o dispositivi che si intendono utilizzare per attuare quanto previsto dalla lettera d) ed e).
5. Copia del piano di lavoro è inviata all'organo di vigilanza, almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori. Se entro il periodo di cui al precedente capoverso l'organo di vigilanza non formula motivata richiesta di integrazione o modifica del piano di lavoro e non rilascia prescrizione operativa, il datore di lavoro può eseguire i lavori. L'obbligo del preavviso di trenta giorni prima dell'inizio dei lavori non si applica nei casi di urgenza. In tale ultima ipotesi, oltre alla data di inizio, deve essere fornita dal datore di lavoro indicazione dell'orario di inizio delle attività.37
6. L'invio della documentazione di cui al comma 5 sostituisce gli adempimenti di cui all'articolo 250.38
7. Il datore di lavoro provvede affinché i lavoratori o i loro rappresentanti abbiano accesso alla documentazione di cui al comma 4.
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Sommario: 1. Lavori di demolizione o rimozione dell'amianto - 2. Condanna per omissione di atti d'ufficio del sindaco che non impone la rimozione dell'amianto .
L'art. 256, D.Lgs. n. 81/2008 eredita l'art. 59-duodecies, D.Lgs. n. 626/1994 (introdotto dall'art. 5, D.Lgs. n. 195/2006). Malgrado le modifiche apportate al corrispondente art. 34, D.Lgs. n. 277/1991, proficui restano alcuni insegnamenti della Corte Suprema (v. anche, sub art. 13, al paragrafo 3, la sentenza Chino):
Dopo non pochi anni, a conferma della scarsa attenzione prestata dagli organi di vigilanza al riguardo, la Corte Suprema torna ad occuparsi della disciplina dettata in materia di lavori di demolizione o rimozione dell'amianto, e pone in luce le ripercussioni negative prodotte da azioni ispettive per giunta non sufficientemente approfondite:
“Mentre per la semplice raccolta di materiale a terra è sufficiente la mera ‘notifica’, la rimozione anche di una sola lastra di eternit non può essere gestita con l’istituto della ‘notifica’, ma richiede la predisposizione di un piano di lavoro, da presentare almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori. La società operante, presumibilmente, aveva scelto l’iter più rapido, tacendo all’A.S.S. i lavori di rimozione (e per giunta mandando sul cantiere lavoratori diversi da quelli indicati nella notifica)”.
Condannato per l'inosservanza dell'art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008 (piano di lavoro da predisporre prima dell'inizio di lavori di demolizione o di rimozione dell'amianto o di materiali contenenti amianto da edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto), un datore di lavoro lamenta la violazione dell'art. 256, commi 4 e 5, D.Lgs. n. 81/2008 e degli artt. 6, comma 3, e 12, comma 2, L. n. 257/1992, in particolare per la mancata applicazione del D.M. 6 settembre 1994, in quanto ``le disposizioni prevedono le misure di sicurezza quando l'intervento è effettuato su amianto friabile e non anche quando si interviene su un tetto (coperture di cemento-amianto)'', e ``per i soli interventi su amianto friabile è prevista un'area di decontaminazione per il personale'', là dove ``la decontaminazione non risulta prevista per gli interventi su materiali compatti, non friabili''. Inoltre, eccepisce che ``l'intervento della ditta dell'imputato si inseriva in un cantiere con la presenza di più imprese operanti per diversi lavori'', e che ``nessun accertamento risulta compiuto sull'effettiva presenza di amianto nei materiali rinvenuti nell'area del cantiere'', né ``risulta certo se i materiali in oggetto fossero residui dei lavori effettuati dalla ditta dell'imputato o se di altri lavori precedenti effettuati da altre ditte''. Aggiunge che ``la pulizia effettuata dall'imputato dopo i rilievi non sta certo a significare l'accettazione (acquiescenza) della responsabilità'', poiché ``la norma dell'art. 248 D.Lgs. n. 81/2008 disciplina solo la fase antecedente l'inizio dei lavori, non tutte le fasi di rimozione dell'amianto, e, quindi, la presenza di amianto nella zona dell'intervento doveva essere dimostrata dall'accusa, senza alcuna inversione dell'onere della prova''. La Sez. III ritiene che ``la sentenza impugnata non motiva adeguatamente sulla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dei reati in contestazione''. Con riguardo alla ``procedura di decontaminazione nel piano di lavoro'', osserva che ``la sentenza non analizza il tema della natura dell'amianto in oggetto (se friabile o no), in relazione ai diversi obblighi normativi nelle due ipotesi''. Quanto alla ``omessa pulizia finale dell'area'', rileva che ``la sentenza omette di accertare in fatto se l'area del cantiere in oggetto fosse rimasta non pulita per responsabilità dell'imputato e se i materiali rinvenuti fossero o no contaminati da amianto, in relazione alla contemporanea presenza nel cantiere di diversi lavori anche da parte di altre ditte''.
Nel condannare un datore di lavoro per la violazione dell'art. 34, D.Lgs. n. 277/1991, il Tribunale rilevò come «l'imputato avesse rimosso una copertura in cemento-amianto in violazione di quanto preventivamente autorizzato dall'ASL (con liberazione di fibre di amianto e pericolo per la salute dei lavoratori)», diede atto che l'imputato «aveva segnalato la impossibilità di operare secondo il progetto stabilito», ma ritenne che «tale circostanza non lo facoltizzasse a procedere prima di una nuova autorizzazione dell'ASL». A propria discolpa, l'imputato sostiene che «la norma contestatagli è stata abrogata dall'art. 5, D.Lgs. n. 195/2006», e che «la sua sollecitazione all'ASL per adottare una nuova procedura dimostrava la mancanza di volontà di violare la norma». La Sez. III ribatte che «non vi è stata alcuna abolitio criminis ed il comportamento antigiuridico per cui è processo aveva rilevanza penale continua a configurare una fattispecie di reato». Spiega che «tra la pregressa e la vigente disciplina sussiste una continuità normativa di tipo di illecito per cui non si pongono problemi di diritto intertemporale (tranne che per la sanzione)». Aggiunge che «l'imputato, una volta verificato che la proceduta varata dall'ASL era impraticabile, avrebbe dovuto sollecitare dalla competente autorità la redazione di nuovo progetto ed astenersi dalla rimozione dell'amianto fino alla autorizzazione dell'ASL», e che «il differente comportamento tenuto dall'imputato non manifesta la sua buona fede, ma l'ignoranza non giustificabile della legge», in quanto egli «è venuto meno al dovere di informazione che grava sui privati, che svolgono attività normativamente regolate, di informarsi in vista dell'osservanza dei precetti penali».
Il legale rappresentante di una società di scavi viene condannato per avere la sua impresa proceduto a lavori di demolizione di materiale edile contenente amianto senza previamente predisporre un piano di lavoro atto a garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente esterno. A sua discolpa, l'imputato lamenta che «nessuno aveva avvertito la sua impresa della presenza dell'amianto che peraltro non poteva essere percepita dato che il tetto era ricoperto di sterpaglia».
Questa l'argomentazione che induce la Sez. III a disattendere la doglianza dell'imputato: «La circostanza che il committente i lavori non abbia informato l'impresa incaricata della demolizione del manufatto - e dunque l'odierno imputato - della presenza dell'amianto nel materiale usato per la realizzazione del manufatto stesso e addirittura che lo abbia rassicurato dicendogli contrariamente al vero che tale realizzazione era avvenuta con materiale `ecologico' (secondo quanto asserito dalla difesa del ricorrente) non vale certo ad escludere la sua responsabilità, in ordine alle contravvenzioni ascrittegli posto che l'obbligo dell'imprenditore sancito dall'art. 2087 c.c. di `adottare le misure ... necessarie a tutelare la integrità fisica dei prestatori di lavoro' ha carattere strettamente personale, non è surrogabile e non ammette equipollenti (tanto che grava rigorosamente su di lui l'onere di fornire la prova di avere puntualmente assolto l'obbligo medesimo)».
Per giunta, la Sez. III osserva che «detta presenza era prevedibile», visto che «il funzionario della ASL, ispezionando il cantiere, ebbe subito il dubbio che il materiale oggetto della demolizione contenesse amianto (dubbio che le successive analisi dimostrarono essere fondato)», e che «la relativa problematica non era di fatto sconosciuta al ricorrente posto che la sua impresa era già stata sanzionata dalla ASL per fatti analoghi».
Sicché «l'imputato era sicuramente nelle condizioni di porsi in regola, usando la ordinaria diligenza, con la normativa che disciplina la materia munendo il proprio dipendente dei necessari dispositivi di protezione e predisponendo il piano, da sottoporre all'organo di vigilanza, per la sicurezza e salute dei lavoratori e la protezione dell'ambiente esterno».
La Corte Suprema conferma la condanna di un sindaco per omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p., ``per avere, a fronte di reiterate denunce di organi pubblici nonché di privati cittadini, ivi compresi la costituita parte civile ed il proprietario dell'area interessata, nell'arco temporale durato alcuni anni, omesso di assumere qualunque iniziativa atta ad imporre a quest'ultimo lo smaltimento di lastre di eternit (amianto) accatastate alla rinfusa ed all'aperto su di un terreno'', ``iniziativa, invece, immediatamente assunta dal sindaco subentrante mediante emissione di un'ordinanza contingibile e urgente che, tempestivamente ottemperata dall'obbligato, determinava la cessazione del pericolo di contaminazione delle aree territoriali limitrofe''. Nel confermare la condanna, la Sez. VI rileva: ``Il reato si è consumato ogni volta che l'imputato ha rifiutato di intervenire a fronte di formali sollecitazioni prospettanti la sussistenza di quella particolare situazione concreta (la presenza di rifiuti di amianto accatastati a cielo aperto in prossimità di abitazioni limitrofe) che rendeva indifferibile l'adozione dell'atto d'ufficio (nella specie: ordinanza contingibile e urgente) imposto dalle esigenze di protezione sanitaria'', e conclude che ``il reato istantaneo di rifiuto, esplicito o implicito, di un atto dell'ufficio, imposto da una delle ragioni espressamente indicate dalla legge (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità), può manifestarsi come reato continuato (concorso materiale omogeneo) quando, a fronte di formali sollecitazioni ad agire rivolti al pubblico ufficiale rimaste senza esito, la situazione potenzialmente pericolosa continui ad esplicare i suoi effetti negativi e l'adozione dell'atto dovuto sia suscettibile di farla cessare''.
(Su un'ipotesi di cui all'art. 328 c.p. a carico di un sindaco per aver omesso di chiudere un edificio scolastico insicuro Cass. 8 gennaio 2018, in ISL, 2018, 3, 182; v., altresì, Cass. 25 febbraio 2016, ibid., 2016, 4, 230).